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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI NOVARA
in sintesi
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«Giunti in prossimità di Agnellengo, frazione del Comune di Momo, si scorge subito il tozzo torrione del castello posto quasi a contrastare il campanile della vicina chiesa parrocchiale dedicata ai santi Nazario e Celso, dei secoli XV-XVI. Costruito interamente in mattoni, il torrione voluti dai Caccia di Mandello reca alla sommità la decorazione a denti di sega, tipica del quattrocento, epoca confermata da un mattone con l'iscrizione: "14XX JAN" (gennaio 1420), che si può scorgere oltre l'ingresso posto alla sua base. Alto circa 20 metri, con lati di 5.5 metri circa, è dotato di colombaia e di campana sorretta da campaniletto a vela, recante alla sommità la banderuola con il noto trigramma JHS. La presenza del simbolico trigramma è qui giustificata non solo dalla larga diffusione che ebbe nel quattrocento, quale auspicio di pace, ad opera del francescano San Bernardino da Siena, ma in quanto il simbolo venne successivamente assunto dai Gesuiti. Essi ereditarono il castello e le terre pertinenti nel 1649 dai Cid, gestendole fino alla loro soppressione nel 1773. Il torrione, che appare rimaneggiato, reca dipinto, ancora leggibile, un grande stemma dei Natta d'Alfiano, proprietari dal 1779 al 1826. La torre troneggia nel lato sud dell'edificio quadrangolare, con cortiletto interno, formante il nucleo del castello circondato dal fossato fino a fine Ottocento, ora presente solo a nord. Ricostruito dopo la distruzione voluta da Galeazzo Visconti l'edificio conserva tracce murarie sicuramente risalenti ai secoli XI-XII, quando ospitava l'importante monastero misto degli Umiliati, uno dei più antichi delle campagne novaresi, dediti alla lavorazione e al commercio della lana, i quali utilizzavano l'acqua della vicina Agogna. La presenza del monastero di Agnellengo è ampiamente documentata dal 1278 al 1314, quando lo stesso si trasferì a Momo. Inserito in un vasto e articolato complesso agricolo con cortili ed edifici tipici della cascina, il castello, o forse meglio, residenza signorile castellana, testimonia l'evoluzione agraria del Medio Novarese che vide notevoli interventi di accorporamento, irrigazione e bonifica, ad opera delle potenti famiglie del Cid, alti funzionari spagnoli, e dei Natta, legando la possessione di Agnellengo alla importante cascina Picchetta di Cameri e a Castellazzo Novarese. La straordinaria sinergia agraria sul territorio continuò anche nel secolo XIX quando la proprietà passò alla famiglia Bono, con vasti interessi anche a Santa Cristina di Borgomanero e a Bogogno».
http://www.comune.momo.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=23897 (a cura di Giovanni Uglietti)
«Le strutture murarie corrispondenti all'antico Castello di Agrate sono ancora chiaramente distinguibili nell'ambito del centro storico, in corrispondenza di Vicolo Castello. Pochi elementi conservano l'originaria conformazione: è rimasto intatto comunque lo stemma dei Conti del Castello, signori di Agrate nel secolo XI. Il Castello venne parzialmente distrutto nel secolo XV: successivamente subì molteplici trasformazioni che alterarono l'entità originaria. Allo stato attuale, l'elemento visivamente più significativo è costituito dalla torre-porta di ingresso posta al fondo di Vicolo Castello, che consente l'accesso ad una corte interna. La torre-porta è distribuita su tre livelli, che ricevono luce da poche aperture finestrate centrali. Significativa la presenza, in corrispondenza dell'ultimo piano, di piccolissime feritoie dal profilo superiore ad arco. In corrispondenza del piano terreno vi è un ingresso con portale laterizio ad arco acuto, che introduce ad un androne, le cui murature perimetrali hanno tessitura muraria a vista, realizzata con l'impiego prevalente di elementi lapidei (ciottoli di fiume) disposti a spina di pesce, congiunti a frammenti laterizi. L'orizzontamento è costituito da un impalcato ligneo. In opera anche il serramento ligneo a doppio battente, risalente, con ogni probabilità, all'inizio del secolo XX. L'elemento di maggior interesse è verosimilmente costituito proprio dalle strutture murarie dell'androne, non oggetto di interventi di rifacimento in tempi recenti, ma che allo stato attuale sono segnate da diffuso degrado. Le apparecchiature, esposte all'azione degli agenti endogeni data l'assenza di finitura superficiale ad intonaco, manifestano una erosione costante di particelle di legante, con fenomeni di sfarinamento e conseguente perdita di materiale. Presenti anche rappezzi realizzati impropriamente con sostanze a base cementizia. Il fronte è stato oggetto di un intervento relativamente recente di rifacimento degli intonaci di superficie. Segnaliamo la presenza invasiva dell'impiantistica di facciata. Gli elementi in pietra (soglie dei davanzali, ecc...) necessiterebbero di interventi di pulizia condotti con tecniche e materiali idonei. Per quanto riguarda stato di conservazione delle parti in legno, esso è, allo stato attuale, carente e problematico, pur essendo ciò semplicemente correlato alla natura stessa del legno ed al suo naturale invecchiamento. In particolare, tuttavia, possono emergere problematiche in relazione ad attacchi ad opera di entomofauna xilofaga ed agenti micotici. In assenza di adeguati interventi, il perdurare dell'azione continua di agenti di degrado sulle superfici potrà pregiudicare la conservazione del bene. Si consiglia la realizzazione di un primo trattamento curativo tramite l'impregnazione con solventi organici atti ad eliminare gli attacchi gia in corso; stuccatura, levigatura ed interventi di finitura superficiali. Il successivo trattamento preventivo sarà basato essenzialmente sull'eliminazione degli inquinanti ed applicazione di sostanze protettive. Analisi stilistica. L'edificio è realizzato con le tecniche costruttive tradizionalmente in uso in questo contesto storico, ovvero con un impiego prevalente di murature in pietra. Strutturalmente il fabbricato si presenta come un edificio con muratura portante continua sul perimetro, realizzata con l'impiego di elementi lapidei di varia forma e pezzatura, assemblati fra loro con l'impiego di scarso legante. L'edificio presenta manto di copertura su un sistema di orditura lignea».
