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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI ANCONA
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
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Agugliano (resti del castello)
«La prima notizia su Agugliano si trova in una bolla de1 papa Alessandro II datata 26 dicembre 1062, nella quale è citata la Ecclesia S. Mariae de Auguliano. Per secoli suddita di Ancona, per la sua fedeltà subì rappresaglie e rovine da quelle milizie che, non potendo occupare Ancona, sfogarono la loro ira sui castelli del suo contado. Fu Comune autonomo con propri Statuti (la cui parte più antica è datata 1390) omologati nel 1565 da san Carlo Borromeo, all’epoca governatore di Ancona. Il castello. La prima testimonianza del castrum Agulliani risale al 1356, quando è elencato nella Descriptio Marchiae del Cardinale Albornoz. Nel corso dei secoli ha subito rimaneggiamenti tali che le antiche emergenze sono state distrutte o modificate in maniera irreversibile. Ciononostante l’antico perimetro murario è tuttora individuabile grazie anche all’ausilio di una mappa ottocentesca che ci mostra un circuito ad andamento irregolarmente poligonale» - «Fino al 1500 il castello di Agugliano non risulta essere tra i più importanti dell’anconetano, ma l’inversione di tendenza si ebbe nella seconda metà del 1500 grazie a Berardo di Matteo Bongiovanni, parroco di Agugliano dal 1540 (?) al 1566 ed alla sua amicizia con San Carlo Borromeo che emanò alcuni provvedimenti di carattere finanziario a favore di Agugliano. Il Bongiovanni era anche Vescovo di Camerino e soprattutto un teologo famoso, tanto da essere invitato al Concilio di Trento dove conobbe San Carlo e ne furono entrambi animatori».
http://www.musan.it/layout/musei/allegati/Agugliano_Camerata%20Picena%2014_07_07.pdf - http://www.comune.agugliano.an.it...
Ancona (bastione di San Paolo, forte dei Cappuccini)
«La sommità del Colle dei Cappuccini è ancora bordata dalle mura cinquecentesche della città, che si articolano in due tratti rettilinei (cortine) e nel Bastione di San Paolo. Al suo interno è ancora oggi visitabile (su prenotazione) una rete di sotterranei caratterizzati da ambienti ampi con elementi architettonici di grande interesse storico: casematte, corridoi d'ascolto, sfiatatoi, feritoie, troniere, posterule. L'uso decorativo del mattone faccia a vista con modanature e cornici rende il complesso ipogeo ancor più interessante. .... Grande interesse nei francesi suscitò anche l'area attualmente occupata dai due fari. La sommità del colle dei Cappuccini fu così trasformata in fortezza, sfruttando la preesistente cinta muraria cittadina del Cinquecento e fortificando i terrazzamenti posti tra il colle ed il centro abitato, per cui si ottenne un'efficace retroguardia rispetto al Cardeto, dotata di due bastioni. Attualmente è oggetto di un ampio lavoro di recupero».
https://it.wikipedia.org/wiki/Parco_del_Cardeto#Testimonianze_storiche
a cura di Fabio Mariano
«Situato sul monte Cardeto, a 150 metri dal livello del mare, il suo nome deriva dal fitonimo, infatti i cardi sono piuttosto diffusi su tutta l'altura. Il nome Gardetto, visibile in alcune mappe, è di discendenza francese, ma oggi in disuso. L'importanza del monte Cardeto fu sottolineata dallo stesso Napoleone nella sua visita alla città nel 1797; due anni più tardi il gen. Monnier in vista dell'attacco delle truppe austriache e dei suoi alleati, fece fortificare il monte ed affidò il comando dell'opera al valoroso gen. Pino. Il Cardeto durante l'assedio fu difeso bravamente nonostante i reiterati attacchi portatigli dal gen. La Hoz (vedi biografia), che sulle alture circostanti perse la vita. Successivamente, durante il Regno Italico Napoleonico, il forte fu potenziato, ma i lavori non assunsero mai un ritmo serrato, né una definizione concreta. Nel 1860, quando le truppe italiane-piemontesi del gen. Cialdini si dirigevano verso Ancona per annetterla al nascendo Regno d'Italia, il forte Cardeto divenne chiave della difesa pontificia dalla parte di terra; logico quindi che l'amm. piemontese Persano desse manforte alle truppe di terra col battere dal mare quella importante posizione. Nella nuova organizzazione della Piazzaforte di I classe, il Forte Cardeto viene collegato alla lunetta Santo Stefano da una nuova cinta muraria, che scendeva dal forte verso piazza Cavour (dove si apriva Porta Cavour) per poi risalire verso le alture del Pincio. Praticamente conserva l'andamento della fortificazione napoleonica, ad eccezione del dente (o rivellino) in terra proprio di fronte al forte, oggi abbandonato e non più visibile. Il tracciato è rappresentato da un fronte bastionato nel quale i due bastioni non sono completi: di entrambi esistono solo i fianchi interni ed una faccia. Il bastione di destra ha però dopo il saliente una cinta irregolare in muratura, che scende rapidamente in direzione caserma Villarey. Le facce sono lunghe rispettivamente m. 55 e m. 75; i due fianchi sono lunghi m. 35 ciascuno. La cortina ha uno sviluppo di m. 125. La scarpa è parte in terra, parte rivestita di muratura. Innanzi alla cortina centrale vi era una specie di tenaglia, alle spalle del rivellino abbandonato. La controscarpa è solamente in parte rivestita di muratura; una galleria di controscarpa con 14 casamatte era costruita sul fianco destro a difesa del fossato e del rovescio del muro, adattato alla Carnot, che protegge il lato ovest del forte. Nel fronte di gola vi sono due magazzini della superficie di mq. 490 circa ed un corpo di guardia; vi è pure un piccolo ripostiglio alla prova. Non esistono ricoveri. Il forte Cardeto è quasi interamente parte dell'attuale Parco comunale del Cardeto. ...».
Ancona (Mole Vanvitelliana o Lazzaretto)
«Struttura architettonica dotata di grande solidità, la Mole Vanvitelliana si presenta tutt’ora nella classica forma pentagonale. Luigi Vanvitelli dopo aver compiuto un viaggio di perlustrazione in Italia, iniziò, nel 1733, a lavorare sul progetto anconetano, dotandolo di valenze architettoniche e urbanistiche particolarmente innovative. La funzione militare dell’edificio è testimoniata ancora oggi dalla presenza del rivellino, dall’altezza dal muro di cinta, dalle feritoie. Nello stesso tempo il Lazzaretto è una sorta di isola-città, quasi un modello autosufficiente di cittadella tardo-rinascimentale, capace di alloggiare fino a duemila persone, contenere decine di migliaia di metri cubi di merci, riservare centinaia di migliaia di litri d’acqua grazie a un sistema sofisticato di raccolta delle acque. La funzione sanitaria era garantita dalla dislocazione degli alloggi nella fabbrica interna; l’area del deposito merci era invece organizzata con un sistema ad alveare distribuito in ventisei locali. Al centro del cortile è situato un tempietto votivo di stampo neo-classico dedicato a S. Rocco che in realtà costituisce la parte superiore e visibile di un sistema di raccolta d’acqua realizzato con cisterne sotterranee, collocate sotto il tempietto stesso. Nel 1860 cessa la sua funzione ispettivo sanitaria per, nel 1884, diventare sede delle operazioni di raffineria degli zuccheri. Nel corso del XX secolo oltre al ruolo di base militare nei due conflitti mondiali, il Lazzaretto divenne anche sede, dal 1947, della manifattura tabacchi. L’Amministrazione Comunale di Ancona ha avviato negli ultimi tempi un’inedita collaborazione per la città con il mondo imprenditoriale allo scopo di recuperare e gestire in forma innovabile questo inestimabile bene artistico. Nel 1990 la Mole è diventata di proprietà del Comune che ne ha fatto il fulcro della città per quanto riguarda l’arte e la cultura in genere. Nel corso degli ultimi anni la Mole ha ospitato mostre di rilievo nel panorama nazionale...».
http://www.cultura.marche.it/CMDirector.aspx?id=1891
Ancona (palazzo Benincasa e altri palazzi signorili)
«Il palazzo Benincasa apparteneva ad un’antica e ricca famiglia di armatori e commercianti che possedeva la flotta più imponente del porto di Ancona. La sua costruzione fu voluta da Dionisio Benincasa che, nel 1446, incaricò Giorgio da Sebenico, architetto e scultore dalmata, di abbellire le facciate delle diverse proprietà della famiglia con affaccio su via della Loggia e su lato mare. I continui rifacimenti e ampliamenti hanno alterato l’aspetto originario, ancora in parte leggibile nel motivo degli archi ogivali al piano terra (in origine un portico) e nel poderoso basamento in pietra d’Istria nel prospetto verso mare. Frutto di interventi novecenteschi sono invece i due ordini di bifore sulla facciata. All’interno sono conservati affreschi tardo settecenteschi, attribuiti a Giuseppe Pallavicini, che rispecchiano il clima artistico all’epoca dominante in Ancona, oscillante tra un gusto tardobarocco e composti modi neoclassici. Si deve ad un personaggio di questa famiglia, Luciano Benincasa, la fondazione della Biblioteca Civica di Ancona, allorché nel Seicento donò alla municipalità un ricco patrimonio librario, dettando l’obbligo di costituire con esso una biblioteca pubblica».
http://www.museodiffusoancona.it/arte-e-cultura/palazzi-storici/palazzo-benincasa
Altri palazzi: http://www.museodiffusoancona.it/arte-e-cultura/palazzi-storici
Ancona (palazzo degli Anziani)
«Secondo lo storico anconitano Lazzaro Bernabei, che scrisse le memorie della città fino al 1497, il palazzo degli Anziani fu edificato sul colle Guasco per volontà di Galla Placidia nel secolo V d.C. Pur non avendo prove circa la veridicità di tale affermazione, è innegabile che si tratta di un edificio davvero molto antico. Costruito probabilmente entro il 1270, fu sede delle magistrature civiche per molti secoli. Nel 1348 subì gravissimi danni a causa di un incendio che distrusse anche gran parte della città. La fronte sulla piazza denuncia tutte le vicissitudini costruttive: al piano terra sono ancora visibili le tracce delle arcate a sesto acuto dell’antico portico più volte rimaneggiato, mentre al primo piano si distingue il loggiato. Qui, ancora oggi, troviamo le finestre con il motivo del timpano spezzato come quelle di palazzo Bosdari di Pellegrino Tibaldi, che si devono ai rifacimenti seicenteschi. I bassorilievi del 1270, che ancora decorano la facciata, sono invece attribuiti a Margarito d’Arezzo. L’edificio è stato sottoposto a molteplici restauri: nel dopoguerra per i danni subiti dai bombardamenti del 1943, e ancora dopo il sisma del 1972. In questa occasione vennero alla luce i resti, non visitabili, di un piccolo oratorio bizantino dell’VIII secolo d.C. Attualmente il palazzo è in attesa di essere nuovamente adibito a funzioni civico-amministrative».
http://www.museodiffusoancona.it/arte-e-cultura/palazzi-storici/palazzo-degli-anziani
«Nel periodo della sua indipendenza, Ancona dovette ampliare le sue mura per due volte e costruire nuove sedi del Governo della città. Ecco perché in Ancona esistono tre antichi palazzi comunali e tre piazze che in periodi successivi furono il centro della città. Uno di questi palazzi è il Palazzo del Governo, che prospetta su Piazza del Plebiscito. Eretto prima del 1381, l’edificio fu ampliato, nella parte verso il porto, nel 1447 da un certo Montenegrino, e nel 1484 da Pietro Amoroso, su disegno di Francesco di Giorgio Martini. Del Quattrocento è pure il cortile porticato, opera di Michele di Giovanni, mentre la vicina Torre civica trecentesca fu ricostruita nel 1581. All’interno, una delle sale fu decorata da Melozzo da Forlì. L’edificio fu antica sede del Comune e degli Anziani, poi ospitò i governatori pontifici e, dal 1860, la Prefettura: fu danneggiato dal terremoto del 1690 e dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ma prontamente riparato e restaurato. Sull'arco d’ingresso al cortile campeggia questa scritta, che ben riassume lo spirito della repubblica marinara di Ancona: “La fede e l'unione sono alla base della libertà di Ancona”».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/ancona/palazzo-del-governo-ancona/
«La costruzione dell'opera risale al XIII secolo, quando venne eretta come sede del Consiglio senatorio nel sito occupato precedentemente dal foro romano, i cui resti (basamenti e parti di colonne) sono visibili a fianco del palazzo e di fronte all'ingresso di palazzo Ferretti (sede del Museo archeologico nazionale delle Marche). Il palazzo del Senato si affaccia sull'omonima piazza, a due passi dall'anfiteatro romano e dalla Cattedrale, assieme alla chiesa dei Santi Pellegrino e Teresa e al già citato palazzo Ferretti. Il palazzo, di stile romanico, presenta sulla facciata in pietra un'arcata alta e stretta, nonché due ordini di bifore adorne di eleganti colonnine e rivestite da cornici a tutto sesto. I bombardamenti avvenuti durante la seconda guerra mondiale tra il 1943 ed il 1944 hanno gravemente danneggiato questo palazzo medievale, ma fortunatamente non la sua facciata. Nel 1952 venne avviato il restauro, con l'intento di riportarlo all'aspetto originario e dunque ripristinando le bifore e demolendo gli elementi aggiunti nel corso dei secoli; la parte retrostante alla facciata venne demolita e ricostruita; il palazzo è oggi sede della Soprintendenza ai Beni architettonici e ambientali delle Marche».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_del_Senato_%28Ancona%29
«La Porta di Capodimonte era stata costruita nel 1335 da Nicola Bonderuolo, secondo una lapide che ivi si trovava, e restaurata nell'ultimo scorcio dello stesso secolo con le multe dei mercanti anconitano che erano incorsi nella scomunica per aver commerciato con i Turchi senza averne avuto la facoltà. Nel Settecento era stata trasformata nella sua facciata verso l'esterno cosicché a chi veniva dal Piano San Lazzaro si mostrava non tanto semplice porta di città, quanto arco celebrativo. La struttura trecentesca era stata infatti rivestita con un nuovo strato di muratura in cotto che formava lesene, riccioli, cornici secondo la tipologia delle scenografie dell'epoca. Solo sul fronte verso la città era stato conservato a vista il grande arco a tutto sesto, più alto di quello che formava l'effettivo ingresso. Fino alla sua demolizione, avvenuta nel 1945 dopo i danni bellici, rimasero gli anelli in pietra per l'alloggiamento dei cardini delle porte, i fori per i travi che sorreggevano il solaio in legno per il servizio di sorveglianza e le tracce delle pitture eseguite in memoria dell'assedio del 1414. Rappresentò, sino al 1789, l'ingresso principale della città; in quell'anno, con l'inaugurazione di Porta Pia, perdette questa funzione».
http://www.anconanostra.com/ancona_antiga/pirani/portacapodimonte.htm
«Secolo XVIII. Era il periodo della rinascita economica, notevoli restauri e lavori cittadini caratterizzavano Ancona in quel periodo. Il capoluogo, allora sotto lo Stato Pontificio, era circondato da mura perimetrali; papa Pio VI rese più agevole e semplice l'accesso alla città con una litoranea. Una porta d'ingresso fu costruita in suo omaggio: Porta Pia. A realizzarla fu Filippo Marchionni, figlio di Carlo Marchionni (architetto e scultore, sua è la Chiesa di San Domenica) tra il 1787 e il 1789, successivamente alla costruzione del Lazzaretto. Imponente e in forme barocche, il monumento esalta il duplice significato simbolico di collegamento e difesa dell'entrata in città. La facciata, rivolta verso il mare, è in pietra d'Istria e risulta più ricca di quella posteriore, realizzata in tufo da Scipione Daretti. Sotto l'arco una lapide ricorda la liberazione dal dominio pontificio ad opera delle truppe piemontesi, avvenuta nel 1860; era infatti il 29 settembre quando il generale Enrico Cialdini entra vittorioso in città dopo la memorabile battaglia di Castelfidardo. Tutt'oggi, la Porta Pia, maestosa e fiera, saluta l'ingresso al centro cittadino con la singolare doppia facciata».
Ancona (porta Santo Stefano, porta Cavour)
«Porta Santo Stefano (o Porta delle Grazie) sorge nel tratto di cinta muraria compreso tra la lunetta Santo Stefano e il Campo Trincerato della Cittadella, proprio in corrispondenza dell'arrivo della strada - un tempo ben più importante di ora - che dal Piano San Lazzaro conduce in città attraverso la via che porta lo stesso nome. Questo importante ingresso della città è rappresentato da una severa costruzione in laterizio con coronamento in pietra d'Istria, eretta dai Francesi che avevano già delineato in terra questo tratto di cinta, restaurata ed ampliata nei nuovi lavori nell'ambito della Piazzaforte di Prima Classe, in epoca post-unitaria. Vi sono 14 locali casamattati della superficie di mq. 560, a destra ed a sinistra della porta. Cinque di questi sono per il ricovero truppe, altri cinque per immagazzinare materiale d'artiglieria e del Genio; gli altri quattro sono divisi in più piccoli vani per corpo di guardia, Ufficiale di Picchetto, alloggio Ufficiali, prigione e servizi. Vi è anche installato il posto di controllo del Dazio di Consumo. Il sottotetto della costruzione è protetto con spesso strato di sabbia. L'impianto è molto simile a quello di Porta Cavour, ma meno monumentale. Anche le dimensioni sono ridotte: vi è un unico varco che, tramite un ponte in legno, mette in comunicazione con la controscarpa. Internamente la porta si presenta con un bugnato liscio in mattoni rossi a corsi orizzontali con un unico stacco di colore dato dalla pietra d'Istria che nella parte inferiore forma uno zoccolo basso e continuo. La parte alta è attraversata da una semplice modanatura che rende l'impressione dei pilastri. Tale modanatura, ripiegandosi senza soluzione di continuità in corrispondenza delle arcate riprende la tradizione neo-rinascimentale già incontrata nella Porta Cavour. Anche il coronamento in pietra d'Istria è semplice ed è composto da un cornicione in leggero aggetto rispetto al piano principale di giacitura della facciata. Per differenziare la parte occupata dalle strutture ausiliarie adiacenti il progettista Giuseppe Morando realizza i corpi di fabbrica laterali invertendo i colori utilizzando pietra bianca del Conero ed evidenziando le arcate con il mattone rosso. Questo fa sì che la porta sia ben definita pur rimanendo inglobata in una struttura più ampia. Esternamente la facciata, sempre in mattoni, ha un bugnato con un unico fornice centrale e si presenta massiccia ed imponente nonostante le modeste dimensioni. In questo caso, la pietra d'Istria viene usata esclusivamente nel basamento e nella corona senza eccessive modanature per lasciare l'aspetto semplice ma possente come s'addice ad una porta di difesa della città. ...
