di Luisa Derosa
Introduzione - Le aree culturali - Le schede: Bitonto; Isole Tremiti; Bari; Taranto; Otranto; Trani; Brindisi; Giovinazzo; Bibliografia essenziale |
Trani: Cattedrale
L’edificio
La
cattedrale di Trani è frutto di un cosciente e programmato intervento che
riunisce in un unico corpo di fabbrica tre distinti luoghi di culto. La storia
di questo edificio è legata alle vicende di un giovane pellegrino greco,
Nicola, che dopo aver percorso la Grecia e la Dalmazia, sbarcato a Taranto,
giunse ormai ammalato ed allo stremo delle forze nella città di Trani
morendovi dopo poco tempo.
L’atto
di nascita della nuova chiesa risale al 1099 quando l’arcivescovo Bisanzio,
importante figura di committente collegato ai circoli romani più aperti alla
riforma, ottenne da papa Urbano II la santificazione del giovinetto. Si trattò
di un’operazione politica sapientemente condotta dal clero tranese, con
l’intento non solo di nobilitare l’antica sede episcopale ma anche di
competere con la vicina Bari, sua eterna nemica, che dopo la traslazione
dall’Oriente, ancorava il suo prestigio sulla custodia delle reliquie di san
Nicola di Mira.
Sullo
stesso luogo dove venne iniziata la costruzione della nuova cattedrale sorgeva
l’antica «ecclesia Sancte Dei
Genitricis et perpetuae Virginis Mariae», sede dell’episcopio tranese che
aveva accolto nel VII secolo le reliquie di san Leucio, trasferite da Brindisi
dopo l’ennesima distruzione della città. Le reliquie erano state deposte in
un apposito sacello, costruito sotto la chiesa (ancora oggi esistente) e qui
vi rimasero fino all’845 quando i Saraceni, distrutta la città, le
vendettero a Benevento.
La prima parte dell’edificio ad essere realizzata fu la cripta, costruita ad Oriente della chiesa di Santa Maria. I lavori vennero condotti con celerità per allestire un luogo idoneo a conservare le sacre spolie, come era avvenuto dieci anni prima per la chiesa di
San Nicola a Bari. La precedente cattedrale rimase in piedi fino al 1142 quando, secondo il racconto che ne fa il diacono Amando, autore della Traslatio corporis S. Nicola ad novam Ecclesiam, le reliquie furono trasferite nella nuova cripta, dedicata al santo, pronta ad accoglierle con una grande moltitudine di fedeli e pellegrini. Solo allora si decise di abbattere il vecchio edificio, ma invece di obliterarne la memoria si preferì, con una geniale soluzione, far vivere i due luoghi di culto, uno sopra l’altro.Si
trattò di un progetto estremamente complesso che comportò lunghi tempi di
realizzazione, soprattutto per la costruzione della navata da congiungere al
transetto che nel frattempo era cresciuto sulle fondazione impostate nel 1099.
I
lunghi tempi di realizzazione spiegano anche il profondo divario stilistico
esistente tra le due chiese e la cripta.
L’edificio venne completato nel corso del Duecento.
Ad
un primo modello di tipo basilicale cassinese, così come doveva essere stato
pensato il primitivo edificio, era subentrato nel corso del Duecento il
modello nicolaiano, con matronei e arcate cieche contraffortate, alle quali
non vennero aggiunte le gallerie esafore, previste ma mai realizzate.
La
stessa esigenza fu, probabilmente, alla base della decisione di raddoppiare le
colonne di divisione della navate. Se tale motivo esisteva già nella antica
chiesa di Santa Maria, come alcuni studiosi hanno sostenuto, nella navata
superiore venne senza dubbio adottato con il preciso valore strutturale di
offrire un più solido appoggio alle volte a crociera.