http://www.comune.agrateconturbia.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=21842
«Ricca di episodi al confine tra realtà e leggenda, la Rocca di Arona ha vissuto innumerevoli vicende epiche, passando sotto numerosi padroni e resistendo agli attacchi degli stranieri. Nel 1970 i Borromeo cedettero la Rocca in fruizione al Comune di Arona con un contratto di comodato affinché diventasse parco pubblico. Nel luglio 2002, la Rocca Borromea per la scadenza del contratto di comodato e la mancanza di sicurezza è stata chiusa al pubblico e nonostante vari tentativi tra cui l'inserimento del bene tra i "Luoghi del Cuore" del FAI, per molto tempo è rimasta chiusa al pubblico. A inizi settembre 2011 è stata finalmente restituita agli aronesi ed ai turisti questo gioiello architettonico e paesaggistico. Già migliaia di visitatori - dopo il simbolico taglio del nastro alla presenza delle autorità e della famiglia Borromeo e dopo i ringraziamenti agli sponsor pubblici e privati ed ai volontari che hanno lavorato per mesi per la ripulitura e la messa in sicurezza dell’area - hanno visitato nel breve periodo di apertura il grande parco, da cui si gode una bellissima vista del Lago Maggiore. L’area non è solo stata messa in sicurezza con reti di protezione, rifacimento muri e posizionamento della staccionata, ma anche attrezzata con servizi igienici e panchine e dalla primavera del 2012 sarà dotata di un nuovo parco giochi per bambini, di un bar e punto ristoro. Punto panoramico tra i più spettacolari della zona, non solo per la splendida visuale del Lago Maggiore, ma anche per ammirare la costa lombarda con il castello di Angera, era raggiungibile seguendo il sentiero che da via Cantoni conduceva alla sommità del colle, oppure l'agevole via alla Rocca (da via Partigiani). I torrioni e i resti delle fortificazioni ne testimoniano l'antichissima storia, interrotta soltanto tra il 1800 e il 1801: dopo la battaglia di Marengo Napoleone comandò la distruzione di tutti gli edifici. I primi insediamenti stabili risalgono al Bronzo Tardo e Finale e alla Prima età del Ferro. Risale a prima dell'anno Mille una documentazione scritta circa l'esistenza di una fortificazione della Rocca, mentre appare certo che tra l'XI e il XII secolo essa fosse il rifugio degli arcivescovi della diocesi di Milano in fuga dalla città. Il 1277 è l'anno d'inizio del dominio visconteo che durerà per quasi duecento anni. Alla fine del XV secolo la Rocca, data in feudo a Vitaliano Borromeo, si arricchisce di una nuova cinta di mura e sotto l'egida della potente famiglia resiste ai numerosi attacchi da parte di potenze straniere (francesi, spagnoli, austriaci). Tra i ruderi che ancora ricordano l'imponenza di quella che fu una grande fortezza, si può individuare il luogo che accoglieva la stanza di San Carlo, che proprio qui nacque nel 1538, la delimitazione della antiche mura ed i resti di altre costruzioni tra cui il magazzino, la "rocchetta", la "scala segreta". Per proseguire l'itinerario nel verde, non resta che fare ritorno sulla via Partigiani e proseguire verso colle San Carlo. Luogo ideale per una passeggiata tra il verde, a poca distanza dal lungolago aronese, la Rocca Borromea diventerà meta di aronesi e turisti in cerca di tranquillità e di natura. Da metà marzo sarà nuovamente aperta tutti i giorni, sino al tramonto. Sarà raggiungibile da via alla Rocca, che sale da via Cantoni (la via che è prosecuzione della statale del Sempione per chi entra in Arona provenendo da Meina); per chi giunge da altre direzioni, è opportuno avere come punto di riferimento via San Carlo, nel centro storico aronese, da cui ci si immette in via Cantoni, per poi salire alla Rocca».
http://www.lagomaggiore.net/itinerari/itinerari-naturali/la-rocca-borromea-di-arona.htm
«Il Castello di Barengo, sorge sul rilievo collinare alle spalle dell'abitato, in posizione sopraelevata sulla circostante pianura, lungo la strada che in origine univa la via Francigena con i guadi sul fiume Sesia. Non esistono testimonianze certe sulla sua fondazione; la prima documentazione sulla presenza di un "castrum" risale al Trecento, quando l'intero abitato di Barengo venne traslocato dalla riva dell'Agogna fino a ridosso della collina. Protetto dalle fortificazioni il paese resistette alle devastazioni e ai saccheggi durante le guerre tra Giovanni II del Monferrato e Galeazzo Visconti negli anni 1358 e 1362. La costruzione della rocca è contemporanea a quella del Castello di Briona e risale alla seconda metà del XV secolo, quando i territori di Briona, Barengo e Maggiora divennero feudo dei Tornielli (1449). Il conte Giovanni Zanardo iniziò l'edificazione, proseguita dal figlio Melchiorre, di una nuova dimora signorile fortificata all'interno del "castrum" trecentesco, occupando un terzo della superficie. L'edificio, sorto sul lato nord, fu concepito sia in funzione militare sia per essere una piacevole residenza di campagna del suo signore; realizzato quasi interamente in mattoni, aveva pianta trapezoidale con i lato est e ovest paralleli e quello meridionale inclinato per permettere un maggior soleggiamento degli ambienti interni; sul lato occidentale rivolto alla collina era munito di due torri angolari, oggi scomparse; l'ingresso si trovava a nord-est, protetto da un fossato, e vi si accedeva attraverso un ponte levatoio. Alla morte di Melchiorre, nel 1487, la proprietà non passo al primogenito Manfredo, come il castello di Briona, ma fu divisa tra i figli cadetti. L'originaria struttura quattrocentesca ha subito numerose modifiche ed alterazioni nel corso dei secoli e già all'inizio dell'Ottocento era parzialmente in rovina. Nel 1849 la rocca fu sottoposta ad un'opera di restauro che ne alterò l'impianto originario. Nel primo dopoguerra la proprietà passò al conte Gaudenzio Tornielli di Borgolavezzaro che commissionò all'architetto Carlo Nigra la ricostruzione del complesso secondo i canoni stilistici del medioevo. Ulteriori restauri furono eseguiti in seguito dalla famiglia Boroli, attuali proprietari. Nonostante le ricostruzioni rimangono tuttavia parecchie testimonianze della costruzione originaria, come i muri degli spalti, le fondamenta e alcune porte d'ingresso. Sul lato meridionale, racchiuso nelle mura perimetrali, si trova un ampio giardino con piante secolari. Al complesso del castello appartiene anche il palazzo-villa che sorge alla base della rocca, di fianco alla chiesa parrocchiale, che fu un tempo dimora del ramo cadetto dei Tornielli. L'edificio ha forma rettangolare, diviso su tre piani e solai, con ampio cortile centrale. Sul lato orientale si trova un loggiato formato da tre campate mentre all'angolo sud-est si trova una piccola torre colombaia. L'aspetto attuale è dovuto principalmente agli interventi di restauro settecenteschi».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Barengo
«Adagiata sul poggio San Rocco, una piccola torre quadrata è l'unica testimonianza rimasta del castello di Anchise Visconti, le cui prime testimonianze sono dell'anno 1529 e dell'anno 1545. Al centro della facciata è raffigurata una Madonna con il Bambino. Nel Castello, demolito dai Demarchi nel 1822, sono anche ambientate le vicende di un romanzo storico pubblicato nell'anno 1881, opera del bellinzaghese dottore Carlo Calcaterra padre ed intitolato La marchesina di Bellinzago».