Porta Cavour. Inserita nell'ambito della cinta muraria ottocentesca che chiudeva Ancona dal forte Cardeto alla Lunetta Santo Stefano, era il passaggio dall'interno all'esterno della città. Oggi non più esistente, la porta si trovava nella massima depressione del tratto di mura in cui era inserita, esattamente nell'attuale attraversamento pedonale tra piazza Cavour e Largo XXIV Maggio (sede del Municipio). La porta era a doppio androne con due ponti fissi di legname per superare il fossato. La porta era una imponente costruzione in muratura rivestita con pietra d'Istria, in stile classicheggiante. A destra ed a sinistra di Porta Cavour si avevano 20 locali casamattati della superficie totale di mq. 1.200. A destra della porta e sopra i locali casamattati vi erano 4 casematte della superficie di mq. 80 con tre cannoniere alla Haxo. Questi 4 locali erano collegati alle gallerie di scarpa ed erano destinati a corpo di guardia, Ufficiale di Picchetto, ricovero truppa, scuderie, ripostigli, riservetta, servizi. Un locale era assegnato ad uso civile per Pesazione della imposta del Dazio di Consumo. La facciata esterna in pietra d'Istria era composta da sei paraste a bugnato grezzo che incorniciavano i due fornici a sesto ribassato e sorreggevano un architrave a trifogli ed un basso coronamento. Il tutto le conferiva un aspetto massiccio e compatto così da infondere una impressione di resistenza e forza come si addice ad un ostacolo che compare di fronte ad un nemico. Il fronte interno di presentava più elegante, sia perchè non doveva incutere timore, ma anche per chiudere armonicamente la scena della omonima piazza sul lato est. L'architetto progettista Giuseppe Morando raddoppiò il numero di arcate e le incorniciò con semicolonne binate in pietra d'Istria con capitelli di ordine dorico (evidente riferimento alle origini di Ancona), ma più slanciate e snelle, che sorreggevano un alto architrave tripartito sporgente rispetto alle mura ed un coronamento anch'esso in pietra decorato con motivi geometrici. Le campate laterali si presentano cieche e i suoi archi incorniciano finestre ad arco evidenziate con un profilo in pietra, motivo che prosegue idealmente ai due lati della porta».
http://www.isedicifortidiancona.com/#!porta-s-stefano/c1wo3 - ...c16eb
Ancona (Portaccia, porta San Giovanni o della Serpe, porta del Calamo)
«Portaccia. Distrutta completamente con i bombardamenti del 1943, attraverso questa Portaccia si scendeva per la scomparsa ed omonima Via della Portaccia, fino a raggiungere inizialmente il lazzaretto di Santa Lucia e poi, costruito quello dal Vanvitelli, quello di San Rocco. Una volta costruita Porta Pia, la strada raggiungeva anche questa, passando sopra il 'Fontanone' ... Negli status animarum la via non veniva infine registrata come 'via della Portaccia' ma, probabilmente, è quella che viene chiamata 'Sbigiarella o Sbisarella' e che negli 'Stati d'anime' troviamo scritta proprio subito dopo la Contrada di San Giovanni Battista, che corrisponde proprio alla zona alta dell'Astagno. Anche questa targa è purtroppo di difficile lettura. La Porta medievale di San Giovanni al Calamo, demolita nel 1768 probabilmente per permettere la costruzione di Palazzo Simonetti (eretto proprio in quegli anni) venne chiamata così perché permetteva di raggiungere sia la fontana del Calamo (delle 13 cannelle), sia l'abbazia di San Giovanni Battista di Valpenocchiara che si trovava nelle vicinanze di piazza Cavour. ... Ultima curiosità: la Porta era anche detta della Serpe non tanto per il pericolo di incontrare dei serpenti quanto invece per l'espressione "salire in serpa" ovvero sul carro trainato dai cavalli. Ciò probabilmente valeva per l'andamento sinuoso della strada così come per il 'Vicolo della Serpe', la stradina che da San Francesco alle Scale scende fino al Lungomare Vanvitelli e che a farla salendo, più che a piedi si sarebbe preferito farla in serpa. Porta del Calamo. Costruita nel 1329 e restaurata da Filippo Marchionni nel 1769 che ne progettò il portale a bugnato, la Porta del Calamo venne poi demolita nel 1864 per consentire l'espansione della città verso la Valle della Penocchiara (oggi Piazza Cavour). La decisione venne presa nel 1862 dal Consiglio Comunale. Di lei ci rimangono solo i dipinti del pittore anconetano di metà Ottocento, Barnaba Mariotti, grazie ai quali possiamo però capire come si presentasse quella parte della città. Oli su cartone oggi conservati nel 'Museo della Città'. Uscendo dalla Porta del Calamo per andare verso la Piana degli Orti (oggi la zona del Viale della Vittoria), ci si trovava invece di fronte ad uno slargo sterrato (oggi piazza Roma) dove si praticava "il gioco della palla". La cinta muraria, da Porta del Calamo saliva poi fino al baluardo dei Cappuccini passando alle spalle dell'abside della Chiesa di San Domenico e quindi per porta San Pietro (Arco di Garola). Guardando invece da via Carducci verso il Rettorato, la strada saliva fino ad arrivare a Capodimonte, all'altezza della chiesa di San Francesco ad Alto. ... La Porta si chiama anche di San Giovanni probabilmente poiché restaurata dopo l'abbattimento della precedente Porta San Giovanni».
«L’antico nome di Arcevia è Rocca Contrada, probabilmente originato dal nome del possidente del primitivo insediamento fortificato: un documento del 1147, infatti, nomina la Rocka de Contrado, cioè Rocca di Contrado o Corrado. Nel 1817, Pio VII attribuì a Rocca Contrada il nome fittizio di Arcevia (latinizzazione del nome medievale: "arx" per rocca e "contrada" per via), basandosi su notizie e documenti falsati nel secolo precedente dagli eruditi locali. ... L’origine del centro abitato di Arcevia risale – secondo la tradizione – all’epoca dell’invasione dei Franchi guidati da Carlo Magno (VIII/IX sec. d.C.). In verità, la prima notizia di un centro fortificato sul Monte Cischiano è del 1130. Lo sviluppo di questo primitivo abitato, che sorgeva nei pressi dell’attuale Porta di S. Lucia, ebbe inizio con la nascita del Comune (1201), che prese poi il nome di Rocca Contrada; fu un'espansione rapida, che permise il saldarsi, tra ‘200 e ‘300, con i resti dell’altra fortificazione dal nome Turris Rupta, esistente sin dal XII secolo sulla sommità opposta del crinale (l’attuale terzo piano del Giardino “Leopardi”), dove sarà poi edificato il cassero. Lacerato dalle lotte di fazione interne per la forte presenza di famiglie signorili, il comune attuò comunque una forte politica di conquista assoggettando molti castelli e ville. Dalla fine del ‘200 si schierò con la Chiesa, di cui divenne importante presidio strategico. Solo per un breve periodo ritornò possesso dei filo-imperiali: nel 1326 venne occupata dai ghibellini fabrianesi che instaurarono la signoria dei Chiavelli. Il dominio durò fino al 1338, quando Alberghetto, figlio di Tommaso, fu costretto a restituire al Comune il controllo del cassero e a rinunciare alla signoria. Questo non offuscò la rilevanza politico-militare del centro montano testimoniata dai dati della Descriptio Marchiae Anconitanae, fatta redigere dal Vicario Pontificio Cardinale Albornoz nella seconda metà del ‘300, dove Rocca Contrada compare tra le città “mediocres”, quinta per importanza tra quelle dell’attuale provincia di Ancona, con una popolazione di 1.200 fuochi (circa 5.000 persone). Agli inizi del ‘400, a causa della sua posizione strategica, divenne campo di contesa fra i Malatesta e Braccio da Montone, sotto la cui signoria si pose fino al 1424. Dopo un breve periodo in cui Rocca Contrada ritornò possedimento della Chiesa, Francesco Sforza la occupò nel 1434 e vi instaurò il suo dominio fino al 1445, quando un forte esercito guidato da Sigismondo Malatesta, alleatosi con il papa, liberò definitivamente il castello. ...».
http://www.arceviaweb.it/arcevia/arcevia/roccacontrada.html - http://www.arceviaweb.it/arcevia/arcevia/storia.html
«La cinta muraria si estende per circa un miglio ed ha conosciuto molte fasi costruttive leggibili lungo il suo percorso. Nella sua forma attuale fu voluta da Francesco Sforza, che la fece fortificare da Roberto da S. Severino, con un efficiente sistema di torrioni, rivellini e relativi camminamenti. Delle originarie 5 porte di accesso oggi se ne possono ammirare 4: di S. Agostino, di S. Lucia, di S. Pietro (o del Forno) e del Sasso, ancora oggi particolarmente suggestive ed imponenti. Presso gli attuali giardini G. Leopardi, nel punto più alto del monte Cischiano, sorgeva il Cassero, l'antica fortezza, estremo baluardo cittadino di cui si riescono ancora a vedere alcuni resti, dopo l'opera di smantellamento per costruire il vicino Monastero dei Cappuccini».
http://www.incastro.marche.it/incastro/arcevia/turismo.STM#CINTA
Arcevia (palazzi: Anselmi, della Duchessa, Mannelli)
«...Risalendo si raggiunge la maggiore via cittadina, Corso Mazzini, denominato nel ‘500 “strada principale”, dove si affacciano gli edifici più importanti della città. All’inizio, muovendosi da est verso ovest, incontriamo sulla destra il Palazzo della Duchessa (I metà sec. XVII), così detto perché fu residenza estiva di Livia della Rovere: da notare la facciata sobria ed elegante con finestroni rettangolari dell’epoca, il portale semplice in pietra serena e, all’interno, il pavimento a mattonelle romboidali, i bei portali con iscrizioni latine e, soprattutto, una splendida scala a chiocciola in pietra che collega i tre piani del palazzo. ... Ritornando indietro in Corso Mazzini, e proseguendo in direzione della piazza centrale, incontriamo sulla sinistra la splendida facciata in cotto del Palazzo Anselmi (secc. XV-XIX) - che conserva al suo interno una ricca biblioteca di autori locali e una notevole collezione pittorica di artisti del luogo - e subito dopo il Complesso di S. Francesco, attestato dalla fine del XIII secolo, quando i francescani decisero di edificare un loro convento all’interno del centro storico. ... Proseguendo, sulla destra, scorgiamo Palazzo Mannelli poi Pianetti, splendida costruzione tardo rinascimentale, tra le più belle della provincia, attualmente occupato dal “Circolo di lettura e forestieri”. Fatto costruire nella seconda metà del secolo XVI dal vescovo di Nocera, Girolamo Mannelli, e dal nipote Flaminio, esponenti della nobile famiglia originaria del luogo, il palazzo passò in proprietà ai marchesi Pianetti di Jesi nel ‘700. La splendida facciata severa ed elegante è adorna di un bel portale con lo stemma gentilizio. Interessante l’interno con decorazioni parietali a stucchi ed intarsi, panneggi, porte decorate e grandi camini d’epoca. Da notare nel salone d’ingresso due grandi tele a carattere mitologico di buona fattura ma di autore ignoto (sec. XVII)».
http://www.arceviaweb.it/hostarceviaweb/Turismo/itinerari/itinerari.htm
Arcevia (palazzo Comunale, palazzo dei Priori)
« Continuando si giunge alla Piazza Garibaldi, cuore del centro storico, dove prospetta il Palazzo Comunale, tra i più antichi della regione (attestato dal 1259), con il bell’arcone gotico d’ingresso e l’imponente torre merlata (36 m) con la rara scalinata interna in pietra ancora percorribile. All’interno è possibile ammirare una grande tela di Bruno d’Arcevia (2001), famoso artista neomanierista locale. ... Pochi metri più in là, dall’altra parte della strada, ammiriamo il Palazzo dei Priori (sec. XIV), con all’interno una sala voltata dell’epoca e, annesso, il Teatro comunale Misa (sec. XVII; rifatto tra il 1840 e il 1845) ed oggi ristrutturato e funzionante».
http://www.arceviaweb.it/hostarceviaweb/Turismo/itinerari/itinerari.htm
Arcevia (porte: Romana, Sant'Agostino, Santa Lucia, Sasso)
«La visita di Arcevia può iniziare dalla poderosa cinta muraria (secc. XIII-XVI), percorribile in più punti, di cui rimangono alcuni torrioni circolari, due torrioni poligonali, e quattro delle cinque porte originarie, di cui si segnalano la Porta Romana, Porta di S. Lucia, completamente ricostruita con la casa ed il rivellino nel 1476 e la splendida Porta di S. Agostino (1522), ricavata in una rondella tronca, con ancora la bertesca e le sedi di scorrimento del ponte levatoio, entrambe opera di maestri lombardi. Nei pressi della Porta del Sasso, oggi ridotta ad un semplice arco a tutto sesto, nell’antico borgo, si trova la chiesa di S. Francesco di Paola (1728-’30), capolavoro barocco dell’architetto locale Arcangelo Vici, dal bell’interno a croce greca, sormontato da una elegante cupola».
http://www.arceviaweb.it/hostarceviaweb/Turismo/itinerari/itinerari.htm
«È uno dei più importanti castelli arceviesi, posto ai confini del territorio comunale verso Serra S. Quirico. ... Il documento più antico che ricorda la villa di Avacelli (Lavacelli) è del 1248 in occasione della sua sottomissione all’emergente comune di Rocca Contrada. È possibile che Avacelli sia stato edificato a seguito dell’abbandono del più antico insediamento di Castelvecchio, individuabile nell’omonimo toponimo a nord del castello. La fortificazione di Avacelli risale ai primi anni del 1400. La sua cinta muraria con la porta di accesso ad arco acuto e l’annessa torre semicircolare, pur avendo subito numerosi restauri, conservano ancora oggi la loro struttura originaria. Nel 1407 il castello venne preso dalle milizie di Lodovico Migliorati che assediavano Rocca Contrada. Il contingente arceviese comandato da Matteo di Giovanni Angelucci fu sopraffatto dagli assalitori guidati da Ciccolino da Perugia. Il castello fu liberato da Braccio da Montone dopo che, rotto l’assedio del Migliorati, fu proclamato signore di Rocca Contrada. Dopo la morte di Braccio, avvenuta nel 1424, Rocca Contrada tornò sotto il dominio della Chiesa ed il governatore della Marca, Pietro Colonna, ne prendeva possesso il 13 ottobre dell’anno dopo essere passato per Avacelli e Magnadorsa. Nel 1426 il castello di Avacelli fu concesso a Ludovico Colonna che lo tenne però solo qualche anno. Nel 1431 era infatti già tornato sotto Rocca Contrada che nominava un capitano per governarlo. Anche Avacelli come gli altri castelli arceviesi mantenne fino all’Unità d’Italia una certa autonomia amministrativa con proprie rendite ed entrate, un consiglio, un’abbondanza, un forno, un proprio capitano e successivamente un sindaco. Nel 1861 perse le prerogative di comune appodiato fu confermato ad Arcevia. Nel censimento effettuato nel dicembre dell’anno risultavano nel castello 48 famiglie con 219 abitanti, nei dintorni gli abitanti erano 232. Nel 1867 Avacelli e Prosano avanzarono al Prefetto di Ancona la richiesta di separazione dal comune di Arcevia per essere aggregati a Serra S. Quirico. Tra le motivazioni addotte, la lontananza dal capoluogo, la mancanza di buone strade, l’eccessivo carico di tasse. Ma la ragione vera era forse da ricercare nel possibile collegamento diretto con la linea ferroviaria Roma Ancona che aveva scalo nella stazione di Serra S. Quirico. La richiesta fu però respinta. Verso la fine del XIX sec. il comune di Arcevia riuscì comunque a dotarsi di un’efficiente rete viaria che consentì di collegare in modo rapido le sue frazioni al capoluogo ed il suo territorio ai maggiori centri della regione».
http://www.arceviaweb.it/arcevia/avacelli/avacelli.html (a cura di Paolo Santini)
«Il centro storico di Barbara si articola su due alture di una tipica dorsale collinare marchigiana, allungata tra i fiumi Misa e Nevola: a monte sorge il Castello; verso il mare, al di là del fossato e del ponte levatoio frapposto, si estendeva il Borgo munito di una cinta difensiva culminante in una propaggine occidentale chiamata "Castellaro", probabilmente perché costituiva il sito più antico ed elevato e perché fruiva di rudimentali fortificazioni: un terrapieno ed una palizzata. Gli stessi ipogei o grotte del Castellaro costituiscono gallerie e vani sotterranei scavati nella roccia arenaria non solo per la conservazione delle derrate alimentari, ma anche a scopo di riparo o di via di fuga verso il fossato ed il castello durante gli assedi, come nel caso del sotterraneo murato del palazzo "Bùfera", sede del ristorante tipico "'L Castellaro". Il borgo medievale si allunga in un pendio o piaggia, la quale scende dal castello alla chiesa neoclassica dell'Assunta ripartita in due strade parallele, denominate nel dialetto locale Piazza e Piazzetta. La Piazzetta, via più ristretta ed aristocratica, sale dalla Costarella, ripida china affiancata al monumentale tempio mariano, per confluire nello Spalmento, l'attuale piazza Cavour antistante al castello. Sulla destra, i vicoli, caratteristiche viuzze popolari del Castellaro, delimitano due palazzi affacciati sulla strada e rispettivamente appartenuti nel primo Ottocento alle famiglie signorili Leli e Bufera. Passeggiando lungo le declinanti vie del paese in una gradevole visita, si possono idealmente ripercorrere gli sviluppi urbanistici del centro abitato nel corso dei secoli: partendo dal castello medievale e dal sottostante borgo cinquecentesco, passando per l'attuale Borgo Mazzini - sviluppatosi nell'Ottocento con il nome di Borgo S.Francesco - si perviene prima alle "Case Nove" d'inizio Novecento, odierna Via Vittorio Veneto, poi al moderno quartiere di Via Fratelli Kennedy. ...
