Ha
scritto Charles Kingsley: "Dando
un'occhiata a Roma e volgendosi verso nord, che cosa si vede per
quasi cento anni? Un'ondata dopo l'altra che si leva dal
profondo nord, dalla terra della notte, del dubbio e del terrore
sconosciuto, un'ondata che appare solo quando la luce della
civiltà romana sfiora la sua cresta ed essa s'infrange contro le
Alpi, penetra dai passi alpini e scivola nelle fertili pianure
sottostanti. Poi, inprovvisamente, scopri che le onde sono
formate da esseri umani, uomini, donne, bambini, cavalli, cani e
bestiame, tutti protesi verso il grande vortice rappresentato
dall'Italia: eppure il grande golfo non viene mai riempito e la
terra beve il loro sangue, le ossa imputridiscono nel suolo
fertile, la memoria di intere tribù viene spazzata via..."
[1].
Se ciò è, in linea generale,
piuttosto vero, esistono eccezioni notevoli, popoli che hanno
lasciato un segno profondissimo nella storia italiana ed un
retaggio più che millenario, le cui propaggini arrivano a
lambire la nostra cultura attuale: i Longobardi sono certamente
una di tali eccezioni.
Eppure, troppo spesso la nostra
visione di questo grande popolo, il primo che dopo la caduta
imperiale tentò di ridare ordine ed istituzioni civili a quella
grande terra di conquista che era l'Italia, si basa unicamente
su ricordi letterari senza nessun fondamento storico, dal "Bevi
Rosmunda nel cranio di tuo padre" di alfieriana memoria
al "Sparsa le trecce
morbide..." manzoniano [2].
Ma chi erano il realtà i
Longobardi, da dove venivano, quali furono le loro vicende in
Italia e quali retaggi storici, culturali e artistici ci hanno
lasciato?
Rispetto a molti altri popoli germanici, sulle origini storiche e
mitologiche dei Longobardi sappiamo molto di più grazie al testo di
uno strano monaco romano, Paolo Diacono, che nell'VIII secolo scrive
una Historia Gentis Langobardorum,
basandosi su testi precedenti (in particolare una
Origo Gentis Langobardorum
del secolo precedente) e su racconti orali appresi dal popolo che,
in quel momento, dominava la sua terra.
Paolo Diacono ci narra di una piccola tribù della Scandinavia
meridionale, i Winnili (dall'antico germanico "winnan", "i
vincitori"), divisi in tre nuclei principali. Il territorio dava
pochi frutti e uno dei tre nuclei, che stava diventando sempre più
numeroso [3], partì alla
ricerca di terre migliori sotto la guida dei due fratelli Ybor e Aio
e di loro nonna, per approdare in un'area detta "Scoringa"
(probabilmente tra Mar Baltico e fiume Elba), governata dai Vandali.
Quando i Vandali tentarono di chiedere tributi ai nuovi venuti,
scoppiò una guerra e la leggenda vuole che la dea Frea consigliasse
alle donne dei Winnili di mettersi i capelli attorno alla faccia per
sembrare uomini e far apparire il numero dei guerrieri molto
maggiore di quanto non fosse realmente e che il dio supremo Godan
(Odino), vedendo le
schiere
di questi "guerrieri" chiedesse: "Chi sono questo uomini con le
barbe lunghe?", dando così il nome di "Longo-Bardi" al popolo che
risultò poi vincente [4].
Paolo, da monaco cattolico, ride di tali "superstizioni" e ritiene
che, semplicemente, il nome derivasse dall'usanza di portare le
barbe molto lunghe, mentre altre moderne teorie fanno derivare
l'appellativo da "Langbarðr", uno degli appellativi di Odino [5],
ma è probabile che, per certi versi, entrambe le teorie siano vere:
come rilevato già da Wilhelm Bruckner, è molto probabile che
l'usanza di farsi crescere lunghe barbe sia nata tra i Longobadi nel
momento in cui essi si sono votati al culto odinico, abbandonando
la loro religiosità naturale, e che il suo significato sia proprio
quello di onorare il dio il cui appellativo era "lungobarbuto".
Qualunque fossero le ragione del loro nome, comunque, le
testimonianze sia di Strabone che di Tacito ci consentono di
affermare che all'inizio dell'era cristiana i Longobardi certamente
risiedevano lungo le foci dell'Elba, dove, tra l'altro, l'archeologo
Willi Wegewitz ha trovato numerosi insediamenti dell'età del ferro
che potrebbero ben corrispondere agli stanziamenti di questo popolo
[6], posizionato, tra il VI
secolo a.C. e il III secolo d.C., al confine del territorio dei
Cauci.