http://www.comune.bellinzago.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=21368
Borgomanero (borgo, torre Baraggiola)
«Borgomanero anche nelle antiche carte si presenta nella sua costruzione come un parallelogramma, ad angoli retti, sia pure irregolari, fasciato da una parte dall'Agogna: caratteristica che, pur con l'ampliamento dell'impianto edificato degli ultimi secoli, non è di molto mutato. Dal centro del Borgo dipartivano, e dipartono, quattro strade principali, che lo dividevano di fatto in quattro "quartieri", distinti fra di loro dalla borgata, con la quale confinavano. Così si avevano: Quartiere di Baraggiola, Quartiere di Caristo, Quartiere di Cureggio, Quartiere di Vergano, i quali sono oggi così identificabili: Baraggiola: quello compreso fra corso Garibaldi e corso Cavour; Caristo: fra corso Roma e corso Cavour; Cureggio: fra corso Mazzini e corso Roma; Vergano: fra corso Garibaldi e corso Mazzini; In alcune cartografie della seconda metà del 1800 è indicato un "Quartiere a Notte dell'Agogna", identificabile con la "Regione Valera", dove vennero edificate, nei primi anni del sec. XX, le scuole elementari, il Collegio Salesiano e l'Oratorio maschile Felice Piana. Quattro erano anche le "porte" d'ingresso al Borgo e pure queste assumevano il nome della loro posizione geografica. Così si aveva: Porta Riviera, o "Porta alla Riviera d'Orta" oppure ancora "Porta di Sopra"; Porta d'Arona, o "Porta del Sempione", oppure ancora "Porta Bagnoma"; Porta di Maggiora, detta anche "del Prestino", per la presenza dell'importante molino del Prestino o Pristino. In qualche cartografia la stessa porta è indicata come "Porta Valsesia" ed ancora "Porta Torino"; Porta Novara, o "Porta di Sotto", a sud del Borgo sulla via, appunto, per Novara. Di tutte credo sia di facile identificazione l'odierno riferimento, se si fa eccezione per quella indicata come Porta Sempione: l'attuale corso Sempione infatti è ubicato da tutt'altra parte, verso l'allora Porta Riviera. Negli anni fra il 1825 e il 1828 le "porte" d'accesso al Borgo vengono abbattute. La prima a cadere sotto il piccone riformatore di un nuovo assetto urbanistico fu quella "di accesso al Borgo in direzione di Maggiora". L'anno successivo vennero abbattute la "Porta di Novara" e quella della "Riviera d'Orta". L'ordinanza prevedeva l'abbattimento, nello stesso anno 1826, anche della "Porta Bagnoma o d'Arona", ma la mancanza di fondi protrasse sino al 1828 la sua fine. Fu nel 1890 che i liberali presenti in Consiglio Comunale proposero ed ottennero, con la Deliberazione del 25 ottobre (Rinomenclatura di alcune vie e rinumerazione generale delle case), che le quattro contrade prendessero una nuova denominazione con la qualificazione di "corsi". Così si ebbero le modifiche seguenti: la piazza Principale divenne piazza Vittorio Emanuele II(l'attuale P.za Martiri); la "Porta Riviera" divenne corso Giuseppe Garibaldi; la "Porta Novara" divenne corso Roma; la "Porta Valsesia" divenne corso Giuseppe Mazzini; il "viale della Stazione Ferroviaria" divenne corso Camillo Benso conte di Cavour. ...».
«Nella parte nord-orientale della cittadina novarese di Borgomanero, ai piedi della collina di San Michele, sorge l’oratorio dedicato a San Nicola con la Torre Baraggiola. La località denominata Baraggiola (o Barazzola) ha origini molto antiche, infatti risale al X secolo ed è particolarmente legata alle vicende della "curtis regia" di Barazzola e alla donazione di Ottone I di Sassonia alla pieve di San Giulio. L’oratorio venne edificato circa nel X secolo, con una sola navata, facciata a capanna, abside semicircolare ornata da grossi archetti in cinque gruppi, uniti due a due. Le due finestre quadrate poste ai lati del portoncino d'ingresso sono state aperte per volontà del vescovo Bascapè, in occasione di una visita pastorale. Accanto all’oratorio si erige la torre o campanile, simbolo medioevale del comune. Alta una ventina di metri e formata da grosse pietre ben squadrate che compongono muri, la torre ha diverse monofore a feritoia. Nella parte superiore si apre una bifora architravata con capitello a stampella».
http://www.comune.borgomanero.no.it/Borgomanero/antico_borgo.aspx - http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia...
a c. di Glenda Bollone e Federica Sesia
Buccione (castello o torre di Buccione)
«Sulla sommità del colle si erge un sito fortificato, comunemente noto col nome di “Torre di Buccione”, dal suo elemento maggiormente visibile. Controverse sono le ipotesi sulle sue origini, forse vi era una costruzione dei IV-VI secolo che controllava la Via Settimia (chiamata in seguito Via Francisca). Nella sua veste attuale il complesso fu probabilmente costruito nel terzo quarto del XII secolo, datazione avanzata sulla base di confronti tipologici. Era un “castrum”e come tale è citato in vari documenti a partire dal XIII secolo. All’epoca apparteneva forse ai conti Da Castello che vi firmarono la pace con il comune di Novara, presente il vescovo-conte. Dal 1235 fu saldamente in possesso dei vescovi di Novara, con funzione di vedetta e segnalazione. Gli statuti della comunità della Riviera di San Giulio ordinavano che tutti gli uomini validi accorressero in armi al suono della campana della torre. Essa venne comunque aggiunta in un secondo momento, forse poco dopo la costruzione del tetto, che avvenne nel XIV-XV secolo. Del “castrum” rimane la torre e parte della cortina muraria. Alla fortificazione si accede tramite una spianata, descritta in passato come una “piazza muragliata”, capace di cinquecento uomini. La torre, alta 23,20 metri, è realizzata in conci squadrati di varie dimensioni di granito e serizzo, circondata da una cortina muraria a pianta rettangolare con camminamenti, arciere, feritoie e merli ancora visibili nel Settecento. All’esterno sorgeva un piccolo edificio destinato al corpo di guardia. La torre è suddivisa internamente in quattro piani da tre impalcati di legno, che ne permettevano l’abitazione da parte della guarnigione. Il piano inferiore, dove si apre l’attuale ingresso ottocentesco (l’ingresso antico si trovava a 7 metri da terra), aveva funzioni di magazzino viveri. Al secondo e al terzo piano erano situate due latrine con condotti convogliati nel cortile. Più sopra si trovava la cella, con volta a crociera, munita di bertesca su mensole, da cui veniva difeso l’ingresso, mediante il lancio di sassi. La torre termina con merli quadrati e con un tetto a quattro falde».
http://archeocarta.org/gozzano-no-torre-di-buccione
«Lungo la strada che da Novara porta al lago d’Orta, all’Ossola e ai confini alpini, sorge Caltignaga, che per la sua posizione strategica fin dall’epoca altomedioevale divenne luogo fortificato. È qui che proprio al centro del paese, troviamo ancora la vestigia di un poderoso castello, la cui origine si fa risalire alla seconda metà del quattrocento, molto probabilmente dopo l’infeudazione di Caltignaga ai Caccia. In seguito all’incendio avvenuto nel 1524 ad opera delle truppe francesi, il castello subì le prime trasformazioni: da fortilizio a residenza di campagna. L’impianto generale è a pianta quadrata, il corpo centrale dell’edificio in mattoni a vista – secondo la tipica tradizione costruttiva dei castelli di pianura – completato da un torrione centrale ove si aprono l’ingresso carraio e la posterla. Sopra l’arco della porta di ingresso si può ammirare uno stemma gentilizio, secentesco, che rappresenta il matrimonio di un Caccia con una gentildonna, il cui stemma era “d’azzurro” alle fiamme d’oro disposte in diagonale, col capo di rosso ad un nastro svolazzante d’argento con motto”; al di sotto si legge “Fortitudinis Nostrae Caltiniagae”. Nel 1588 si ha notizia che il feudo fu confermato a un Giovanni Francesco Caccia; passò nel 1724 ad Antonio Brentani, ricco mercante milanese con titolo di conte che da anni acquistava beni terrieri nel novarese, al fine di realizzare un importante sistema di marcite per incrementare l’allevamento del bestiame. Nel 1774 passò per asse ereditario alla nobile famiglia torinese Faà di Bruno, alla quale appartiene ancora oggi».
