Sei in: Mondi medievali ® Castelli italiani ® Abruzzo ® Provincia di L'Aquila |
TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI L'Aquila
in sintesi, pagina 2
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
Fermando il puntatore del mouse sulla miniatura di ogni foto, si legge in bassa risoluzione (tooltip) il sito da cui la foto è tratta e, se noto, il nome del suo autore: a loro va riferito il copyright delle immagini. I testi tratti dal sito www.inabruzzo.it sono di Giovanni Lattanzi.
= click image to enlarge / clicca sull'immagine per ingrandirla.
= click also image to enter / puoi entrare nella pagina anche cliccando
sull'immagine.
= click image to castelliere.blogspot / clicca sull'immagine per
castelliere.blogspot.
= click image to wikipedia / clicca sull'immagine per wikipedia.
Pacentro (castello Cantelmo-Caldora)
redazionale
Paganica (borgo, palazzo Ducale dei Di Costanzo)
«Per chi arriva da L'Aquila ed è diretto ad Assergi, l'attraversamento del borgo di Paganica è d'obbligo. Paganica è sicuramente uno dei paesi più grandi del Comune di L'Aquila e con una lunga storia che inizia prima dell'arrivo dei Romani. La parte più antica del borgo, come molti paesi d'Abruzzo, è arroccata su una collina che domina una grande pianura, sulla quale sorgono, non lontano, i paesi di Bazzano, Onna, Barisciano. Su questa piana, Paganica ha sviluppato la sua parte più recente, espandendosi notevolmente rispetto all'aggregato originario, posto in posizione sopraelevata. Ancora una volta, dunque, soltanto una camminata attraverso le strette strade del borgo, risalendo verso la sua parte più alta e più antica, può svelare gli innumerevoli tesori che Paganica custodisce segretamente. ... Proprio di fronte la Chiesa della Concezione, sorge il bellissimo Palazzo Ducale, eretto durante la seconda metà del XVIII secolo per volere del duca Ignazio Di Costanzo, che così intendeva celebrare l'acquisto del feudo di Paganica dalla duchessa Faustina Mattei Orsini, principessa Santacroce, nel 1753. L'opera, oggi conosciuta anche come "Palazzo delle suore", fu realizzata sul progetto dell'architetto Mattia Capponi e doveva completarsi con un giardino all'italiana, in cui si alternavano aiuole e gallerie di bosso, che purtroppo è andato distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Oggi, quel palazzo resta lì, silenzioso e coperto da qualche ramo di edera, quasi immerso in un ricordo lontano, nel sogno di abiti dorati e del suono tintinnante di clavicembali ormai perduti, sonnecchiante in una nobiltà decaduta che non tornerà...
Uno dei lati del Palazzo Ducale si affaccia su una delle piazze più importanti di Paganica, che da sempre, prima del terremoto del 2009, rappresentava uno dei maggiori luoghi di aggregazione del paese. Si tratta di Piazza Umberto I, dominata dalla facciata della chiesa più antica di Paganica, la Chiesa di Santa Maria Assunta. ... Non lontano dalla Fontana di Sant'Antonio, in Largo Garibaldi n. 6, si trova il Palazzo Nannicelli, l'abitazione appartenuta ad una delle famiglie più potenti del paese. L'edificio fu costruito nel XVI secolo, sotto Aloisio e Luigi Nannicelli, in muratura continua, con volte a padiglione. L'esterno conserva il portale principale con stipiti e archivolto a specchi e listelli. Sull'arco si conserva lo stemma della casata dei Nannicelli. Percorrendo Via degli Angeli, verso l'antico centro di Paganica, ci si inoltra nella parte del borgo in cui il Medioevo ha lasciato una delle sue testimonianze più belle e rare. Si tratta della trecentesca Casa Gotica, in Via degli Angeli n.87, con la sua bellissima porta ogivale sormontata da un cordolo lapideo, che sembra riportare indietro ad un passato lontano. Oggi, l'edificio, costruito con mattoni di pietra, è abbandonato a se stesso, ferito dal terremoto del 2009, che ha lasciato integra solo la facciata e ha causato il crollo del tetto.
Salendo verso la parte più alta del borgo, verso quella specie di acropoli che domina il paese, percorrendo l'acciottolata Via Monsignor Giuseppe De Rubeis, si arriva nel cuore della zona più antica di Paganica. Lì, un tempo, esisteva un antico Castello, che fu edificato nel XIV secolo, insieme alle mura, ma fu ben presto distrutto. Nel 1423, infatti, dopo la sconfitta di Paganica contro Braccio da Montone, quest'ultimo pose il suo quartier generale, con i Capitani di Ventura, proprio qui, nel Castello paganichese. Non molto tempo dopo, Braccio da Montone fu sconfitto nella battaglia di Bazzano da Lalle Camponeschi, che occupò il Castello e nel Giugno del 1424 lo distrusse. Sulle macerie di quella fortezza, due secoli dopo, sorse la bellissima Chiesa di Santa Maria del Presepe, chiamata anche Chiesa del Castello. La costruzione della chiesa, iniziata due anni prima, si concluse il 4 Luglio 1605 per volere del Vescovo Giuseppe De Rubeis ed i lavori furono affidati al capomastro Innocenzo Rotellini di Paganica, che riutilizzò le pietre dell'antica fortezza trecentesca. ... Proprio di fronte la Chiesa di Santa Maria del Presepe, si erge il Palazzo De Rubeis, costruito anch'esso con le pietre dell'antico Castello. L'edificio, innalzato da maestranze locali nel XVI secolo, ha una pianta a L con cortile e conserva coperture a volte a padiglioni. Sulla facciata, ancora è visibile lo stemma della casata dei De Rubeis, posto sul portale durazzesco del '500. Successivamente, il palazzo fu acquistato da un'altra famiglia, i De Paulis, e per questo motivo è conosciuto anche come Casa De Paulis. Riscendendo dalla sommità del paese attraverso Via Giovanni De Paulis, ci si inoltra in un nuovo groviglio di vicoli e viuzze, tra i quali si respira un passato medievale, nell'antico rione della Fontevecchia. ...».
http://blog.abruzzoupndown.com/2012/04/paganica-laquila-il-borgo-e-cosa.html
Pagliara (ruderi del castello di Girifalco)
«Le prime notizie sul castellum di Girofalcum sono presenti nel Catalogus Baronum normanno del 1150-1168 come possesso di Roberto di Corcumello. Successivamente, col nome di Castrum Palearie, è citato: in un documento di Federico Il del 123 1, fra le fortezze da riparare del Regno di Sicilia, poste sui confini settentrionali; nel 1271 in un documento di Carlo 1 d'Angiò in cui si evidenzia l'esistenza di una guarnigione stabile composta di trenta militi francesi. Nel '400 la fortezza, col nome di Castellum Palearie, passa fra i possessi degli Orsini e poi dei Colonna: nel 1445 la vediamo fra i possessi di Giovanni Antonio Orsini, mentre nel 1497 è nelle mani di Fabrizio Colonna. L'ultima notizia, come possesso dei Colonna ed inserita nel Ducato di Taglíacozzo, è del 1516; poi se ne perdono le tracce. Le rovine di Girofalcum sono presenti sulla sommità del Monte (quota 1268) che sovrasta Corcumello e Pagliara con uno sviluppo longitudinale di metri 112, lungo il costone roccioso apicale; le murature sono in opera incerta medioevale di spessore variabile dai 0,70 ai 1,50 metri. Sulla quota più alta è situata la torre principale o mastio a pianta inferiore quadrata a scarpa e superiormente a forma circolare. La base a pianta quadrata, di metri 4,70 x 4,70 (alla base della scarpa m. 6 x 6), sembrerebbe anomala per una torre rotonda, ma tutto ciò è spiegabile se visto in una successione cronologica degli interventi di miglioramento delle strutture difensive della fortezza già descritte in precedenza. Nel XII secolo, infatti, la struttura difensiva era costituita dalla torre quadrata senza scarpa e da un piccolo recinto a pianta rettangolare di metri 21 x 14 con cisterna interna ed ingresso localizzabile sul lato sud-ovest della torre principale, mastio. ...».
http://www.castellafiume.terremarsicane.it/index... (dal vol. Pagliara dei Marsi dalle origini ai tempi moderni)
redazionale
redazionale
redazionale
Pescasseroli (resti di Castel Mancino)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Castel Mancino si trova sul rilievo che domina la conca di Pescasseroli, tra i 1275 e 1332 m sul livello del mare. Vi si accede dopo 20-30 minuti di cammino, attraverso boschi di pino nero, seguendo il sentiero B3 del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Si tratta di un castello-recinto, con mura perimentrali, una torre più grande, detta mastio, e tre torri minori. La sua prima costruzione risale al IX-X secolo per difendere la popolazione dalle incursioni di Saraceni e Ungari. Battaglie e terremoti hanno portato a successive ristrutturazioni fino al definitivo abbandono. Oggi del castello restano solo dei ruderi» - «...La terra di Pescasseroli nei secoli "bui" appartenne ai conti di Celano, poi ai di Sangro e ai d'Aquino e, quindi, ai marchesi del Vasto. è stata anche feudo di Vittoria Colonna e Maria d'Aragona. Fin dal 1283 (anno in cui Cristofoto d'Aquino ne ottenne la istituzione daI re Carlo d'Angiò) si teneva nella piazza del paese, il giorno dell'otto di settembre, la fiera, ancora oggi iscritta nell'albo fieristico italiano. è l'epoca della rinascita agricola e della fondazione dell'antichissima arte tessile che troverà in Castel di Sangro un'industria fiorente ed affermata su basi solide che dureranno due secoli. ll "Castello Mancino' di Pescasseroli può essere inserito in quella categoria di monumenti poco noti comunemente chiamati "Centri fortificati", di epoca preromana. Tra le rocce, coperte da fitta vegetazione di pini, affiorano solo costruzioni diroccate a ricordo di dominazioni feudali. Nessuna traccia però, almeno in superficie, di richiami piu remoti di strutture pelasgiche tipiche delle "Castella", comunemente dette "Poligonali", che non mancano invece in località "Campo Mizzo" ove il Balzano credette di individuare un "Pagus". Comunque sul "Castello Mancino" di Pescasseroli, per la particolare posizione strategica, e ipotizzabile un "Presidium" a controllo della alta valle del Sangro. Esso disegna sulla roccia del colle, sul quale sorge, un insediamento stabile, difeso naturalmente in maniera formidabile. Generalmente questi luoghi sono indicati col termine "Castella", da cui la titolazione da sempre della stesso colle il "Castello". La specificazione "Mancino" può essere giustificata dal racconto di Silio Italico (De Bello Punico IX) sui gemelli Solimo e Mancino. Ai tempi dei Borrello, nell'anno 1141, fu distrutto una prima volta, col fuoco, da Riccardo conte di Capua su ordine di Ruggero il Normanno. Nella geografia dell'Edrisi (Il libro di Re Ruggero) è descritto come "Villaggio somigliante a città". Cesare Emanuele Bravetta in La favorita senza macchia (Sanzogno 1966, pp. 12/126) pone il "Mancino" a sfondo della vicenda di Covella (Jacovella di Celano), fornendo una buona descrizione della fortezza: "...il Castello dei d'Aquino col suo mastio rettangolare cinto da cinque torri: vero fortilizio quasi inespugnabile che sapeva delle lotte dei Sangria, dei d'Aquino, dei Caldora..."».
http://visitabruzzo.altervista.org/it/2013/04/castel-mancino-pescasseroli - http://web.tiscali.it/avezzanoedintorni/pescasseroli.htm
Pescina (ruderi del castello di Rocca Vecchia)
«Nel 1185 il conte di Celano era il feudatario di Pescina. Con tutta probabilità la prima torre in muratura risale all’epoca della dominazione Normanna. Durante gli anni della lotta per le investiture, tra il Papa e l'Imperatore, i Marsi appoggiarono il Papa e cosi subirono la vendetta dell'Imperatore che distrusse e incendiò quasi tutti i castelli della zona, compresa Rocca Vecchia (Pescina). Successivamente, nell'anno 1232, Federico II emanò un decreto imperiale che invitava i pescinesi a riattare ed ampliare il proprio castello. Con l’avvento degli Angioini Pescina divenne proprietà, intorno al 1315, del francese Ugone del Balzo (de Beaux di Provenza). A questo successero nuovamente, dopo vari stravolgimenti, i conti di Celano. Agli Acclozamora seguirono i Piccolomini, i Peretti, i Savelli e gli Sforza-Cesarini che tennero Pescina fino all’abolizione della feudalità. Il disastroso terremoto del 1915 distrusse quello che restava del castello e dell’antico abitato sul colle. Oggi dell’antica fortificazione restano due torri affiancate, una cimata e l’altra diroccata. La torre superiore ha forma pentagonale. La torre inferiore, posta probabilmente a difesa dell’abitato sottostante, ha invece forma rettangolare ed è visibilmente meno alta ma più tozza. Tipologicamente possiamo parlare di un castello recinto, uno dei molti presenti in una regione montuosa quale è l’Abruzzo».
http://castelliere.blogspot.it/2010/12/il-castello-di-martedi-6-dicembre.html
Pescocostanzo (borgo, castello)
«Nel cuore del territorio carsico denominato degli Altipiani Maggiori d'Abruzzo, oggi compreso nel più vasto Parco Nazionale della Maiella, è situata Pescocostanzo (1395m slm). Una incomparabile cornice di monti e prati con la ricchezza fioro-boschiva e faunistica dell’ambiente, la coincidenza di un patrimonio artistico e culturale di notevole valore rendono a quet’area un carattere di eccezionalità e propongono al turista i motivi di una visita ricca d’interesse. Le origini dell'antico nucleoabitativo (il Pesco o Peschio) si fanno risalire almeno al X secolo. Il primitivo " Castello" è già citato in documenti storici del 1108 e nelle iscrizioni delle porte bronzee della Basilica di Montecassino del 1123-26. Tra i primi signori del borgo si ricordano tale Oddone dei Conti di Pettorano e i suoi discendenti (fino a metà dei ‘200), alcuni feudatari seguaci dei sovrani angioini (dal 1269) e da ultimo i signori Cantelmo (dal 1325 al 1464). Nel 1456 un violento sisma devastava l'Abruzzo e tutta l'Italia meridionale; la stessa Pescocostanzo ne subiva danni. La ricostruzione del paese avveniva nel piano sottostante la rocca con un preciso impianto urbanistico (che si conserva tuttora). Fu in quegli anni che vi affluirono numerosi ed abili "Mastri" artigiani di provenienza lombarda i quali improntarono fortemente le attitudini di vita delle locali popolazioni. Successivamente Pescocostanzo fu in possesso feudatario dei Signori Colonna; questi peraltro ben si distinsero per il progresso sociale del paese e il notevole impulso dato alla cultura e alle arti. Ad un evidente benessere economico (sostenuto in gran parte dalla fiorente industria armentizia) corrispondeva in pari grado una sapiente intrapresa amministrativa e l'investimento sociale in beni di arte e di cultura. I secoli XVII e XVIII corrispondono di fatto al periodo di maggiore sviluppo civico, o meglio di vero "splendore" della comunità pescolana. Nel 1774 il paese si riscattava economicamente dal dominio feudale (rappresentato allora dai signori Testa-Piccolomini) assumendo di fatto il motto "Sui domina" di cui aveva a fregiarsi poi nello stemma. Oggi Pescocostanzo può offrirsi al visitatore con tutto il suo patrimonio di bellezze culturali e ambientali. L’assetto urbanistico è frutto di una programmazione rigorosa e illuminata (fin dal XVI secolo era attiva una vera "Commissione edilizia") e si è conservato mirabilmente intatto attraverso i secoli, resistendo a guerre e sismi, testimone stesso nel tempo dell'impegno statutario di salvaguardia da parte delle civiche amministrazioni».