Scendendo dall'arco di Santa Barbara in direzione del borgo, dopo essersi affacciati a destra dal passaggio sopraelevato, già comunicante con il ponte levatoio, ed aver ammirato il lato del bastione di NE innalzato a difesa della prospiciente porta del castello, si incontra all'angolo il palazzo tardo-rinascimentale dei conti Mattei. Mario Mattei, vicario imperiale a Trieste nella seconda metà del Settecento, nacque e dimorò in questo complesso architettonico che offre al visitatore oltre alla maestosa mole squadrata, alle decorazioni del frontale, completato per metà, ed al bugnato del portale, un suggestivo ed ampio ambiente sotterraneo con volta in muratura, ricavato sul finire del Cinquecento dalla colmatura del fossato sottostante al ponte levatoio. Attraversando quindi lo "spalmento" si vada a visitare il piccolo bastione di NO, dotato di una bocca da fuoco "traditora", per il tiro spiovente; nei pressi è ubicato il pozzo medievale con soffitto a cupola inglobato nelle mura occidentali; da qui si possono vedere le soprastanti aperture delle casematte e le adiacenti merlature originarie, parzialmente coperte dalle volte di una ristrutturazione cinquecentesca. Ritornati sui propri passi, proseguendo per la "Piazza" - Corso Vittorio Emanuele - si arriva a destra presso il "Portone", l'unico accesso al borgo cinquecentesco, sopraelevato, porticato ed oggi culminante su un panoramico balcone mediante un'ampia scalinata. L'edificio soprastante mantiene ancora l'impianto architettonico dell'osteria-locanda cinquecentesca ivi ospitata. La prospettiva del corso è chiusa dall'imponente frontale della monumentale Chiesa dell'Assunta, opera neoclassica dell'anconetano Francesco Ciarafoni. ...».
https://www.halleyweb.com/c042004/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/20098 - ...20100
«Il castello duecentesco, ristrutturato nel Quattrocento è ancor oggi circondato da una muraglia con scarpa, munita di quattro fortificazioni d'angolo e culminante in un imponente mastio sopraelevato, attualmente definito "'l Torrione". I due piccoli torrioni del lato Nord sono sostanzialmente integri, presentano ancora la postazione degli artiglieri, le merlature o le bocche da fuoco per colubrine o archibugi; l'alta torre di SO è stata invece ricostruita negli anni '60 in luogo di un precedente torrione quattrocentesco diroccato in seguito ai bombardamenti della Guerra di Liberazione. Il basamento di una quarta casa-torre è ancor oggi in parte visibile in prossimità del vertice angolare del settore orientale delle mura. Il mastio o 'arce', come veniva definito nei documenti coevi, difendeva l'attigua sede del signore locale - normalmente l'abate - o dei suoi rappresentanti, ma sovrastava tutti i lati del castello e poteva battere la campagna circostante con i due mortai di cui era munito. Due ponti levatoi chiudevano gli accessi principali, costituiti a Sud dalla Porta Roma, presso il Palazzo Abbaziale, e a Nord dalla porta dell'arco di Santa Barbara prospiciente un profondo fossato oggi colmato. Il castello, conteso da Guelfi e Ghibellini per la sua inviolabilità, fu teatro di due vincenti azioni difensive nel 1461 e nel 1517, rispettivamente di fronte alle truppe assedianti di Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, e di Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino».
https://www.halleyweb.com/c042004/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/20099
BARCAGLIONE (ruderi del castello)
«Il castello di Monte Barcaglione viene citato per la prima volta nel 1356, quando compare tra i castelli sotto la giurisdizione della città di Ancona. Nel 1376 il fu raso al suolo dalla compagnia del conte Lucio, pagato da Barnabò Visconti e dalla Repubblica Fiorentina in lotta contro la Chiesa e il materiale edilizio venne riutilizzato per consolidare le mura del non lontano castello di Falconara . Queste le notizie ufficiali sul castello, anche se nel 1914 nell'allora "Ordine. Corriere delle Marche", don Cesare Posti scriveva: "pare che il Monte Corrusco i monaci di San Giovanni in Pennocchiara locassero a famiglia anconetana, quella dei Brancaleoni, che eressero il castello agli inizi del secolo XII, lo trasformò in feudo e fece passare alla storia col nome di Castellare Brancaleone". Il prelato descrive minuziosamente quello che del fortilizio rimaneva nei primi del '900: "fra i ruderi che conservano ancora la pianta quasi integra di un quadrangolare castello, irrobustito ai quattro angoli orientati da quattro torri massicce e dagli avanzi di una porta turrita". Don Cesare Posti non ha mai fatto menzione precisa dei documenti dai quali attinse queste informazioni, che pertanto non possono essere prese per certe. Vero è che l'altura dove venne costruito il castello di Barcaglione in origine si chiamava Corrusco, perché non pochi sono gli storici locali che attribuiscono tale toponimo a un monte non lontano dal fundo Falconio (odierna Falconara). Dopo il 1378 del castello di Barcaglione non si hanno più notizie storiche anche se nelle sale dei Musei Vaticani a Roma in cui sono dipinte le rappresentazioni cartografiche delle proprietà dello Stato della Chiesa nel XVI secolo si vede raffigurato, in uno dei colli limitrofi alla città di Ancona, Barcaglione, che appare chiaramente come un piccolo borgo fortificato con un alta torre laterale e una maestosa porta turrita. ... I resti visibili fuori terra del castello di Monte Barcaglione sono costituiti da una torre quadrata, di circa 5,9 metri di lato e da quattro tronconi murari di cui uno, il più meridionale, inglobato in una cisterna di cui non possiamo escludere una datazione all'età medievale. Le strutture meglio conservate, il setto murario più settentrionale e la torre, presentano una base in calcare, con una leggera scarpa nel caso della torre, e un elevato costituito da un paramento in laterizi e nucleo in calcestruzzo. Delle altre strutture presenti nel sito, giunte in un pessimo stato di conservazione, si conserva unicamente il nucleo in calcestruzzo. ...».
http://books.bradypus.net/groma1/0503
«Il castello di Bastia, costruito sotto Francesco Sforza, quando era signore di Fabriano integrandolo nel sistema difensivo del territorio sorto in epoca comunale. Il grappolo di case che oggi formano il paese impegna la sommità di un’aspra collina che culmina nella bella chiesa parrocchiale. All’interno della chiesa parrocchiale si trova la tavola del pittore umbro Bernardino di Mariotto raffigurante la Madonna in trono col Figlio tra due Angeli, mentre il Bambino ha in mano il modellino del castello di Bastia (conservata nella pinacoteca di Fabriano)».
http://www.fabrianoturismo.it/docs/terredelgentile/icastelli.asp
«Il Castrum Camurani era un preziosa pedina per l’arcivescovo di Ravenna in epoca medievale. Ma di insediamenti umani dove poi sorse la fortificazione si hanno notizie sin dall’età del Ferro. Venne il Trecento e con esso il tempo dell’espansione del territorio anconetano sino a ricomprendere anche quello di Camerano. A caratterizzare il maniero erano gli scoscendimenti rocciosi, conosciuti anche con il nome di “Sassone”. Oggi non resta molto di quel complesso fortificato che, come tutti i castelli di poggio, aveva andamento circolare, ma si possono scorgere qua e là nella cittadina tratti di mura fortificate. Orario di apertura: i tratti di fortificazione sono liberamente visitabili all’esterno».
http://www.italiadiscovery.it/news/marche/ancona/camerano/castello_di_camerano/6398.php (a cura di Silvia Brunori)
Camerata Picena (castello del Cassero)
«Il castello del Cassero fu costruito a partire dal 1377 per opera del nobile anconitano Nicolò Toriglioni Il conte Toriglioni possedeva numerose proprietà terriere nei dintorni del Cassero ed era uno degli uomini più illustri d’Ancona ricoprendo spesso prestigiose cariche comunali; nel 1361 fu l’ambasciatore d’Ancona presso Urbano IV da poco asceso al soglio pontificio. Nicolò Toriglioni fu capitano della galea anconitana che trasportò il papa Gregorio XI, reduce da Avignone in Italia, e che a nome del Comune gli presentò l’omaggio della città. Come ricompensa di questi servigi Nicolò Toriglioni ricevette dal pontefice Gregorio XI il titolo comitale e fu autorizzato a costruire per sé e per la famiglia, nella zona tra Castelferretti e Castel d’Emilio, il castello del Cassero. Era abitudine dei papi dell’epoca di concedere ai nobiluomini più facoltosi e fedeli la possibilità di costruirsi al centro delle proprietà un castello o una rocca difensiva e l’erezione della torre in quella zona sembrava auspicabile e necessaria. Con questo sistema il pontefice si garantiva una cinta difensiva di castelli nei pressi della città e nello stesso tempo saldava un debito di riconoscenza nei confronti di chi l’aveva fedelmente servito. Nel 1377 s’iniziò la costruzione del castello del Cassero, la posizione scelta fa pensare che doveva comunque essere costruito per ragioni militari. Infatti questo consentiva un preciso canale di comunicazione visiva: dalla torre maestra era visibile Rocca Priora a nord, Camerata a ovest, Castel d’Emilio e Agugliano a sud, Paterno ad est. Il castello rimase di proprietà dei Toriglioni fino al XVIII secolo, poi fu diviso fra vari proprietari. Nei primi decenni del 1800 alcuni locali del castello, tra cui il salone di rappresentanza al primo piano, passarono in proprietà dell’Appannaggio e vi rimasero fino al 1839. Le cronache locali non si occupano più del castello del Cassero, che, diviso in appartamenti, è abitato da varie famiglie che apportano modifiche anche strutturali. Dopo la seconda metà dell’ottocento, l’ingegner Eugenio Bianchi – possidente anconetano, proprietario di terreni al Cassero dove costruisce anche la villa – si dedica a lavori di ricerca per giungere alla “restaurazione” del castello; a lui si deve la ricostruzione, fedele all’originale, del torrione ovest.
Il castello del Cassero era originalmente a pianta quadrata, con tre torri: due disposte nel mezzo dei lati sull’asse Sud-Est/Nord-Ovest e l’altra, detta torre maestra, verso Sud-Ovest. Le torri così disposte permettevano una dotazione difensiva efficace: la torre maestra permetteva di controllare la nemica Iesi, la torre a sud- est, detta torre di guardia, la città di Ancona e la terza la zona di Castelferretti. La consistenza iniziale era senz’altro limitata solo all’andamento perimetrale del castello stesso, alla quale doveva aggiungersi l’area, come cortile sterno, che oggi corrisponde al tratto di strada provinciale che collega Agugliano a Castelferretti. Le torri e le cortine erano merlate; l’ingresso avveniva dalla torre di guardia attraverso un robusto portone sorretto da possenti cardini di pietra. L’altezza delle torri e delle cortine, unitamente alla compattezza delle loro superfici, davano sufficienti garanzie contro le sorprese ed assicuravano una buona resistenza in caso d’assedio. Inoltre piccole troniere erano collocate nei punti nevralgici: due ai lati dell’ingresso e due sotto le caditoie nel lato principale della torre maestra. Il castello non ebbe mai un fossato con il relativo ponte levatoio; la sua collocazione in collina, rendeva difficile una tale sistemazione, tanto più che, verso Est, vi era uno scoscendimento del terreno. La struttura originaria è stata rimaneggiata: delle antiche merlature guelfe oggi c’è solo quella della torre maestra, essendo state le altre capitozzate e le cortine murarie abbassate. Sono state fatte numerose aperture di varie dimensioni per esigenze abitative; all’interno c’è un cortile pavimentato con ciottoli di fiume infissi di taglio e al centro un pozzo che è stato murato per motivi di sicurezza. Nel 1996 sono iniziati i lavori di recupero e ristrutturazione delle ali est e nord, il piano terra è attualmente di proprietà comunale ed adibito a centro culturale, nei piani superiori sono stati ricavati appartamenti in parte abitati. Nel sottosuolo del castello, si dipana un’intricata ed irregolare maglia di grotte, costruite in mattoni, che saggiamente ed abilmente incastrati, presentano una forma armonica ripetitiva con colonne laterali che confluiscono in un soffitto centrale a volta. Il fondo di questi camminamenti sotterranei è attualmente coperto dall’acqua che periodicamente si raccoglie nella parte più bassa del castello. La parte a piano terra del castello e il Torrione sono oggi di proprietà del Comune di Camerata Picena che utilizza i locali per mostre d’arte e spettacoli di lettura teatrale...».
«La rocca di Bolignano è uno castelli che nel Medioevo e nel Rinascimento avevano il compito di difendere Ancona; conserva ancora numerose caratteristiche originarie ed è proprietà privata e bene tutelato dalla Soprintendenza. Alcuni castelli di Ancona sono oggi comuni indipendenti dal capoluogo: Falconara Marittima, Monte San Vito, Camerata Picena, Agugliano, Polverigi, Offagna, Camerano, Sirolo. Altri sono oggi frazioni di Ancona: Montesicuro, Gallignano, Sappanico, Poggio, Varano, Massignano, Paterno. Altri ancora, infine, sono frazioni di altri comuni: Rocca Priora di Falconara, Cassero di Camerata Picena, Castel d'Emilio di Agugliano. La Rocca di Bolignano è un caso a parte, in quanto intorno ad essa non si è mai formato un centro abitato, ma è tuttora quasi isolata tra il verde della sua collina, la qual cosa ne ha certo favorito la conservazione» - «La Rocca di Bolignano per le sue caratteristiche costruttive e tipologiche è databile intorno ai secoli XIV e XV. La Rocca fu in parte modificata nel sec. XVII per adattarla ad abitazione; fu un punto strategico di difesa nei confronti della città di Osimo durante la Battaglia del Porco. La Rocca nell' Ottocento appartenne alla famiglia di conti Gallo ed era utilizzata come abitazione. Il manto di copertura è stato recentemente rifatto, aggiungendo anche una guaina impermeabilizzante. La chiesetta vicino alla torre è stata rifatta tra il XVII e il XVIII secolo. Il giorno 20 maggio 1914 la Rocca di Bolignano alla Baraccola veniva dichiarata dal Ministero della Istruzione Pubblica bene d' interesse storico-artistico ai sensi dell'articolo 5 della L. 364/1909».
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Ancona_-_Rocca_di_Bolignano.jpg - http://sirpac.cultura.marche.it/web/Ricerca.aspx?ids=66072
«La prima notizia sull’esistenza di Castel d’Emilio è quella riportata in una pergamena che fa parte del Codice Bavaro, così chiamato perché conservato a Monaco di Baviera, contenente 136 registrazioni di poderi e proprietà comprendenti anche luoghi della zona. La pergamena con l’indicazione di Castel d’Emilio è datata 2 ottobre 968. Quindi Castel d’Emilio ha radici antichissime e, come dice il nome, è un centro abitato racchiuso da mura risalenti ai primi decenni del secondo millennio. Un altro elemento della denominazione del luogo si trova in un documento del XIII secolo indicante “Castrum Milii” cioè “castello di Milo”, perché era sottoposto ad un signore denominato “Milo”. Successivamente, per l’ubicazione strategica, divenne uno dei castelli più importanti della zona e sicuramente fino al 1500 era più importante del castello di Agugliano. Castel d’Emilio subì diverse ristrutturazioni la più importante delle quali si deve al genio dell’architetto fiorentino Baccio Pontelli che rifece parte della cinta muraria e la porta d’ingresso, mirabile esempio di manufatto della seconda metà del 1400. Architetto questi ricordato dallo storico Vasari come una delle menti eccelse al servizio di diversi papi del XV secolo. Egli fu architetto di fiducia di papa Sisto IV, a cui si deve, tra le altre opere costruite a Roma: la struttura muraria della Cappella Sistina, il progetto del Ponte Sisto, la chiesa dei SS. Apostoli ed il palazzo dei Penitenzieri. Castel d’Emilio divenne comune e tale risultò fino al periodo napoleonico ridotto poi a rango di appodiato (un istituto di origine medioevale, che era stato riutilizzato per concedere ad alcuni ex-castelli una minima forma di rappresentanza in seno al comune al quale erano aggregati, senza mantenere una completa autonomia). Dai documenti risulta che fino al 1813 questi è identificato ancora come comune, ma nel 1815 il suo status risulta modificato in frazione del comune di Agugliano, comunque con l’Unità d’Italia gli appodiati furono soppressi. Con un decreto del 29 aprile 1916, la Sovrintendenza per la Conservazione dei Monumenti delle Marche dichiara Castel d’Emilio monumento nazionale».
http://www.comune.agugliano.an.it/images/agugliano/CASTEL_D_EMILIO_Depliant_DEFINITIVO_.pdf
«L'edificazione del castello, e la stessa storia del paese, sono strettamente legate alle vicende della famiglia Ferretti, che ha posseduto questo territorio dai primi del Duecento fino a tutto il Settecento, esercitandovi i diritti feudali dal 1397. Sei secoli fa, nel 1384, Francesco Ferretti, discendente da uomini d'arme e condottieri originari della Germania venuti in Italia nel primo Duecento, chiede ed ottiene dal vicario generale della Marca anconitana Andrea Bontempi di poter trasformare un'antica torre di guardia, posseduta nella piana de' Ronchi, tra Falconara e Chiaravalle, in un luogo fortificato capace di contenere armati, vettovaglie e bestiame. è il primo atto con cui si dà l'avvio all'edificazione di un munito castello a custodia delle proprietà che i Ferretti possiedono tutt'intorno creando insieme una buona piazzaforte a completamento del sistema difensivo del territorio anconetano. All'incirca negli stessi anni vengono ristrutturate quasi tutte le altre rocche dislocate lungo i confini anconitani da Bolignano, al Cassero, a Fiumesino, onde poter meglio difendere la città dalle scorrerie delle armate angioine impegnate nella guerra tra i fedeli del papa Urbano VI e i seguaci dell'antipapa avignonese Clemente VII. Una controversia scaturita sì dalla faziosità dei cardinali francesi contrastanti il potere del collegio cardinalizio dominato dagli italiani, ma motivata pure da un malcelato interesse del partito di Luigi d'Angiò di conquistare e sottomettere parte delle terre dello Stato della Chiesa. La costruzione del castello è completata nel giro di pochi anni tanto che nel 1397 Francesco Ferretti viene nominato conte di Castel Francesco da papa Bonifacio IX.