Le
stesse fasi cronologiche sono suggerite dalla scultura che impreziosisce
portali, finestre e rosoni. La porta di bronzo (attualmente collocata nella
navata sinistra della basilica superiore), opera di Barisano da Trani, fu
realizzata per il portale principale tra il 1175 ed il 1180. La raffinatezza
degli intrecci vegetali e geometrici che riquadrano scene del Nuovo e Vecchio
testamento, paiono pensati per fondersi mirabilmente con gli archivolti e gli
stipiti del portale principale, opera di altri due magistri
tranesi, Bernardo ed Eustasio. Qui tra scene sacre e profane, decori vegetali
e fantastici, riaffiora la memoria di miniature nordiche, avori e tessuti
orientali, prodotti di lusso e di ampia circolazione, frutto non solo delle
scelte di una committenza colta ma anche simbolo di autoidentificazione della
vivace e popolosa collettività tranese.
IL MOSAICO (Tav. VII)
Ubicazione:
chiesa superiore, zona presbiteriale.
Datazione: seconda metà del XII secolo.
Materia e tecnica: tessere di calcare di colore nero, grigio, grigio verde, rosso, bianco, giallo, di dimensioni variabili tra 1,5 cm a 2 cm circa in opus tessellatum Pasta vitrea di colore azzurro, rosso e verde.
Descrizione:
Un’organizzazione diversa dello spazio musivo caratterizza i due lati del
presbiterio. Su quello sinistro vi sono quattro rotae
disposte longitudinalmente. Sul lato destro si susseguono invece quattro
riquadri.
Di
eguale diametro (circa 1,95 cm), le rotae,
diversamente bordate, accolgono su un fondo bianco vari soggetti.
A partire da ovest si hanno, in successione, un leone che serra saldamente tra gli artigli un serpente; l’immagine di re Salomone; un grifo che assale un elefante; una sirena bicaudata.
I
soggetti sono estremamente frammentari.
Nel primo caso si è persa parte della porzione destra del mosaico comprendente le teste dei due animali. Il quadrupede è identificabile con un leone per la presenza di una piccola traccia di criniera di colore grigio. Della figura di re Salomone rimane solo metà del capo e una porzione del corpo e del faldistorium su cui è assiso il re. L’identificazione del personaggio è certa per l’iscrizione parziale /ALOMON a sinistra del re. Il braccio destro girato verso la sinistra del corpo reggeva in origine, molto probabilmente, lo scettro, come nel mosaico di
Otranto. La presenza del faldistorium con braccioli dalla testa di serpenti e piedi a forma di zampa di leone, ha per lungo tempo tratto in inganno coloro che si sono interessati di questo mosaico che hanno interpretato il seggio senza spalliera come un animale fantastico.A questa raffigurazione segue quella del grifo che assale un elefante.
è l’immagine meglio conservata dell’intera sequenza. è saltata solo parte del corpo e del capo del grifo ma il grande becco uncinato perfettamente visibile, oltre al corpo leonino e all’attaccatura delle ali, non lasciano dubbi circa la sua identificazione.Della
sirena-pesce è, invece, solo visibile parte della coda che viene sorretta
dalla mano e la lunga treccia di cappelli neri che scende fino a lambire il
bordo della cornice.
Una
serie di figure animali e motivi vegetali, disposte negli interstizi tra i
tondi completano la raffigurazione. Partendo dal primo soggetto si hanno
nell’ordine: un’arpia, un porcospino, un cane, due galli di cui uno assiso
su un palo a forma di T, un ramo di una pianta da cui si dipartono due frutti
(forse zucche), un quadrupede dal volto umano (un demone?) proteso verso un
palo identico al precedente, un polipo.
Una
diversa disposizione caratterizza invece, come osservato in precedenza, le
immagini presenti sul lato destro del presbiterio. Sottili cornici decorate
con un motivo a zig-zag racchiudono le diverse raffigurazioni.
Seguendo
lo stesso ordine di lettura del lato sinistro si possono osservare:
l’Ascensione di Alessandro Magno; il Peccato originale; un cervo e un altro
quadrupede affrontati ai lati di un albero; un centauro nell’atto di suonare
un corno.
Pervenutaci
in migliore stato di conservazione la decorazione di questo lato presenta una
zona lacunosa solo nel caso della prima scena (che misura cm 82 x 155), mutila
nella parte inferiore. Il re macedone è raffigurato mentre ascende al cielo
trasportato da due grifoni mentre, con le mani alzate, tiene davanti a loro
pezzi di carne infilzati su bastoni, allo scopo di indurli, con l’aiuto di
quest’esca, a salire sempre più in alto. Un’iscrizione ai lati del capo
identifica il soggetto (REX ALEXANDER). La corona del re è eseguita inserendo
tra le tessere di pietra alcuni frammenti di paste vitree colorate.