http://www.concapeligna.it/Comuni/pescocostanzo/home/pescocostanzo_home.htm
Pescocostanzo (palazzi storici)
«Tra i palazzi degni di nota, si incontrano Casa D’Amata (sec. XVI) con il caratteristico “vignale” (il pianerottolo su scala esterna), porte abbinate e finestre riquadrate, il Palazzo Grilli (sec. XVI) con quattro torrette angolari e due portali in pietra lavorata, e il Macello cinquecentesco. Tornati sul Corso, si vede la severa architettura di Palazzo Mansi (sec. XVI) con il suo splendido portale e, sulla destra, una fila di abitazioni dei secoli XVI e XVII, con le tipiche logge e scale esterne. Svoltando a sinistra per via S. Francesco, dopo Palazzo Grillo si incontra Palazzo De Capite con belle opere in pietra datate 1850, e la chiesetta di S. Giovanni con portale e rosone di metà Cinquecento. Nello slargo successivo ci accoglie la cinquecentesca Fontana maggiore, cui sta di fronte, su una breve salita, Palazzo Colecchi (1771) dalle linee armoniose e leggiadre. Superato l’angolo, a destra si osserva Palazzo Cocco, pure barocco, e sulla sinistra, in un vicolo, Palazzo Ricciardelli (sec. XVI) con un bel portale e i balconi a pancia in ferro battuto. ... Proseguendo sulla via Colecchi, si notano il fronte principale di Palazzo Sabatini ricco di decori in pietra, portali, balconcini e la casa natale di Ottavio Colecchi. Con un breve cammino si giunge slargo su cui si affaccia la Collegiata di Santa Maria del Colle (XIV-XV sec.): al suo interno magnifiche opere d’arte ... Lì vicino c'è Palazzo Coccopalmeri (sec. XVII) con bel portale, balconi e finestre lavorate in pietra. Andando avanti sulla sinistra si giunge a Palazzo Colecchi con una severa architettura cinquecentesca. Si risale poi in Piazza Municipio, una piazza che sorprende per il meraviglioso effetto d’insieme. Da un lato sulla piazza si affaccia una facciata movimentata da sei nicchie cieche in pietra (al posto delle finestre, e da una grande gronda sorretta da mensole a forma di drago, è l’ex Monastero di clausura di Santa Scolastica, costruito nel 1624 su disegno di Cosimo Fanzago. Qui, nel luogo del castello e della chiesa di Sant’Antonio, si è sviluppato il nucleo più antico del borgo, il “Peschio”. E da questa roccia, lo sguardo si apre agli altopiani, ai boschi e ai monti circostanti. Nel cammino si incontrano il Palazzo del Governatore, recentemente restaurato, e il cinquecentesco Palazzo Comunale con la torre dell’orologio. A chiudere la visita del borgo si può ammirare la Casa Rainaldi, ennesimo trionfo del barocco (portale, balconi e finestre)».
Pescomaggiore (resti del castello)
Struttura danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009
«Il borgo di Pescomaggiore conserva i resti del castello-recinto edificato a partire dal XIII secolo e oggetto di interventi e completamenti fino al XVI secolo. Il perimetro triangolare del castello recinto era puntellato da più torri che sono oggi riconoscibili solo per alcuni tratti. Il sisma del 1915 ha distrutto l’ultima torre ancora chiaramente visibile. All’interno del recinto si conserva l’antica chiesetta di S. Maria Assunta, probabilmente edificata sui resti basamentali di quello che dovette essere l'originario dongione».
Pettorano sul Gizio (Castaldina)
«L'edificio era in origine la residenza dei Castaldo, amministratori della famiglia Cantelmo. Nel 1770 venne integralmente ristrutturato dal nuovo proprietario, Filippo De Stephanis, come testimonia l'iscrizione posta sulla finestra centrale. Proprio a questo intervento settecentesco si deve il caratteristico aspetto tardo-barocco dell'edificio, con le due colonne del portale centrale che sembrano sorreggere il balcone soprastante. La facciata si presenta tripartita ed è arricchita dai particolari architettonici: i portali e le finestre sono tutti lavorati ed impreziositi da piccole finestrelle ogivali; tra le finestre del piano rialzato due nicchie abbellite da elementi vegetali dovevano originariamente contenere ulteriori elementi decorativi, purtroppo scomparsi; un grande stemma orna il portale della finestra centrale. Tra gli elementi più caratterizzanti la struttura e pienamente rispondenti al gusto dell'epoca sono i balconi fortemente sporgenti ed arrotondati, lavorati in ferro battuto ed ingentiliti da applicazioni floreali. Secondo una tradizione locale l'edificio sarebbe sorto sulle fondamenta di un'antica torre di difesa: la posizione, fortemente a strapiombo sulla valle del Gizio, potrebbe avvalorare tale ipotesi ma fino ad ora non ne sono state riscontrate prove certe».
http://www.riservagenzana.it/pettorano/centro_storico.html
Pettorano sul Gizio (castello Cantelmo)
redazionale
Pettorano sul Gizio (palazzo Ducale)
« Fu dimora principale della famiglia feudale che per secoli governò il paese, i Cantelmo. Il palazzo, che doveva essere tra i più monumentali e ricchi del paese, ha subito varie modifiche nel corso dei secoli, dovute soprattutto alle diverse funzioni (attualmente ospita il municipio) ma conserva ancora parte del suo fascino; è formato da tre corpi rettangolari uniti ad "U", con il lato aperto verso la vallata del Gizio. Nel cortile spicca una bella fontana in pietra, decorata con motivi vegetali, fatta costruire da Fabrizio II Cantelmo nella prima metà del XVII secolo, come si legge nell'iscrizione ancora ben visibile sulla base. La facciata principale è in parte coperta da una scalinata, alla base della quale è visibile uno stemma inciso nella pietra; sulla stessa parete è dipinta un'antica meridiana, arricchita da una cornice raffigurante i segni zodiacali ed altri elementi celesti.Il portale, ornato dallo stemma gentilizio, era originariamente sulla parete laterale e venne in seguito spostato nella collocazione attuale. Nei locali sottostanti la scalinata, ora occupati da un ristorante, si trovavano la scuderia e una cantina, della quale si conserva ancora un caratteristico torchio in legno».
http://www.riservagenzana.it/pettorano/centro_storico.html
«Porta San Nicola.
Conserva ancora sulla sinistra notevoli resti di un tipo di torretta di
difesa circolare che in origine doveva affiancare tutte le porte cittadine.
Di notevole interesse risulta l'affresco situato nella parte più alta
dell'arco: vi è raffigurata, tra due colonnine terminanti a fiaccola, Santa
Margherita che sorregge con la mano sinistra il paese e con la destra una
croce. La raffigurazione della struttura urbana, vista da SW, risulta
particolarmente realistica; infatti sul puntone pentagonale del Castello è
rappresentata una rigogliosa vegetazione, visibile fino ai recenti lavori di
restauro del fortilizio. L'opera potrebbe essere datata intorno al 1656,
come suggerisce una targa recentemente riportata alla luce da lavori di
restauro.
Porta del Mulino. è il
più modesto degli accessi al paese ma assai utile in passato. Come
suggerisce il nome, attraverso questo passaggio si accedeva ai mulini sul
fiume, fatti costruire dai Cantelmo. Attualmente la zona, assai suggestiva
dal punto di vista naturalistico, conserva ancora i resti di queste antiche
costruzioni (alcune risalenti al XVI secolo), e della ramiera ducale
officina per la lavorazione del metallo.
Porta Cencio detta anche Reale o delle Manare. Le diverse
denominazioni derivano da varie situazioni; il toponimo Cencia designava la
piazzola antistante a forma circolare, come una cintura (dal latino
cingula, cintura) realizzata su un dirupo. L'antica denominazione di
Porta delle Manere (o Manare) non ha spiegazioni sicure: secondo alcuni si
potrebbe collegare con la quasi omonima Porta Manaresca di Sulmona, termine
spiegabile con l'espressione latina "mane arescit" che indicherebbe
l'aridità del suolo per la lunga esposizione al sole (le porte sono esposte
entrambe ad oriente) oppure derivante dal nome Manerio, conte di Valva e
Signore di Pacentro. Solo dopo il 1832, quando il re Ferdinando II di
Borbone entrò nel paese attraverso questa porta, assunse il nome di Porta
Reale. Nei pressi di questa porta fino a qualche decennio fa erano ancora
visibili i resti di una torretta di difesa, simile a quella posta a lato di
Porta S. Nicola.
Porta San Marco o delle Macchie. Era ed è tuttora l'accesso più
vicino al castello. La statua che sovrasta l'arco rappresenta Sant'Antonio,
posto tra due pinnacoli. Nelle vicinanze doveva trovarsi una chiesa dedicata
a San Marco, ricordata in alcuni documenti, che dette il nome alla zona e
alla porta. La denominazione secondaria si deve invece al fatto che da
questa porta parte una strada, un tempo denominata via delle Macchie, che
conduce alla Chiesa di San Rocco.
Porta S. Margherita o delle Frascare.
è posta sul versante SW del
paese verso le sorgenti del fiume Gizio, dalla quale parte la strada esterna
per raggiungere le chiese rurali di S. Margherita e di San Sebastiano e San
Lorenzo. L'etimologia popolare riconduce il nome secondario della porta al
fatto che vi passassero i taglialegna per andare in montagna a fare le
frasche».
http://www.riservagenzana.it/pettorano/centro_storico.html
Pizzoli (castello Dragonetti De Torres)
«Il Comune di Pizzoli, è situato a Nord Ovest rispetto alla città dell'Aquila, all'inizio dell'Alta Valle dell'Aterno. Dista dal capoluogo di Regione circa 15 km, è situato a 740 m. s.l.m., fa parte della Comunità Montana Amiternina zona "A". La sua estensione territoriale è pari a 56,11 kmq, le strade urbane si estendono per 50 km, le strade extra urbane per 40 km e le strade vicinali per circa 60 km. E' uno dei comuni che continua ad avere un congruo sviluppo edilizio. Confina con i comuni di Barete, Montereale, Capitignano e L'Aquila. Fino agli anni trenta del secolo scorso nel suo territorio era compreso anche il paesino di San Vittorino col teatro. Alla data del 31 dicembre 2004 la sua popolazione era di 3.300 unità per cui risulta, ad oggi, il Comune più popolato del circondario; per circa il 50% del territorio ricade nel Parco Nazionale "Gran Sasso-Monti della Laga" di recente istituzione. Il paesaggio ha una conformazione prevalentemente montana con monti aspri per lo più composti da pareti calcare dove alla vegetazione originaria, fatta di querceti e faggeti, si è aggiunta negli anni '40 e '90 vasti rimboscamenti a pino nero. Lungo tutto il territorio vi sono molte zone panoramiche e di grande pregio paesaggistico. Poi il paesaggio degrada verso la pianura della conca aquilana (sud-est) e l'alveo del fiume Aterno che da Aringo va verso Popoli. Su questo si costruirono, in passato, alcuni mulini (tra cui quello ancora funzionante in prossimità di Santa Maria delle Fornaci). Tra le emergenze storico-artistiche si segnalano: Castello Dragonetti De Torres - Costruzione seicentesca a pianta quadrata e torrette angolari addossata ad una torre pentagonale del XII secolo. è stato progettato dall'architetto e scultore Pietro Larbitro. Per costruirlo i De Torres fecero demolire gran parte delle mura che circondavano la torre medioevale usato all'epoca come rimessa per il bestiame. Caratteristiche sono le sue torrette di avvistamento (o casematte di tiro rifatte nell'Ottocento) che hanno conferito al manufatto una certa severità e la denominazione di castello; l'altro elemento architettonico notevole è la scala di entrata col portale principale legato con elementi decorativi alla finestra balconata del piano nobile, elementi tipici delle ville cinquecentesche romane».
http://www.comune.pizzoli.aq.it/index.php?option=com_content&view=article&id=11&Itemid=115
Poggio Cinolfo (palazzo baronale Savelli)
«Costruito presumibilmente attorno all'anno Mille come baluardo di confine della Contea dei Marsi, passerà in seguito ai Mareri e nel 1297 agli Zambeccari, padroni di Collalto Sabino. Successivamente tra il 1500 e il 1600 sarà acquistato dai Conti Savelli proprietari anch'essi di diversi castelli nei dintorni. In seguito l'intero edificio con tutti i possedimenti verrà ceduto al dominio dei Marchesi Marcellini Marciani. Verso la fine della prima meta del XVIII secolo, il castello è divenuto un grande palazzo ormai molto simile a come si presenta attualmente e verrà donato da Carlo VI imperatore, III come re d'Ungheria, VI di Napoli, al marchese Ottieri, Patrizio romano. Gli ultimi "Signori" di Poggio Cinolfo saranno i baroni Coletti. Oggi la grossa costruzione si presenta più come piacevole residenza che come baluardo di difesa. Ha un aspetto armonioso e possente. La parte frontale e dominata dal grande portone contornato da grossi rilievi di pietra bugnata. Tutto l'edificio mostra la sua maestosità e la sua grandezza, imponendo in modo inequivocabile la sua vetusta e la sua potenza a garanzia e protezione di tutti gli abitanti di Poggio Cinolfo i quali spesso lo hanno considerato il simbolo del loro paese. Fino a non molti anni orsono vi si accedeva su due lati: quello di sinistra riservato alle carrozze e quello di destra adibito a passaggio pedonale. All'interno, un piccolo cortile quadrato e ingentilito su due lati da alcuni pilastri in pietra che gli conferiscono un'aria riservata e vagamente magica. Il cortile è sorto verso il XVII secolo, allorché il Palazzo fu ampliato in modo definitivo. Inizialmente sorgeva un maniero non grande che occupava la parte che oggi guarda la piazza principale di Poggio. Sotto il cortile vi sono degli ambienti una volta utilizzati per la raccolta di acqua e per il mantenimento di derrate alimentari. Sono ancora visibili delle feritoie e delle strutture murarie appartenenti alla primitiva costruzione. Il piano terra, rialzato notevolmente dal piano campagna, era adibito alle cucine e ai servizi. Il piano intermedio era invece il cosiddetto piano nobile. Degne di nota sono alcune parti del soffitto della sala di rappresentanza e di altre stanze, purtroppo in condizioni notevolmente deteriorate. L'ultimo piano veniva utilizzato parte dalla servitù, parte come soffitta ed oggi e rimasto povero e scialbo come forse e sempre stato».