La contea, su cui i Ferretti godono delle stesse immunità e dei privilegi concessi ai nobili palatini, si estende dal fiume Esino ai confini con il territorio di Ancona a quelli con le proprietà dei benedettini cistercensi di S. Maria in Castagnola di Chiaravalle, in una pianura fertile e ricca di acque occupante in parte l'antico alveo dell'Esino ormai asciutto per la deviazione subita dal fiume dopo le ripetute frane delle rupi di Jesi. Il riconoscimento del feudo ai Ferretti, famiglia di spicco nel governo di Ancona, dà luogo ad una disputa tra Anconitani e Jesini per il possesso delle terre al di qua e al di là dell'Esino che nel Quattrocento sfocia in duri scontri tra gli eserciti delle due città. Della questione territoriale, chiusasi solo nei primi decenni del XVI secolo, restano parecchi documenti, anche cartografici, che ben introducono nell'ambiente in cui vivono ed operano gli abitanti di Castel Francesco nei primi anni di sviluppo del centro abitato. Il castello offre una sicura abitazione agli agricoltori che lavorano nei campi circostanti e agli artigiani dediti ad attività di sostegno all'economia agraria. Secondo la descrizione resa da uno storico appartenente alla stessa famiglia Ferretti il fortilizio ha una forma quadrata con profonde mura a controscarpa, "recinto da ampla e capace fossa" alimentata attraverso "sotterranei condotti" da una vena tanto abbondante da colmare pure una cisterna scavata nella piazza interna. Lasciata in piedi l'antica torre di guardia, vengono elevate altre tre torri "di grossissime mura, e di ben considerabil altezza" e tra una torre e l'altra va un "corridore" merlato. Un'altra torre domina l'ingresso, a cui si accede per un ponte levatoio, che si apre sul cortile interno dove c'è la chiesa, col forno e una gran quantità di fosse capaci di contenere e conservare il grano frutto delle annuali raccolte. L'intera tenuta dei Ferretti "paludosa e selvata" fin verso la metà del Quattrocento è bonificata e messa a coltura dall'infaticabile opera di gruppi di albanesi stabilitisi in Castel Francesco, così come un po' per tutte le Marche, dopo un esodo dalle località d'origine, protrattosi per parecchi decenni, sotto la spinta delle incursioni turche nella penisola balcanica, e la pesante crisi economica conseguente al continuo stato di guerra. ...».
http://www.comune.falconara-marittima.an.it/falconara/html/info/cultura/beni_storici/storia.htm
«Il tempo non ha mutato di molto l’antica fattura del paese. Inalterata, infatti, anche per un certo innato rispetto della tradizione da parte degli abitanti, rimane l’inconfondibile caratteristica, propria dei paesi medioevali: vie anguste e brevi, casupole basse costruite con spessi muri, ben visibili ove sulle stradine s’aprono, quasi pertugi, le piccole e rare finestre. Si scorgono ancora ruderi delle vecchie fortificazioni del paese. Sulla cima del monte sovrastante l’abitato si notano tracce di muro che, secondo una diffusa opinione, doveva riguardare una cantina o più probabilmente una cisterna per acqua. Ancora relativamente ben conservate le due antiche torri del paese, La prima, posta a nord, di forma cilindrica. è la più antica perché nata contestualmente al primitivo, originario nucleo abitativo o insediamento umano, di cui rappresentava un punto di ampio avvistamento sulla sottostante vallata ed ovviamente di difesa. Come ben descrive il Venanzoni essa è “l’emergenza architettonica più significativa di Castelletta. Unica nella sua impostazione costruttiva circolare, si presenta con un corpo cilindrico realizzato in pietra calcarea locale non squadrata ed impostato su di uno sperone di roccia”. La seconda, posta ad est nei pressi della cinta muraria, è di forma quadrata. In un angolo della torre si può osservare una antica e rara misura romana, corrispondente ad una pertica, cioè a dieci piedi, di cm. 29 cad., ossia circa tre metri. Sono anche visibili i beccatelli per la difesa piombante e le feritoie verticali, poste a diverse altezze. Il corpo di fabbrica è sporgente rispetto alle mura e forma la protezione della seconda porta di accesso al castello, realizzata in laterizio e ad arco a tutto sesto”. Castelletta ha saputo mantenere integro anche l’esterno delle antiche case...».
«Questo importante castello sorge sulle ultime pendici della fascia collinare arceviese a ridosso della valle del Misa in una zona a confine di quelli che furono i territori longobardi del ducato di Spoleto con la Pentapoli bizantina. Sorto dopo il Mille, il podium Castellionis viene menzionato la prima volta nella bolla di Innocenzo III del 1199, insieme al vicino castellare di Fossaceka, tra le proprietà dell’abbazia di S. Elena sull’Esino, dipendente dalla diocesi di Camerino. Nel 1223 i due castellari di Castiglioni e di Fossaceka sono già divenuti possedimenti feudali del vescovo di Senigallia, indicati come tali nella bolla di Onorio III al vescovo Benno, e dipendenti da questa diocesi Entrato nelle mire espansionistiche dell’emergente comune di Rocca Contrada, Castiglioni agli inizi del 1228 viene assalito dalle milizie arceviesi e distrutto. Sottomesso a Rocca Contrada ne seguì le vicende storiche. Tra gli avvenimenti da ricordare, quelli della metà del 1407 quando fu occupato, come tutti gli altri castelli, dalle truppe del Migliorati, signore di Fermo, che stavano assediando Arcevia. Sopraggiunto Braccio da Montone anche Castiglioni fu liberato e venne fatto prigioniero Ranieri da Perugia che con 50 cavalieri lo presidiava. Qualche anno più tardi, durante l’assedio di Rocca Contrada del 1413, le milizie malatestiane occuparono buona parte del territorio arceviese che tennero fino a che nella seconda metà del 1416 non fu recuperato da Braccio da Montone. Castiglioni, Avacelli e Piticchio furono gli unici castelli a rimanere sotto il controllo di Rocca Contrada. Nel 1521 il castello subì la devastazione ed il saccheggio da parte di bande irregolari. Il consiglio comunale di Rocca Contrada stabilì che venissero risarciti, per i danni subiti, 47 uomini di Castiglioni. Con l’Unità d’Italia anche Castiglioni, perse le prerogative di castello appodiato, venne riconfermato al comune di Arcevia. Nel dicembre 1861 gli abitanti dentro il castello erano 180, con 42 famiglie, mentre nei dintorni 335, con 57 famiglie. Castiglioni conserva ancora oggi buona parte della sua struttura difensiva originaria, recentemente restaurata e risalente agli inizi del XV sec., costituita dalla possente cinta muraria bastionata e dalle due porte di accesso. La porta a sud è stata ricostruita in forme neoclassiche. ...».
http://www.arceviaweb.it/arcevia/castiglioni/castiglioni.html (a cura di Paolo Santini)
Caudino (territ. di Arcevia, castello)
«Nominato per la prima volta nel 1338, è uno dei castelli più tardi di Rocca Contrada. Era un baluardo importante per la difesa del territorio situato ad ovest di Arcevia verso Pergola. Caudino conserva il pittoresco portale d’accesso e parte dell’antica struttura fortificata. Nei pressi del castello fu combattuta una memorabile battaglia tra le forze Guelfe e Ghibelline per il possesso del territorio. Nel centro, di fianco all’antica torre campanaria, sorge la Chiesa di S. Stefano ristrutturata nel Settecento, che custodisce un affresco del 1500 raffigurante la Madonna di Loreto».
http://www.arceviaweb.it/arcevia/caudino/caudino.html
Cerreto d’Esi (castello, fossato)
«Castrum Cerreti, ovvero il Castello di Cerreto d'Esi, è ubicato nell'entroterra marchigiano, in provincia di Ancona. Ha una posizione elevata di 265 m. sopra il livello del mare e oggi conta circa 3200 abitanti. Questo castello ha conservato molto della struttura urbanistica originaria, anche se modificata, nel corso dei secoli, per cause sismiche, belliche o di deterioramento. Possiamo ipotizzare basandoci anche sulle notizie storiche relative ai castelli circostanti, che esso sia stato costruito inizialmente non per difesa militare, ma come snodo commerciale tra i territori limitrofi. Cerreto infatti, non era in posizione strategica dal punto di vista militare, ma situata vicino ad importanti centri economici e nelle vicinanze di una ramificazione minore della via Flamimia (zona di Collamato). Successivamente si è avuta la trasformazione in castello medioevale vero e proprio con un signore, il suo seguito ed i sudditi, ma il massimo splendore lo raggiunse intorno al 1500. Il significato della parola Cerreto è riportato in molti dizionari etimologici italiani e deriva da Cerrus, cioè cerro, pianta della famiglia delle querce. Il primo documento certo dell'esistenza del Castello di Cerreto è rappresentato da una pergamena del monastero di San Vittore delle Chiuse del 1090, ove si legge "locus qui dicitur Cerreto". Nelle Memorie storiche di Matelica di Camillo Acquacotta si riporta la data 1160 in relazione al conte Attone Attoni di discendenza longobarda, quale signore sia del castello di Albacina che di quello di Cerreto. In un documento storico del 1211, Appigliaterra di Guarniero di Atto, signore feudale dimorante in Cerreto, si sottomise insieme ai suoi uomini al comune di Fabriano. Nello stesso anno, in un'altra pergamena, si legge che Pietro Attone di Gozo ed il pievano (prima menzione certa dell'esistenza di una pievania nel castello) Guido di Rinaldo assoggettarono a Fabriano i loro uomini ed i loro beni. Negli anni successivi si ebbero altre sottomissioni, tra le quali quella del 1213, attuata da Alberico di Morico, che si fece castellano di Fabriano ed assoggettò al comune sia gli uomini che ha in Cerreto sia quelli che ha in Albacina; divenne poi sindaco di Fabriano intorno al 1226. ...
Il Castello dovette più volte affrontare il problema della pestilenza: nel 1300 ci fu un imponente abbandono delle campagne per sfuggire ad una grave epidemia che procurò centinaia di vittime, ma i cerretesi non si persero d'animo: trascorso questo periodo nefasto si misero nuovamente al lavoro per riorganizzare le loro attività. Si ebbe, intorno al 1500, un grande aumento demografico, con conseguenze crescita urbanistica. Intorno al 1600 ci fu una maggiore richiesta dei prodotti agricoli, così si istituì l'Abbondanza Perpetua con il compito di immagazzinare il grano in quelle annate in cui la produzione era più abbondante per poi distribuirlo nei periodi di carestia. Vivendo un periodo di pace, il comune di Fabriano migliorò l'amministrazione dei suoi castelli, tra i quali quello di Cerreto, che fu sempre considerato uno dei castelli più ricchi del territorio fabrianese. I gualdari avevano il compito di vigilare su ogni danno avvenuto nel territori sui frutteti, sugli orti, sulle vigne. Nel Seicento Cerreto subì molte carestie e pestilenze: il suono delle campane fu limitato per non gettare sconforto nei sopravvissuti. Con la bolla del 1° settembre 1728 Benedetto XIII istituì la Fiera del 5, 6, 7 agosto che ancora oggi viene effettuata, ma in un solo giorno, il 6 agosto. Dopo circa duecento anni (notizia del pievano De Vecchi) la popolazione era passata da 1500 a 2928 abitanti. Nel 1808, con l'avvento del Regno d'Italia, Cerreto fu dichiarato comune indipendente di terza classe. Nel 1861 fu aggregato alla provincia di Ancona e nel 1862 venne aggiunta la denominazione "d'Esi". Quindi Cerreto d'Esi è un comune autonomo a tutti gli effetti ed è stato l'unico Castello del contado fabrianese ad ottenere la libertà.
L’area su cui sorge Cerreto d’Esi è situata nell’alta valle dell’Esino, in una zona prevalentemente collinare e il contesto dove sorge il castello storico e dove si trova il fossato, è costituito da depositi alluvionali del Pleistocene superiore. L’abitato è delimitato da due corsi d’acqua, il fiume Esino e il fosso delle Cerquete. Entrambi confluiscono a nord del paese e lo circondano su tre lati, generando una posizione ideale per l’insediamento. L’esistenza di un fossato e di un ponte relativi all’accesso al castello si vedono in alcune immagini di mappe del secolo XV, conservate all’archivio storico di Matelica. Lo scavo archeologico è iniziato nel 1999, e subito si è notata la presenza di tre piloni in conci dipietra di medie dimensioni, e alcuni reperti interessanti per la storia di Cerreto d’Esi. Già nelle prime sezioni di scavo sono rinvenuti alcuni frammenti di ceramica, laterizi, e frammenti di vetro, mentre nelle ultime operazioni di scavo è stata raggiunta una struttura in pietra dell’arco rovescio tra i “piloni”. Purtroppo non si può risalire alla data in cui il fossato è stato riempito, ma sulla base degli esami stilistici della ceramica rinvenuta, si può pensare che l’interramento abbia avuto luogo tra il XVI e il XVII secolo. Purtroppo l’assenza di fonti storiche non aiuta a tracciare in modo preciso la storia della costruzione dei piloni di pietra. L’unica notizia certa è data dallo Statuto di Cerreto: infatti in uno dei suoi articoli e in modo particolare l’art.71 è menzionata la costruzione di nuove mura. E’ interessante poiché la tipologia costruttiva in conci di pietra squadrati, fa ritenere che il ponte sia contemporaneo alla struttura muraria. Per quanto riguarda il fossato, va segnalato che si conosceva da tempo l’esistenza di una deviazione del fiume Esino, creata per convogliare le acque nel fossato intorno a Cerreto. Di certo la presenza di un fossato smentisce alcune precedenti opinioni circa la scarsa difendibilità offerta dal castrum e la sua importanza solo come luogo di passaggio e sosta lungo la strada che conduceva da Matelica a Fabriano».
http://www.avventuramarche.it/dettaglio_scheda.asp?id_scheda=373
Cerreto d’Esi (torre rotonda "di Belisario")
«Vero e proprio emblema cittadino è la torre cilindrica, impropriamente attribuita al generale bizantino Belisario, un unicum nella tipologia delle fortificazioni marchigiane. Con i suoi 25 metri di altezza svetta a controllo della vallata circostante, e attualmente si caratterizza anche per un’accentuata pendenza. Avvolta nel mistero rimane la data della sua origine: se le forme attuali fanno propendere per il XIV-XV secolo, il basamento composto da pietrame grezzo misto a conci squadrati fa supporre l’esistenza di un edificio precedente. Vi si accedeva attraverso una piccola porta posta a grande altezza; all’interno vi sono cinque ambienti l’uno sull’altro, che comunicano tra loro per mezzo di botole e di scale retrattili a pioli. La parte sommitale presenta aperture che consentono di spaziare con lo sguardo in ogni direzione».
http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-cerreto-desi-an
«Le popolazioni distrutte dai Goti, tra le quali figurano Attidium e Tuficum, si riversarono nel territorio circostante in cerca di salvezza. Costruirono fortificazioni nei punti ritenuti più sicuri. Molti dei profughi di Attidium si rifugiarono sul colle dove sorse il castello di Collamato. Dalle Carte Diplomatiche Fabrianesi dello Zonghi, che contengono 274 documenti che vanno dal XI al XIV sec., viene menzionato Coldamati, Coldematum, Col di Amati che indicano chiaramente l'origine del vocabolo derivante dal genitivo di un nome personale: Amato da cui Colle di Amato, fino a giungere all'attuale Collamato. Anche nella tradizione popolare viene ricordato un tale di nome Amato, nobile e facoltoso, che molti concordano essere il fondatore e il signore del castello. Il Sassi invece risale a Mato, da un fondo di proprietà della Gens Mattia di Attidium, che ha lasciato la sua denominazione anche nella vicina località di Almatano. Il castello passa, come tutti gli altri della zona, sotto il dominio di Fabriano nel XII-XIII. Sorsero però dei problemi, infatti le tasse richieste erano molto onerose tanto che il castello di Collamato si rivolse alla Rota di Macerata chiedendo un pagamento più equo. In un documento catastale del 1604 il castello risulta stimato 32483 scudi più 21 baiocchi. Nel 1349 il castello venne distrutto, fu riedificato nel 1421, perdendo gran parte della struttura originaria. ...».