http://www.novara-software.com/novara-provincia/castello-e-giardino-storico-caltignaga.php
Cameriano (resti del castello)
«Le prime testimoniante dell'esistenza del castello risalgono al 989; lo abitava tale Sendico, figlio del salico Winigiso e di Adilia. Alla metà del Trecento l'antico castello era ancora funzionante e racchiudeva la chiesa di Santo Stefano, diventata parrocchiale. Agli inizi del Quattrocento il castello - diventato un'importante fortezza - fu amministrato per diversi anni dal marchese Teodoro di Monferrato. In seguito divenne feudo dei "Botigella" e fu abitato da varie famiglie di signori, tra cui i Cattaneo di Cameriano e la famiglia Noli di Novara. Due documenti del 1442 ci permettono di riconoscere meglio la fortificazione, articolata in due parti (un recetto e un castrum) contigue l'una all'altra e circondate da un fossato. A partire dalla fine del Quattrocento le due strutture tendevano ad identificarsi e accanto ad esse venne costruito un palazzo. Proprio nel 1442 il Duca di Milano cedette in feudo la terra di Cameriano a Bianca, figlia di Lancillotto Visconti e moglie di una Botigella di Pavia, con ogni diritto di giurisdizione sul territorio. Il feudo restò poi alla famiglia pavese fino al 1664, anno della morte di Raimondo, ultimo feudatario. Le ultime informazioni sul castello risalgono al XVI secolo, quando la fortezza ospitava una compagnia di soldati spagnoli. Poi iniziarono gli abbattimenti per dare maggiore respiro alla parrocchia di Santo Stefano e al cimitero, racchiusi da sempre entro il perimetro murato. Oggi rimangono pochi resti dell'antica fortificazione: entro le costruzioni più recenti appaiono rosse sagome di antichi merli e mura di cotto risalenti alla metà del Quattrocento, frammenti di un celebre passato finito per sempre».
http://www.comune.casalino.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=21332
«Stato d'esistenza: sulla strada per Massino Visconti, appartenente al comune di Nebbiuno, la Campiglia, chiamata nel passato “frazione Torre”, è un piccolo borgo anticamente fortificato di case medioevali. Oggi è una tenuta agricola. Il nucleo più significativo è la masseria Campiglia, che, in passato, fu per molto tempo la più importante azienda agricola del Vergante. Configurazione Strutturale: situata su un terrazzo collinare con vista sul Basso Verbano, il nucleo centrale, a cui si accede da un viale alberato, è formato da un insieme di edifici di epoche diverse disposti a raggera intorno al palazzo del XIX secolo che contiene la torre medioevale. Fondazione: IV secolo. Primo documento rintracciato: rintracciato: un documento del 1306 attesta che il territorio di Nebbiuno faceva parte, già dal XII secolo, della corte di Massino, appartenente al monastero di S. Gallo. Per Campiglia vi è uno scritto del 1140 nel quale il luogo era denominato “frazione Torre” ed apparteneva ai Visconti. Fasi costruttive: Epoca di fondazione: il toponimo “Campilia”, che deriva dal latino, sta a significare, secondo alcuni studiosi, che la zona fosse già adibita all’agricoltura duemila anni fa. Si ipotizza che la torre possa essere stata edificata all’inizio del secondo millennio come luogo di avvistamento e segnalazione funzionale all’area meridionale del lago Maggiore. Fasi costruttive: si suppone che la torre di avvistamento facesse parte di una fortezza, probabilmente appartenuta ai Visconti; si conserva ancora il toponimo “Castellaccio”. Attorno alla costruzione, che perse man mano valenza difensiva, si sviluppò, lungo tutto il Medioevo ed oltre (vi sono documenti scritti di fine XVI secolo), un agglomerato di abitazioni, case in sasso e masserie.
Descrizione dello stato di fatto: la torre medioevale è stata inglobata in una villa ottocentesca che rappresenta l’edificio principale dell’insediamento. Della fortezza, costruita su roccia, restano una muraglia a scarpa nel seminterrato ed il perimetro nel sottotetto. Il palazzo del XIX secolo, costruito su una precedente struttura signorile del Cinquecento ed introdotto da un porticato, con i suoi tre piani spicca sulle altre abitazioni per la maggior altezza. Al piano rialzato si conserva la “sala da nobile”, originario locale della torre, con volta a vela abbellita da dodici lunette. Molto antiche sono due canee collegate da un piccolo corridoio , poste una sotto la legnaia e l’altra sotto il terrazzo del giardino. Nella zona sud-ovest della masseria vi sono altre abitazioni e gli edifici adibiti ad uso agricolo. Interessanti sono due cascine testimoniate già alla fine del XVI secolo. La prima, dalla pianta a L, tuttora abitata e rimaneggiata più volte, si distingue per le pietre a vista ed un portale carraio trilitico con mensole ed arco di scarico. I portali litici sono presenti anche nella seconda costruzione caratterizzata dalla scala esterna e dalla “lobia”. Notizie storiche: insediamento gallo-romano e poi longobardo, Nebbiuno durante il Medioevo fu sottoposta all’autorità arcivescovile, che si protrasse oltre il XIV secolo, ma contemporaneamente alcune famiglie nobiliari possedevano dei beni nella zona e riscuotevano le decime su incarico della chiesa. A gestire il feudo furono dapprima i Visconti poi i Borromeo. Per quanto riguarda Campiglia, i Visconti di Massino risultano proprietari fino al 1629 quando la vendettero alla famiglia Innocenti di Pallanza. Subentrarono in seguito i Tornelli e, nel 1827, i Protasi, i quali inglobarono la torre nella nuova costruzione».
http://www.100castellinovara.it/castle?filter=bmViYml1bm8%3D (a c. di Carlo Giordani e Fiorella Mattioli)
Carpignano Sesia (castello-ricetto)
a c. di Federica Sesia
«L’edificio denominato Ricetto di Casalbeltrame, conosciuto anche con il nome di Castello sin dall’anno 1067, è un corpo di fabbrica a tre livelli, un tempo circondato da un fossato che, a partire dalla sua lontana origine medievale viene a subire pesanti e diversificate modificazioni nel corso del tempo, soprattutto dalla fine del XVIII secolo, sino a momenti più recenti, a seguito della sua riconversione agricola. Per la sua complessa stratificazione, osservando le murature e le tipologie di blocchi laterizi impiegate per costruirlo , così come le forme delle diverse aperture, si stenta a comprenderne sia l’esatta conformazione d’origine, sia le differenti fasi dell’evoluzione subita. è comunque possibile proporre alcune congetture avanzando dei paralleli, avvalendosi di fonti bibliografiche che hanno già considerato il fenomeno dei ricetti piemontesi (ci riferiamo agli studi di Micaela Davico di Torino), e dell’accurata osservazione delle diverse caratteristiche fisiche della struttura. La posizione del ricetto di Casalbeltrame è quella di un sistema collocato in pianura, posizionato centralmente rispetto al centro abitato. Esso si pone esattamente all’incrocio delle due vie o assi di scorrimento principali del paese, quelli nord-sud ed est-ovest. La conformazione dei ricetti è naturalmente connessa alla geografia del territorio piemontese sul quale essi sorgono; essi nascono sfruttando delle alture strategiche e, ove questo non è possibile, sfruttando i corsi d’acqua delle zone pianeggianti per costruire dei fossati di recinzione, a difesa: è questo il caso di Casalbeltrame. Anzitutto, la mappa Teresiana catastale del 1722 ci indica l’edificio come provvisto - ancora - del fossato e della divisione in celle originaria. Sappiamo che solo in origine nelle celle si poteva abitare; in seguito in esse si conservavano le derrate alimentari, e la sola presenza di una scala, con una apertura nel solaio che permetteva di accedere al livello superiore. Si nota la presenza, nella corte, della chiesa di San Martino e del suo cimitero (demolita nel 1805), così come del ponte d’accesso posto sopra il fossato.