http://www.carsoli.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=61
Poggio Picenze (casa medievale)
Gravi danni dal sisma del 6 aprile 2009
«Costruita nel XIII sec. nella parte nord del paese, [la casa medievale] è un raro esempio abruzzese di casa mercantile medievale. Il piano terra ha due ingressi, uno architravato e l'altro a sesto acuto. La facciata che suscita senz'altro un notevole interesse, presenta la cosiddetta porta del morto, murata, e due finestre al piano superiore: una monofora e l'altra bifora. Durante la fasi di analisi si è rintracciato l'uso di unità di misura romane come il piede ed il palmo, almeno per quanto riguarda il piano terra: il che fa supporre l'esistenza già in epoca romana almeno del piano terra. L'insolita presenza di un pozzo all'interno di un vano del piano terra, coperto con una volta a botte, fa ipotizzare che la costruzione doveva originariamente affacciarsi su un cortile. La porta del morto è chiusa con una muratura caotica simile a quella della "bandiera" che è aggiunta al portale a tutto sesto. A conclusione di quanto detto, di deduce che la costruzione di tale opera è avvenuta in tre fasi successive».
http://www.comunepoggiopicenze.it/monumenti/casa.htm
Crollo delle strutture per il sisma del 6 aprile 2009
«Poggio Picenze è un piccolo paese della provincia dell'Aquila che conta circa mille abitanti; situato sulla Strada Statale 17 dell'Appennino abruzzese a 14 km da L'Aquila, su un'altura di 760 metri dalla quale si può ammirare l'ampio panorama della conca aquilana. Il nome Poggio Picenze deriva dal fatto che l'antico castello fu costruito su un fianco del Monte Picenze, tale nome deriverebbe a sua volta dai Piceni, detti anche Picenti, che stabilirono diversi insediamenti nella zona, intorno al III secolo a.C. La data di edificazione del castello si fa risalire intorno all' anno mille, trovandosi citazioni di esso già in un documento del 1173 “Podio de Picentia” nel quale appariva come un castello con mura fortificate e “sei torri, di cui una alta al centro”. Resti del castello sono ancora visibili nella parte vecchia del paese. In epoca prefeudale, la posizione di valico del Poggio lo espose più volte alle scorrerie degli eserciti diretti alla volta dell'Aquila, infatti nel 1423 il castello resistette per due lunghi giorni all'assedio di Braccio da Montone dando tempo alle popolazioni oltre di esso di organizzarsi per la resistenza, ma alla fine capitolò dinanzi allo spietato conquistatore. Con il feudalesimo spagnolo, il Poggio venne assegnato a Giangiacomo dei Leognani-Castriota, valente condottiero, che nel 1566 vi si stabilì preferendolo a tutti i suoi molti possedimenti. Dopo i Leognani, il feudo comprendente il Poggio passò nel 1700 alla famiglia Sterlick di Chieti. Nel 1806 su chiudeva l'epoca del feudalesimo, di cui il castello restava antico e maestoso simbolo, il quale però nel 1832 fu parzialmente demolito poiché diventato pericolante a causa dei fortissimi terremoti di cui era stato testimone».
http://www.comunepoggiopicenze.it/storia.htm
«La distruzione della città romana di Peltuinum tra l'VIII e il IX secolo d.C., dà vita ai numerosi e piccoli centri della zona circostante: casali, vici, villae. I diretti discendenti di Peltuinum saranno i Castelli di Prata, San Nicandro e Tussio. Non sappiamo con precisione come venisse denominato questo insediamento all'origine: il Chronicon Vulturnense riporta un giudicato dell'anno 1021 tenuto a Campiliano (diocesi di Valva) il quale riconosce beni e possedimenti al Monastero di S. Vincenzo al Volturno tra cui quelli "de Peltino" ... "et de Villa S. Pauli". L'esistenza, sul pendio di questo colle, di un insediamento stabile, organizzato ed autonomo (infatti possiede una propia chiesa) risulta da una Bolla corografica del 1112 del Papa Pasquale II, il quale nomina: "Ecclesiam Sancte Marie in Ancedonia" (Celidonio). Nella bolla del 25 marzo 1138 al vescovo Dodone di Valva (attuale Corfinio), il ppa Innocenzo II elenca tra i possedimenti di quella Diocesi: "Eclesiam S. Marie et S. Pauli in Ansedonia". Nel 1360, ci informa l'Antinori, era considerata insieme con S. Nicandro, "ultima terra" della Diocesi di Valva. Mentre nel 1389, dice ancora l'Antinori, apparteneva alla Diocesi Aquilana, come risulta da un documento che menziona un certo Angelo Abate secolare di S.Paolo a Peltino della Diocesi Aquilana. Neanche la "taxatio" di Carlo I d'Angiò nel 1269 nomina Prata, ma genericamente la "terra Sinitiensis et Tussi" che pagava una tassa di trenta once d'oro. C. Franchi, però ci informa che "i casali della terra Siniziense comprendevano i casali di Sinizzo, Leporanica, Prata, S. Demetrio". Anche l'Antinori avanza l'ipotesi sulla denominazione: "Da contratto del 1301 si annunciano in Leporanica i beni di Pietro, di Paolo, della villa di S. Paolo (Villa S. Pauli), e pare così denominata Prata". La denominazione "Villa Prate" appare per la prima voltanella numerazione dei fuochi del 1508. Nel 1173 Prata, popolato da circa 48 famiglie, era feudo dei Domini Sinicienses insieme a Leporanica e San Demetrio. Dalla seconda metà del XIV sec. a quasi tutto il XV sec., Prata risulta possedimento degli Orsini, conti di Manoppello. Nel 1529 fu assegnata, dal principe Filiberto d'Orange, al capitano spagnolo Miguel de Betrian: dall'occupazione spagnola fino al XIX sec. è feudo dei Carosa, Del Pezzo, Quinzi, Nardis, Camponeschi. Dopo l'abolizione dei feudi baronali per decreto napoleonico (1805), Prata è costituita sede di Comune con le due frazioni di Tussio e San Nicandro fino ai giorni nostri».
http://www.comune.pratadansidonia.aq.it/la-citta/prata-dansidonia
Pratola Peligna (borgo antico, palazzo De Petris)
«La storia di Pratola, le cui origini risalgono alla fine del primo millennio, è strettamente collegata con quella dell'Ordine dei Celestini: nel 1294 Carlo II D'Angiò donò Pratola, con tutte le pertinenze e con tutte le chiese a Celestino V, appena eletto papa, e per lui al suo ordine .1 celestini esercitarono il loro potere, non solo religioso, ma anche temporale, in tutto il territorio fino al 13-2-1807, quando Napoleone I abolì il feudalesimo, sciolse l'ordine dei Celestini e la maggior parte degli altri ordini religiosi. Le cose notevoli di Pratola sono il Santuario della Madonna della Libera, il borgo di Dentro La Terra, il primitivo agglomerato urbano, con il Castello De Petris, che attualmente ospita le "Suore Pie della Presentazione di Maria SS. al Tempio» - «Palazzo De Petris. Ubicazione: all'interno del castello su Piazza S.Pietro Celestino. Descrizione: edificio a due piani con portale archivoltato a punta diamantato, su di esso figura la scritta: DIVINA OPE FUNDATUS / EREXIT PETRUS O PIETRO / MDLXXXIII, che attesta l'anno di costruzione (1584). Epoca: sec. XVI. Stato di conservazione: buono».
http://www.arc.it/comuni/pratola/storia.htm - http://www.concapeligna.it/Comuni/pratola/artcultu/palazzi/depetris/pratola_palazzo_depetris.htm
Pratola Peligna (ruderi del castello di Orsa)
«Per secoli ha alimentato antiche leggende tramandate dalle Popolazioni locali. I ruderi del castello di Orsa, in tenimento di Pratola, sino a qualche anno fa erano parte integrante della veduta del monte Orsa, 450 metri di quota, un rilievo minore del Morrone tra Roccacasale e l'Eremo di Sant'Onofrio. Attualmente sono nascosti alla vista dalla boscaglia di conifere inpiantate, oltre venti anni or sono, dal Corpo Forestale dello Stato. Probabilmente sorse nel XI secolo come castello appartenente a famiglia nobile. Fondato come residenza munita, solo in epoca successiva acquisì l'aspetto di Castello recinto, tuttavia non è stato mai condotto un rilievo a conferma di questa tesi. Le sue muraglie si intravedono lungo il pendio alla cui sommità sono i muri superstiti di una torre, ma nel 1426 sappiamo che ce ne erano due ancora in piedi. Al tempo di Guglielmo il Normanno, tra il 1150 e il 1168, fu feudo di Teodino, signore di Orsa e di Acciano, Nel 1170 fu conferito al vescovo di Valva, Oderisio, unitamente ai castelli di Pratola, Popoli, Roccacasale, Prezza e Raiano. Probabilmente è di questa epoca l'impianto del Castello recinto come sviluppo della primitiva torre, per analogia con gli altri fortilizi. Del 1306 è la testimonianza di Paolo, signore di Orsa, al processo di canonizzazione di Pietro da Morrone, il quale aveva visto il Santo Padre compiere alcuni miracoli in Orsa e nelle contrade vicine. Secondo lo storico Febonio, nel 1329 il Castello di Orsa, feudo dei nobili sulmonesi Quatrario, fu incendiato dai Merolino. Nel 1420 fu attribuito alla città di Sulmona dalla regina Giovanna. Certo è che nel XV secolo Orsa è disabitata: fu improvvisamente abbandonata per motivi non ancora conosciuti: dal 1499 troviamo infatti una serie di documenti provenienti da Santo Spirito dove è citata Orsa diruta oppure Orsa disabitata. Si raggiunge a piedi o con un fuoristrada dalla carrareccia che, dalla frazione di Bagnaturo San Pietro, sale al Colle delle Vacche».
Prezza (resti del castello, palazzo baronale, borgo)
«Il primo documento in cui compare il nome "Prezza", si riferisce all'anno 887 d.C. circa. Si tratta di un passo del celebre Chronicon Casauriense, la storia, redatta dai monaci dell'Abbazia benedettina di S. Clemente a Casauria, nei pressi di Tocco Casauria in Val Pescara. In un passo di tale documento si parla dell'atto di acquisto di "Villa Carrene", cioè del nucleo originario del paese di Prezza secondo la denominazione di epoca romana, da un certo Sansone, che era un discendente dei Longobardi insediatisi in Abruzzo o forse di origine franca, che dominava all'epoca la Valle Peligna e precisamente la zona di Raiano, Corfinio e Prezza. In pratica Villa Carrene viene ribattezzata come Castello di "Prezze". In occasione dell'acquisto del castello il paese viene fortificato e diventa il punto difensivo del territorio a nord della Valle. L'accordo prevedeva che Prezza fosse alle dipendenze dell'Abbazia pur rimanendo affidata a Sansone e ai suoi discendenti (i cosiddetti Sansoneschi). ... Il Castello è conservato in forme seicentesche» - «Il castello di Prezza fu il primo dei quattro castelli sorti nella valle Peligna; gli altri tre erano quelli di Popoli, Pettorano e Pacentro. I primi feudatari di Prezza furono i Sansoneschi che, intorno all’anno 887, vendettero la terra di Prezza ai monaci benedettini dell’Abbazia di San Clemente a Casauria, conservando comunque il potere sul feudo sino al 1200 circa. La terra fu teatro di contese in cui furono coinvolti anche i Normanni, finché ai Sansoneschi subentrarono vari signori. ...».
http://www.abruzzofoodtour.it/prezza_37.html - http://www.giovannitabassi.it/?page_id=452
Raiano (borgo, torre dell'Orologio)
«Le origini del primo nucleo abitato risalgono al IX secolo, ma ricche testimonianze documentano la presenza di insediamenti umani nelle zone circostanti in epoca romana e preromana. ... La cronologia delle date più significative per Raiano si sviluppa lungo il seguente itinerario storico. 872: sorge Castrum Radiani, sulla cima del “Castellone”. 1047: Raiano appartiene ai castelli confermati dall’imperatore Enrico III quali possesso dell’Abbazia di San Giovanni in Venere. 1162: Roberto di Bassavilla, già padrone di Raiano, viene dichiarato ribelle e sostituito da Gilberto, conte di Gravina. 1294: transita il corteo di Pietro da Morrone che si reca a L’Aquila per essere incoronato papa col nome di Celestino V. 1308: saccheggi e uccissioni, da parte di Raimondo di Sangro, ai danni della popolazione. 1337: Gemma Sansonesco porta in dote il paese a un Cantelmo. 1495: durante i sovvertimenti dovuti alla presenza di Carlo VIII in Italia, gli Aquilani occupano il paese ma, dopo varie vicissitudini Raiano torna ai Cantelmo. 1610: il feudo, in possesso di Andreana di Sangro, viene venduto al capitano Domenico Antonio de Sanctis e successivamente espropriato a favore dei Melucci. 1706: Raiano subisce i danni del catastrofico terremoto che interessa tutta la Valle Peligna. 1715: dai Melucci, il feudo, passa ai Recupito che furono gli ultimi feudatari del paese. ... Raiano si estende nell’estrema parte occidentale della Valle Peligna fino alle Gole di San Venanzio. È piacevole passeggiare per il paese alla ricerca di particolari architettonici o più semplicemente immergersi in caratteristiche atmosfere. La piazza principale, intitolata al poeta Umberto Postiglione, ospita la parrocchiale di Santa Maria Maggiore. La chiesa, innalzata intorno al 1848, è in realtà il risultato di una ricostruzione resasi necessaria per poter accogliere una popolazione sempre più numerosa. Su piazza De Michele, quasi una continuazione di piazza Postiglione, si affaccia il neorinascimentale Palazzo omonimo, posto sullo sfondo della monumentale fontana di San Giorgio che uccide il drago, realizzata agli inizi del Novecento. Altra architettura caratteristica di piazza Postiglione è la Torre dell’Orologio probabilmente il bastione della scomparsa Porta d’ingresso al centro storico, oggi quartiere Sant’Antonio. Passeggiando per i vicoli di “Raiano vecchio” si scoprono splendidi palazzi nobiliari, piccole chiese, ricchi portali e suggestivi scorci. Gli edifici più interessanti e meglio conservati dell’antico borgo sono il settecentesco Palazzo Muzi, il monumentale Palazzo Lepore, la chiesa di Sant’Antonio Abate, Palazzo Graziani, Palazzo Fantasia, che ospita uno storico frantoio, Palazzo Sagaria Rossi e la chiesetta dedicata a San Giovanni».