La
prima menzione a loro riguardo all'interno della storiografia romana
la dobbiamo, però, a Velleio Patercolo che, dopo aver accompagnato
nelle loro zone una spedizione romana tra il 9 d.C. e il 16 d.C.
come prefetto di cavalleria, nel suo
Historia Romana [7]
li descrive come "più fieri
rispetto ai normali selvaggi germanici". Poco più di un
secolo più tardi, Tacito, nella
Germania [8] li
considera parte degli Suebi e sottomessi al re dei Marcomanni
Marobod (ed essendo questi alleato dell'Impero, possiamo
comprendere la ragione per cui i Longobardi non parteciparono alla
grande battaglia di Teutoburgo nel 9 d.C.)., a cui rimasero fedeli
nella successiva guerra tra questi e Arminio. I Longobardi appaiono,
dalle cronache, essere una popolazione di un certo peso, ma ne
perdiamo poi le tracce fino al II secolo, durante il quale gli Suebi
Longobardi appaiono improvvisamente nella zona renana, dove, secondo
il geografo Claudio Tolomeo [9],
si stanziano a sud dei Sugambri, pur rimanendo anche nella zona
dell'Elba, la qual cosa ci dice di una impressionante e assai rapida
espansione territoriale.
Da
Cassio Dione [10] veniamo
poi a sapere che, poco prima delle Guerre Marcomanniche, circa 6.000
Longobardi attraversarono il Danubio ed invasero la Pannonia : la
tribù venne sconfitta e desistette da ulteriori tentativi di
penetrazione e, tramite la mediazione del re marcomanno Ballomar,
strise una pace duratora con l'Impero e ritornò verso l'Elba.
è i n
questo periodo che, nella Germania,
Tacito li descrive come una popolazione che deve il suo potere non
al numero, ma all'audacia in battaglia, che li protegge dalle molte
tribù che li circondano.
A partire dal II secolo, molte tribù germaniche cominciano ad unirsi
in grandi confederazioni (Franchi, Alamanni, Bavari, Sassoni) e i
Longobardi scompaiono dalla storia romana per circa 300 anni, vuoi
che si fossero stanziati nell'interno della Germania o vuoi che
fossero stati sottomessi da una delle coalizioni, probabilmente i
Sassoni, a cui il Codex Gothanus
li dice soggetti intorno al 300 d.C.. Sempre dal
Codex, però, veniamo a
sapere che, sotto un tale re Agelmundo (poi considerato il primo
vero sovrano longobardo nel computo ufficiale), essi insorsero
contro i dominatori e, a metà del IV secolo, forse a seguito di una
carestia, iniziarono una grande migrazione verso il "Rugiland" [11],
a est dell'Elba, in cui, dopo alcune lotte con gli Usipeti, si
stanziarono nel 489, precisamente in una zona definita dalla loro
successiva storiografia nazionale "Mauringa". Da qui, si mossero più
ad est, nell'area definita "Golanda", che dovrebbe corrispondere
all'Oder settentrionale, dove vennero però sconfitti dagli Unni,
diventandone tributari [12].
Successivamente pare che riuscissero a liberarsi dal giogo del
popolo della steppa dopo una grande battaglia che diede loro grande
coraggio e fiducia nei loro mezzi [13]
e che, subito dopo, il loro re Audonio li conducesse di nuovo al di
là del Danubio, verso le fertili pianure della Pannonia, dove, con
il beneplacito dell'imperatore Giustiniano (e suoi cospicui aiuti in
termini di vettovagliamenti), mossero guerra ai Gepidi ivi
stanziati.
 Verso
il 560, l'ascesa di un nuovo re, Alboino, diede
una svolta fondamentale alla storia longobarda.
Dopo aver sconfitto i Gepidi e averli
sottomessi, il re, nel 566, sposò Rosamunda, la
figlia del loro re Cunimundo, dando vita alla
prima grande alleanza dei Longobardi. Fu
l'inizio di una serie di trattative e patti che,
nel 568, portò Alboino a capeggiare una grande
coalizione di Bavari, Sassoni, Bulgari e Gepidi,
in grado di varcare le Alpi con la forza di
400.000 - 500.000 uomini e di invadere l'Italia
settentrionale, praticamente senza difese [ 14].
Conquistato Forum Iulii (Cividale) nel
 569,
Alboino creò il primo ducato longobardo, che
affidò al nipote Gisulfo. Presto Anche Vicenza,
Verona e Brescia passarono sotto il suo
controllo e, nell'estate dello stesso anno, il
piccolo contingente bizantino lasciato da difesa
di Milano dovette cedere la città alle truppe
germaniche.
In realtà, l'esercito dell'esarca Longino,
incaricato da Giustiniano II di reggere
l'Italia, poteva al massimo difendere le città
costiere, grazie all'aiuto della potente flotta
imperiale. Così, dopo un assedio di tre anni,
nel 572 anche Pavia cadde, divenendo la capitale
del nuovo Regno Longobardo.