Possiamo ipotizzare che, esclusa la torre campanaria della chiesa (forse un semplice campanile posto in sommità della facciata?), le torri principali dell’insieme fossero in origine soltanto due: una posta al di sopra dell’ingresso, come in altri casi documentati di ricetti piemontesi, l’altra posta al di sopra dei resti di quello che ci appare oggi come un bastione. Vi è una grande variabilità tipologica nel merito delle torri-porta di ingresso ai ricetti piemontesi, variabilità che ci impedisce di immaginare come potesse essere (in origine) l’ingresso all’edificio preso in esame. A Casalbeltrame si è conservata sostanzialmente la sola struttura urbanistica, medievale, come a Sizzano, in quanto le partizioni interne hanno subite delle modificazioni (le celle sono divenute dei magazzini per il riso). Il ricetto in questione, basso medievale, è riconoscibile per la sua forma “a guscio”, con costruzioni perimetrali e nucleo centrale, prodotto di reintegrazioni ed adattamenti di una più antica opera fortificatoria. La funzione di difesa si esaurisce in genere nel XV secolo, in quanto la struttura dei ricetti permette, da parte della popolazione, resistenze possibili di soli pochi giorni, i tempi ridotti per siglare degli auspicabili accordi di pace col nemico. A partire dal XVI secolo e con l’arrivo del dominio francese, si riempiono i fossati che li circondano al fine di poter utilizzare i terreni agricoli. Si demoliscono inoltre le fortificazioni dei villaggi. Ogni costruzione che sia legata ad aspetti di fortificazione deve avere il benestare dei Savoia prima di essere approvata, e non deve inoltre essere immaginata all’esterno della stessa città di Torino. Nel caso di Casalbeltrame solo verso il 1786-1787 avviene l’eliminazione del fossato, creando la situazione che ancora oggi possiamo osservare attorno al ricetto. Nel 1799 viene intrapresa la prima sistemazione dell’ala c.d. Comunale, per intendersi quella fascia di edificio rivolta verso settentrione. Dal 1799 al 1813 viene risistemata la parte ad oriente, prossima ai resti di una serie di edifici diroccati (addossati alla stessa ala nella corte) e ad una sorta di basamento di bastione. Dal 1820 si sistema l’ultima parte dell’edificio, cioè la restante, verso sud. A conferma di quanto indicato, una serie di lapidi provviste delle diciture del tipo 1799 FG, si rinvengono al di sopra delle aperture concluse da piattabande proprie di murature sette-ottocentesche ed indicano, sia la data di sistemazione, sia il nominativo della proprietà che l’ha richiesta, cioè la famiglia dei fratelli Gautieri (FG), o la Società Fratelli Gautieri (SFG), dal XVIII secolo possessori dell’intero edificio».
«Si ha notizia della presenza di un castello, in Casaleggio, già nel lontano 1075 come dimora di Ermengarda, vedova di Unfredo "de Vico Sancto Petro", proprietaria con i fratelli anche del castello di Mortara. Unica testimonianza rimasta dell'antico castello medievale è l'alta torre, forse di avvistamento, che svetta sopra l'abitato, costruita in ciottoli disposti ordinatamente e mattoni pieni, inserita ora nella tenuta agricola castello e forse risalente al XIII secolo. Una curiosità ci viene tramandata dall'antico cronista novarese Pietro Azario. Si narra che nel trecento una giovane nobile francese fosse in viaggio con il marito verso Roma: durante una sosta, in questa località, si innamorò di un giovane dei "Da Casaleggio" e si finse ammalata per non proseguire il cammino con il consorte. Il marito, adirato dopo aver scoperto il tradimento, radunò un esercito in Francia, tornò, assediò il castello, rase al suolo le case del paese e, dopo aver catturato i due amanti, ordinò di ucciderli».
http://www.comune.casaleggionovara.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=23915
«Il complesso del castello
copre con i suoi fabbricati un’area rettangolare, circondata da una cortina
muraria rafforzata da tre torri, che racchiude un cortile oggi ristrutturato
e sistemato ad abitazioni. Sul lato meridionale un torrione sporgente dal
muro di cortina dà accesso attraverso un portone ad arco all’interno della
fortificazione. Tutta la struttura è circondata da un piccolo fossato, in
parte trasformato in giardino. Fondazione: XV secolo. Fasi costruttive: XVI
secolo Primo documento rintracciato: Un atto del 20 giugno 1470, con il
quale i figli di Simone Avogadro prendono possesso della eredità paterna.
L’atto fu rogato dal notaio Lanfranchino Capra, come recita una scritta sul
muro settentrionale del cortile. A metà circa del sec. XVI iniziò un
processo di concentrazione della proprietà del castello (suddivisa fino ad
allora tra figli e nipoti di Simone Avogadro) nelle mani di Giovanni
Filippo, che ristrutturò il complesso fortificato. Esso è descritto in un
atto del 1547: “Vi è un corpo di casa al piano terra, con sopra un magazzino
e un pollario per ritirare le galline, poi un’altra casa con magazzino.
Inoltre vi è un torrione posto sopra la porta d’ingresso, nel quale vi sono
un magazzino e un pollaio, e sopra il pollaio il colombario per i piccioni”.
Una successiva ristrutturazione, ad opera di Giovanni Filippo Avogadro,
avvenne negli anni Settanta dello stesso secolo. Altri interventi furono
compiuti tra XVII e XVIII secolo, finalizzati alla coltivazione agricola,
soprattutto quella del riso.
Il castello prospetta con il suo lato meridionale sulla piccola piazza del
paese, sulla quale si affaccia anche la piccola chiesa di S. Gaudenzio e la
vecchia osteria. Si entra nel castello attraverso una porta difesa da un
torrione, nel quale si possono ancora vedere le sedi dei bolzoni che
servivano ad alzare il ponte levatoio. Sulla parte superiore si scorge,
piuttosto corroso, lo stemma affrescato degli Avogadro. A destra si
intravede, seppure murata, la postierla per l’ingresso pedonale. Tutto
intorno si sviluppa il muro di cortina, sopra il quale corre il camminamento
di guardia. La merlatura è costituita da una lunga serie di finestre ad arco
ribassato, sulle quali poggia il tetto. Nella parte sottostante corre un
motivo decorativo a “denti di sega”, aggettante dal muro. Sul lato
meridionale, a sinistra del torrione d’ingresso, si aprono tre finestre a
sesto acuto, incorniciate con decorazioni in cotto. A metà circa del lato
occidentale si innalza una seconda torre, con piccole finestre ad arco
ribassato, mentre una terza torre, disposta trasversalmente, rafforza il
castello nell’angolo nord-orientale. A fianco una piccola costruzione
nasconde una ruota di ferro, che era mossa dall’acqua del fossato e serviva
un brillatoio per il riso. Nel cortile interno, sul muro orientale è dipinta
una meridiana che reca la data 1702; su quello settentrionale una scritta,
probabilmente settecentesca, dice: Casalgiatum 1361 / ab Alberto Stertio
anglo dirutum / generali Iohannis marchionis Montisferrati / Simonini de
Advocatis filii / adhuc possident / ex in strumento rogato a Lanfranchino de
Capris / 1470 die 20 iunii. La scritta fa riferimento alle devastazioni
del territorio di Casalgiate operate dai mercenari inglesi della “Compagnia
bianca” di Alberto Stertz nel corso della guerra tra il marchese Giovanni
del Monferrato e Galeazzo II Visconti, allora signore di Novara.