a cura di Sergio Ialacci e Marco Pomponio
Rocca di Botte (borgo fortificato)
«Comune in provincia dell’Aquila, da cui dista 60 chilometri (A 24). Altezza sul mare 750 metri. ... All’estremità sud-est della piana del Cavaliere, dove questa s’insinua nell’ampia ansa creata dai monti Simbruini, disegnandovi una valle, il paese di Rocca di Botte s’appoggia al basso versante del monte Corte in posizione riparata. Lo scopri arrivandoci, alla fine della strada è circondato da folta vegetazione. Nella parte pianeggiante del suo territorio vi è la nuova zona residenziale del Casaletto. II paese è molto antico: rimase legato per secoli all’Abbazia di Subiaco per la presenza in questa area di uno dei dodici monasteri fondati da S. Benedetto (in un documento del 1060, dal Regesto Sublacense, il più antico riferimento a Rocca di Botte). Nell'XI secolo nasceva qui S. Pietro Eremita, il corpo del quale si trova tuttora a Trevi nel Lazio, dove morì (nel 1052?). Dal 1173 esercitò il potere a Rocca di Botte la famiglia Montanea, nel Quattrocento fu la volta degli Orsini e nel Cinquecento dei Colonna, sotto i quali raggiunse il massimo splendore edilizio. Ma ci fu un momento in cui la popolazione si ribellò ai militi del cardinale Scipione Colonna, abate sublacense, per una grave offesa ricevuta da costoro: seguì la vendetta dei colonnesi, con distruzioni e saccheggi, poi un’altra distruzione ad opera del duca d’Alba nel 1557. Non si verificò qui quel processo di incastellamento che nell’XI secolo riguardò invece i vicini paesi di Oricola, Pereto, Camerata, dove gli aggregati umani si riunirono progressivamente in posizione elevata, nelle vicinanze di una rocca o struttura fortificata, costituendo gli insediamenti ancora esistenti (questa la tesi sostenuta da Michele Sciò nel suo articolo l’incastellamento del Carseolano nei secoli X e XI, in "Terra Nostra", 12 1986). A Rocca di Botte l’aggregato umano, e la rocca, oltre la parte alta del paese, restarono distinti fino a quando nel XVI secolo questa cadde in abbandono. Di essa rimangono solo i ruderi».
http://www.roccadibotte.org/demo/?page_id=29
Rocca di Cambio (borgo, torre)
«Il paese, arroccato su un costone alle pendici del M. Cagno, domina l'ampia Piana delle Rocche con i ruderi del castello inglobati nella costruzione della Chiesa di S. Pietro. Rocca di Cambio ha sicuramente avuto fin dall'antichità una funzione difensiva e di guardia del territorio per la sua posizione geografica. Posto a 1.434 metri di quota, risulta essere il comune più alto dell'Appennino. Il borgo medievale di Rocca di Cambio sorge probabilmente nelle vicinanze di una torre difensiva, in rapporto con quelle di Rovere e Rocca di Mezzo, quando, sotto la spinta delle invasioni barbariche, le popolazioni si arroccarono su alture. Nella Bolla di papa Alessandro III del 1178 tra i possedimenti della Diocesi di Forcona si trovava menzionata "Roccha Octonesca cum Ecclesiis". Probabilmente il castello, inglobato in parte nella Chiesa di S. Pietro del XIV-XVII secolo, venne costruito intorno alla metà del 1200; certo è che nel 1253 Rocca di Cambio partecipò alla fondazione della città di L'Aquila e nel 1294, su richiesta del pontefice Celestino V, fu riunita con altre terre al Contado Aquilano. Si ha anche notizia nel 1313 che la preziosissima Chiesa di S. Lucia fuori le mura venne iscritta nell'estimo dei beni, anche se la sua costruzione è antecedente a questa data. Da visitare: ruderi del castello inglobati nella costruzione della torre campanaria della Chiesa di S. Pietro (XIV-XVII secc.).».
http://www.parcosirentevelino.it/comuni_dettaglio.php?id=66081
Rocca di Mezzo (borgo fortificato)
«Localizzato nel cuore dell'Altopiano delle Rocche, il borgo medievale di Rocca di Mezzo si struttura probabilmente nelle adiacenze di una torre di difesa e avvistamento, posta in relazione con quelle di Rovere e Rocca di Cambio, tra l'VIII e il IX secolo quando, sotto la spinta delle invasioni barbariche le popolazioni rocchigiane, sparse in piccoli insediamenti, sentirono la necessità di rifugiarsi su alture difese con cinte fortificate e torri d'avvistamento. Rocca de Mesio è ricordata già nel 1115 nella Bolla di Pasquale II tra i castelli della Badia Sublacense. Assume un ruolo di particolare rilievo per la sua posizione al confine tra la diocesi di Forcona e quella dei Marsi, che hanno individuato nel Rio Gamberale la frontiera fisica del loro territorio. Si ha notizia che la "villa" di Terranera, le cui origini si possono far risalire tra l'XI ed il XII secolo, già da questo momento era aggregata a Rocca di Mezzo. Dopo il saccheggio di Carlo di Durazzo, nel 1347, furono rafforzate le fortificazioni e probabilmente iniziò in quel tempo la costruzione del castello con chiesa annessa. Nel 1423 il borgo subì molte distruzioni per l'assedio di Braccio da Montone, tanto che nel 1431, divenuto vescovo di L'Aquila Agnifili, originario di Rocca di Mezzo, promosse la sua ricostruzione. Lo sviluppo economico legato ai pascoli e alla transumanza portò Rocca di Mezzo ad un notevole incremento della popolazione: si ha notizia che a metà del XVI secolo si contavano 474 fuochi. Un periodo fiorente, quindi, per il paese come testimonia ulteriormente nel 1595 il magistrato aquilano che descrive Rocca di Mezzo "terra grande murata, che è ripartita in 4 rioni …". Fu posseduta dai Colonna e dai Barberini fino al 1806, quando gli fu aggregato Rovere, centro dal glorioso passato, da sempre con una propria autonomia e di origini antichissime. Sede di un recinto fortificato del VII-VI secolo a. C., Rovere assume nel Medioevo un ruolo rilevante al confine tra la diocesi dei Marsi e Forcona, con una delle tre torri a difesa dell'altopiano. In un documento del 1590 viene così descritta: "alla sommità sono ben visibili imponenti mura diroccate di un antichissimo castello o fortezza"».
http://www.parcosirentevelino.it/comuni_dettaglio.php?id=66082
«La storia di Rocca Pia, fin
dalle sue origini, è sempre stata strettamente collegata al vicino
altipiano.Infatti gli Altipiani Maggiori, e in particolare il Piano di
Cinquemiglia, sono sempre stati per la loro morfologia e la posizione
geografica una zona di transito e collegamento all’interno tra il centro e
il meridione. Ma le difficoltà connaturate alla morfologia stessa dei luoghi
(zona di montagna sopra ai 1000 m. s.l.m.) e il clima molto rigido non
consentirono lo sviluppo, almeno fino al Medioevo, di veri e propri centri
abitati. ... Nel VII-VIII sec. d.C. il territorio, compreso nel Ducato di
Spoleto, cominciò ad assumere una notevole importanza dal punto di vista
strategico. Sappiamo infatti che fin dall’alto medioevo la penetrazione
verso sud delle popolazioni longobarde si svolse soprattutto lungo le
direttrici interne, tra le quali quella passante per l’altipiano. In seguito
gli stessi percorsi furono utilizzati dai sovrani e dagli eserciti che
occuparono parte della penisola. Pur non conoscendo attestazioni storiche
precedenti al IX secolo, possiamo ipotizzare che già prima ditale data
fossero nati piccoli villaggi lungo le direttrici viarie. Alcune zone che
non erano state ancora urbanizzate ed organizzate feudalmente, come
l’ingresso settentrionale all’altipiano e parte dello stesso, vennero
occupate da piccoli nuclei strategici. La prima attestazione storica di un
sito abitato nella zona è riportata in un diploma dell'876: Guido, duca di
Spoleto, concede la chiesa di S. Marcello in Florina, con tutte le sue
pertinenze, ai monaci di 5. Vincenzo al Volturno. Florina (o Forma, forse in
relazione alla vicina Valle Fura) è il nome del primo nucleo abitato sorto
nel luogo dove è oggi Rocca Pia. Doveva trovarsi nella zona del vecchio
cimitero, ai piedi di Macchialonga, dove sono ancora visibili i muri diruti
della chiesa di S. Marcello, la più antica del paese.
Dai documenti dei secoli seguenti si deduce che il villaggio di Florina,
ingrandito ed esteso verso la valle, fu per un certo periodo conteso tra i
monaci volturnensi e quelli della Diocesi di Valva, che aveva vasti
possedimenti nella zona. Nel 1173 Gualtiero di Girardo riceve da Oddone di
Pettorano Valle Oscura, già feudo dei Conti di Valva. Possiamo quindi
dedurre che il feudo, nonostante il monastero avesse ancora possedimenti
nella zona, fosse ormai proprietà dei signori del tempo. Nel XII secolo
comincia dunque ad apparire nei documenti il nome Valle Oscura: la troviamo
citata nel "Libro di Ruggiero", scritto dal geografo arabo Idris alla
metà del secolo e, alla data 1200, nel "Catalogus Baronum". Ma
l’antica denominazione Florina scompare solo nel XIII secolo, perciò per un
certo periodo esistettero due paesi distinti. Già in epoca normanna, con la
riapertura dei tratturi e la vasta organizzazione territoriale e politica,
cominciò a definirsi anche sugli altipiani un sistema difensivo capillare;
in questo periodo infatti erano maggiormente difesi i punti nodali della
viabilità e i collegamenti. Il tratto di strada che percorre l’Abruzzo
interno e taglia gli altipiani diviene importantissimo, inserito nella "Via
degli Abruzzi" o "Regia Strada degli Abruzzi", la grande arteria viaria
medievale che collegava Firenze a Napoli e che fu poi l’asse fondamentale
dei commerci e dei transiti per tutto il periodo angioino. Ricordiamo che
Rocca Pia si trovava lungo il percorso dello storico tratturo Celano-Foggia.
A conferma del ruolo strategico assunto dal paese abbiamo, nel corso del XII
secolo, la costruzione del castello sull’altura a sud-est del paese attuale.
I sistemi difensivi e la torre di avvistamento, in collegamento con i
principali fortilizi della Valle Peligna, consentivano alla popolazione e ai
signori dominanti di controllare il passaggio e, in caso di bisogno, di
rinchiudersi entro la fortificazione. Nei secoli seguenti viene citata Rocca
Valle Oscura, che mutò il suo nome in seguito alla costruzione del castello.
Nel XIV secolo il feudo fu comprato da Restaino Cantelmo. I Cantelmo,
provenienti dalla Provenza al seguito di Carlo I d’Angiò, furono feudatari
di Rocca Valle Oscura sino al 1724; solo piccole parti del feudo
appartennero ad altre famiglie nobili.
Nei primi decenni del XV secolo, in seguito alle lotte tra i feudatari della zona (Caldora e Cantelmo) e Braccio da Montone, il paese accolse gli abitanti dei tre villaggi del Piano: Casale di San Nicola, Casal Guidone e Roccaduno. Alcuni storici hanno ipotizzato la formazione di Rocca Valle Oscura proprio in seguito a questo episodio. In realtà ciò risulta impossibile, data la presenza di documenti che testimoniano l’esistenza dei vari siti già dal XIII secolo. I tre villaggi, sorti probabilmente già in epoca normanna, contribuirono ad ingrandire il paese, lasciando del tutto spopolato il Piano, dove rimase solo la chiesa della Madonna del Casale, nel sito dell’antico Casal Guidone. La signoria dei Cantelmo trascurò spesso il piccolo feudo di Rocca Valle Oscura, che nel corso dei secoli subì anche numerose catastrofi naturali, come la peste e i terremoti. A questo proposito in alcuni documenti che riportano i danni subiti dai paesi abruzzesi in seguito ad eventi tellurici, si narra che a causa del terribile terremoto del 4 dicembre 1456, Roccaraso e Rocca Vallescura furono "del tutto rovinate". Nel 1724 il feudo passò ai Tocco di Montemiletto, ai quali rimase sino all’ abolizione del sistema feudale nel 1806. Durante il breve regno di Gioacchino Murat venne istituita la " Via Napoleonica", sistemando il tratto di strada che conduceva da Pettorano a Rocca Pia e quello che dal paese giungeva all’ imbocco del Piano. Inoltre nel 1815 un decreto dello stesso Murat cambiò il nome del paese in Rocca Letizia, in onore di Letizia Bonaparte, madre di Napoleone. Ma nello stesso anno Ferdinando II annullò tale decreto e quindi il nome non fu mai realmente utilizzato. Nel 1860, durante una visita di passaggio di Vittorio Emanuele 11, gli abitanti pregarono il re di cambiare il nome così triste del loro paese. Il re decise di dedicarlo alla figlia Maria Pia e così, con un decreto del 1865, il nome fu definitivamente cambiato in Rocca Pia».
http://www.italianinelmondo.info/207/italia/abruzzo/roccapia.asp
Roccacasale (resti del castello De Sanctis)
redazionale
Roccacerro (borgo fortificato)
«Anticamente chiamato Rocca di Cerro perché vi era costruita una fortezza di guardia e una selva di cervi si trovava nelle vicinanze i romani passarono di qui nel tracciare l’antica via Valeria. Anche Roccacerro è caratterizzata da stretti vicoletti; intorno al 1700 la rocca vecchia fu trasformata in chiesa e lo è tutt’ora, dedicata a Santa Maria degli Angeli».
http://www.terremarsicane.it/node/2975
Roccacinquemiglia (borgo fortificato)
«Ridente frazione di Castel di Sangro è un borgo arroccato su uno sperone roccioso; ha origine antichissima: sulla Contrada Serra del Monaco sono presenti mura ciclopiche resti di una fortificazione di una città sannita senza nome. Presso il fiume Sangro, in una zona di notevole interesse archeologico, sono presenti i ruderi del famoso Convento di S. Maria di Cinquemiglia dell'anno 703, sorto sulle rovine di un tempio italico dedicato ad Ercole. Vicino a questo Convento cominciarono i primi insediamenti fino alla formazione di una borgata con un suo castello cinto di mura di difesa. Il paese ebbe anche una sua autonomia infatti fu un Comune a se. Dopo la decadenza del Convento nel XIV sec., se ne impossessarono molti feudatari prima di arrivare alla famiglia Marchesani, che l' ebbero come signoria dal XVI al XVIII sec. Oggi Roccacinquemiglia ha meno di 200 abitanti e la sua popolazione ha subito il fenomeno emigratorio degli anni cinquanta verso le Americhe e gli Stati Europei. ...».