Negli anni successivi, i Longobardi si spinsero
sempre più a sud, conquistando prima la Toscana,
poi l'area tra Spoleto e Benevento, che
divennero due ducati semi-indipendenti.
All'inizio del VII secolo, il dominio bizantino
era limitato unicamente alle aree di Ravenna e
Roma, collegate da uno stretto corridoio che
passava per Perugia [ 15].
La grande capacità dei Longobardi, in questa
prima fase, fu quella di sapersi gradualmente
adattare alla cultura pre-esistente. Un esempio
è quello dei rapporti con la cattolicissima
popolazione italica: al momento della
penetrazione in Italia, gran parte degli
invasori erano pagani o, al massimo, ariani, il
che portò a pessime relazioni con la Chiesa e i
locali, ma, pur con le normali tensioni etniche
e religiose, i Longobardi furono molto abili ad
adottare titoli, nomi e tradizioni romani e, già
dall'inizio del VII secolo, si procedette ad una
graduale conversione all'ortodossia delle
popolazioni germaniche, lasciando totale libertà
di culto ai Latini [ 16].
Dal punto di vista amministrativo, l'intero
territorio occupato venne diviso in 36 ducati, i
cui amministratori risiedevano nelle maggiori
città, tenuti sotto controllo dal re attraverso
emissari detti "gastaldi". Inizialmente il
sistema sembrò funzionare, ma, alla lunga,
questa suddivisione, con l'indocilità dei duchi,
tolse unità al regno, indebolendolo nei
confronti dei Bizantini e, soprattutto, quando
si profilarono i pericoli legati al crescente
potere dei Franchi: quando i re cercarono di
porre rimedio al problema, centralizzando sempre
più il potere, era troppo tardi e l'unico
effetto che ottennero fu quello di perdere
Spoleto e Benevento, che si resero di fatto
indipendenti [ 17].
Per molti versi, fu l'anarchia interna la
peggiore nemica del Regno. Alboino venne ucciso
nel 572 a Verona da un complotto ordito da sua
moglie (che si rifugiò a Ravenna), il suo
successore Clefi fu assassinato dopo soli 18
mesi di regno e per dieci anni nessun
successore venne designato, in un periodo di
totale anarchia chiamato "dominio dei Duchi".
Solo il pericolo di una invasione dei Franchi
indusse, nel 584, i notabili locali ad eleggere
re il figlio di Clefi, Autari. Questi, nel 589,
sposò Teodolinda, cattolicissima figlia di re
Geribaldo I di Baviera e amica di papa Gregorio
I e, anche grazie a lei, portò a termine una pur
parziale conversione dei Longobardi al
cristianesimo. Da subito, inoltre, il re diede
l'avvio ad una riorganizzazione del regno,
 che
bloccò le tendenze centrifughe ducali e lo portò
al controllo indiretto dei proventi di metà di
ogni ducato. In
 politica
estera, inoltre, questo accortissimo principe
riuscì a spezzare il legame tra Bizantini e
Franchi, ottenendo respiro per la crescita del
proprio potere. Purtroppo, però, Autari morì
molto giovane l'anno seguente, lasciando il
trono (e la moglie) al duca di Torino Agilulfo
che si dovette impegnare in lunghe guerre contro
i duchi del nord Italia, riuscendo comunque a
conquistare Padova, Cremona e Mantova e,
addirittura, a rendere l'esarca di Ravenna suo
tributario. Alla sua morte, Teodolinda governò
per qualche tempo da sola, fino a che, nel 628,
le successe
 Adaloaldo,
presto deposto dal genero di Teodolinda,
Arioaldo, capo della minoritaria corrente
ariana, il cui breve regno fu caratterizzato da
una nuova ondata di lotte religiose e dalla
forzata adozione dell'Arianesimo come religione
di stato .
Il suo successore, Rotari, è da molti
considerato il più importante re longobardo
d'Italia. Non solo egli riusciì ad estendere i
propri territori conquistando la Liguria (643) e
quello che rimaneva del Veneto bizantino, ma
soprattutto diede una legge stabile al suo
popolo con il famoso
Edictum
Rothari, che metteva per iscritto in
latino le consuetudini giuridiche longobarde, ma
con l'accortezza di non estendere tali
consuetudini ai Latini, per i quali rimaneva in
vigore il diritto romano [ 18].
Nessuno dei suoi successori fu, comunque, alla
sua altezza, né il figlio Rodoaldo, ucciso molto
giovane dal membri del partito cattolico, né il
re successivo, Ariperto I, il cui regno continuò
ad essere devastato dalle lotte tra Cattolici e
Ariani.