http://www.fabrianoedintorni.it/citt%E0/dintorni/collamato/index.html
Corinaldo (castello, mura, porte)
foto di Costantino Anzile
«Torre dello Sperone. è l’elemento più caratteristico delle Mura; la poderosa torre, risalente al XV secolo, ha la base pentagonale ed è alta circa 18 metri, e costruita nel XV secolo. La sua destinazione originale era a difesa del Cassero che sorgeva dove è ora la chiesa del Suffragio. Si attribuisce la progettazione della Torre all’architetto senese Francesco di Giorgio Martini, anche se tale autenticità ancora cerca conferme nelle fonti. Due significativi restauri sono avvenuti nel 1500 e poi nel 1900, che ne hanno parzialmente modificato l’aspetto originario; all'interno la struttura ospita un sacrario dedicato alle vittime di tutte le guerre. Torre dello Scorticatore. è ciò che resta di una imponente torre franata a metà del XIX secolo, sorta come struttura difensiva di Porta San Giovanni e Porta Santa Maria del Mercato. Dalla sommità dello Scorticatore è possibile vedere il sottostante sferisterio, ovvero il campo per il gioco del pallone con il bracciale, molto in voga a Corinaldo dall'Ottocento sino agli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Tutte le torri presenti a Corinaldo sono state civili abitazioni fino al secondo dopoguerra, in particolare in questa dello Scorticatore vi risiedeva un signore che faceva lo scorticatore di pecore, da cui il nome. Torre del Mangano. Prende nome dalla via omonima e proprio di fronte ad essa, fino agli anni del 1940, era posizionato il Mangano, antico strumento che veniva utilizzato per soppressare le stoffe. Salendo lungo la via, si incontra la torre del Calcinaro. Torre del Calcinaro. è la più recente torre della cinta muraria, edificata a metà Ottocento su un'altra torre di forma pentagonale, demolita venne poi ricostruita in forma circolare, ispirandosi alle vicine torri della Rotonda e di Porta Nova. Torre della Rotonda. La pianta è semi-circolare e fa parte dell'addizione rinascimentale iniziata nel 1484 e terminata nel 1490. Dalla terrazza della Torre sono visibili i due diversi perimetri murari, una parte trecentesca ed una rinascimentale».
http://www.valmisa.com/index.php?option=com_content&task=view&id=39&Itemid=46
«Il borgo di Domo si configura come un castello fortificato da alte e ripide mura che perimetrano tutto il poggio sul quale si colloca. Sul lato sud, dove confluiscono le tre vie di accesso, si concentrano gli elementi architettonici più significativi: la torre e la porta sovrastata dalle mura, che alla base presentano una leggera scarpa. Una rampa ripida conduce alla porta, oltrepassata la quale si entra nella piazza delimitata su tre lati dalle abitazioni e su un lato dalla chiesa di San Paterniano. La tipologia abitativa non è unica: vi sono piccole case a schiera di due o tre piani e complessi edilizi più grandi che si configurano come gli antichi palazzi signorili, tutti gli edifici però hanno facciate in pietra arenaria e coperture in coppi. Nel corso degli anni il castello pur avendo subito notevoli modificazioni (la demolizione di un isolato per la creazione di una seconda piazza e la creazione di altri due ingressi sul lato nord-ovest) conserva l'impostazione originale e molti elementi caratteristici dell'edilizia medievale. ... Le alte mura che circondano Domo sono realizzate con conci di pietra arenaria di medie dimensioni e presentano alla base una leggera scarpa che assolve alla funzione statica e difensiva allo stesso tempo. ... Costituita da un'arcata a sesto acuto in mattoni, la porta di accesso del castello è sormontata dal recinto murario in pietra arenaria con una serie di beccatelli in mattoni che ne caratterizzano la sommità».
http://borghidellemarche.it/borghi.php?id=PR_BG144 - ...BG144EB54 - ...BG144EB53
Fabriano (Castelvecchio e Poggio)
« Il territorio di Fabriano all'inizio dell’XI secolo era sotto la giurisdizione del gastaldato di Pierosara. La prima citazione è in una carta dell'abbazia di S. Vittore delle Chiuse del 1040 dove riporta "una via (Fa) briani..", una seconda del 1041 cita un "castello fabriani", una terza del 1065 del Libro Rosso in una vendita di una terra riporta che è posta “infra ducatus spoletanum infra teritorium castellu petroso in vocabulo in locu qui dicitur fabriani”. Una pergamena successiva della stessa abbazia datata 1160 attesta che Fabriano era formato da due castelli ("ambo castra fabriani"), con molta probabilità uniti e aventi un'unica amministrazione. Per mancanza di documentazione possiamo solo ipotizzare che il primo nucleo fortificato alto medioevale di Fabriano (Castelvecchio) si formò durante le invasioni barbariche, con i profughi d’Attidium, Tuficum e Sentinum. L'insediamento fu trasformato dai Longobardi in castellare, avente un apparato difensivo costituito da una o più cinta di mura, fossati e relative torri di guardia poste all'interno della struttura degli abitati. Nel periodo dell'occupazione franco carolingia nacque il feudalesimo che comportò il frazionamento dello stato centrale. Questo fenomeno si diffuse nel nostro territorio durante il dominio degli imperatori germanici. Nel X secolo, con la costituzione del gastaldato di Pierosara, probabilmente il castellaro di Fabriano, situato nell'area dell'odierna chiesa di S. Caterina, fu trasformato in "castellum". I maggiori proprietari probabilmente erano i Farra o Farratoni che erano proprietari del palazzo e torre del primo castello. Il Poio o Castelnuovo collocato sull'altura dell'odierno monastero di S. Margherita, forse fu costruito tra l'XI e il XII secolo. Quest’ultima realizzazione fu necessaria a seguito dell’incremento demografico della valle del Giano avvenuto a causa del fenomeno della migrazione delle popolazioni rurali abitanti nel circondario, richiamate dallo sviluppo economico dei fondovalli.
L'edificazione delle nuove strutture probabilmente fu eseguita per volere dalle famiglie di discendenza longobarda. Una di queste fu quella degli Atti o Attoni che divise il territorio di Pierosara in diversi feudi, governando indisturbati fino all'avvento dei liberi comuni. Fabriano fu un feudo di Pierosara, proprietario di un "fondo", come fu attestato in una carta di S. Vittore del 1065: "infra ducatus spoletinum infra territ. castellu petrosu in loco qui dicitur Fabriani" (loco nei regesti dell’XI secolo indicava un fondo, una proprietà). I signori di Fabriano all'inizio dell’XI secolo possedevano dei territori molto ristretti poiché le maggiori proprietà fino alla metà del XII secolo erano dell'abbazia S.Vittore. Con il documento del 1160 abbiamo la prima cessione dei beni intorno a Fabriano, di proprietà dell'abbazia, a Rolando di Bernardo e figli. In questo periodo, ovvero agli arbori del Comune, i possedimenti dei signori feudatari si trovavano alla destra del fiume Castellano (Giano) e confinavano con i feudi di Nebbiano, Collegiglioni, Conca e Almatano. Ad ovest le proprietà raggiungevano le alture dei monti Linatro, Orgitore e Civita. Ad est confinavano con la villa di Marischio e la pieve di S. Maria di Flexia di pertinenza dell'abbazia di S. Maria d'Appennino e della contea di Nocera. A sud si estendevano nella piana di Valdolmo e di S. Maria in Campo, colle Villano, la Serraloggia, parte del monte Fano ed erano a confine con i feudi d’Argignano, Attiggio e Capretta. Rolando di Bernardo è uno dei primi signori della Fabriano medievale. Compare anche in un atto del 1170 dove Alberico e Rainaldo di Chiavello si sottomettono al Comune; nel 1183 figura nella stipulazione della convenzione fra il conte Attolino e sua moglie Berta moglie di Ruggero col monastero di S. Vittore. Nel 1186 Rolando di Bernardo fa un patto di concordia con il conte Attolino di Martino e Berta moglie Ruggero e il monastero di S. Vittore. Probabilmente questo personaggio è uno dei figli del conte Atto che compare nell’atto datato 1104 un consorzio di signori del gastaldato di Pierosara fanno donazione dei loro castelli all’abbazia di S.Vittore (castellu de la civitella, della sassa, de pleche, de ceresola, de serra-siccha, de valle etc.)».
http://www.fabrianostorica.it/fortificazioni/castello.htm (a cura di Federico Uncini)
Fabriano (cinta muraria, porte)
«La seconda cerchia di mura venne costruita a partire dal 1230. Con essa si vollero includere i nuovi borghi e contrade che si erano man mano venuti a formare fuori della prima cinta: Piano, Portella, S. Nicolò, S. Agostino, Saraceno, S. Croce... Ad ogni modo c'erano: 4 Porte, 1 Rocca, 16 Torrioni o Torrette, 2 Ponti fortificati» - «Porta del Piano (o Romana, poi Clementina, poi Magenta). Dal nome della zona e del vicino quartiere. Chiamata anche Romana perché orientata verso la capitale. Nel 1735 fu fatta ricostruire da Clemente XII e da allora fu chiamata anche "porta clementina". Per ricordare il risorgimento fu anche appellata Magenta. Nel 1952 fu demolita per favorire il passaggio delle auto. Porta del Borgo (poi Bersaglieri). Dal nome del quartiere cui dava accesso o, secondo altri perché fuori di essa si trovava un nuovo borgo fuori le mura. Il nome Bersaglieri si riferisce al periodo risorgimentale. La porta fu demolita sul finire del XIX secolo. Recentemente sono stati ritrovate da Giordano e Stroppa quelle che probabilmente erano le ante in legno che chiudevano un tempo l'accesso. Porta Antiqua? In questo luogo si trovava probabilmente la Porta Antiqua che serviva questa zona della città, successivamente fu aperta la Porta Pisana (Porta Nova). Si dice venne chiusa perché fu fatto da qui fuggire, con la complicità degli Agostiniani, un condannato. Porta Pisana (o Nova, o Saracena, poi San Martino). Deve il suo nome al podestà Marzucco Scormazzani di Pisa che la fece costruire nel 1283 in sostituzione della porta "antiqua" che si trovava nei pressi di Sant'Agostino (da qui anche l'appellativo di "porta nova"). Fu chiamata anche Saracena come il borgo che si trovava nei pressi. Dopo il 1861 fu anche detta "porta San Martino". Fu demolita nel 1914. Porta Cervara (poi Palestro). Così chiamata perché, secondo una leggenda, vi entrò ai tempi di Alberghetto Chiavelli una cerva inseguita da cani. La porta fu demolita nel 1930 e, si disse allora, le sue parti furono inventariate e messe al sicuro. Dopo l'unità d'Italia fu anche detta Porta Palestro».
http://www.fabrianostorica.it/fortificazioni/seconda.htm - http://www.fabrianostorica.it/fortificazioni/a.htm ss.
Fabriano (palazzi, torre Civica)
«Palazzo del Podestà (1255). Fu costruito nel 1255 e divenne proprietà dei governatori della Chiesa nel sec. XVIII prendendo il nome di Palazzo Apostolico. Bellissimo il grande arco gotico il cui intradosso del voltone presenta ancora tracce di decorazioni pittoriche realizzate in varie epoche. Nel 1326 fu affrescato anche dal pittore fabrianese Ventura di Francesco e ritoccato più volte nei secoli. Tra il 1911 e il 1922 fu restaurato per essere riportato allo stato originario (merlatura esclusa). Ristrutturato nell'Ottanta è stato per molto tempo sede della magistratura cittadina. Attualmente è sede degli Uffici Finanziari del Comune di Fabriano. Palazzo del Comune (1350 ca. e ricostruito nel 1960). Antica dimora dei Chiavelli, signori della città fino al 1435, conserva l'androne voltato a crociera del XIV secolo e (nel cortile) il lapidarium con epigrafi e cippi provenienti dai municipi romani di Attidium (Attiggio), Tuficum (Borgo Tufico) e Sentinum (Sassoferrato). è attualmente sede centrale del Comune di Fabriano dopo un lungo periodo di ristrutturazione dovuta al terremoto del 26 settembre 1997, allorquando gli uffici dovettero trasferirsi in affitto in un moderno edificio di via Dante. Durante i lavori di ristrutturazione sono venuti alla luce uno splendido arco gotico e altre antiche vestigia. Palazzo Vescovile e Torre Civica (Corso della Repubblica). L'edificio, distrutto il 20 maggio 1542 a seguito del crollo della torre civica, fu ricostruito tra il 1546 e il 1549. Fu sede dei Priori prima, vescovile poi (1729). Falso storico è la lapide che si vede sulla facciata della torre inneggiante gli artefici dell'Unità d'Italia. Sostituita nel dopoguerra doveva essere la copia di quella maestosa incorniciata nel 1884, ma quando fu ricopiata, sulla lapide attuale, più piccola della precedente, l'esecutore compì un errore: incise MDCCCLXXXVI anziché MDCCCLXXXIV».
http://www.piazzalta.it/Engine/RAServePG.php/P/30911FAB0600/M/30351FAB0625 - e vedi http://www.fabrianostorica.it/palazzi.htm
Fabriano (torrette e torrioni)
«Di alcuni torrioni, per la maggior parte demoliti, non si conosce la precisa collocazione, ma si è cercato di ipotizzarne la posizione. Inoltre si tramandano alcuni nomi che non possono con certezza essere attribuiti ad alcun luogo: torrione de li botti, torrione beccate questa, torrione dell'orto di Porfirio, torrione de casa de Coccia. Ad ogni modo c'erano: 4 Porte, 1 Rocca, 16 Torrioni o Torrette, 2 Ponti fortificati».
«Torrione di San Lorenzo. Il nome è dato dall'antichissima chiesetta che si trova su un'altura poco distante. Originale è solo la parte inferiore. Torretta della Portella (o di Campo di Fiore). Demolita nel XVIII, era posta in alto, sopra al vallato cupo (o vallato di Alberghetto) fatto scavare appunto da Alberghetto I Chiavelli durante l'opera di ampliamento delle mura per includere i nuovi borghi. Torrione della Portella. A metà della salita detta della Portella (Via Damiano Chiesa). Ecc.»....
http://www.fabrianostorica.it/fortificazioni/seconda.htm - http://www.fabrianostorica.it/fortificazioni/1.htm ss.
Falconara Marittima (castello di Falconara Alta)
«Il castello di Falconara risalente al periodo tra il VII ed il XII secolo, è il risultato di numerosi interventi restaurativi avvenuti nei secoli che ne hanno modificato la struttura originaria di cui si conserva solo la corte e l'impianto primitivo. La struttura presenta la forma di semianello chiuso sul lato orientale da una cortina rettilinea. Da ammirare la torre quadrata situata ad angolo tra il lato orientale e quello meridionale, di poco scarpata alla base e un tempo utilizzata per difendere l'ingresso alla fortificazione. L’ultimo restauro a permesso il recupero delle strutture che versavano in una situazione di degrado, conseguenza non solo dell’abbandono ma anche degli ingenti danni causati dal terremoto del 1972. Il Comune presentò il progetto di trasformazione della struttura in un centro universitario ad indirizzo marinaro. A partire dal 1976, il complesso venne diviso in aule e sale per esposizioni, mentre il muraglione a valle venne svuotato e il vuoto occupato dall’Aula Magna, che in seguito venne ampliata è trasformata in Sala Convegni».
http://www.byitaly.org/it/Marche/Ancona/FalconaraMarittima/Castello_di_Falconara
Genga (castello, palazzo dei Conti)
«Genga è un piccolo castello sorto nel Medioevo, insieme a tanti altri che costellano le alture delle valli interne dell'anconetano. Il castello si adagia su una rocciosa e ristretta piattaforma di una ripida ondulazione del monte Giunguno che si alza quasi improvvisamente dai tortuosi percorsi del fiume Sentino che nasce a Sassoferrato, a 9 km di distanza. Il luogo viene a configurarsi come un vasto catino, chiuso dai monti Giunguno, Ercole e Gallo. Il Castello conserva gran parte delle mura di difesa edificate via via che l'abitato si ampliava e le minacce di occupazione rendevano necessario il potenziamento del sistema difensivo. Genga appartenne sempre alla Marca. Genga comprende ventiquattro frazioni tra cui, la più importante, San Vittore e la sua straordinaria abbazia romanica di San Vittore delle Chiuse; confina con i comuni di Sassoferrato, Fabriano, Serra S.Quirico e Arcevia. Lo stemma del comune è quello antichissimo dei suoi conti; l'aquila nera coronata di oro in campo azzurro. Si accede al Borgo per l'unica porta ad arco, fortificata, dove ancora sono visibili gli alloggiamenti delle guardie, nel passato preposte alla tutela e difesa dell'abitato insediato tra l'antico e il moderno palazzo dei conti. Dalla sommità è possibile avere una immediata veduta dell'intera vallata, che seppure non grandemente estesa, è piacevole per le convulse variazioni del territorio e per le alterne immagini di corrusche stese cromatiche delle nude rocce e di cangianti vibrazioni dei verdi boschivi. Il reticolo e la struttura interna del paese tra chiese, strade ed edifici armonizzano in perfetta concordanza con le qualità dell'ambiente e le funzionalità del progetto costruttivo. La porta ad arco immette d'un sol fiato nel cuore stesso dell'abitato presentandoci, con immediata schiettezza, i simboli istituzionali su cui è incentrata e ancora s'impernia, in certo qual modo, la vita pubblica degli abitanti, la chiesa nuova dell'Assunta, a cui fa riscontro frontale la maestosa facciata dell'antico palazzo signorile dei Conti del Genga con il suo andamento concavo, tale da sembrare quasi un nobile uccello rapace nell'atto di dispiegare le ali per volteggiare e sorvolare la profonda valle che si svela carica di mistero e di colori in un ampio e articolato abbraccio tra cielo e terra.