http://www.comune.casteldisangro.aq.it/joomla2/index.php?option=com_content&view=article... (a c. di Maria Domenica Santucci)
redazionale
redazionale
redazionale
San Benedetto in Perillis (borgo fortificato)
Strutture gravemente danneggiate dal sisma del 6 aprile 2009
«Piccolo borgo medievale di straordinaria bellezza nel cuore della provincia di L'Aquila, San Benedetto in Perillis è uno tra gli abitati più antichi caratterizzati da edilizia in pietra a vista. La sua orgine risale al secolo VIII, da un nucleo di ventotto famiglie longobarde che si insediarono nel luogo, insieme ad un gruppo di monaci benedettini e fondarono il monastero, intitolato a San Benedetto, per coltivare l'adiacente pianoro di Perillo. La collina su cui sorse aveva una grande importanza strategica: La sua posizione era un importante capomaglia ottico per le comunicazioni tra la costa ed i paesi di montagna. Il paese sorse quindi attorno al monastero, circondato da due cinta murarie delle quali ancora oggi si conservano tratti e torri. La chiesa (VIII-XI sec., una delle più antiche della regione) posta all'interno del borgo fortificato, costituisce l'unica testimonianza dell'antica struttura abbaziale, che svolse una notevole opera di diffusione del monachesimo nella valle Tritana ed in tutto l'aquilano. L'edificio mostra i notevoli rimaneggiamenti subiti. Custodisce tracce di preziosi affreschi. Recenti restauri hanno smantellato la veste barocca riportando alla luce le originarie strutture altomedievali. L'interno è a tre navate e coperto da una copertura lignea. Altri elementi che arricchiscono il piccolo centro dell'aquilano sono la chiesa della Madonna delle Grazie e l'interessante Museo Civico, ubicato nei locali di un ex frantoio settecentesco restaurato e sulla piazza all'ingresso del paese, l'antica chiesetta di S. Sebastiano. Molto suggestive sono le "grotte" sotterranei scavati nella roccia e destinati un tempo a luoghi di ritrovo, riscaldati dal calore degli animali dove ci si riuniva per ballare, chiacchierare e passare momenti di unione tra la gente, Le grotte caratterizzano un'ampia area del piccolo centro storico e ultimamente ristrutturate vengono utilizzate per manifestazioni ricreative e culturali».
http://scoprisanbenedetto.blogspot.it/p/san-benedetto-in-perillis.html
San Demetrio ne' Vestini (palazzo Cappelli di Torano)
«...Il primo documento storico in cui è citato San Demetrio è la Bolla papale del 1178 che Alessandro III inviò a Pagano, vescovo forconese. Qui compare anche il nome della chiesa di S. Giovanni, che diventa soggetta allillustrissimo e Reverendissimo Capitolo di S. Giovanni in Laterano in Roma. I nomi delle restanti ville, Colle (o Colla), Villa Grande, Chiavantoni (o Caventani o Cavantoni), Collarino (o Collerano), Cardabello (o Caderabello o Cardabollo), Cardamone (o Cardamoni), appariranno solo in documenti successivi, ma quasi sicuramente i sette borghi che componevano l'abitato esistevano già nel XII sec., ben distinte l'una dall'altra. Come attesta lo storico aquilano Bernardino Cirillo nella sua Cronaca aquilana rimata, San Demetrio partecipò, insieme agli altri paesi vicini, alla fondazione della città di L'Aquila, avvenuta tra il 1254-1255. Nel 1423, come riportano anche i resoconti storici del Cirillo, del Fonticulano e dellAntinori, San Demetrio resistette allattacco di Braccio da Montone, che imperversava nella provincia aquilana, conquistando castelli e preparandosi allassedio dellAquila. Nel 1442, il paese ospitò il re Alfonso d'Aragona, il quale, sconfitto il duca di Lorena, in seguito alle guerre tra Angioini e Aragonesi, proprio da qui ordinò la distruzione del castello di Fagnano. Dall'epoca della fondazione dell'Aquila, alla quale S. Demetrio partecipa, e fino al 1529, il borgo è parte integrante del Contado dell'Aquila, città Regia sotto il regime Vicereale Spagnolo, già da tempo instauratosi. ... Un'attenta passeggiata lungo le stradine interne del borgo svela subito al visitatore una storia intensa, fatta di capitani e feudatari, la cui presenza ha lasciato tracce in tutto il centro storico, soprattutto nelle chiese e nei palazzi nobiliari. Posto al centro dell'abitato, Palazzo Cappelli di Torano costituisce uno dei monumenti più caratteristici dell'abitato. L'edificio rivela gli elementi di maggiore interesse nel prospetto sud-ovest, che ripropone temi rinascimentali individuabili nel segmento d'angolo e nel coronamento delle finestre. Appartenuto al duca Arcamone, esso conserva ancora le linee architettoniche di quello che doveva essere un esempio particolare di palazzo-fortezza del XV secolo. Da annoverare anche il Palazzo Dragonetti, in stile barocco e il Palazzo Ducale del duca Arcamone, risalente al Quattrocento»
http://www.comunitamontanasirentina.it/?comuni.sandemetrio
San Donato (resti del castello)
«Sul crinale del monte che
sovrasta San Donato si trovano i resti di un antico castello. Questo
rappresenta – assieme alla chiesa di S. Erasmo – la più antica testimonianza
monumentale del borgo. La struttura si erge a 1171 metri sopra il livello
del mare e si presenta oggi difficilmente leggibile a causa degli interventi
moderni e del processo di rimboschimento. Il suggestivo panorama e i resti
dei muri perimetrali (fino a quattro metri d’altezza) restano comunque un
buon motivo per una visita al sito. È possibile accedere al castello dal
lato nord attraverso i pascoli. A sud è presente un altro percorso molto
accidentato che lo collega con un piccolo nucleo oggi abbandonato detto “La
Porta”, da considerarsi per posizione e toponimo come l’antico accesso alla
struttura difensiva. Nella Marsica furono costruite una grande quantità di
strutture fortificate tra X e XI secolo. La maggior parte furono il frutto
dell’opera dei conti dei Marsi. Questa famiglia comitale d’origine
transalpina giunse in Italia al seguito del re Ugo di Provenza e salirono al
potere grazie a Berardo I divenuto conte a metà del X secolo. La divisione
del potere tra i vari membri della famiglia a partire dalla metà dell’XI
secolo spiega la creazione di un numero straordinario di strutture, alcune
delle quali ebbero anche una funzione abitativa ospitando alcuni degli
esponenti del casato. La costruzione di strutture difensive rientrava dunque
nelle strategie dei conti per il controllo del territorio e l’esercizio del
potere ai fini di rafforzare la loro autorità.
La prima menzione del castello di San Donato risale al 1057 quando nei
privilegi di papa Stefano IX al vescovo dei Marsi Pandolfo viene citato il
castrum di Pomperano. Il termine Pomperano era utilizzato fin dal X
secolo per identificare l’area dell’attuale borgo di San Donato e di Poggio
Filippo. Nel 1067 il castello è nuovamente nominato e questa volta come
residenza del conte dei Marsi Oderisio II. Egli afferma di essere “abitator
sum in castellu qui Pomperanu vocatur” e cita la chiesa di S. Erasmo in
“ipso territorio de Pomperano in loco ubi Petra dicitur”. Ancora a
metà del XII secolo il castello è sotto il controllo dei conti e in
particolar modo di Berardo che si definisce conte di Sancto Donato e
Podium de Sancto Ausino (Poggio Filippo) segnando la scomparsa del
termine Pomperano a favore delle due nuove denominazioni. Il castello gode
di un’ottima posizione strategica permettendo una piena visuale verso sud
sulla valle dell’Imele e la via Tiburtina Valeria. Inoltre era in
collegamento visivo con Castelvecchio a nord-ovest, Tremonti e il castello
di Tagliacozzo a ovest e Girifalco a sud. La struttura è formata da un
recinto fortificato intervallato da torri quadrangolari. In corrispondenza
del punto più elevato si colloca il vero e proprio castello di cui si
conservano tre torri circolari sugli angoli e una divisione interna in
ambienti. Il tutto è costruito con una muratura a doppia cortina con
conglomerato cementizio interno e pezzi di calcare e frammenti fittili
all’esterno. Osservando le strutture murarie sono state avanzate due fasi di
costruzione. La prima fase tra XI e XII secolo comprendente il recinto
murario con le torri quadrate. Una seconda fase successiva al XIII secolo in
cui il recinto fu rinforzato e fu costruito, nella parte più elevata, il
castello di forma rettangolare».
http://sandonatoditagliacozzo.it/info-generali/il-castello (a c. di Daniele Di Cola e Ginevra Odone)
San NICANDRO (palazzo baronale Cappa
Struttura gravemente danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009
«San Nicandro è frazione del Comune di Prata D'Ansidonia. Pur essendo ignota l'epoca della sua edificazione, risulta certa la derivazione da uno dei "vici" e "villae" sorti dopo le rovine di Peltuinum: sono a testimoniarlo numerosi frammenti di iscrizioni romane. Dal Chronicon Vulturnense apprendiamo che nell'anno 998 risultano allivellate anche le terre nella curtis di San Nicandro da parte del monastero di S. Venanzio al Volturno. E nell'anno 1264 una Breve del Papa Urbano IV annovera "Ecclesiam S. Nicandri et Ecclesiam S. Mariae de Leporanice" fra i possedimenti del monastero benedettino di Bominaco nella diocesi Valvense. Questa ultima data segue anche la configurazione del nuovo status nelle "villa S. Nicandri" e il suo dominio su tutta la curtis circostante denominata "Leporanice". Con la dominazione normanna (sec. XII-XIII), insieme alle altre "villae" della zona, conquista una propria autonomia costituendosi in "castrum". Il Castrum Leporanicae concorse a fondare la città di L'Aquila, possedendo un proprio "locale intus" nel quarto di S. Maria. è menzionato da G. Pico Fondiculano anche nella guerra di Braccio da Montone. Con la dominazione spagnola, il nostro Castello, come altri del contado, fù costituito in feudo ed assegnato a capitani-governatori spagnoli o ai baroni ad essi fedeli. Verso il 1600 il feudo di San Nicandro fu aquistato al costo di circa 2000 ducati dal Barone Ottaviano Maldenti di Forli, la cui famiglia restò proprietaria di San Nicandro fin quasi tutto al XVII secolo, fino a quando divenne feudo dei Baroni Cappa, Patrizia Aquilani che, tutt'oggi, possiedono il maestoso palazzo» - «Trattasi di palazzo fortificato a sviluppo planimetrico rettangolare con facciata, ad andamento lineare, posizionata lungo l'asse stradale su cui si aprono tre ingressi principali. Articolato su due piani, con copertura a tetto, il palazzo denota la propria natura di struttura fortificata attraverso la presenza di una garitta d'angolo posta nello spigolo destro della facciata. Tale garitta a pianta ottagonale risulta realizzata secondo gli schemi tipici delle strutture di analoga funzione esistenti nella zona. Caratteristica la parte terminale inferiore dell'elemento difensivo, sagomata a coppa sfaccettata con funzione di mensola reggispinta. La copertura è a tetto a otto spicchi. La difesa attiva è assicurata attraverso due tipi di archibugiere, una inferiore circolare con sovrapposta pseudo-feritoia di brandeggio per moschetti ed una superiore rotonda. I portali, a parte quello d'ingresso, appaiono come delle modificazioni settecentesche. Danni subiti: inagibile. Ha riportato gravi danni strutturali».
http://www.comune.pratadansidonia.aq.it/la-citta/san-nicandro - http://www.regione.abruzzo.it/xcultura....doc
San NICANDRO (ruderi del castello di Leporanica)
Struttura ulteriormente danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009
«Il palazzo si eleva su una parte di quella che fu la cinta difensiva dell'originario castello recinto, distrutto con l'incastellazione dell'Aquila e di cui permane tutt'oggi la sola torre sommitale. Planimetricamente riprende la perimetrazione della tratta s-e con sviluppo prevalente verso la parte interna di quello che fu il recinto difensivo. Le finestre a sviluppo rettangolare con incorniciature in pietra locale sono caratterizzate da una classica decorazione a listelli e da un architrave a cornice lineare. Varie ammorsature d'angolo, inglobate nello sviluppo della cortina, dichiarano le fasi di accrescimento del palazzo che dovette avvenire per gradi come é peraltro tipico per strutture di questa natura. Sotto il profilo strettamente difensivo è da notare il resto di una scarpatura basamentale a piccola pendenza posta lungo il fronte sud in prossimità di un passaggio coperto con volta a botte inclinata e la presenza di una piccola cannoniera. Danni subiti: già in parte diroccato, il castello ha riportato crolli e cedimenti delle mura perimetrali con aggravio della situazione pregressa».
San Pio delle Camere (ruderi del castello-recinto)
redazionale
San Potito (resti del castello)
«Il castello medioevale era
ridotto a rudere in avanzato stato di degrado. Un'attenta lettura lo
mostrava appartenere all'architettura preromanica. Risultavano aggiunti, in
epoca gotica, il sostegno murario, a forma di barbacane, a settentrione, e
il vano, a volta a botte, a levante, basato sul ciglio del Vallone a
precipizio.
1. Castellum Sancti Potiti. Castello - così propriamente denominato
sin dalla fondazione - era stato piazzato, a nido d'aquila, sulla cresta di
uno scoglio pedemontano del massiccio asfaltico, oggi detto Pizzo di
Ovindoli a sud dell'Altopiano delle Rocche, sul versante del lago Fucino, a
1181 metri sul livello del mare. Sorgeva all'estremità dello scoglione
seguendone l'andamento, sul lato Nord del muro di cinta esterno. A pianta
poligonale, senza torrette agli angoli, con altre due cinture murarie
interne, era una tipica costruzione feudale dell'Alto Medioevo costituita
dal Mastio, con funzione di difesa e abitazione o residenza non abituale del
feudatario. Non faceva parte, almeno in origine, di un sistema difensivo
territoriale. Era uno dei pochi castelli in muratura dell'epoca, tanto da
prendere il nome proprio di "Castellum", perché capace di stabilità e
durata.
2. Le vicende del Castello di San Potito. Nell'anno 1074, "Castellum
Sancti Potiti" era proprietà di Nerino del fu Bonomo e di suo cugino
Bonomo di Erimanno, feudatari di stirpe longobarda. Passato nel 1079
completamente in possesso dell'Abbazia di S. Maria di Farfa, con l'annessa
chiesa intitolata a San Potito, alla fine del secolo XI diveniva parte
integrante e, nello stesso tempo, rocca di un Castello recinto, costruito ai
suoi piedi, sul pendio occidentale del colle Antonino. Il 25 febbraio 1115,
nella Bolla di Pasquale II al vescovo dei Marsi Berardo e il 31 maggio 1188,
nella Bolla di Clemente III al vescovo dei Marsi, Eliano, era denominato
ancora "Castellum", leggendosi nella prima: "Ecclesiam... Sancti
Potiti, Sancti Nicolai in Castello". Il 5 ottobre 1273, chiamato "Sanctus
Potitus", veniva riconsegnato da re Carlo I d'Angiò al conte Ruggero I
de Celano dei Gran Conti dei Marsi, reintegrati della Contea, dopo cinquanta
anni dallo spogliamento da parte di Federìco II di Svevia. Nel 1279 veniva
denominato "Castrum Sancti Potiti", avendo ormai perso il toponimo
proprio di "Castellum" ma comunque rimanendo un centro più
fortificato di altri centri abitati.