Nel
riquadro successivo (cm 190 x 155) Adamo ed Eva sono disposti simmetricamente
ai lati di un albero di fico, sulle cui radici posano i piedi. Il serpente,
avvolto intorno al tronco dell’albero, si dirige verso Eva colta nell’atto
di mangiare il frutto proibito, al pari di Adamo. Due rami, terminanti con
grandi foglie, si attorcigliano intorno alle loro gambe coprendone le nudità.
Anche in questo caso compaiono sopra le teste dei due personaggi le scritte
identificative dei loro nomi.
Nel
successivo riquadro (cm 190 x 120) la scena si dispone trasversalmente
rispetto ai sottostanti rettangoli. Ai lati di un alberello stilizzato si
dispongono due quadrupedi di cui quello di destra sicuramente identificabile
in un cervo per la presenza delle corna ramificate. L’animale raffigurato a
sinistra è invece variamente identificato in un orso, un cervo o un cane, ma
si tratta con ogni probabilità di una cerva.
Nell’ultimo
riquadro, infine, parzialmente danneggiato nell’angolo inferiore sinistro
(cm 155 x 115/80), è raffigurato un centauro nell’atto di suonare un lungo
corno con la mano destra mentre si regge la coda con la sinistra. La coscia
anteriore e posteriore sinistre sono contrassegnate da tondi, mentre sollevata
risulta la zampa anteriore destra.
Iconografia: Sul lato sinistro nella successione di rotae con raffigurazioni animali prevalgono scene di combattimento con valore simbolico. La prima di esse rappresenta la lotta tra un drago ed un leone, il primo simbolo del Male il secondo personificazione di Cristo vincitore sulle forze delle tenebre. Allo stesso significato pare alludere la terza rota in cui è raffigurato un elefante che combatte contro un grifo. Quest’ultimo, riunendo in sé le due nature dell’aquila e del leone, è uno dei simboli della doppia natura di Cristo ma, nello stesso tempo, a causa del becco di rapace e dei potenti artigli da carnivoro nei Bestiari rappresenta Satana. Con tale significato è rappresentato nel mosaico tranese dal momento che combatte contro l’elefante, simbolo per eccellenza di castità e purezza. Alla lussuria allude, invece, l’immagine della sirena. Anche in questo caso siamo in presenza di un essere doppio, in possesso di due nature. Una figura, quella della sirena, assente nella Bibbia, che l’Occidente cristiano ereditò dal mondo classico. Secondo una traduzione di Isaia molto in voga nel Medioevo a proposito di Babilonia si diceva «I gufi urleranno a volontà, nelle sue magioni superbe, e le crudeli sirene abiteranno nei suoi palazzi di delizie». Nei Bestiari la sirena è l’anima dopo la morte, in attesa del Giudizio. Essa corrisponde alla trasformazione in animale dell’uomo peccatore, divenuto, dice san Bernardo, quasi bestia.
Tra
queste immagini è collocata anche la figura di re Salomone, noto per la
straordinaria fama di sapienza, potenza e magnanimità (cfr. scheda
Otranto).
Per la sua sapienza è considerato dalla tradizione cristiana una
prefigurazione di Cristo, del quale è antenato diretto. Il Giudizio di
Salomone (1 Re 3, 16ss) è accostato al Giudizio finale. A Trani la presenza
di Davide, di cui è figlio ed erede al trono, ne sottolineava appunto tali
qualità.