Il castello a metà del Quattrocento era possesso della famiglia novarese
degli Avogadro ( de Advocatis), legata al mondo episcopale e proprietaria
fin dal sec. XIII di estesi possedimenti sul territorio circostante. Nel
1484 Filippo Avogadro acquistò da Luigi Terzaghi, segretario del duca di
Milano Gian Galeazzo Maria Aforza, il feudo di Casalgiate con tutti i
diritti relativi al fisco, ai dazi e all’amministrazione della giustizia.
Dieci anni dopo, nel 1495, il castello fu al centro di importanti operazioni
militari, quando l’esercito di Ludovico il Moro si accampò in questa zona
per assediare i Francesi che occupavano Novara. Dopo l’assedio il castello
tornò in mano agli Avogadro. Nel 1578 Giovanni Filippo ristrutturò l’ala
settentrionale come propria residenza signorile: il castello si presentava
allora con due corpi di casa al pianterreno, con sopra due camere e un
solaio, murate e coperte di coppi, confinanti con il fossato, il cortile e
la torre settentrionale. In quest’ultima vi era una cantina e, nella parte
superiore, una camera sormontata da due colombaie. Sulla destra del cortile,
una casa con stalla, cucina e camera superiore, oltre a una costruzione che
racchiudeva il torchio. Giovanni Filippo riorganizzò anche le proprietà
terriere, iniziando la coltivazione del riso, allora ancora nella fase
sperimentale. Nel 1583, mentre la ricchezza e il benessere del paese
aumentavano, gli Avogadro concessero a Giovanni Maria Tondino la licenza di
aprire una locanda sulla piazza del paese, con il diritto exercendi
hospitium et vendendi panem, vinum et carnem. Una attività continuata
dall’odierna “Osteria del Medioevo”. Nel 1695 il re di Spagna Carlo II creò
conti i feudatari di Casalgiate, ma nel 1779 la famiglia si estinse con
Francesco Avogadro, che lasciò i suoi beni, compreso il castello,
all’Ospedale Maggiore di Novara».
http://www.100castellinovara.it/castle?filter=Y2FzYWxnaWF0ZQ%3D%3D (a cura del prof. Dorino Tuniz)
«La costruzione risale probabilmente alla metà del XIV secolo. Dal Settecento e fino a pochi anni fa appartenne alla nobile famiglia novarese dei Leonardi e ancora oggi è proprietà di privati. Anche se attualmente non è abitato, è ottimamente conservato e molto curato. Di particolare interesse la villa e lo splendido parco. L'arca incastellata doveva essere molto vasta, ed è ancora segnata dalla muraglia che recinge le costruzioni ed il vasto parco; dell'antico castrum quasi nulla è rimasto ad eccezione di una serie di casoni rustici sul lato orientale, che possono risalire al Cinquecento. Restano invece, a nord proprio di fronte all'attuale cancello di accesso, alcuni importanti resti della rocca, documentata nel Quattrocento. Qui si apriva l'ingresso antico con i ponti levatoi sulla porta carraia e sulla postierla, sopra la quale è ancora visibile la sede del bolzone; oltre l'arco a tutto sesto si apre un vasto introytum, alla base del torrione che lo sormontava. L'occhio percepisce una fuga di quattro archi di rossi mattoni, poiché dietro a questo primo edificio ne sorge un secondo, la cui parte inferiore è autentica, mentre la soprelevazione è stata effettuata, pur con un certo gusto, in un periodo successivo, quando furono risistemate molte abitazioni del complesso. A destra si scorge la cappella privata e poi si accede ad un vastissimo parco, con alberi secolari. A sinistra si possono raggiungere gli edifici rustici, di cui si è già parlato, e che costituivano la dimora dei salariati dei conti: una cinta separa le due aree del castello e a sud un palazzo del tardo Seicento chiude la corte rustica. Se si ritorna al torrione d'ingresso si può osservare, a destra, il muro settentrionale di un edificio castellano, in cui è evidente l'antico cammino di ronda con le aperture ad arco ribassato, simili a quelle di Casalgiate e di Ponzana. Più sotto un autentico cordonato di cotto segna l'inizio della scarpatura del muro, che scendeva verso la fossa; a metà altezza una serie dì piccole finestre, molto simili a quelle visibili sul lato di tramontana del castello di Cameriano, dava luce alle antiche camere del primo piano. Le grandi finestre di cotto, invece, sono di difficile datazione, poiché ad una semplice osservazione non si può stabilire l'età della loro costruzione, ma sembrano di recente fabbricazione».
http://www.comune.casalino.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=21324
CASALVOLONE (resti del ricetto)
«Sull’attuale centro abitato sorgeva un importante castello, ora scomparso, che in un documento del XII secolo viene descritto come circondato da un fossato colmo di acqua (nel quale si allevavano i pesci) e rari esempi in cui la struttura difensiva risulta edificata utilizzando una motta artificiale. Della sua forma rettangolare, orientata nord-sud, rimangono oggi le parti inferiori delle mura, quasi completamente a ponente e presenti solo in alcune parti quelle a settentrione».
http://archeocarta.org/casalvolone-no-pieve-di-san-pietro-e-resti-del-ricetto/
Cascina Mirasole (castello Mirasole)
«La Cascina-Castello Mirasole è ubicata entro una vasta area agricola della pianura novarese per la maggior parte coltivata a risaia, a nordovest di Sologno frazione di Caltignaga e a breve distanza dalla strada che da Novara porta a Borgomanero. Il complesso si presenta oggi con i connotati di una dimora rurale e si distingue soprattutto per le singolari torrette cilindriche che le imprimono un carattere vagamente castellano. L'edificio presenta una planimetria a U, con i due bracci orientati verso ponente, formanti cortile chiuso da muro di cinta, in mezzo al quale sta il portone di ingresso. La villa propriamente detta è il corpo di fabbrica di levante più elevato rispetto ai due fabbricati laterali e fronteggiante un giardino non ampio, ma folto di alberature. In corrispondenza dei due spigoli orientali della villa si innalzano le due torrette cilindriche, molto slanciate e coronate alla sommità da terrazzini belvedere: altre due torrette, di minore altezza e coperte da un tetto, si elevano in corrispondenza degli spigoli esterni occidentali delle due ali rustiche. La prima notizia di questa cascina risale al 1497; essa era allora posseduta da Obecino Caccia il Bianco, che fu estromesso tra il settembre e l'ottobre da Mariolo Viscardi, giacché il Caccia era stato bandito per tradimento. Il Viscardi amministrò per più di un anno l'azienda agricola e ne incamerò i proventi, poi il complesso produttivo passò di nuovo ad Obecino che nel 1501 intentò un processo contro il Viscardi, allora assente, per ottenere la restituzione dei frutti goduti indebitamente. ... L'azienda agricola, allora considerata un vero e proprio villaggio, rimase ai Caccia ancora per alcuni decenni e fu poi venduta, prima del 1614, ai Pernati. Solo il feudo restò a Gianbattista Caccia e a suo figlio Luigi sino al 1634, anno in cui i Pernati acquistarono dalla Camera i dazi, l'imbottato ed i diritti giurisdizionali che rendevano 26 lire all'anno. Da allora la famiglia fu signora assoluta del luogo, poiché oltre al feudo era proprietaria "de tutti li beni et case di detta terra di Mirasole". La cascina fu trasformata in castello in età moderna, e solo nel 1800 vennero aggiunte le due torri circolari che, ancora oggi, svettano a fianco della massiccia costruzione padronale, ricordo di un florido passato, per questa frazione che, nel 1497, rendeva la notevole cifra di 1729 Lire. Castello che ospitò per anni, durante il periodo estivo, il conte Alessandro Pernati e sua moglie la contessa Paolina di Bricherasio. Il nobile novarese, che fu ministro degli Interni del regno Sardo durante la presidenza di Massimo d'Azeglio, si occupò con zelo dei problemi amministrativi di Caltignaga e Sologno e fu tra i promotori della aggregazione al Comune di Caltignaga del vicino comune di Sologno e delle due frazioni di Morghengo e Mirasole. La richiesta fu fatta dal comune di Sologno l'11 settembre 1864 e concessa con decreto regio dal Re Vittorio Emanuele II il 17 giugno 1866. Il resto è storia recente, ma le due torri rotonde di Mirasole, che s'innalzano sul verde delle risaie a fianco della massiccia costruzione padronale, richiamano immagini romantiche del secolo scorso, quando il medioevo era pensato come l'età delle "erme torri". ...».