3. La rovina del Castello. L'antico maniero a lungo sfidò il tempo e
forse le incurie dei vari possessori della Contea di Celano. Non poté
resistere allo sconcio e lento diroccamento da parte degli uomini nati alla
sua ombra dopo l'anno 1806, epoca della istituzione dei Comuni. Fornì
allora, a buon mercato, pietre e grossi conci per le fondazioni e le
cantonate di nuove case edificate, per oltre due secoli, ai piedi del Colle
di San Potito, lungo la nuova strada carrabile provinciale. Divenne, per
così dire, l'emblematico sfaldamento del sistema feudale. In tempi più
recenti, il terremoto avvenuto nella Marsica il 13 gennaio 1915 ha dato
forse l'ultimo strattone al Castello, rendendolo facile preda di una lenta,
ma inesorabile erosione da parte degli agenti atmosferici. ...».
http://www.ovindoli.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=52 (a c. di don Mario Del Turco)
redazionale
Sant'Eusanio Forconese (castello)
«Sulla cima di Monte Cerro è situato un recinto fortificato che domina dall’alto il borgo di Sant’Eusanio Forconese e controlla la valle del fiume Aterno, nella direzione di Poggio Licenze e San Demetrio. La planimetria è abbastanza irregolare e mostra cinque torrioni di forma semicircolare e quattro di forma quadrata che hanno il compito di rompitratta e che sono molto vicine tra loro. Una porta ad arco a sesto acuto, oggi tappata, si apre sul versante del torrione quadrato sul quale poi è stata accostata la chiesa, ecclesia castri, che si erge tra ciò che rimane dell’impianto fortificato. Il lato ovest del recinto, che non possiede una protezione naturale, era scavato in direzione nord-sud e difeso da un fosso parallelo al tratto murario. Quest’ultimo, alto tra i 5 e i 7 metri e con una sezione muraria di circa un metro, non mostra, nei resti originari, tracce di merli e non possiede il camminamento di ronda. Le torri circolari, con un diametro interno compreso tra i 3 e i 5 metri, si estendono su più livelli e non hanno la scarpa e il coronamento mediano; il primo solaio è costituito da una volta a botte mentre i seguenti hanno una struttura di legno. Il perimetro fortificato è stato ristrutturato ultimamente tramite il ripristino di qualche torrione e di estesi tratti murari. A proposito delle origini del complesso difensivo non sono state trovate documentazioni sicure; invece l’esistenza dell’insediamento dei Benedettini presso il borgo di Sant’Eusanio Forconese è attesta già nel 1198. L’impianto di difesa oggi visibile è il prodotto di diverse fasi di costruzione. Si può ipotizzare che la struttura, nel suo primo aspetto che presumibilmente risale al XII-XIII secolo, fosse potenziata da torrioni di forma quadrata, mentre in un momento successivo sarebbero stati inseriti i torrioni circolari. Tra il Seicento e il Settecento, nel momento in cui il recinto non ebbe più come funzione primaria la difesa, una piccola chiesa con una sola navata dedicata alla Madonna del Castello venne costruita a fianco alle mura».
http://www.inabruzzo.it/santeusanio-forconese-castello.html
redazionale
Santo Stefano di Sessanio (torre circolare o medicea)
redazionale
struttura crollata per sisma 2009
«L'attuale centro storico di Scanno si formò dall'aggregazione di vari nuclei urbani o vici. Il più antico di essi è Betifulo, in seguito ribattezzato Sant'Angelo in epoca cristiana. Tra i secoli XII e XIII gli abitanti si trasferirono da Sant'Angelo in località Scamnum o Scagium o Scampium che corrisponde all'attuale zona della chiesa di sant'Eustachio. In una bolla di papa Adriano IV del 1156 vengono nominati i vari nuclei abitati che prendevano il nome dalle varie chiese in essi contenuti eccetto Frattura con la sua chiesa di San Nicola. Collangelo è l'attuale contrada sita ad est di Scanno in località Giardino in cui è stata ritrovata una epigrafe, la quale è l'unica testimonianza di una casa rurale in zona. I centri urbani di certo non si fusero prima del 1447 in quanto in quella data si ha notizia di alcuni edifici ancora disabitati. Il processo di espansione e di unificazione delle contrade di Scanno pare partire dalla zona alta del paese odierno, cioè la zona detta Terra Vecchia ove si aprivano le tre porte di accesso. Tra la seconda metà del Quattrocento e in tutto il Cinquecento il nucleo abitato si espanse a sud e ad ovest, mentre nei due secoli successivi Scanno conobbe un ulteriore espansione ma anche la saturazione di spazi edificabili liberi entro le mura: infatti fino a tutto il XIX secolo l'espansione si concentrò entro le mura, e solo nel 1909, quando venne costruita la strada Scanno-Villetta Barrea, vennero distrutte le mura urbane, il campanile della Chiesa di San Rocco ed alcuni palazzi; le rimanenti mura sono state inglobate in costruzioni più recenti. L'ultima fase di costruzione si ha nel XX secolo ...
Entro le vecchie mura del centro storico si aprivano quattro porte. La prima era sita presso la chiesa di Santa Maria della Valle e chiamata in gergo locale "La porta", mentre le altre porte si chiamavano Porta di Sant'Antonio o Codacchiola, Porta della Croce e Porta di Paliano o di Pagliaccio. Gli accessi pedonali e carrabili erano siti ove era più facile il loro utilizzo. La porta della chiesa di Santa Maria della Valle aveva la funzione di ingresso principale. Si ergeva di fianco alla chiesa omonima, mentre la facciata della chiesa si imponeva dall'alto guardando verso la valle il versante più difendibile. La Porta di Sant'Antonio risale verosimilmente al 1500. La sua funzione era quella di servizio alla gente residente nella parte settentrionale del paese per farla andare al lago e gestire le sue risorse (una strada della zona si chiama per l'appunto via dei Pescatori) ma anche per andare a lavorare alle terre irrigate di Porta Santa Maria della ValleAcquevive. Su questo accesso verrà costruita una officina idroelettrica alimentata mediante le acque piovane provenienti da monte. La Porta della Croce, che è l'unica ad essere intatta, è sita nel settore sud dell'abitato. La Porta di Paliano era sita presso il Palazzo di Rienzo ma non è da tutti accertata dato che dai carteggi comunali vengono citate tre porte e non viene menzionata la Porta Paliano. Tuttavia Alfonso Colarossi-Mancini afferma che presso il palazzo vi era un'apertura. Si può tuttavia supporre che la famiglia Di Rienzo stessa abbia provveduto alle spese di restauro e di manutenzione della porta dato che essa era di uso esclusivo della famiglia».
http://www.visitscanno.it/cms/it/il-paese-di-scanno/architettura-scanno
Scanno (palazzo Di Rienzo, palazzo De Angelis)
«Palazzo Di Rienzo, sorge in Via Silla, in prossimità del largo denominato “dell’Olmo” nel quale un tempo si riuniva l’Università di Scanno. L’impianto originario risale probabilmente all’antico palazzo feudale dei D’Afflitto e dei Caracciolo, realizzato tra i secoli XVII e XVIII, mentre l’aspetto attuale è quello conferitogli con i lavori di ristrutturazione eseguiti in occasione delle nozze di Francesco Di Rienzo, celebratesi nel 1900. Nella veduta del Pacichelli (1692) l’edificio è riportato come Palazzo Baronale e raffigurato nelle linee essenziali del prospetto, asimmetrico a tre livelli, con due trifore sovrapposte in asse con il portale. La facciata odierna su via Silla è invece perfettamente simmetrica, in uno stile classico che si addiceva alle motivazioni celebrative dell’intervento di fine Ottocento, ed è articolata su quattro livelli, tre principali e un mezzanino; i due piani più alti sono scanditi da una sequenza di balconi reciprocamente uguali, sette nel superiore e sei nell’inferiore, dove è interrotta a metà dal motivo plastico del portale-balcone. Il mezzanino, con le sue sei finestre, sovrasta una fila di portali ricavati da lavori di scavo e di rilassamento del livello stradale condotti negli anni Settanta. L’elemento di maggior spicco del prospetto è certamente il portale di grande imponenza, le cui colonne monolitiche in granito sorreggono il balcone centrale definito da una balaustra in pietra e sormontato da un timpano triangolare ancora di gusto classico. L’interno risulta estremamente articolato a causa della presenza di diversi atri e cortili, determinati probabilmente dai vari lavori di trasformazione succedutisi nel tempo, e ricco ancora di alcuni drappeggi originali di fine Ottocento. Dei molti preziosi oggetti d’arte che la casa ospitava, ricordiamo il quadro del Patini “Le Orfanelle”, attualmente a Roma in collezione privata. Una delle curiosità più conosciute del contesto urbano scannese è proprio la facciata che prospetta il Palazzo Di Rienzo, alta e stretta, le cui atipiche aperture sono distribuite in modo tale che la stessa assomigli a un volto umano con occhi (le due aperture circolari in alto), naso (finestra sottostante), bocca aperta (balcone primo piano) e linguaccia (finestra sul lato sinistro), in segno di scherno del proprietario di fronte. ...
Palazzo De Angelis ha l’ingresso in Via Ciorla 3, a breve distanza dall’incrocio con il vicolo che reca il nome della famiglia baronale che ne fu proprietaria. Alcune persistenze, come la bifora che si affaccia sul cortile interno, sembrano datare la costruzione dell’edificio al XV secolo, ma con rifacimenti settecenteschi. La facciata su via Ciorla si eleva su quattro livelli, l’ultimo dei quali più basso; il portale è asimmetrico e collocato sulla destra del disegno generale. Sul portale, di notevole ridondanza, è collocato in chiave d’arco lo stemma dei De Angelis datato 1766. Due feritoie, convergenti sull’ingresso, consentivano di far fuoco in caso di necessità di difesa. Dalla facciata un piccolo atrio immette nella corte dove una scalinata in pietra porta ai piani superiori. Alcuni interni sono caratterizzati da decorazioni in stucco e in legno; particolarmente interessante la cassettonatura lignea intagliata conservata nella proprietà Giansante».
http://www.scanno.org/architettura_scanno_palazzi.htm
«La torre, parzialmente nascosta dagli edifici contigui, ha forma quadrangolare ed un forte sviluppo in altezza all’interno del centro storico, visibile anche ad una certa distanza dalla strada provinciale che conduce al borgo. L'epoca di costruzione della torre è da riferire al secolo XIII, anche se alcuni caratteri stilistici - nel caso specifico le soglie delle finestre e le finestre stesse con le loro dimensioni mediamente ampie - sembrano essere elementi aggiunti nel secolo XV. L'uso attuale del bene è residenziale, mentre l'uso storico era di tipo difensivo e di avvistamento. La Torre è sita nel centro storico di Scanno (AQ), in via Santa Maria di Loreto».
Scurcola Marsicana (castello Orsini)
redazionale
redazionale
redazionale
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Troviamo una località denominata Stiffe, per la prima volta, nel "Catalogus baronum sub Wiligelmi" (1167), il documento che indicava, sotto il Regno di Guglielmo I, la leva generale che il re normanno poteva pretendere dai propri feudatari in caso di guerra; Stiffe, allora conosciuta con il nome di Stissam, aveva l'obbligo di fornire tre militi. Pur tuttavia, già prima di allora, il toponimo Stiffe indicava un agglomerato di case sparse che, con il tempo, andrà a coagularsi in castrum, per poi, con l'incastellamento risalente al Mille, divenire un vero e proprio borgo fortificato; e, d'altra parte, tale evoluzione viene confermata dalla presenza della Chiesa di Sant'Andrea, una pieve fuori delle mura che faceva da ritrovo sociale nei centri prima del Mille e che poi verrà soppiantata dal Castello, di cui restano solo i ruderi. Nei secoli successivi Stiffe partecipò, quasi sicuramente, alla fondazione della città di L'Aquila, come testimonia la presenza di una Chiesa di Sant'Andrea all'interno delle mura del capoluogo, caratteristica, appunto, dei paesi che crearono la città territorio aquilana. Ritroviamo Stiffe in un documento ufficiale nel 1267, sotto il Re Carlo I d'Angiò, quando viene menzionata negli atti relativi all'esazione imposta da Ponzio di Villanova; essa ha il nome di Stiphia e viene tassata, unitamente alla città di L'Aquila, per 9 once d'oro. Dopo circa trent'anni, nel 1294, la nostra Stiffium ricompare nel Diploma di Carlo II d'Angiò, rilasciato forse per intercessione di Celestino V, il papa che "fece per viltade il gran rifiuto" ...» - «A Stiffe, nascosti tra la vegetazione, vi sono i ruderi del castello che costituisce, insieme alle due chiese di Sant’Andrea e Santa Balbina, l’unica testimonianza dell’antico passato».
http://www.grottestiffe.it/storia.htm - http://turismo.egov.regione.abruzzo.it/web/guest/scoprilabruzzo/arteestoria/castellietorri/aquila/sandemetriostiffe
«Sulmona sorge su un pianoro, a circa 350 m di altitudine, nella parte più meridionale dell’ampia Conca Peligna, nel Centro Abruzzo. Ha caratteristiche di cittadina tranquilla che consente lo svolgersi di una vita sana, data anche la facile raggiungibilità delle numerose zone adibite a parco e ad aree verdi che la circondano. è sede di tribunale e di diocesi vescovile. Si presenta con estensione longitudinale secondo un asse nord/sud, lambito ai fianchi da due fiumi, il Gizio ed il Vella, che col loro tracciato ne hanno contenuto a lungo l’espansione ad est e a ovest. Dal punto di vista urbanistico Sulmona è la risultante strutturale di una ricca congerie di stili susseguitisi nei secoli e per lungo tempo sempre all’interno dell’antico impianto, non oltre gli ostacoli naturali dei due corsi d’acqua, travalicati solo con piccole borgate fuori mura, prevalentemente rurali. Sono del tutto visibili, ancora oggi nella pianta urbana, le tracce del più antico assetto viario di origine romana, secondo un reticolo perpendicolare che si sviluppa dal cardo e dai due decumani, confinato entro una prima cerchia muraria; le successive direttrici di espansione, d’epoca angioina sono tipicamente medioevali, più curvilinee e caratterizzate da agglomerati a schiera piuttosto fitti (abitazioni di artigiani), con vicoli e angiporti, piccoli slarghi e piazzette, il tutto racchiuso entro la seconda cinta, a completamento di quelle aree inizialmente inurbate dai soli monasteri. Il Rinascimento e in seguito il gusto architettonico del Seicento, del Sette e dell’Ottocento, hanno costituito integrazione al preesistente, con edilizia a varia tipologia, tipica di una cittadina del centro Italia ad economia fiorente: alti palazzi signorili con i locali sottostanti spesso adibiti a negozi, case a schiera su due o tre piani, più modeste abitazioni con fienile o stalla nella parte bassa.