L’immagine di Alessandro Magno, che apre la successione delle scena campite sul lato destro del presbiterio, riveste, come negli altri esempi pugliesi (cfr. scheda
Taranto) un valore negativo, accentuato qui a Trani dalla presenza della scena del Peccato originale, al di sotto del quale è la raffigurazione del re macedone. Adamo ed Eva sono disposti simmetricamente ai lati di un albero di fico, emblema dell’arbor mala, sulle cui radici poggiano i piedi. Il serpente che avvolge con le sue spire il tronco dell’albero, si dirige verso Eva intenta a mangiare, al pari di Adamo, il frutto proibito. Due rami, terminanti con due larghe foglie, si attorcigliano alle loro gambe coprendone le nudità. La raffigurazione può essere considerata sintesi narrativa di più episodi: la tentazione, data dalla presenza del serpente, il peccato e la consapevolezza che ne deriva della nudità (Gn 3, 1-7).La scena successiva, raffigurante un cervo ed una cerva ai lati di un albero, riprende un’antichissima iconografia affermatasi in ambito paleocristiano, in cui i due quadrupedi sono disposti ai lati di un cantharos, fonte di vita, come riporta il Salmo quarantunesimo: «Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus». In questo caso si tratta di due simboli positivi, emblemi degli sposi cristiani, associati all’idea dell’anima che anela al bene ma anche al Cristo combattente, in quanto, secondo la tradizione dei bestiari, i cervi combattono vittoriosamente i rettili velenosi. Il Fisiologo narra che se un cervo avverte la presenza del serpente si riempie la bocca di acqua e la versa nella tana e con un soffio della sua bocca trascina fuori il serpente e lo uccide calpestandolo tra le zampe, come il Signore che alla fine del mondo annienterà il demonio «oris sui» (2Th, 2,8). Ma ancora la raffigurazione dei due animali ai lati dell’albero, simbolo del bene contrapposto all’arbor mala della scena del Peccato, allude alla capacità di questi animali di purificarsi. Colpiti dalle frecce riescono ad espellerle brucando l’erba del dittamo. A questi animali potrebbe alludere la raffigurazione successiva del
centauro ritratto nell’atto di suonare il corno, così come appare anche nel mosaico di Taranto e di Rossano Calabro. A Trani il centauro non è però retrospiciente (posizione che assume nell’iconografia un valore negativo), come negli altri esempi citati. Il suono della musica potrebbe alludere alla predilezioni che i cervi hanno per gli strumenti a fiato, soprattutto i flauti, come è ricordato nelle Etymologie di Isidoro da Siviglia. In questo caso il centauro, che rappresentato tradizionalmente nell’atto di scagliare le frecce, è un simbolo negativo della lussuria e dell’inganno, assumerebbe un valore positivo.Osservazioni:
La
più antica testimonianza dell’esistenza del pavimento musivo è contenuta
in una “inedita descrizione” della cattedrale di Trani risalente alla metà
del XVIII secolo, da cui si apprende che l’antico presbiterio era diviso
dalla navata maggiore da una transenna marmorea con due leoni di alabastro che
segnavano il passaggio al coro, sopraelevato di alcuni gradini. La soglia era
decorata a mosaico anche se evidenti erano ormai a quella data le tracce delle
“varie disavventure” da esso patite. Due soli frammenti si erano
conservati: «uno rappresentante Davide con la cetra, l’altro Salomone nel
tempio». La descrizione prosegue soffermandosi sulle pietre e marmi
finissimi di vari colori con cui le figure erano realizzate e su altri
frammenti parzialmente coperti dal nuovo altare realizzato dall’arcivescovo
Giuseppe Davanzati (1717-1755), in sostituzione di quello più antico
risalente all’epoca del vescovo de Francis (1588-1603). Secondo Francesco
Sarlo, ispettore ai monumenti della provincia di Bari, che seguì i lavori di
ripavimentazione del duomo tra il 1899 ed il 1900, il frammento con la figura
di Davide, a quel tempo non più esistente, doveva essere collocato “più
addentro” nel presbiterio.
è nel 1959, in seguito ai lavori di restauro e alla demolizione dell’altare maggiore, che vennero riportati alla luce i mosaici ancora oggi visibili.
Tutti
i soggetti sono realizzati con una fila di tessere nere che ne disegna la
forma. In alcuni casi si nota una maggiore ricerca di effetti di modellato,
come nell’elefante sul lato sinistro il cui profilo è sottolineato da due
file di tessere, nere quelle esterne, rosse le interne. Al di là di questo
esempio le tessere sono variamente disposte e organizzate.