In questo luogo irto e, sotto alcuni aspetti, contraddittorio per la dolcezza del clima che lo pervade e corrobora, contraddittorio proprio per quell'impalpabile presenza dell'antico che si sente come realtà presente pur se non moderna, Genga si offre con le sue case a più piani, disposte a gruppi, nell'area delimitata dal tracciato delle mura medievali e da barriere naturali. L'architettura castellana quindi si modella sui prototipi delle più generali tipologie difensive dell'entroterra marchigiano, dove l'artificio militare si avvale delle predisposizioni del paesaggio, risultando dimessa e vernacolare ma allo stesso tempo possente e misteriosamente spaventosa. è un'architettura che si conclude negli ornamenti, nelle decorazioni che ingentiliscono la sua maschia durezza; le case, disposte a schiera, s'aggruppano sugli speroni della roccia che viva s'avvinghia e innesta nelle mura maestre secondo una icastica unione, che altra non potrebbe essere, per definire la natura forte e dolce della gente che le abita; un po' asprigna e riservata forse, ma sensibile e naturalmente generosa. Il borgo distribuisce i suoi agglomerati, con armoniosa semplicità, l'architettura e la linearità dell'articolazione viaria costituita da una unica arteria, che come decumano ellittico segue l'andamento del perimetro difensivo: la cinta muraria. Ed è seguendo quella che, dopo aver girato attorno alla fabbrica seicentesca della chiesa dell'Assunta, si giunge alla piazza del borgo, da cui partono piccole strette viuzze trasversali; lì trovi anche la fabbrica della vetusta chiesa di San Clemente, di cui si dice già nella concessione in enfiteusi del castello della Genga, nel 1090, si conti Alberto, Ugo e Suppo figli di Alberico, ora non più adibita al culto; questa, nella piazza, fa angolo con la canonica. Le origini del Castello di Genga si perdono nell'oscurità dei tempi lontani. Poetiche leggende riporterebbero le origini ai tempi del re Pirro, allorché un certo Lucio Sentinate, dopo aver militato inizialmente con quel re e di poi coi romani, acquistò il monte Giunguno e vi edificò il Castello di Genga. Altra leggenda ricorda che una fanciulla di nome Genga si innamorò di un tedesco di nome Gallo, con il quale unitasi in matrimonio diede origine alla famiglia dei Conti della Genga. Di certo possiamo ritenere che popolazioni provenienti dalla valle del Sentino, forse gente picena, si stabilirono nel territorio; poi sopraggiunsero gli Umbri che uniti ai Piceni occuparono tutto il Piceno Annonario».
http://www.fabrianoturismo.it/docs/terredelgentile/genga.asp
«Loretello è un castello perimetrato completamente da una possente cinta muraria, che sorge su un poggio a 300 metri d’altezza, distante circa 15 km da Arcevia, in direzione S. Lorenzo in Campo. Tra i castelli del territorio rimasti è quello più antico: nominato per la prima volta nel 1072, edificato insieme alla chiesa di S. Andrea dai monaci di Fonte Avellana. Il 14 maggio 1139 papa Urbano II, su richiesta del priore Benedetto, pose sotto la protezione della Santa Sede tutti i beni di Fonte Avellana compreso il castello di Loretello. Esso rimase alle dipendenze del monastero fino al 1159 quando sorse una contesa di competenza con il vescovo di Fossombrone. A dirimere la questione venne interpellata la curia romana che affidò il caso alla mediazione di cinque illustri cardinali romani scelti direttamente dal Papa. La questione venne risolta il 2 aprile del 1185 quando fu stipulato "un instrumento" col quale il vescovo Nicola di Fossombrone concedeva al priore Salvo di F.A. ed ai suoi successori la metà di quanto alla chiesa apparteneva e più metà del castello con tutte le possessioni e gli uomini alla stessa metà appartenenti". Intanto in quegli anni emerse prepotentemente Arcevia, una solida roccaforte che primeggiò nella zona. Loretello, che osò resisterle, venne costretto ad arrendersi ed umiliato al punto da vedere il suo castello quasi distrutto dalle fondamenta. Questo accadde nel 1255. Da allora Loretello rimase sotto l'influenza di Arcevia seguendone le vicende fatte più di lutti che di trionfi. Fossombrone accettò il fatto compiuto e in compenso ricevette da Arcevia un indennizzo. Nel 1273 trentatre famiglie di Loretello giurarono sottomissione e fedeltà alle autorità comunali di Arcevia e nel 1289, con un atto formale notificato dal rettore della Marca, Loretello divenne possesso definitivo di Arcevia. Questa appartenenza fu per Loretello una continua fonte di tragedia. Gli eserciti che si mossero contro Arcevia per assediarla passarono spesso per Loretello che venne sottoposto a continue invasioni e devastazioni. Questo continuo stillicidio fa perdere a Loretello importanza e prestigio fino a ridurlo ad un insediamento di poche famiglie, undici "fuochi".
Il vero e proprio castello, come appare oggi, risale ad un ampliamento avvenuto probabilmente tra la fine del ‘300 e i primi decenni del ‘400. Quasi intatti sono la sua cinta muraria in laterizio (interamente percorribile), i rivellini, la munita porta (dove sono visibili i meccanismi del ponte levatoio), mentre il bel ponte di accesso a tre arcate è stato aggiunto nel Settecento, quando la funzione di castello venne a mancare. Vi sono poi due tipiche torri: la "Torre della guardia", torre di avvistamento, strutturata in tre piani, costruita ad angolo per respingere i colpi delle bombarde; essa è collegata, tramite una galleria, con le abitazioni vicine. La seconda torre è detta "La prigione" : è un'elegante e sofisticata costruzione a forma circolare, coronata nella parte superiore da merli a coda di rondine di gusto ghibellino e da una cintura di beccatelli che gira tutt'intorno alla torre. Usata in tempi non lontani, come abitazione privata, è certamente uno degli aspetti più caratteristici del castello. La costruzione veniva usata sia come vedetta e sia come prigione per criminali. La torre è strutturata in sei livelli aventi ciascuno una sola cella con strettissime feritoie per fare entrare quel po' di luce e di aria necessarie alla sopravvivenza. La parte più bassa della torre era collegata al fosso. In questa cella, secondo una tradizione, venivano immersi nell'acqua i condannati alle pene più gravi. Nel secondo girone, ove si trovavano gli strumenti di tortura, fra cui le tagliole, venivano detenuti coloro che erano sottoposti alla tortura. La sommità della torre, un tempo senza copertura, ma coronata con merlatura Ghibellina, serviva per la ronda delle guardie e luogo di avvistamento. Una cintura di beccatelli adornava ed adorna tuttora, sebbene i beccatelli sono in parte trasformati in piccionaie, la base dell'ultimo piano di questa singolare costruzione che è posteriore di diversi secoli al progetto originario del castello. Il Castello era retto da un Capitano che amministrava la giustizia civile e l' ordine pubblico, mentre il Consiglio del Castello provvedeva all'amministrazione corrente. La storia degli ultimi due secoli è strettamente legata alla Storia Patria dell'unità d'Italia (1861). Da questo momento il Castello di Loretello perde la propria autonomia amministrativa, ora concentrata presso il Comune di Arcevia. Malgrado ciò ancora dopo la Prima Guerra mondiale nel Castello sono presenti alcune forme associative come la banda musicale e la "Cooperativa di consumo ex combattenti"».
http://castelliere.blogspot.it/2012/03/il-castello-di-venerdi-30-marzo.html
Marina di Montemarciano (il Mandracchio)
«Il Castello di Montemarciano fu fatto costruire negli anni in cui la terra apparteneva ai Piccolomini, duchi sotto il pontificato di Gregorio XIII. In seguito Sigismodo Malatesta vi fece costruire nel 1400 un Mandracchio in una posizione da lui stesso scelta: l'incrocio tra via Flaminia, via Lauretana e via Flambegna. Nel tempo questo edificio fu soggetto ad usi molteplici, da stazione di posta a magazzino ad osteria. Il nome del castello deriva da Monte di Marte, poi divenuto Montemarziano ed infine Montemarciano. Ad oggi del castello resta solo il Mandracchio, lungo la Statale 16, in località Marina di Montemarciano. L'imponente edificio, di forma quadrangolare, è stato restaurato piuttosto recentemente».
http://castelliere.blogspot.it/2010/10/il-castello-del-giorno_21.html
«Castello di origine medioevale, annoverato tra le proprietà del vescovo di Senigallia. Nel 1289 passò ad Arcevia. Il castello, ai primi del XV, secolo fu assalito e preso da Braccio da Montone per conto di Arcevia. Montale conserva, nella parte più antica, consistenti tracce della sua origine medioevale. Interessante è ciò che resta della cinta muraria, in alcuni tratti ben conservata e fornita di rivellini e torrioni. La chiesa principale è dedicata a S. Silvestro».
http://www.cadnet.marche.it/arcevia/montale.html
Monte Roberto (castello iesino, mura)
«La leggenda vuole riportare a Roberto il Guiscardo (1015-1085) l'origine del castello di Monte Roberto, dove avrebbe trascorso la sua fanciullezza l'Imperatore Federico II. Più concretamente invece la storia ci riferisce la prima menzione della località in un documento del 1079: un piccolo agglomerato il cui nome fa supporre un feudatario laico, un "signore del luogo", chiamato Roberto probabilmente d'origine longobarda. Agglomerato edilizio e contrada che facevano parte del territorio di Castelbellino, allora Morro Panicale. Solo nel corso del Duecento si ha la trasformazione in un castello vero e proprio. ... Caratteristico borgo medievale, Monte Roberto si presenta munito da una cinta fortificata che risale al XIV-XV secolo, in parte restaurata, e che conserva ancora tutto il suo fascino. L'anello edilizio, di forma ovale allungata, ha un circuito quasi continuo, intervallato da quattro torri: sul torrione ad occidente vi è la cosiddetta "Sala del Trono" le cui decorazioni risalgono alla prima o seconda decade dell'Ottocento».
http://www.marcheintour.it/Scheda-Comune/index/comune/90
Montecarotto (mura castellane)
«La cinta muraria é stata costruita nel 1509 su disegno dell'architetto Albertino di Giacomo da Cremona, che restaurò e valorizzò quella precedente. Racchiude la parte più alta del colle, su cui domina la Chiesa Parrocchiale della S.S. Annunziata. Misura 625,50 m ed ha una pianta a quadrilatero trapezoidale allungato nella direzione est-ovest. Le mura hanno subito negli anni numerosi interventi, il più marcato dei quali nel 1903, quando venne demolito il tratto che univa il Torrione dell'Orologio al lato che volge a mezzogiorno, allo scopo di allargare l'ingresso principale per agevolare il passaggio dei carri nei giorni del mercato. Da questo tratto che divideva la piazza interna (oggi piazza del Teatro) da quella esterna (piazza della Vittoria), si accedeva al paese attraverso l'unica porta d'ingresso con la torre civica, su cui erano originariamente collocati l'orologio e le campane, e l'antico palazzo priorale, come testimonia il quadro del 1865 conservato in municipio del pittore cuprense Antonio Bonci. Le due porte sono frutto di interventi successivi. Della cinta muraria è ancora ben evidente la parte della scarpata, mentre le cortine sono state coperte da abitazioni. Lungo la cinta muraria sono distribuiti cinque torrioni».
http://www.comune.montecarotto.an.it/Engine/RAServePG.php/P/2606100F0100/M/2509100F0101
Montecarotto (torrione dell'Orologio)
«Il poderoso torrione cilindrico è il monumento più in vista del paese e, anche, la sua immagine più ricorrente. è collegato ad un altro torrione da un percorso coperto a quota del camminamento di ronda. Venne rivestito ed ornato nelle forme attuali nel 1903 quando fu abbattuta una parte delle mura con l'antica porta di accesso e la torre civica su cui originariamente era posto l'orologio pubblico. Attraverso una porta posta sul camminamento di ronda, si può accedere al piano superiore, dove è custodito il quadrante dell'orologio, l'asta di collegamento, il pendolo e i pesi originali per la ricarica manuale delle lancette. Da questo primo locale, una scala in legno conduce al "cuore" dell'orologio, dove sono posti tutti i meccanismi e la ruota dentata. Progettato e costruito nel 1849 da Pietro Mei, come testimonia la scritta sulla matricola, l'orologio tuttora funzionante, viene ricaricato manualmente tutti i giorni da un addetto comunale. Continuando nella salita si arriva all'esterno della torre e alla cella campanaria dove sono collocate le campane che, dietro comando dell'orologio, battono ogni quindici minuti. Dopo la recente ristrutturazione, dal 2011 è consentito l'accesso ai visitatori, i quali, dall'alto della torrione, possono ammirare un panorama mozzafiato a 360°, che parte dall'Appennino, attraversa i tetti delle case del centro storico montecarottese e raggiunge l'Adriatico e il Conero, abbracciando la valle del Misa e dell'Esino».
http://www.comune.montecarotto.an.it/Engine/RAServePG.php/P/3342100F1101
«L’origine dell’abitato di Monterado può essere datata nel 1267. Il castello sorge invece sulle fondamenta di un’antica pieve dei monaci avellaniti dell’anno Mille. Nel Rinascimento divenne parte del Ducato di Urbino e passò successivamente nelle proprietà dei Della Rovere e poi del Collegio Germanico Ungarico dei padri Gesuiti. Appannaggio nell’800 del Principe di Beauharnais, venne ereditato dal figlio Massimiliano, principe di Eichstatt. Tornò infine allo Stato Pontificio. Nella sua attuale forma il castello fu disegnato dall’architetto Luigi Vanvitelli, di cui rimane gran parte del lavoro originario. Di particolare interesse la piccola chiesa interna dove si possono ancora celebrare matrimoni e altre funzioni religiose. Ben conservati anche gli affreschi ottocenteschi di Corrado Corradi, commissionati dal principe Massimiliano di Beauharnais. Intorno al castello si stende il bosco di pini, querce secolari, allori e viburni, fatto piantare dal Conte Cerasi nel 1846. Sono sette ettari di parco nel quale suggestivi sentieri ombreggiati invitano a godere della tranquillità del luogo e delle passeggiate nella natura viva. Il giardino, tipico giardino all’italiana, profumato dalle rose e dalle altre aiuole fiorite, è ombreggiato da giganteschi cedri del libano».
http://www.castellodimonterado.it/residenza-storica/storia-del-castello
«La cinta muraria di Morro d'Alba, di andamento irregolarmente pentagonale con sei bastioni, è il risultato di una serie di diverse ristrutturazioni databili tra il XIII e il XV secolo ed è tuttora conservata in ottimo stato. Nel 1654 le autorità autorizzarono la costruzione di abitazioni sulle mura: ebbe così origine la cosiddetta "Scarpa", esempio unico in Italia di camminamento di ronda completamente coperto, fiancheggiato da arcate, che corre lungo tutto lo sviluppo della cinta fortificata. Il vecchio borgo era difeso da pezzi di artiglieria del XIV-XV secolo, tra cui una possente bombarda oggi conservata nel Museo Storico Nazionale di Artiglieria di Torino. Come risarcimento il Comune ricevette il "Compiano", altro bellissimo pezzo di artiglieria da montagna conservato nei locali della residenza comunale. Nel corso dei secoli gli abitanti del paese hanno scavato un complesso labirinto di grotte, collegate tra loro da gallerie, che costituiscono una sorta di seconda città sotterranea. Le grotte erano utilizzate in passato soprattutto per la conservazione dei cibi, ma all'occorrenza potevano servire come estremo rifugio dalle incursioni nemiche. Alcuni di questi sotterranei sono a tutt'oggi visitabili, solo però su concessione dei proprietari».
http://www.comune.morrodalba.an.it/Engine/RAServePG.php/P/255010090100/M/250910090101
Morro d'Alba (porta, torre Comunale)
«La Torre comunale, sormontata dalla cella campanaria, con l’orologio e il “leone rampante” simbolo della città di Jesi, a testimonianza dell’appartenenza alla sua Signoria, fu restaurata e resa come oggi la vediamo nei primi anni del 1900. Negli anni 70 del 1700 venne stravolto l’aspetto del castello nel lato che si affaccia su piazza Tarsetti: venne chiuso il fossato, ormai con acque ristagnanti e pieno di sporcizia; venne abbattuta la piccola Chiesa di S. Francesco per far posto all’attuale Porta d’ingresso al castello e collegare direttamente la strada del borgo con quella davanti a S. Gaudenzio; venne demolita la vecchia Porta, con ponte levatoio, che si trovava a sinistra dell’attuale loggiato sotto la Torre, sorto durante i restauri dell’inizio Novecento. Le piazze interne del castello si sono create con la demolizione di alcune case fatiscenti alla fine del Settecento e nel corso dell’Ottocento».
http://www.promorro.it/index.php?option=com_content&view=article&id=53&Itemid=62
«Il castello di Nidastore – “nido degli astori”, ossia dei falchi che venivano usati per la caccia nel Medioevo – è il castello più settentrionale di Arcevia, ai confini con la provincia di Pesaro. Nidastore sorse verso la metà del XII secolo e fu da sempre conteso tra il vescovo di Fossombrone e Rocca Contrada. Nel 1408 il castello venne concesso al nipote del vescovo Raniero di Taddeo dei Ranieri di Pesaro, che venne ucciso da fuoriusciti da Rocca Contrada. A questa vicenda è legata la tradizione secondo cui il Ranieri sarebbe stato ucciso dagli stessi abitanti di Nidastore in seguito alla pretesa dello stesso di esercitare lo jus primae noctis sulle loro spose. Nel 1462 il castello fu definitivamente riconosciuto a Rocca Contrada da Pio II. L’abitato attuale risale alla seconda metà del ‘400, quando Rocca Contrada, dopo varie distruzioni, ha l’obbligo di riedificare il castello: da notare la cinta muraria ben conservata su cui poggiano direttamente le abitazioni e alcuni palazzi con portali cinquecenteschi e seicenteschi in ottimo stato di conservazione».