Nel corso dei secoli la città si è via via arricchita di notevoli elementi infrastrutturali, come gli ospedali, le chiese, l’acquedotto, le fontane, le porte di accesso, i mulini e le cartiere lungo i fiumi, e di elementi urbanistici quali le tre grandi piazze, una delle quali, Piazza Garibaldi, è da sempre centro nodale dell’economia e della socialità cittadine. A tutto ciò si aggiunsero il teatro comunale e vari cinema, sintomo di una ricca vita culturale, cui faceva da sostegno l’attività delle stamperie. Solo in epoca recente Sulmona ha finalmente scavalcato l’ostacolo fluviale a est, ed anche in virtù dell’agevole ponte costruito da Morandi negli anni sessanta, ha finalmente esteso il suo sviluppo abitativo e costruttivo in tutta la vasta campagna che da quel lato si prestava all’urbanizzazione massiccia di quegli anni. Sicché un’edilizia tipicamente moderna, gradevole e curata nei particolari, caratterizza gran parte di quell’ampia zona. Va sottolineato che a causa dell’alta sismicità del luogo, le costruzioni non superano le altezze imposte dalla relativa normativa vigente, in modo tale che Sulmona si presenta all’occhio che la guardi nella sua verticalità, come un coerente agglomerato, compatto e che non nasconde mai il notevole panorama dei monti che la circondano. Svetta, senz’altro, con i suoi 65 metri di altezza, il campanile della SS. Annunziata, nel cuore del centro storico, ammirevole reduce di tutti i catastrofici terremoti che purtroppo si abbatterono in queste zone».
http://www.comune.sulmona.aq.it/la-citta.html
Sulmona (porte Bonomini, Molina, Romana, Santa Maria della Tomba)
«Lungo l'asse viario inquadrato da questa porta [porta Saccoccia] ve n'è una seconda, Porta Molina, accesso secondario già presente nella cinta muraria altomedievale, che si presenta oggi in strutture di epoca molto tarda, con arco in pietra a tutto sesto preceduto all'interno da una volta a botte di maggiore altezza e ante ancora in situ. Utilizzando questo passaggio e percorrendo in discesa la rampa di accesso si ritorna sulla circonvallazione occidentale, dove poco oltre si incontra Porta Sant'Antonio, con arco ogivale poi ribassato da una lunetta affrescata sul lato interno con l'immagine del Santo di Padova. La parte superiore fu adibita forse nel '700 ad abitazione privata, come testimonia lo stemma con tre melegrane che la famiglia Granata appose sul vertice dell'arco esterno; questa porta sostituì nella funzione la soprastante Porta Filiamabili, anch’essa a sento acuto, posta sulla sommità di una ripida rampa a chiusura dell’abitato antico. Non lontano sorge Porta Santa Maria della Tomba che deriva il nome dalla vicina chiesa, attorno alla quale all'inizio del Trecento si venne formando l'omonimo borgo. Le attuali strutture della porta sono secentesche: l'apertura ad arco è stata successivamente chiusa da una lunetta affrescata sul lato interno con una Deposizione, che la volta a botte su cui poggia il piano superiore immerge nella penombra. Percorso l’ultimo tratto della circonvallazione occidentale si ritorna a Porta Napoli, completando così il circuito delle mura» - «La porta [Romana] è costruita sul tracciato della via Numicia, che, attraversando Sulmona, giungeva fino a Campo di Giove. E’ ad arco semicircolare e di una architettura semplicissima. A destra è lo stemma di Sulmona; a sinistra altro stemma, forse quello di Meo, contornato da un nastro, sul quale si legge la data: A.D. MCCCCXXVIII”. Ivi passa il confine tra il Sestiere Porta Bonomini e Porta S. Panfilo. ... Porta Bonomini: originariamente porta Jahannis bonorum hominum da un'illustre famiglia vissuta intorno al 1000 e della quale nessun autore parla. è citata già in documenti del 1194. è il monumento che dà il nome al Sestiere».
http://www.comunitamontanapeligna.it/area_informativa/da_vedere/centri_medioevali/sulmona/page_3.htm
http://www.sestierebonomini.com/web/le-porte/2.html - Altre porte della città: http://www.arc.it/comuni/sulmona
«...Raggiungiamo quindi Porta Napoli la più monumentale delle porte pertinenti alla cinta muraria tardoduecentesca, di cui è documentata l'esistenza col nome di Porta Nova già nel 1338, anno di costruzione sulla parte sinistra del prospetto interno di un altare a protezione della città, dedicato alla Madonna della Pace, di cui sono ancora visibili alcuni frammenti di decorazione ad affresco, nonché un archetto ogivale con cornice a palmette e un piccolo rilievo con Agnus Dei. Alla fine dell'Ottocento al di sotto di questi resti è stata posta, incorniciata da volute, un'immagine della Madonna della Pace eseguita nel 1821. Completa la decorazione della semplice facciata interna una finestra rettangolare al piano superiore, con piedritti decorati da girali di tralci di vite. La porta ha una struttura a pianta rettangolare e doppio fornice, con sistema di chiusura a saracinesca, come denuncia la scanalatura che corre lungo i due piedritti e il profilo interno dell'arco. Il passaggio è coperto da una volta a crociera costolonata cui si sovrappone l'alloggio del corpo di guardia. Perduta è l'originaria merlatura di coronamento. Ben più imponente è la facciata esterna, in pietra calcarea dalla calda tonalità. Il parametro a bugnato rustico della zona inferiore si appiattisce progressivamente verso l'alto, parallelamente la decorazione a rosette dei blocchi, in rilievo, diventa ad incavo nel passaggio da superficie liscia; il medesimo motivo decorativo si ritrova lungo la cornice marcapiano e nei piedritti e nell'arco acuto del finestrone superiore, interrotto solo dalle mensole d'imposta, due frammenti a rilievo di epoca romana raffiguranti una scena di caccia a sinistra e una di sacrificio a destra. Fino allo scorcio dell'Ottocento la porta era affiancata da tratti di mura, pienamente inserita quindi nel tessuto della cinta urbana medievale che, sorta verso la fine dei Duecento per inglobare i nuovi borghi nati a ridosso delle mura altomedievali, ricalcava lungo i lati ovest ed est il perimetro già di età romana - difeso naturalmente dai due corsi d'acqua Gizio e Vella - ampliandosi invece nelle due sole direzioni possibili, ossia a nord e a sud. Nel '400 furono aggiunte alla cortina muraria torri a scarpata quadrangolari e un torrione circolare».
http://www.comunitamontanapeligna.it/area_informativa/da_vedere/centri_medioevali/sulmona/page_2.htm
«Partendo da Porta Napoli, che segna l'estrema propaggine meridionale della cinta urbana, è possibile compiere un itinerario lungo le mura percorrendo le due vie di circonvallazione: l'orientale e poi l'occidentale. Incontriamo per prima Porta Saccoccia di epoca incerta, oggi costituita da elementi molto semplici riferibili al XVIII secolo. Seguendo il tracciato delle mura, abbastanza ben conservato, arriviamo a Porta Pacentrana, accesso principale al borgo omonimo. L'arco ogivale in pietra ha in chiave uno stemma scalpellato e la facciata esterna, intonacata, è dipinta con un motivo geometrico ad effetto tridimensionale dai toni rossastri. Il piano superiore, poggiante su una volta a botte e destinato in origine a Sala d'Armi, è oggi incorporato in fabbricati privati. Varcando questo ingresso percorriamo via Dorrucci, al termine della quale si innesta sulla destra, in forte pendenza, via Marselli, un tempo rampa di accesso alla più ristretta città altomedievale attraverso Porta Manaresca, di cui un residuale accenno di arcata è visibile sul cantonale del cinquecentesco Palazzo Sardi, alla sommità del pendio. Imbocchiamo ai piedi della salita, sulla destra, via Federico II per ritornare sulla circonvallazione orientale dove, dopo un tratto abbastanza rettilineo, si giunge in prossimità della rampa di accesso a Porta Japasseri Già inserita nella primitiva cinta, mantenne la propria funzione anche dopo la costruzione delle mura tardo-duecentesche; ne restano oggi solo i piedritti, mentre è ben conservata la cortina muraria, che disegna un'ampia curva in cui si inserisce una torre cilindrica. Al termine della circonvallazione si giunge in piazzale Carlo Tresca, dove sorge il monumento ai Caduti; da qui sul lato opposto ha inizio la discesa di via Porta Romana, che conduce all'omonima porta. Posta lungo il lato occidentale delle mura, con arco a tutto sesto, si ricollega alla tipologia dell'arco trionfale romano nelle proporzioni e nell'ampiezza dei pilastri laterali. Le sue forme attuali sono datate al 1429, come si legge sullo stemma a sinistra dell'arco romanico, cui corrisponde sull'altro lato quello cittadino contraddistinto dalle lettere SMPE, iniziali del verso ovidiano Sulmo mihi patria est. A destra la porta si raccorda per mezzo di una rampa a Porta Bonomini, l'apertura nord occidentale dell'antica cinta, di cui si conservano i piedritti, ricostruita dopo il sisma del 1706».
http://www.comunitamontanapeligna.it/area_informativa/da_vedere/centri_medioevali/sulmona/page_2.htm
«Senz'altro la perla del
patrimonio artistico tagliacozzano, anche se decenni di incuria e di
sciagurati interventi di ristrutturazione ne hanno compromesso l'integrità,
ne si può dire, ancora oggi, che il calvario del monumento sia finito. La
fondazione, gli ampliamenti e gli interventi decorativi del complesso
spettano tutti alla famiglia Orsini. Il palazzo risulta già costruito ed
agibile agli inizi del XIV secolo, come si evince da un contratto -
conservato in copia presso l'Archivio di Stato di Roma - in data 20 aprile
1336, rogato appunto da Orso Orsini nel palazzo stesso. Il suo aspetto
doveva tuttavia essere ben diverso dall'attuale: limitato al solo primo
piano, esso doveva presentare in basso un portico aperto (lì dove ora sono
gli scantinati) secondo un tipo non diffusissimo ma abbastanza ricorrente
nei palazzi pubblici dell'Italia centrale. Le finestre di questo primo piano
sono bifore rettangolari, ma è evidente che le due di sinistra - dalle
colonnine poligonali e dai motivi decorativi nervosi, con profili angolosi e
taglienti - sono senz'altro diverse come stile e come gusto e più antiche
delle due bifore di destra, più semplici ed arrotondate nelle colonnine e
negli spigoli. Il motivo decorativo delle seconde (una semplice
dentellatura) è poi identico a quello del portale principale, per cui si
possono attribuire ad uno stesso artista. E siccome un motivo analogo si
riscontra nel portale di S. Cosma, non è troppo azzardato ipotizzare anche
in questi elementi di Palazzo Ducale l'intervento del de Biasca. Altri
elementi gotici o tardo-gotici si riscontrano sparsi all'esterno (la mensola
angolare su via Romana) o all'interno (portali, capitelli, cornici,
mensole).
L'ulteriore fase costruttiva si colloca nella seconda metà del '400, sotto
l'illuminato e splendido conte Roberto Orsini. Fu cosi innalzato il secondo
piano, che rese indispensabile la costruzione del grosso muro a scarpa per
ovviare alla insufficienza delle strutture di sostegno del primo piano. Il
palazzo crebbe anche in superficie, diramandosi al di fuori del blocco
originario con l'ala detta Corsia (alloggio per la guarnigione) ed
inglobando nuovi spazi aperti usati come cortili. Il portale d'ingresso al
cortile principale (coperto da una tettoia) è stato rimaneggiato in parte
quando i Colonna fecero asportare il motto e lo stemma degli Orsini,
sostituendoli con i propri: una sirena bicaudata (simbolo della Fortuna) ed
una colonna lievemente inclinata e l'iscrizione (con riferimento a questa
colonna): RECTA EST OBLIQUAM NON
TIMET INVIDIA. Le finestre del secondo piano sono tutte di gusto
prettamente rinascimentale, con archi a pieno sesto e decorazioni di grande
finezza e maestria: candelabre e festoni, formelle, cherubini e panoplie per
le quattro che affacciano su via del Teatro. Circa la paternità dell'impresa
- su cui qualche dubbio è stato pur avanzato - non vi può essere incertezza
alcuna, se si osservano gli stemmi Orsini inseriti nelle formelle sugli
stipiti delle due finestre sulla sinistra. Nel cortile d'onore, oltre a due
finestre con analoghi motivi decorativi, da notare la Finestra dei
Guerrieri, con due soldati in armatura sugli stipiti e due elmi piumati
nell'arco, evidenti richiami al mestiere di condottiero di Roberto Orsini.
Gli stemmi sugli scudi e quello nella chiave dell'arco (tenuto di due angeli
- putti di classica ispirazione) furono scalpellati (come quasi tutti gli
altri) dai Colonna. Altre splendide finestre si possono vedere nell'altro
cortile e sul prospetto a valle della Corsia, dov'e anche un elegante
balcone dal parapetto a cerchi intrecciati. Il portale d'ingresso e la rampa
di scale che porta al secondo piano sono del XVIII secolo. Al primo piano,
la prima stanza era decorata con grandi monumenti equestri ad affresco, oggi
purtroppo scomparsi. ...».
http://www.tagliacozzo.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=33 (a cura del prof. Fernando Pasqualone)
Tagliacozzo (ruderi del castello, mura)
«Probabilmente il castello fu edificato già nell'XI secolo. La sua presenza era infatti indispensabile per proteggere il paese che si sviluppava proprio al di sotto delle pareti a strapiombo del monte Civita, un luogo che per la sua stessa posizione strategica non poteva essere lasciato incustodito. Tuttavia alcuni ruderi ancora visibili consentono di ipotizzare che sul posto sorgesse già una fortificazione (ocre) equa. Solo impropriamente si poteva definire un castello, essendo piuttosto una fortificazione a cui si collegava la cinta muraria che, scendendo a valle, chiudeva l'abitato in una specie di sacca difensiva. Il nucleo e costituito da una costruzione quadrangolare orientata ad ovest, con torrioni angolari, mura a scarpa e corte interna scoperta. Ad essa si attaccava una costruzione più bassa che racchiudeva un grande spazio, una sorta di piazza d'armi, estesa fino al ciglio del burrone. Strutture murarie minori orientate a sud-est scendevano sulle balze rocciose verso la chiesa del Soccorso, per bloccare qualsiasi tentativo di penetrazione, mentre a nord-est iniziava il muro che scendeva a valle.