http://www.comune.caltignaga.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=18455
Castellazzo Novarese (rocca dei Caccia)
«Il paese di Castellazzo Novarese sorse verso la fine del medioevo attorno ad una vecchia fortificazione semiabbandonata, dalla quale prese il nome, appartenuta alla potente famiglia dei Da Camodeia, illustre soprattutto tra Duecento e Trecento. Camodeia era la denominazione del medesimo centro abitato nei secoli precedenti, sviluppatosi attorno all'antica chiesa di Santa Maria, ora non più esistente, situata a qualche centinaio di metri a sud-ovest della fortificazione. Nei primi anni del Quattrocento l'antica fortezza dei Da Camodeia, insieme con estese proprietà terriere, fu acquistata dalla ricca e potente famiglia novarese dei Caccia da Mandello, che verso la fine di quel secolo la ristrutturarono profondamente, innalzandovi nell'angolo sud-ovest una rocca. Lo stemma della nobile famiglia campeggia ad affresco al centro della facciata meridionale, verso la strada. Dalla rocca di Castellazzo si vedono agevolmente ad occhio nudo la torre di Mandello ad ovest e la rocca di Briona ad est. Oggi il castello si presenta come un vasto ed imponente complesso di edifici di epoche diverse, dal secolo XV al XVII ed oltre. La porzione occidentale presenta un poderoso muraglione trecentesco, coronato da eleganti merlature e da fregi in cotto; ai piedi della muraglia, sulla quale stanno ancora le feritoie di un ponte levatoio pedonale, si vede ancor oggi il fossato protettivo. Al centro del lato meridionale, affacciata sulla strada principale del paese, si innalza la rocca quattrocentesca vera e propria dei Caccia, di salda struttura quadrilatera, immagine ingrandita Vista nel dettaglio delle merlature e i fregi di cotto (apre in nuova finestra)immagine ingrandita Entrata con scalinata del fronte meridionale (apre in nuova finestra) coronata da merlature con camminamenti e caditoie sottostanti, munita di torri verso est. Appena sotto le caditoie si notano sette grandi aperture circolari (quattro sulla facciata sud e tre sulla facciata est) attraverso le quali era possibile sparare sugli eventuali assalitori con altrettante bombardiere. Tra i merli e le caditoie, invece, è collocata una serie di piccoli di piccoli fori circolari: erano probabilmente destinati agli archibugi. Nella base della torre del lato est sono ancora visibili le feritoie entro le quali scorrevano le travi mobili (bolzoni) atte a sostenere i ponti levatoi per l'ingresso carraio e per la postierla pedonale, oggi entrambi murati. Verso nord la rocca si salda con la parte trecentesca del castello, caratterizzata dalle ampie cortine murarie, appena ingentilite da alcune finestre con decorazioni in cotto e da una lieve cornice, sempre realizzata in cotto, lungo la linea di gronda. La rocca, un tempo cinta da proprio fossato per meglio difenderla e munita di proprio ponte levatoio, ha all'interno un cortile sul quale si affacciavano due piani di ballatoi in legno, oggi non più esistenti. Annessi al castello vero e proprio, verso est, sorgono altri edifici di età rinascimentale e barocca, tra i quali la chiesa privata. Proseguendo oltre il castello, all'incrocio tra via Roma e via Novara, sorge ancora l'edificio di un'antica ghiacciaia, consistendo in una costruzione circolare in mattoni con tetto in tegole sormontato da una croce in ferro».
http://www.comune.castellazzonovarese.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=1061
Castelletto (resti del castello)
«La struttura fortificata, a impianto quadrato, appare oggi come un vasto edificio a tre piani, trasformato in masseria agricola, che presenta tracce evidenti dell’antico castello, in particolare nella merlatura a difesa del cammino di ronda, in alcune finestre ad arco ribassato e in parti della struttura muraria. Il castellettum si trova lungo la strada che da Momo conduce ad Oleggio, vicino al ponte sul Terdoppio, su una piccola altura detta “Monteggio”, accanto alla chiesa di S. Maria Assunta. L’entrata attuale si trova sul lato meridionale, ove un tempo esisteva il ponte levatoio protetto dal torrione d’ingresso. L’edificio originale è ancora visibile non solo nell’evidente scarpatura del muro orientale e in alcune finestre quattrocentesche ad arco ribassato, ma anche nella merlatura a difesa del cammino di ronda, ora coperta dal tetto, che corre sui lati orientale e meridionale. Nell’angolo di nord est si può intravedere la sagoma di un torrione. Nel lato di sud est sono evidenti tracce della muratura in ciottoli disposti a spina di pesce e, nella parte superiore, i corsi di sassi alternati a quelli in mattone. Anche il grande cortile interno appare come l’unificazione di due nuclei antichi, quello abitativo e fortificato a sud, e quello agricolo, potenziato nel Settecento. Un castellettum in loco Montegii, presso l’antico guado del torrente Terdoppio, esisteva già tra la fine del secolo XII e l’inizio del successivo ed era stato edificato con l’autorizzazione del comune di Novara, della cui classe dirigente i signori del luogo, i Cattaneo da Momo, erano tra i maggiori esponenti. La prima testimonianza diretta risale al 1337. Il castello, luogo di residenza, fortezza militare e nel contempo struttura agricola, era circondato da un fossato e protetto da un muro di cinta. L’ingresso, munito di ponte levatoio, era posto sul fronte meridionale e sovrastato da un torrione. Al suo interno si innalzava una torre, attorniata dagli edifici di abitazione, dall’arale, costruzione per riporre il fieno e riparare gli animali, e da altre strutture funzionali agli usi agricoli. Nel 1466, alla morte del duca di Milano Francesco Sforza, il feudo di Momo e Castelletto (che comprendeva anche Agnellengo, Vaprio, Cavaglio e Cavaglietto) fu concesso a Cristoforo Casati. Nel 1534 i Casati lo vendettero a Giovanni Battista e Francesco Visconti da Fontaneto. I due fratelli si divisero il feudo, e mentre a Francesco toccò Momo, Agnellengo e Cavaglietto, Giovanni Battista ebbe Castelletto, Cavaglio e Vaprio d’Agogna. I due paesi di Momo e di Castelletto, da sempre uniti sotto la famiglia dei Cattaneo, vennero così divisi ed ebbero vicende diverse. Il castello rimase però ai Cattaneo di Castelletto fino al 1662, quando fu venduto ai conti Leonardi, i cui eredi nel secondo Settecento lo ristrutturarono trasformandolo in una masseria agricola, che continua ancora oggi la sua attività produttiva».