Alla morte di Ariperto, nel 661, il regno venne
diviso (ovviamente indebolendolo) tra i suoi
figli Perticario, che governava da Milano e
Godeperto, che regnava da Pavia. Perticario
venne presto rovesciato da Grimoaldo, figlio del
duca del Friuli e di Benevento e fu costretto a
rifugiarsi prima presso gli Avari e poi dai
Franchi. Grimoaldo riuscì ad avere un buon
controllo sui ducati riottosi, a bloccare il
tentativo dell'imperatore Costante II di
conquistare il sud e a sconfiggere i Franchi,
ma, alla sua morte, nel 671, Perticario ritornò
al potere e, nonostante tentasse di attuare una
politica di pacificazione tra Cattolici e
Ariani, non riuscì a sconfiggere il partito
ariano guidato da Arachi, duca di Trento.
L'impresa riuscì a suo figlio Cuniperto, ma le
dispute religiose continuarono a distruggere
l'unità del regno, che, dopo la breve e
violentissima parentesi del dominio di Ariperto
II, riuscì ad uscire da una fase di
 lotte
intestine e di anarchia diffusa solo con
l'ascesa al trono, nel 712, di re Liutprando.
Questi, traendo vantaggio dalla disputa
iconoclasta che divideva il Papato e Bisanzio,
non solo riuscì a riottenere un certo controllo
sui ducati di Spoleto e Benevento, ma anche ad
annettersi l'esarcato di Ravenna e il ducato di
Roma e ad essere molto attivo nell'aiuto fornito
al maresciallo franco Carlo Martello per
sconfiggere gli Arabi [ 19].
Le alleanze, però cambiarono rapidamente alla
sua morte e suo figlio Astolfo venne sconfitto
dal re dei Franchi Pipino il Breve, chiamato dal
papa, e dovette cedere le conquiste del padre al
Regno Pontificio. Alla sua morte, il figlio
Rachtis governò per meno di un anno prima di
essere deposto e sostituito da re Desiderio,
duca di Toscana. Questi riconquistò Ravena
definitivamente, ma fu forzato dagli intrighi
papali e dei Franchi a riaprire la lotta con il
papa, che stava apertamente supportando la
ribellione dei duchi di Spoleto e Benevento
contro di lui.
Desiderio fu il primo re longobardo a entrare a
Roma come conquistatore, ma ciò gli valse la
decisione di papa Adriano I di chiamare il
potente re dei Franchi Carlomagno a "difesa
della cristianità". Dopo la rovinosa sconfitta
longobarda al passo di Susa, il futuro
imperatore del Sacro Romano Impero ebbe mano
libera nell'assediare Pavia e nello sbaragliare
le truppe dell'erede al trono Adelchi a Verona:
nel 774 Desiderio si arrese e Carlomagno prese
la inusitata decisione di dichiararsi "Re dei
Longobardi". Era la prima volta che un re
germanico si autonominava re di un altro popolo
conquistato, ma, con questo atto e con la
donazione di parte dell'Italia centrale al papa,
il Regno Longobardo d'Italia era storicamente
finito [ 20].
(1) C. Kingsley,
The Roman
and the Teuton, ReadHowYouWant
Edition, 2006, p. 58.
(2)
Rispettivamente da Rosmunda di
Vittorio Alfieri (1783) e da Adelchi
di Alessandro Manzoni (1822).
(3) Come conferrmato anche dai
ritrovamenti archeologici. Vd. N.Christie,
The Lombards: the Ancient Longobards,
Blackwell 1995, pp. 38-41.
(4) Paolo Diacono,
Historia
Gentis Langobardorum, VI.
(5) W. Pohl, P. Erhart,
Die
Langobarden - Herrschaft und Identität,
Verlag der Österreichischen Akademie
Wissenschaften 2005, p. 143 ss.
(6) W. Wegewitz,
Das
langobardische Brandgräberfeld von Putensen,
Kreis 1972, passim
(7)
Velleio
Patercolo,
Historia Romana, II-106.
(8) Tacito,
Germania,
II.
(9) Claudio Tolomeo,
Geographia,
III.
(10) Cassio Dione,
Historia
Romana, II.
(11) T. Hodgkin,
Italy and
Its Invaders, II, BookSurge
Publishing 2001, pp. 237 ss.
(12) Ivi,
p. 248 ss.
(13)
Paolo Diacono,
Citato,
XVII.
(14) N. Christie,
Citato,
pp. 189-195.
(15)
C. Wickham,
Early
Mediaeval Italy, Palgrave Macmillan
1981, pp. 98-137.
(16) J. Vidmar,
The
Catholic Church through the Ages: A History,
Paulist Press 2005, pp. 77-84.
(17) C. Wickham,
Citato,
pp. 161 ss.
(18) Ivi,
pp.187-230.
(19) D. Wilson,
Charlemagne, Doubleday 2007, pp.
107-110.
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