Più volte rimaneggiato ed ampliato, il castello cadde in disuso con il progredire della tecnica militare, e alla fine del XVII secolo doveva essere già in rovina, come del resto il paese e la chiesa di S. Cecilia, che erano sorti attorno ad esso. Il rimanente fu completamente inglobato nelle case e palazzi privati che sorsero lungo il suo perimetro, nel quale si aprono ancora le cinque porte: quella Romana di fronte alla chiesa del Soccorso; quella Valeria all'estremità opposta (che conserva ancora il nome dell'antica via romana); quella di S. Rocco (o Pulcina) a fianco del Palazzo Ducale e dalla quale partiva l'ampliamento realizzato alla fine del Trecento da Ladislao di Durazzo; la Porta da' Piedi, come dovrebbe chiamarsi correttamente, sia perché questa e la denominazione più antica, radicata nel dialetto stesso (Porta Pee) e quella che meglio esemplifica la sua collocazione nella parte bassa del paese, sia perché l'attuale denominazione di Porta dei Marsi fa riferimento ad una tradizione culturale ed etnografica estranea al paese, in epoca proto-storica appartenente alla nazione equa; infine Porta Corazza, dalla parte del fiume Imele. Dal castello guardando verso ovest si vede benissimo l'altro castello di Tremonti, verso nord-est quello di S. Donato: un efficace sistema di segnalazioni visive consentiva di trasmettere velocemente messaggi da una fortificazione all'altra lungo tutta la linea del confine tra Regno di Napoli e Stato della Chiesa. Alla fine del XIV secolo la cinta muraria fu ampliata sviluppandola verso il basso, per volere di Ladislao di Durazzo, all'epoca delle guerre tra angioini e durazzeschi per la successione sul trono di Napoli. Logicamente l'ampliamento si era reso indispensabile per inglobare nella cinta difensiva la parte del paese cresciuta al di fuori del vecchio perimetro, raddoppiando in pratica la grandezza del centro abitato».
http://www.tagliacozzo.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=31 (a cura del prof. Fernando Pasqualone)
redazionale
redazionale
Tremonti (rovine del castello)
«Tremonti si erge sulla cima di un picco che è situato tra le giogaie del monte Bove. La sua posizione elevata, ben 1064 metri, gli offre una buona visuale panoramica dei paesi della vallata sottostante, questa caratteristica gli ha permesso fin dall’antichità una buona posizione strategica e di dominio. Tutto ciò va visto in funzione della sua collocazione geografica di vicinanza estrema al confine di un territorio che, attualmente, divide la regione Abruzzo da quella del Lazio, ma, già in passato, questo piccolo borgo, segnava il confine dapprima tra Marsi ed Equi, poi ha diviso il Regno di Napoli dallo Stato della Chiesa. Anticamente sembra che il paese di Tremonti fosse costruito nelle estreme vicinanze del fortino che domina il picco (1123 metri ) mentre l’attuale centro abitato è situato più in basso. Sull’origine di questo paese, sul suo castello e sul suo nome, sono state avanzate varie ipotesi; una di queste è, quella secondo la quale l’agglomerato ebbe origine da una disfatta dei Goti, i quali sconfitti da Narsete presso Nocera Pagani ed inseguiti dai Marsi e dai Peligni vennero da questi raggiunti e totalmente disfatti in questo luogo "inter montes" (tra i monti, oggi Tremonti). Anno 553 circa. Un ulteriore ipotesi formulata afferma che questo antico castello, sia stato edificato come luogo di difesa contro il popolo degli Equi. Si pensa anche che, questo popolo insediatosi nel carseolano, eresse, tale rocca a difesa dei propri confini. Lo storico Muzio Febonio scrive che il castello di Tremonti veniva governato da cinque feudatari; quindi lo sappiamo dimora di un feroce barone ghibellino Ghino, il quale contro Carlo d'Angiò, si schierò con Corradino di Svevia nella battaglia che ne seguì (battaglia di Tagliacozzo o meglio di Scurcola). In seguito, questo piccolo villaggio: fu tenuto da dei monaci che avevano un monastero nelle sue vicinanze, non si sa se fossero, tali monaci, basiliani o benedettini. Nel 1239 Tremonti passò nelle mani di Gaino o Tudino Del Ponte. I Del Ponte, feudatari marsicani, furono bene accetti al re Carlo I, che si era rafforzato nel possesso del regno dopo la morte di Corradino. Questa famiglia fu in origine feudataria nello Stato della Chiesa (possedette il contado di Terni), si imparentò con la famiglia dei gran Conti dei Marsi. Si pensa che Francesco Del Ponte ebbe l'investitura in feudo nobile di Tremonti (tributo annuo di 40 once d'oro corrispondente al servizio annuo di due soldati) e di Roccacerro. Questa famiglia scompare intorno al 1340 e i loro feudi passarono in mano della famiglia Orsini. Tremonti seguì poi le vicende della Contea dei Marsi e del ducato di Tagliacozzo. ...».
http://xoomer.virgilio.it/tremonti.it/storia.html (dalla tesi di laurea di Antonella Fantauzzi)
redazionale
redazionale
Villa Santa Lucia degli Abruzzi (Castelluccio)
«Villa Santa Lucia degli Abruzzi è un comune di 206 abitanti della provincia dell'Aquila. Centro climatico e ottima base di partenza per escursioni di alta montagna (la cima del Monte Cappucciata con i suoi 1.801 m s.l.m. sovrasta il centro abitato) e per interessanti itinerari (monte Cannatina dal quale è possibile scorgere l'intera vallata del Pescara ed il territorio del chietino, con la possibilità, in ottimali condizioni meteorologiche, di avere un'incantevole vista del mare Adriatico). Meta turistica soprattutto estiva. Ubicato nel Parco Nazionale del Gran Sasso e posizionato alle pendici meridionali della catena del Gran Sasso, Villa Santa Lucia degli Abruzzi domina la sottostante valle del fiume Tirino. Circondato da un bosco di querce e di faggi, a breve distanza si trova l'area fortificata alto-medievale detta il "Castelluccio", primitivo nucleo d'insediamento della popolazione. Le origini dell'insediamento vengono fatte risalire al periodo italico, quando il centro sarebbe stato sotto il dominio di Aufinum, da cui il nome di "Aufina cis Montani". In precedenza frazione di Ofena, è divenuto comune nel 1910. L'attuale impianto architettonico del centro abitato, di formazione medievale, è quello del borgo privo di fortificazioni. Tipico centro pastorale e agricolo con produzione di olio e vino e coltivazione del grano. Anticamente, produttore di carbone vegetale. Da visitare le chiese del centro (S. Rocco e S. Lucia) ed il palazzetto della famiglia Mattozza. Interessante è la chiesa rurale di S. Maria delle Vicenne (X secolo), posta a circa 1000 metri di altezza, lungo un antico percorso che dalla Valle Tritana, passando per il paese, ed in particolare per l'abitato medievale di Rantino, scavalcava la dorsale montana per penetrare nell'Altopiano del Voltigno, punto di confine con la provincia di Pescara. Nella vicina frazione di Carrufo, antica "Castrum Rufi" le cui origini risalgono all'850 d.C., da visitare la chiesa San Carlo Borromeo e la chiesa diroccata della Madonna della Pietà situata fuori dal centro abitato in località Colle Venatorio dove sorgeva il primitivo nucleo poi trasferitosi nell'attuale ubicazione. Piccolo borgo, conserva gran parte del centro storico medievale. Carrufo, che oggi conta appena una quarantina di abitanti residenti, si ripopola prevalentemente nel periodo estivo» - «Fuori dall’abitato, in un bosco, sorge il Castelluccio. Si tratta di un’antica fortificazione altomedievale, che fu l’originario insediamento urbano del paese, di cui non si conosce la datazione precisa».
http://www.piccolagrandeitalia.it/comuni/villa-santa-lucia-degli-abruzzi - http://turismo.egov.regione.abruzzo.it/web...
«La rocca è sita nel centro storico di Villalago in provincia dell'Aquila. Probabilmente è di origine longobarda. Fu anche utilizzata come prigione. Costruita in posizione strategica su di un colle prospiciente sulla Valle del Sagittario aveva la funzione di difesa e di avvistamento. Attualmente in alcuni interni della rocca vi è il museo delle arti e tradizioni popolari di Villalago. Strutturalmente constava di mura difensive e di un torrione-mastio cilindrico d'avvistamento alto una decina-dozzina di metri dotato di merlatura costruiti in stile romanico. Le mura difensive sono state parzialmente sostituite da case civili, oggi rimane il torrione-mastio in buono stato di conservazione».
http://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Villalago
«Si tratta di un torrione cilindrico situato in una felice posizione panoramica sulla Valle del Sagittario e il lago di S.Domenico. Villalago sorse nel secolo XI, con l’aggregazione di piccoli agglomerati rurali che precedentemente vivevano sparsi in zone più adatte all’agricoltura. Questo fenomeno urbanistico-territoriale, chiamato appunto “incastellamento”, ha modificato radicalmente l’assetto insediativo di queste terre nel passaggio tra il primo ed il secondo millenio, dando luogo a piccoli borghi d’altura fortificati in luoghi naturalmente idonei alla difesa dalle aggressioni esterne. Dunque il sito del nuovo abitato fu scelto strategicamante sulla cresta di un colle a dominio dell’Alta Valle del Sagittario, allora denominata Valle di Flaturno, espressione che designava l’intero comprensorio tra Scanno e Cocullo. Fulcro di questo primitivo nucleo di Villalago è il “Torrione”, un’antica torre cilindrica troneggiante che ebbe la funzione di difesa e di avvistamento, oltre che di prigione, risalente all’epoca dell’occupazione longobarda».
http://www.comune.villalago.aq.it/borgo/monumenti/torre_medievale.htm
Villavallelonga (Rocca di Cerro)
«Il nucleo originario dell’abitato di Villavallelonga è stato edificato al centro della Vallelonga, la medioevale Valle “Trans Aquas”, al di là delle acque (del Fucino). Precisamente, sulla sommità di una scaglia etrusca che alle falde del Monte Cerri ha formato il Colle Quaresima. Dal punto di altitudine più elevato (m. 1005), denominato la Villa, che è il centro storico del paese, si può godere una magnifica veduta di tutta la Valle, percorsa dal fossato di Rosa (già torrente Carnello), che scende dal Parco Nazionale e si immette nella piana del Fucino. La Valle prende il nome dalle lunghe montagne (anticamente “La Longagna” e poi “Serra Lunga”) che la delimitano, mentre, a fondovalle, è stata sbarrata dalle acque del Lago del Fucino, fino al prosciugamento definitivo del 1875. In questo isolamento plurisecolare, dato dalla chiostra dei monti e dal lago a valle, si è svolta la storia di questo Paese d’Italia, che ha rischiato di rimanere segreta nelle sue origini medioevali, per aver avuto almeno due precedenti e diverse denominazioni: Rocca di Cerro e Villa Collelongo, ed ora, appunto, Villavallelonga. Al di là dei significati originali e reconditi che possono attribuirsi a questi importanti cambiamenti dei nomi, la conoscenza della loro successione cronologica è assolutamente necessaria, per evitare che restino segrete o sconosciute le fonti che si riferiscono alle prime due denominazioni. Il nucleo originario dell’abitato è stato in epoca medioevale denominato “Rocca di Cerro”, traendo la sua qualificazione da un magnifico esemplare di Quercus Cerris che è assai rappresentato nella flora locale (Monte Cerri).
L’esistenza della “Rocca” ancora raffigurata nello stemma del Comune di Villavallelonga, si trova attestata nelle fonti meridionali della storia civile e religiosa fino al XV secolo. Sull’origine antica è solo possibile ipotizzare che dopo la caduta dell’Impero Romano d’ Occidente (476 d.C.), al momento in cui inizia il periodo delle invasioni barbariche, le genti della Valle sono state costrette a rifugiarsi sulle asperità dei monti, dando vita ai numerosi castelli della valle, che, successivamente, si sono riuniti ed hanno costruito i propri abitati in luoghi più vicini ai campi da coltivare, ma egualmente sicuri, difesi da torri e da cinte murarie, soprattutto il periodo delle incursioni dei Saraceni intorno alla metà del X secolo. In questo quadro di esigenze ed in questo contesto di fatti e avvenimenti, riteniamo abbia avuto origine la nostra “Rocca”. La prima fonte civile, che ci attesta la sua esistenza, risale al 1150, quando fu compilato il Catalogo dei Baroni, un registro della straordinaria forza che i Normanni arruolarono per la difesa del Regno. Fra i castelli della “Valle dei Marsi” vengono indicati la Rocca di Cerro che insieme a Collelongo costituiva un feudo obbligato ad arruolare quattro soldati con armigeri e cavalli, per la difesa del Regno. Il numero dei soldati rappresentava un parametro di valore dei castelli e un indicatore del loro popolamento, così possiamo sapere che, all’inizio del secondo millennio, nella Rocca di Cerro e in Collelongo, vivevano un centinaio di capifamiglia (allora “capifuoco”), con una popolazione di circa 500 persone. Nel succedersi delle dominazioni e dopo un breve interregno della Casa Sveva, subentrano gli Angioini che nel 1273 dividono l’Abruzzo in due Giustizierati (ultra e citra flumen Piscariae) e compilano un elenco di terre dell’Abruzzo Ultra, tra cui ritroviamo “Rocca de Cerro et collis longus”. Nel 1445, con l’inizio della dominazione aragonese viene compilato analogo elenco per la riscossione delle tasse sui Baroni e di nuovo, per il pagamento delle collette, vengono annotate le terre di Collelongo con la Rocca: “Collis longus cum Rocca de Arce”. In aggiunta a queste fonti civili, anche il Febonio, nella sua descrizione storico-geografica del territorio Marsicano, ci parla della fortezza di Rocca di Cerro dopo Collelongo (“oppidum Arcis Cerri post Colle longum”), in armonia con le fonti religiose. ...».
http://www.terremarsicane.it/cartografia/borghi-rurali (a c. del prof. Leucio Palozzi)
Vittorito (torre, resti del castello)
«Ruderi della Torre del castello spiccano sul moderno abitato, mentre ben poco resta del borgo fortificato dugentesco. Sappiamo che il Castello di Bectorita esisteva già prima dell'anno 1076 essendo ricordato nel Chronicon Casauriense, quindi possiamo pensare ad una fondazione longobarda, tanto più che la torre doveva essere a puntone come quella di Pettorano, ed occupare il vertice di un castello recinto di pendio, quindi di pianta triangolare. Era finalizzata all'avvistamento e alla difesa, come le torri dei castelli vicini di Popoli e di Roccacasale, con le quali era collegata otticamente. Possiamo supporre, per analogia con i vicini centri abitati, che anche Vittorito fosse successivamente fortificato: si distingue ancora una cortina di caseggiati, che potrebbero appartenere al versante del castro, nella quale si apre un passaggio voltato denominato "Porta da piedi", ma potrebbe trattarsi anche di una residenza nobiliare, munita di strutture difensive nei secoli XIII-XIV».
http://www.comunitamontanapeligna.it/area_informativa/da_vedere/centri_medioevali/vittorito/home.asp
©2014 ss.