Le
immagini rimasteci propongono un repertorio iconografico che attinge a fonti
disparate: scene veterotestamentarie (Davide Salomone, Adamo ed Eva), cicli
eroici (Alessandro Magno), simboli tratti dal bestiario
(leone, grifo,
elefante, sirena, cervi, centauro). Si tratta di un universo popolato di segni
e significati di valore morale, connessi tra loro da rapporti di analogia, il
cui significato più profondo risiede nel disegno divino che quei simboli
chiarisce e svela.
Risulta
evidente che nel mosaico di Trani non c’è un preciso programma
iconografico. Anche in questo caso gli episodi rappresentati svolgono il ruolo
di exempla.
I
vari soggetti e lo stile che li caratterizza consentono di collegare l’opera
tranese ai pavimenti delle cattedrali di Taranto e
Brindisi e, soprattutto, a
quello di Otranto, datato agli anni 1163-1165. La novità che il pavimento
otrantino dovette rappresentare nell’ambito della regione è, infatti,
dimostrata proprio dai pavimenti di Brindisi e Trani, cui si mise mano dopo
che esso era stato completato.
I
confronti con il pavimento di Otranto non si limitano solo ad alcuni schemi
compositivi. Quasi tutti i soggetti illustrati a Trani sono presenti anche a
Otranto: Salomone, la sirena, il centauro, gli animali e gli esseri fiabeschi,
l’ascensione di Alessandro, il Peccato originale. Identica è anche la
tecnica compositiva oltre ad una forte tendenza ornamentale presente a Trani
soprattutto nelle raffigurazioni zoomorfe, il gusto di affollare con figure
gli spazi lasciati liberi tra i tondi.
La
figura del centauro pare riprendere in modo quasi letterale l’analoga
raffigurazione presente a Otranto sul lato sud del transetto, eseguita da
maestranze diverse da quelle intervenute nella navata centrale, forse anche in
un momento immediatamente successivo. Tale confronto conferma non solo la
dipendenza del mosaico di Trani da quello di Otranto ma consente anche di
stabilire un terminus post quem per
la realizzazione del primo. Con una certa sicurezza si può affermare che
nella cattedrale tranese la pavimentazione musiva fu limitata alla sola zona
presbiteriale. Non sappiamo se si volesse estendere la decorazione musiva
all’intero edificio, come a Otranto o a Brindisi e Taranto, oppure, consci
dei lunghi tempi di completamento dell’edificio, i committenti tranesi
scelsero di rappresentare una sorta di compendio dei programmi figurativi
presenti nelle altre cattedrali. Quando si pose in opera il mosaico,
probabilmente per fare funzionare almeno il transetto come chiesa, la navata
non era, infatti, ancora stata costruita. Come ricordato in precedenza il
completamento dell’edificio avvenne nel corso del Duecento, quando
probabilmente erano ormai subentrate altre esigenze, altri modelli, altre
mode.
Resta da capire, a Trani, la differenza di schemi compositivi tra il lato destro e sinistro del presbiterio, nonché la diversa disposizione, rispetto alle scene sottostanti, del tema dei due cervi affrontati e del centauro. Probabilmente gli artisti che vi lavorarono utilizzarono per queste sequenze altri modelli, forse di derivazione libraria.
BIBLIOGRAFIA
SPECIFICA
G. BELTRAMI, Una inedita descrizione della Cattedrale di trani composta nella seconda metà del secolo XVIII, Napoli 1899.
F. SARLO, La pavimentazione del Duomo di Trani, Trani 1900.
P. BELLI D’ELIA - M. D’ELIA, Aggiunte tranesi al Maestro della Cattedra di Elia. Nuove precisazioni sul romanico pugliese, in Studi e ricerche di Storia dell’Arte in memoria di L. Mallè, Torino 1981, pp. 49-60.
B. RONCHI, La cattedrale di Trani, Fasano 1985.
R.
CARRINO, Il mosaico pavimentale
medioevale della cattedrale di Trani, in xlii
Corso di Cultura sull’Arte ravennate e bizantina (Ravenna 1995), Ravenna
1996, pp. 175-214.
Vedi anche, nel sito: Trani: Cattedrale (di Stefania Mola)