«Si trattava di un bel maniero costiero sorto su precedenti costruzioni d’origine siculo-greca che nel Trecento doveva comporsi di un ampio recinto di porte fortificate e torri, tra le quali quella deputata all’avvistamento. Oggi quel che si ammira a Numana è tutto ciò che resta della torre d’avvistamento che dichiara le origini medievali con l’arco a sesto acuto. In questo caso a distruggere la fortificazione più che il logorio del tempo è stato il terremoto. Terribile quello che si verificò nel 1929 che ha raso al suolo gran parte del complesso ed ha lasciato solo il bell’arco a sesto acuto della torre. Orario di apertura: le vestigia del castello costiero di Numana sono liberamente visitabili».
http://www.italiadiscovery.it/news/marche/ancona/numana/castello_di_numana/6414.php (a cura di Silvia Brunori)
foto di Costantino Anzile
Offagna (borgo, torre dell'Orologio)
«Offagna è un borgo medievale italiano situato sulle morbide e fertili colline dell’entroterra marchigiano in provincia di Ancona. Il Castello è stato edificato sul monte Sentino tra il 958 e il 978 riutilizzando vecchi materiali di costruzione già esistenti. Dopo il Mille, è stato migliorato il sistema difensivo con il completamento delle mura circostanti, l’innalzamento dei torrioni, la creazione di un corpo di guardia e di un ponte levatoio. All’interno delle mura iniziarono a fiorire così varie attività commerciali e artigianali con la celebrazione delle prime funzioni religiose in considerazione del fatto che il borgo da “rurale” era diventato “castellana” – iniziando così, verso la metà del XIV secolo, grazie alla promulgazione degli “Statuti d’Offagna”, a godere di una certa libertà anche se non duratura per la lotta tra i Guelfi e i Ghibellini (due fazioni opposte nella politica italiana dal XII secolo fino alla nascita delle Signorie nel XIV secolo) che portarono alla distruzione del castello. Nel corso del XV secolo il territorio delle Marche fu sottomesso dalle potenti famiglie Malatesta e Sforza causando così dispute ed ostilità locali tra le città di Ancona e Osimo che si contesero il borgo fino a quando il pontefice Eugenio IV, concesse ad Ancona la giurisdizione sul territorio e gli osimani entrarono in guerra riacquisendolo nuovamente. Successivamente, nel 1454, il borgo fu concesso ad Ancona da papa Niccolò V per un debito che la chiesa aveva contratto con il comune. L’edificazione della Rocca iniziò nel 1454 e fu terminata in soli due anni di lavori. ... La Torre dell’Orologio viene citata in un documento del 1654. Nel 1663, il comune assegnò la manutenzione dell’orologio a Giovanni Gentilone. Nel 1776, fu oggetto di un minuzioso restauro dovuto all’usura del tempo».
http://www.venicesunset.it/it/2012/10/17/offagna/
«Palazzo Comunale. Complesso formato da tre corpi architettonici distinti, edificati in diversi periodi: l’edificio comunale vero e proprio, la torre civica e il loggiato. L’elegante edificio venne costruito tra il 16° e il 17° sec. su disegno dell’architetto militare Pompeo Floriano di Macerata; esso si affaccia in parte su Piazza Boccolino, area un tempo destinata al foro e al mercato medievale. Nell’atrio d’ingresso e nel cortile interno è ospitato il lapidarium, che comprende una ricca raccolta di statue onorarie acefale (I sec. a.C. - II sec. d.C.), che hanno dato agli osimani l’appellativo di “senza testa”. La più singolare tradizione osimana è quella delle statue decapitate. Tra le tante ipotesi sulla decapitazione delle statue, quella più interessante vuole che il “boia” sia stato il generale milanese Giangiacomo Trivulzio, dopo aver cacciato da Osimo Boccolino di Guzzone nel 1487, dopo un lungo assedio. Non si esclude però che in alcuni casi le teste non siano mai state realizzate o che siano cadute nel corso di vicende belliche. Annessa al Palazzo del municipio si innalza la Torre Civica, edificata nel 13° sec. Palazzo Guarnieri-Balleani Baldeschi. Situato nella centralissima Piazza del Comune, è uno dei più antichi palazzi nobiliari di Osimo, appartenente al conte jesino Gaetano Balleani Baldeschi, da anni residente a Milano. Il monumentale edificio è diviso in due complessi architettonici su tre piani, costruiti in epoche differenti: fronteggia Palazzo comunale l'ala più maestosa, quella cinquecentesca, già della blasonata famiglia Guarnieri. Nel piano nobile (di circa 4-500 mq) abbondano le decorazioni pittoriche, i soffitti lignei e scultorei e i mobili settecenteschi di grande pregio che probabilmente resteranno agli attuali proprietari. Al secondo piano si possono ammirare i soffitti lignei e di stucco nella sede del circolo di lettura “Vetus Auximon”, antica istituzione dove oggi si gioca a bridge, si organizzano feste esclusive e si dialoga di cultura. Annesso a questa porzione di palazzo ce n'è una seconda, costruita alla fine dell'800 sull'area del vecchio municipio, in stile veneziano con bifore e archetti, che fa angolo con piazza Don Minzoni. Palazzo Simonetti. Edificio un tempo appartenente alla famiglia Sinibaldi nel XII secolo, una famiglia guelfa molto potente con privilegi direttamente da Carlo d’Angiò e con Cavalieri di Malta, vescovi e massoni nei famigliari, alla quale succedette la famiglia Simonetti che ampliò il palazzo (da qui il nome), e che ebbe anche lei cardinali, letterati e massoni nella propria cerchia. ... Palazzo Fiorenzi. Uno dei più bei palazzi nobiliari di Osimo, situato vicino alla Cattedrale di San Leopardo, si affaccia sulla graziosa piazzetta del Duomo. Palazzo Sinibaldi. Antico palazzo nobiliare di Osimo, è situato in via Fonte Magna».
http://www.osimoturismo.it/it/la-citta/le-dimore-storiche-e-i-palazzi.html e seg.
«Porta San Giacomo era l'ingresso settentrionale alla città. La struttura, incorporata nella Rocca Pontelliana (fatta realizzare da papa Innocenzo VIII nel 1487), presenta sui conci dell'arco la scritta "Vetus Auximum". Porta Musone. Situata lungo il tratto meridionale delle mura, in età medievale era denominata "Caldararia" per la presenza nella zona di alcune botteghe di calderai e stagnai. La struttura alla base presenta elementi romani (grandi blocchi di arenaria, con cui sono state realizzate anche le mura urbiche), su cui in epoca medievale è stato appoggiato un torrione di difesa. L'arco, anticamente, costituiva l'ingresso in città dalla diramazione della via Flaminia (la strada consolare che collegava Roma a Rimini attraverso Fano) che, staccandosi dal percorso principale all'altezza di Nuceria Camellaria (Nocera Umbra), conduceva fino ad Ancona passando proprio per Osimo. Porta Vaccaro si apre sul lato orientale della cinta muraria. Probabilmente il nome deriva dal fatto che, in un luogo poco distante, si svolgeva un tempo il mercato bovino. In origine la struttura era formata da un solo fornice, poi nel 1937 venne ampliata con l'aggiunta ai lati di due passaggi pedonali: per questo motivo oggi la porta è comunemente detta "Tre archi"».
Osimo (torre Civica, resti della rocca Pontelliana)
«La rocca di Osimo fu fatta costruire da papa Innocenzo VIII che voleva in tal modo garantirsi una maggior sicurezza contro gli aggressori esterni, ma soprattutto nei confronti di possibili rivolte civili. Ma come tutte le rocche difensive, anche quella di Osimo si rivelò presto dispendiosa per il suo mantenimento in piena efficienza, tanto che il successore di Innocenzo VIII, Giulio Il, non esitò a smantellarla, salvando soltanto le parti rivolte a settentrione. Di quel corpo fortificato oggi restano dunque solo la torre d’avvistamento che è divenuta, come altrove in casi simili, torre campanaria, e il palazzo episcopale che è stato edificato sulle vestigia dell’ultimo tratto del castello conservato da Giulio Il. Orario di apertura: quel che resta del maniero di Innocenzo VIII è liberamente visitabile dall’esterno».
http://www.italiadiscovery.it/news/marche/ancona/osimo/rocca_di_osimo/6416.php (a cura di Silvia Brunori)
«Cinta muraria (sec. XIV). Costruzione di difesa che si sviluppa su un percorso di 1.200 m costruita tra il 1350 ed il 1366. Originariamente era sormontata da merli guelfi e racchiudeva all'interno un fossato profondo per ostacolare l'accesso degli invasori. La intervallano nove torrioni, fra cui il torrione di mezzogiorno che conserva ancora gran parte delle caratteristiche antiche. Torre Civica. Edificata nel XVI sec. come torre campanaria annessa in origine alla non più esistente chiesa di San Giovanni, fu colpita da un bombardamento nella seconda guerra mondiale e ricostruita nel 1950. Misura 33 metri di altezza. Ospita ancora gli antichi macchinari dell'orologio».
http://www.comune.ostra.an.it/Engine/RAServePG.php/P/2788100K0100/M/2509100K0101 - 2789100K0100/M/2509100K0101
foto di Costantino Anzile
«I documenti lo definiscono Castello Petroso o Castrum Petrosum. Non si conosce con esatta precisione la data della sua fondazione avvenuta, probabilmente, prima del mille. Con il tempo divenne dipendente dall'abbazia di San Vittore. Nel 1212 l'abbazia di San Vittore, a causa di gravose contingenze economiche, cedette il Castello a Fabriano, riservandosi comunque alcuni diritti. Tra l'altro, Fabriano cedeva a Pierosara la metà delle tasse riscosse e alcuni diritti a favore di San Vittore. Nel 1298, l'abbazia accordò ogni diritto a Fabriano per la somma di mille lire anconetane. Nel 1400 circa furono recuperate, con opere conservative, le mura castellane. Per quanto riguarda il suo governo, il maniero aveva un proprio statuto ed era governato da quattro capi "estratti dal bussolo ogni due mesi". Era, comunque, un comune appodiato a Fabriano e comprendeva dieci villaggi, tra cui Camponocecchio e Valtreara. Quando Napoleone formò il Regno d'Italia, nel 1809, Pierosara divenne parte integrante del comune di Genga ancorché si continuasse con la denominazione di appodio della Genga (non più di Fabriano) e la stessa Genga si trasformò in appodio di Sassoferrato. Tornata l'autorità pontificia e tornati i conti al potere, Genga rinnovò la sua autonomia e fu accresciuta di altre frazioni».
http://turismo.comunedigenga.it/il_castello_di_pierosara.html
«Edificato a 400 mt sopra il livello del mare nella seconda metà del XII secolo su un poggio quasi circolare. Alcune teorie danno il castello derivante da un insediamento romanico chiamato “pitulum”. Da un documento del 1223 risulta che Onorio III riconosceva la proprietà del Castrum Peticli al vescovo di Senigallia. Nel frattempo, il comune di Rocca Contrada, nato da una libera aggregazione di Signori che all’inizio del XIII secolo aveva messo sotto un’unica giurisdizione uomini, terra e castelli, stava completando la sua espansione verso fondovalle inglobando via via le piccole signorie laiche sia verso il Cesano sia verso la valle del Misa fino al confine con Serra de’ Conti, restavano tuttavia domini ecclesiastici Loretello e Nidastore soggetti a Fonte Avellana e al vescovo di Fossombrone e quelli di Piticchio e Montale soggetti al Vescovo di Senigallia. All’indomani della restaurazione del potere della chiesa, dopo la conquista dell’imperatore Federico II di Sassonia, avvenuta dopo il 1250 ecco che rocca Contrada inizia a dimostrare le sue mire espansionistiche su Montale e Piticchio. Le vicissitudini che dovettero affrontare gli abitanti di Piticchio dal 1250 al 1289 durante l’interminabile contesa tra il Comune di Rocca Contrada e il vescovo di Senigallia determinarono una momentanea dispersione della popolazione e la distruzione delle mura e di parte dell’abitato ricostruito poi dalla fine del XIII sec. Le contese sul possesso dei due castelli ebbero fine il 10 marzo del 1289, quando presso il chiostro di S. Francesco si incontrarono il vescovo di Senigallia Trasmondo, Messer Jacopo vescovo di Fossombrone, Messer Albertino Priore di Fonte Avellana con il sindaco di Rocca Contrada Ricevuto Di Zanne. In questa occasione il vescovo Trasmondo vendeva al comune di Rocca Contrada i castelli di Piticchio e Montale, con territori, uomini, e vassalli, perdonando le offese fatte dagli abitanti di Rocca Contrada al Vescovo e prometteva che né lui né i suoi successori avrebbero edificato entro i confini dei castellari. In cambio Ricevuto Di Zanne prometteva il pagamento di 5650 libre e l’affrancazione dei popoli, beni immobili e mobili e raccolti. Il 12 marzo il vescovo in atto simbolico dona al Ricevuto Di Zanne la pietra simbolo dei castellari e la terra simbolo del territorio. Il 21 agosto 1293 Messer Todino Vescovo di Senigallia concede ad Accursolo Di Berta, sindaco di Piticchio, la libertà dei castellari. In questo periodo Piticchio aveva circa 650 abitanti.
Come detto sopra la ricostruzione della cinta muraria iniziò intorno alla fine del XIII secolo. Ma la ricostruzione più importante fu fatta nel 1542 da Mastro Giovanni Di Matteo Da Bellinzona. Insieme con questo il castello esigeva la manutenzione del fossato e la custodia della porta del ponte levatoio. In ogni caso fino all’unità d’Italia (17 marzo 1861) non vi furono interventi tali da modificarne l’aspetto delle mura. Successive modifiche di un certo rilievo per l’aspetto del paese si segnalano a partire dal XVIII secolo, in particolare dopo il forte terremoto, con epicentro a Gualdo Tadino e Nocera, che nel 1751 colpì la zona. In particolare si segnala palazzo Carletti Giampieri, tipico esempio di architettura civile di prestigio delle Marche, costruito nella seconda metà del ’700 sulla via principale. accorpando precedenti edifici, con il successivo ampliamento verso l’esterno che, insistendo sulle mura del castello, ha dato vita al caratteristico porticato. Circa un secolo dopo, viene costruito l’unico edificio di Piticchio con entrata dall’esterno delle mura, per ragioni di successione fu ceduto alla famiglia De Strani. Palazzo Carletti Giampieri custodisce al suo interno un minuscolo, grazioso teatro (di proprietà privata) costruito nel 1846, dotato di un ordine di palchi ed in grado di contenere una cinquantina di persone. L’arco gotico alla base della torre, risalente al tardo Medioevo, sovrastava l’antica ed unica porta d’ingresso cui si accedeva,con una ripida rampa ed il ponte levatoio, dalla strada immediatamente sottostante. L’attuale ingresso al paese risale alla fine dell’800 quando si eliminò il ponte levatoio e si apprestò un più comodo terrapieno laterale con una seconda porta esterna d’accesso; sopra l’antico arco gotico fu soprelevata la Torre con l’installazione dell’ orologio. Il quadrante dell’orologio nonché lo stemma di Piticchio, sulla porta esterna, sono stati realizzati in ceramica nel 1991 dal noto pittore Bruno d’Arcevia, nativo del paese. ...».
http://www.piticchio.it/piticchio/index.php?option=com_content&view=article&id=1&Itemid=2
«Fu costruito nel 1810, durante il Regno d'Italia di Napoleone, con l'intento di impedire lo sbarco di navi appartenenti alla flotta inglese, attratte dalla possibilità di rifornirsi di acqua potabile attingendo alla Fonte di Portonovo. A memento di ciò, ogni anno viene organizzata una rievocazione storica denominata Porto Nuovo 1811. Il fortino venne costruito per ordine del viceré d'Italia, il generale Eugène de Beauharnais; il progetto della fortificazione si ispira alle costruzioni dell'architetto Francesco di Giorgio Martini. Per la sua costruzione, si pensa, siano state usate anche le pietre dell'ormai distrutto monastero benedettino. Nel 1860, dopo la battaglia di Castelfidardo e l'entrata delle Marche nel Regno d'Italia, venne meno la funzione militare del fortino e l'edificio cadde in rovina. Negli anni Sessanta un ottimo restauro lo ha riportato al suo splendore originale ed ora ospita un albergo».
http://it.wikipedia.org/wiki/Portonovo#Monumenti_e_luoghi_d.27interesse
Portonovo (torre di guardia o de Bosis o Clementina)
«...La Torre venne edificata sul Monte Calcagno nel 1716 per suo [di papa Clemente XI] ordine su modello medievale a pianta quadrata con barbacane in pietra del luogo e facciate in laterizio. Ma un disegno autografo di Leonardo da Vinci, di un progetto di fortificazione, ce ne dà una immagine quasi identica. è una possente costruzione dotata di feritoie, di sedili in muratura per le sentinelle di guardia, di mura dall’aspetto inespugnabile, piccole finestre a partire dal primo piano. L’intero terrazzo a capriate e sorretto da una trave di quercia, consentiva da quell’altezza una panoramica totale sui golfi di Portonovo, prezioso punto di avvistamento di navi nemiche. Il terrazzo poggia su beccatelli. L’edificio consta di tre piani: al piano terra si trova l’androne, con soffitto a volta in laterizio, che era il corpo di guardia dei soldati pontifici. Sono ancora visibili i nidi dei piccioni viaggiatori, in alto sul muro interno di facciata. Lo stemma di papa Albani con sottostante lapide con dicitura "Clemens XI Extrui iussit 1716" è leggibile sulla facciata della Torre. La casetta accanto è opera del nostro secolo, costruita nel 1915. Durante l’ultima guerra ospitò un plotone di soldati della difesa costiera collegato con altri reparti di stanza presso la chiesa, il Monte dei Corvi e Numana. Attualmente è sede dell’Associazione Adolfo e Lauro de Bosis che vi ha tenuto e vi tiene incontri rievocativi della produzione artistica, letteraria marchigiana, sulla resistenza antifascista, presentazione di volumi e conferenze, attività musicali. La Torre continua ad essere di proprietà della famiglia Cortese de Bosis ed è stata restaurata negli anni scorsi dagli attuali proprietari».
«La più discosta e impervia delle numerose frazioni del territorio fabrianese, in località bella e selvaggia,con un castello trecentesco. Ma il tempo qui non ha valore, potremmo vivere nel 30° secolo o nel Medioevo, tutto ci riporta all’indietro, ci fa lasciare alle spalle qualsiasi pensiero. Nel buio della notte la fioca luce che illumina un piccolo borgo, ti dirà che sei a Precicchie. Il castello di Precicchie, arroccato sulla cima di un'altura a mt. 535 s.l.m., feudo dei conti Attone poi caduto sotto il dominio dei Rovellone, affonda le sue origini nel XII sec. (e forse prima). Esso mantiene intatto il suo fiero passato medievale testimoniato dal nucleo fortificato, le massicce mura con finestre e feritoie, e le sue caratteristiche stradine medioevali in forte pendio lungo le quali si conservano porte ad arco ogivale e nei piani inferiori del castello, le antiche strutture difensive. Il paese durante il periodo natalizio è sede della sacra rappresentazione del Presepio Vivente, cui si da vita lungo le viuzze dell'antico borgo che si snodano attorno al castello che per l'occasione si trasforma in una suggestiva piccola Betlemme. è anche sede ogni anno, nel mese di agosto del Palio dei Campanari. Il castello è luogo di numerose manifestazioni popolari tra queste ricordiamo: Il Premio critica cinematografica e televisiva che viene organizzato ogni anno agli inizi di luglio. è un’importante convegno-studio sul cinema (con tavole rotonde,visioni,dibattiti) a cui partecipano critici, attori e registi di fama. Oltre a questo premio si svolge il curioso palio, nell’ultimo fine settimana di agosto dove a colpi di campane si sfidano i migliori campanari della zona. ...».
http://www.fabrianoturismo.it/docs/terredelgentile/precicchie.asp
«Costruita probabilmente al termine del 1100 (forse in onore della nascita di Federico II, avvenuta nella città di Jesi) per secoli la Rocca di Fiumesino (com’era chiamata un tempo) rappresentò un importante presidio militare sulla costa adriatica, in zona strategica, alla foce di un fiume navigabile (Esino). Come tale fu continuamente contesa tra Ancona e Jesi, costituendo per l’una la difesa del confine settentrionale, per l’altra il baluardo dello sbocco sul mare. Nel 1757 la Chiesa cedette in enfiteusi il castello – che nel frattempo aveva assunto il nome di Rocca Priora – e le terre limitrofe al Marchese Francesco Trionfi, potente mercante di Ancona. Egli non solo cambiò fisionomia e funzione della Rocca, rendendola villa signorile (sono di questo periodo la torre dell’orologio e la cappella, attribuite alla scuola Vanvitelliana), ma bonificò la pianura paludosa circostante, trasformandola in ubertosa campagna e creando la “Tenuta delle Pojole”. Dopo il passaggio di Napoleone e di Gioacchino Murat (che, col suo esiguo esercito, pernottò nel castello), per tutto l'ottocento Rocca Priora visse travagliate vicende, legate alla transizione da un’aristocrazia decadente alla fervida imprenditorialità borghese. Nel 1826 i discendenti del Marchese Trionfi furono costretti a chiedere la recessione dall’enfiteusi a causa dell’aumento di tasse e balzelli, reintrodotti con la Restaurazione. A essi subentrò il marchese Brancadoro, morto nel 1846, come ricorda la scritta sulla lapide nella cappella della Rocca, dove è sepolto. Non avendo discendenti diretti, la proprietà passò ai suoi nipoti, che affidarono la gestione della tenuta a Vittorio Dubini. In seguito divennero proprietari prima i marchesi Antici, poi i Cenci Bolognetti (principi di Vicovaro). La conduzione aziendale rimase però sempre nelle mani della famiglia Dubini, almeno fino al 1911, quando passò a Irino Cameranesi, che restò sulla breccia, come fattore, fino agli anni ‘60.
Dopo Porta Pia, alla morte del principe di Vicovaro, sua moglie vendette tutto a un certo Canestrari di Macerata, il quale, assieme a molti altri, fallì poco prima del 1929. Nel 1927 tenuta e castello (ormai diroccato) furono acquistati da Alfredo Baldoni, originario di San Ginesio (MC), che rappresenta il capostipite della “dinastia” degli attuali proprietari. Sposato con Sofia Baebler, svizzera il cui padre era immigrato in Italia insieme al futuro editore Hoepli, egli fu medico illustre ed esercitò a Brescia, dove nacquero i tre figli: Berta, Remigio e Inda. Numerose sono state le novità introdotte dalla famiglia Baldoni nell’assetto della tenuta: l'agricoltura era, infatti, la passione di Remigio fin dalla prima giovinezza. Diventerà professore universitario emerito di agraria e curerà sempre l’azienda di Rocca Priora con uno spirito innovativo, con intuizioni rivoluzionarie che sperimentò proprio nei campi attorno al castello. Nonostante che la Rocca ne abbia visto di tutti i colori durante la seconda guerra mondiale (mitragliate, bombardamenti e continue occupazioni delle truppe di passaggi tedeschi prima, polacchi e inglesi poi), in seguito alle cure del prof. Baldoni il castello ha ritrovato lo splendore che aveva raggiunto nel settecento. Lo spirito, però, è stato molto diverso dalle passate trasformazioni: niente aggiunte o demolizioni, ma solo “restauro conservativo”, manutenzione costante per non lasciare deteriorare dal tempo, dalle intemperie e dai terremoti (assai numerosi dagli anni ‘20 a oggi) un bene che va trasmesso ai posteri. Dopo la morte del prof. Remigio Baldoni, nel 1994, gelosi custodi delle tradizioni del castello di Rocca Priora sono, oggi: la moglie, Maria Luisa Farinetti, e i figli: Daniela, Claudia, Cristina e Guido, che gestisce l’azienda agraria. Secondo una tradizione introdotta nel dopoguerra, Rocca Priora, almeno nelle sue parti esterne, è sempre aperta al pubblico. I giardini del castello sono liberamente visitabili, il portale e la corte fanno da fondale alle foto di molti matrimoni e tante sono le manifestazioni artistiche e culturali che si svolgono nella corte della Rocca».
http://www.avventuramarche.it/dettaglio_scheda.asp?id_scheda=93
«Le prime notizie del castello e della fortezza di Rotondo si hanno in un documento del 1078. Nel 1365 il cardinale spagnolo Egidio Albornoz, inviato nelle Marche dal Papa per ripristinare il potere temporale della Santa Sede, allontanò gli Atti e con i beni ad essi confiscati fece costruire la Rocca nel Capoluogo e probabilmente anche quella di Rotondo. Nel 1552 per ordine di Giulio III la fortezza fu armata. Restaurata nel 1954 dalla Soprintendenza ai Monumenti, fu squarciata nella parte superiore da un fulmine pochi anni dopo. Resta oggi porzione di fabbricato dove è visibile, sopra la porta di ingresso, lo stemma della famiglia degli Atti» - «Nell’alto Medio Evo, il luogo di sicuro rifugio e di riparo degli abitanti del Castello, in caso di incursioni nemiche, era senza dubbio la massiccia ed impenetrabile dimora del feudatario, sorvegliata da uomini armati e dotata dei modesti mezzi di offesa dell’epoca. Col tempo la rocca ha subito aggiornamenti e trasformazioni tecniche di degna nota, che la migliorarono sia dal punto di vista militare, sia sotto l’aspetto monumentale ed estetico. In seguito a incursioni nemiche effettuate nel passato, però, la rocca ha iniziato il suo lento degrado. Fu restaurata nel 1954, ma poi in seguito a un fulmine che squarciò la parte superiore, il monumento non fu più riparato e le parti fatiscenti e pericolanti che sovrastavano il fabbricato furono gettate all’interno del medesimo: errore gravissimo poiché il materiale inglobato lacera progressivamente le pareti esterne. Eseguendo lavori sistematici con urgenza, la torre centrale ed i vani sottostanti potrebbero essere salvati, facendo riaffiorare le fondamenta delle mura di cinta e delle parti abbattute, ora ricoperte di terra e di vegetazione erbacea. Non è da escludere che vi siano anche dei sotterranei o cunicoli, ora ricolmi di macerie, che un tempo venivano utilizzati per collegare le varie zone del paese. Le prime notizie della castello e della fortezza di Rotondo si hanno in un documento del 1078. Nel 1365 il cardinale spagnolo Egidio Albornoz, inviato nelle Marche dal Papa per ripristinare il potere temporale della Santa Sede, allontanò gli Atti e con i beni ad essi confiscati fece costruire la Rocca nel Capoluogo e probabilmente anche quella di Rotondo. Nel 1552 per ordine di Giulio III la fortezza fu armata. Restaurata nel 1954 dalla Soprintendenza ai Monumenti, fu squarciata nella parte superiore da un fulmine pochi anni dopo. Resta oggi porzione di fabbricato dove è visibile, sopra la porta di ingresso, lo stemma della famiglia degli Atti. ... Grazie ai fondi pubblici stanziati da COLLI ESINI FONDI PSR 2007-2013, tra il 2014 ed il 2015, si è avuta una riqualificazione del borgo Storico di Rotondo. Tale riqualificazione ha riguardato la risistemazione del cosiddetto “muraglione”, l’illuminazione pubblica, nuovi asfalti ed arredi urbani. Gli enti pubblici preposti, per ottimizzare al meglio i lavori, hanno eseguito anche ulteriori opere di recupero delle fognature e dell’impianto idraulico del paese. Tra il 2014 ed il 2015, la Rocca di Rotondo è stata finalmente restaurata. Il restauro ha riguardato sia la messa in sicurezza, che la pulizia e l’illuminazione notturna, la quale la rende piuttosto suggestiva».
http://www.sassoferratocultura.it/rocche_rocca_di_rotondo.htm - http://www.iluoghidelsilenzio.it/rocca-di-rotondo-sassoferrato-an/
«Antico castello di origine longobarda, fra Cupramontana ed Apiro. Attorno al Mille sarebbe appartenuto a Gozo, dei Conti di Jesi. Gli Jesini in ogni caso non vi esercitavano alcuna giurisdizione agli inizi del 1200 perché soltanto il 31 luglio del 1219 Virgilio, abate del monastero di Sant’Urbano, sottoponeva al Comune di Jesi, dietro promessa di difesa e protezione, la terza parte del castello di Rotorscio. La sottomissione completa avvenne il 2 luglio del 1248. Rotorscio subì le alterne vicende dei castelli della lontana periferia del Contado jesino. Nel 1300 divennero conti di Rotorscio gli Scala, signori di San Severino, meglio conosciuti come gli Smeducci (nel 1365 Cola, figlio di Gismondo Scala, acquistò Rotorscio dalla Camera Apostolica). Si sa poi che nel 1519 il Consiglio di Jesi decideva di intervenire contro gli uomini dei conti della Genga che colle armi alla mano erano entrati nel Castello di Retorscio, in cui avevano feriti e maltrattati quei popoli. Nel 1798 Rotorscio fu annesso ad Apiro, poi, nel XIX secolo, a Serra San Quirico. Fu tra i castelli che portarono fino all’ultimo il pallio alla città di Jesi (G. Luconi - P. Cocola, Conoscere Jesi)».
http://www.piccolabibliotecajesina.it/archivio/Rotorscio.pdf
San Pietro in Musio (castello)
«Il piccolo castello di S. Pietro sorge su un poggio (354 m.), a breve distanza da Loretello; menzionato per la prima volta nel 1230, quando alcuni suoi abitanti fanno atto di castellania a Rocca Contrada. Pressoché invariato nel suo impianto urbanistico quattrocentesco, conserva però poche tracce delle strutture murarie originarie. Rimangono la cinta muraria a scarpa in laterizio con il camminamento di ronda, senza alcun accenno a torricini e sporti. Appena fuori le mura vi è il Santuario della Madonna di Montevago (sec. XVI), dove si conserva la bella immagine mariana affrescata da Venanzio da Camerino e Piergentile da Matelica».
http://www.arceviaweb.it/hostarceviaweb/Turismo/Castelli/SanPietro/SanPietro.htm
Sassoferrato (centro storico, palazzi)
«Sassoferrato sorge presso le rovine dell’antica città umbro-romana di Sentinum, che scomparve tra l’VIII e il X secolo, abbandonata dagli abitanti, decimati dalla fame e dalla peste e incapaci di difenderla dalle irruzioni nemiche. Nel 1150 circa, su di un’altura poco distante, un conte di nome Atto, proveniente dal Castello di Galla, presso Genga, fondò un castello, a cui dette il nome di Sassoferrato. Il castello non tardò a diventare un paese, poiché i discendenti dei vecchi sentinati scesero dai loro rifugi montani e vi costruirono le loro case con materiale prelevato dalla vecchia città. Il Paese fu soggetto ai Conti Atti fino al 1460, quando diventò libero Comune, assumendo da subito la fisionomia di città fortificata che doveva avere imponenti mura di cinta in doppia cintura, delle quali ancora oggi rimangono resti evidenti. ... Austeri e carichi di storia gli edifici pubblici: il Palazzo dei Priori, Palazzo Oliva, Palazzo Montanari, il Palazzo Vescovile. Pregevoli e ricchi di testimonianze artistiche anche gli edifici religiosi: la chiesa San Francesco, la collegiata di San Pietro, i monasteri delle suore benedettine e clarisse, il complesso conventuale La Pace. E poi, per completare il patrimonio storico-artistico: i musei, le raccolte d’arte, l’ex teatrino Perotti».
http://www.sassoferratoturismo.it/centro-storico.php - per i palazzi storici: http://www.sassoferratocultura.it/palazzi_palazzo_comunale.htm
«Massiccia costruzione militare risalente al XIV secolo, rappresenta il simbolo della città, sia per la sua imponente collocazione in posizione dominante, sia per la sua storia. è stata fatta erigere nel 1365 per ordine del Cardinale Egidio Albornoz, legato papale, con il denaro ricavato dalla vendita dei beni confiscati alla famiglia degli Atti di Sassoferrato. Restaurata in diverse epoche, la Rocca costituiva un bastione difensivo di grande importanza per tutta la zona. Grazie agli ultimi restauri se ne ammirano ancora i resti imponenti. Nel ripulire l’interno, durante uno degli interventi di recupero, furono rinvenute ceramiche di produzione locale di fine sec. XVI e resti di artiglieria. Al suo interno, nel periodo estivo, vi si svolgono concertini musicali ed eventi culturali. Dalla sommità del parco “verde” che la circonda si può ammirare un vasto e suggestivo panorama. L’area circostante costituisce un luogo particolarmente idoneo per la quiete delle persone e per il divertimento dei bambini».
a cura di Fabio Mariano
Le foto degli amici di Castelli medievali
SERRA SAN QUIRICO (torre del Cassero, copertelle)
«...Nel corso del Trecento, dopo aver stretto un’alleanza con la potente famiglia ghibellina dei Simonetti di Jesi, Serra poté estendere la propria influenza sulle località di Mergo, Sasso, Domo e Rotorscio. I Simonetti si insediarono, anzi, nel paese per tutto il Trecento, controllandolo di fatto e costruendo un edificio fortificato nei pressi del Cassero, ripartendo da qui ogni volta che furono cacciati da Jesi. Fu questo infatti un secolo di divisioni, violenze e guerre fratricide fra le diverse città della Marca in cui Serra San Quirico rivestì un ruolo di una certa importanza; così si deduce da quei documenti storici che riportano notizia delle guerre mosse da Serra a potenti città e terre vicine e che attestano come la sua amicizia fosse tenuta in particolare considerazione. ... Il Cassero costituisce la parte più alta della fortificazione del castello di Serra San Quirico (che aveva due cerchie murate) e quella più interna rispetto all’abitato; originariamente composto dalla casa del Castellano, una torre grande (costruita tra 1360 e 1374, di cui è rimasta una parte troncata) e una piccola, dalla caserma del presidio, da due ponti levatoi e un pozzo. Le mura della seconda cerchia, di forma ovale, conservano ancora le aperture sui camminamenti, chiamate copertelle, che collegavano il percorso con il Cassero, e costituiscono oggi un esempio tra i meglio conservati delle Marche. Si tratta di strade coperte ricavate sopra le mura di cinta del paese e sovrastate ancora dalle abitazioni, che costeggiano tutto il lato ovest del borgo arrivando sino al colle. ...».
http://www.musan.it/nuovo/attachments/article/37/SERRA%20SAN%20QUIRICO.pdf
«Ha origini molto antiche, si presume nel VII secolo, quando un signore d'origini teutoniche ne volle la costruzione, conquistato dalla posizione strategica della odierna Sirolo, ben protetta da falesie a strapiombo sul mare. Verso l'anno 1000 Sirolo era dei conti Cortesi, antica famiglia di origine germanica, i quali nel 1225 sottoposero tutti i loro castelli ad Ancona in cambio dell'iscrizione alla nobiltà anconetana. L'accesso al castello era consentito da una scala a pioli che veniva poi ritratta nei momenti di pericolo. Nella seconda metà del duecento, eventi naturali distrussero una buona parte del castello di Sirolo che tuttavia rimase inespugnabile sia per la posizione naturalmente difesa sia per la possente cortina muraria. Infatti nel 1354 il maniero fu assediato dal capitano di ventura Fra' Morreale, inviato dal cardinale Albornoz per sedare le intemperanze di varie città contro il potere papale. L'assedio non riuscì, e così Sirolo resistette allo stesso modo anche all'assedio dei Malatesta nel 1413. Libero da oppressori il castello si diede statuti di autogoverno sin dal 1465 e tale libertà durò fino alla fine del '600. Seguì la dominazione pontificia e francese fino all'annessione al regno italico di Napoleone. Caduto quest'ultimo, Sirolo tornò sotto il dominio papale fino all'unità d'Italia. Di quel bel maniero antico restano oggi solamente due torri, la prima sulla quale sorge oggi la torre campanaria della chiesa di San Nicolò, edificata nel 1732 per volere del vescovo Arnolfo. La seconda, ancora integra, è chiamata Torrione dai Sirolesi e domina il centro storico. Unico esemplare, dei tre esistenti, scampato ai sismi ed alle frane che distrussero il resto delle fortificazioni. Sulla destra l’antica porta, e subito dopo un’altra ancora più possente di stile gotico, una volta collegata con l’esterno da un ponte levatoio, danno l’idea della cura con la quale la popolazione provvedesse alla propria difesa. Una pietra incastonata sul lato della seconda porta, recante a rilievo una croce, sembra sia stata posta, come segno di riconoscimento, da alcuni crociati in partenza per la Terra santa, dopo aver caricato sulle navi ancorate nel porto di Numana le provviste alimentari da utilizzare durante il viaggio. Dopo la metà del 1800 il torrione subì profonde ristrutturazioni. In quel periodo all'interno esisteva ancora una modesta armeria composta da 2 cannoncini e 7 fucili ad avancarica. Venne utilizzato successivamente come magazzino di grano e farine, fabbrica artigianale e scuola elementare».
http://castelliere.blogspot.it/2011/07/il-castello-di-mercoledi-13-luglio.html
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