http://www.100castellinovara.it/castle?id=147 (a cura di Dorino Tuniz e Fiorella Mattioli)
Castelletto Sopra Ticino (castello Torriani Visconti)
«Configurazione Strutturale: Pianta vagamente quadrangolare con quattro torri fortificate verso gli angoli. Fondazione: XI secolo. Primo documento rintracciato: 18 gennaio 1145. Descrizione dello stato di fatto: Il maniero di Castelletto Sopra Ticino ha mantenuto l’antica struttura a pianta vagamente quadrangolare con quattro torri fortificate verso gli angoli: due di queste sono oggi inglobate nella facciata principale, mentre le altre, verso il fiume, nella parte del rustico, sono mozze e mutate nelle loro strutture. La torre più antica, che svolse funzioni di guardia, è quella situata a sud-est nel punto più prossimo al fiume. Oggi risulta mozza ed è databile all’XI-XII secolo. Ha pianta quadrata con possenti muri di ciottoli, rinforzati agli spigoli da conci in pietra; attualmente è coperta da un tetto a quattro falde con manto in coppi. Nel corso del XVI sec. l’edificio prese a trasformarsi in residenza secondo le necessità dei rispettivi proprietari. Buona parte del castello venne impiegata come abitazione, comprese le torri nord-ovest e sud-ovest; quella di sud-est e la parte orientale, invece, servirono per gli usi agricoli. La parte che ha subito più trasformazioni si identifica con l’ala occidentale. La torre nord-ovest, la cui ultima ristrutturazione è avvenuta nell’Ottocento, era coronata da una merlatura, oggi trasformata in altana, su cui venne realizzata una copertura a quattro spioventi. Sulla facciata principale è ancora visibile lo stemma dei Visconti d’Ornavasso, in pietra bianca d’Angera, mentre rimangono scolpiti sui pilastri del cancello d’ingresso i rispettivi stemmi nobiliari: quello del ramo dei Visconti d’Ornavasso e quello dei Visconti d’Aragona. Un ampio parco piantumato circonda l’intero edificio.
Notizie storiche: Per l’edificazione della fortezza di Castelletto Sopra Ticino fu scelta una posizione strategica in vicinanza del fiume, su un poggio digradante verso lo stesso. Verosimilmente venne inizialmente eretta una torre che controllava l’attraversamento del Ticino; anche sull’altra sponda, quella lombarda nel comune di Sesto Calende, era presente una fortificazione e la località era detta Torre. Una indicazione relativa alla possibile esistenza di una fortificazione viene fornita dallo storico locale don Giuseppe Arista (1663-1725) che così afferma: Castelletto [...] che si dice sopra Tesino [...] trasse l’origine sua dal picciolo Castello, posto di guardia al magnifico Ponte fabricato da Beloveso primo Re de Galli Cisalpini. Già posseduto dai da Castello, passò in seguito ai milanesi della Torre o Torriani. Nel 1275 i Visconti cercarono di impossessarsi del maniero, ottenendo il riconoscimento ufficiale solo nel 1329 quando l’imperatore Lodovico il Bavaro, in un diploma emesso a Pavia il 6 agosto, ne concesse il possesso a Ottorino Visconti, figlio di Uberto detto il Picco. Il sovrano si limitò a confermare ciò che Ottorino già amministrava, cioè […] il possesso del mero e misto imperio, della giurisdizione semplice e del castello e della terra di Castelletto, nonché dei pedaggi, dei dazi sulle merci e del diritto di pesca sul Ticino entro i confini del territorio. Nel 1358, per ordine del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, fu disposta la demolizione di alcune fortificazioni del novarese; tra di esse, secondo l’Arista, anche quella castellettese. Il castello ed il territorio comunale furono in seguito posseduti da Uberto che fece legittimare i figli Ermes e Lancillotto Visconti. Questi ultimi decisero di risiedere entrambi nel maniero e risolsero di dividerlo estraendo a sorte le due parti. Ancora oggi è presente un alto muro che divide il cortile interno: al primo spettò la parte settentrionale, al secondo quella meridionale. Di comune pertinenza rimanevano invece alcuni edifici esterni, quali la stalla, il fienile, l’orto e il terreno circostante. Entrambi gli eredi ebbero una numerosa discendenza, gran parte della quale si stabilì nel maniero castellettese. Per questo motivo vennero apportate numerose modifiche alla struttura esistente e realizzati nuovi locali in prossimità di quelli già presenti. Ermes nel 1413 fu nominato barone di Ornavasso, mentre nel 1464 un figlio di Lancillotto, Alberto, a titolo d’onore per i servigi resi al re Ferdinando d’Aragona, venne adottato da questi con il diritto di fregiarsi del cognome e dello stemma reale. Da Alberto, quindi, discese il ramo dei Visconti d’Aragona, con i Visconti d’Ornavasso consignori di Castelletto. Le due famiglie Visconti mantennero congiuntamente la proprietà del castello fino al 1896 quando si estinse il ramo d’Aragona con il marchese Alberto; l’altro casato ebbe invece a terminare con l’ultima discendente, baronessa Maria Teresa Visconti d’Ornavasso sposata a un conte Perrone di San Martino» (testo di Stefano Della Sala; revisore: dott. Fiorella Mattioli).
http://www.100castellinovara.it/castle?filter=Y2FzdGVsbGV0dG9fc29wcmFfdGljaW5v
«Il castello già visibile dalla S.S. 32 Ticinese, si erge maestoso sulla collina di Cavagliano. Già nella seconda metà del Duecento viene citato il castello di Cavagliano come possedimento dei conti di Biandrate, passato in seguito sotto il dominio politico del Comune di Novara, mentre sul luogo si affermava già la proprietà fondiaria della nobile famiglia Caccia. In un documento del 24 maggio 1324 si citano due ricchi e potenti personaggi: Paolo II Caccia e il figlio Paganino componenti della “pars Rotonda” di Cavagliano. Sempre da fonti documentarie, si viene a sapere che in quel periodo era presente la parrocchiale ”infra castrum” di San Quirico, mentre nell’abitato rurale sottostante c’era la chiesa di San Giulio. La famiglia Caccia arrivò a possedere più di due terzi delle terre agricole della località, oltre alle quote del castello, alle case del villaggio e ai diritti di avvocazia sulle due chiese del paese, con il diritto di nomina del parroco. La potenza del caccia, e di riflesso del castello di Cavagliano, la si trova negli scritti del cronista novarese Pietro Azario. Infatti, lo storico ci segnala che, quando tutto l’agro novarese fu messo a ferro e fuoco dalle armate di Galeazzo II Visconti, si salvò solo l’abitato di Cavagliano grazie alla potenza della famiglia Caccia. In seguito, la proprietà terriera passò ai Cacciapiatti, pur restando il feudo intestato ai caccia fino al 1634, anno in cui morì l’ultimo erede. Successivamente, passò alla Camera Ducale e poi ancora ad altri nobili, per poi tornare agli inizi del Settecento al Regio Governo. Ora il complesso è di proprietà privata e purtroppo versa, quasi interamente in avanzato stato di degrado».
http://www.novara-software.com/novara-provincia/castello-di-cavagliano-bellinzago-novarese.php
a c. di Glenda Bollone e Federica Sesia
Conturbia (resti del castello)
«Primo documento rintracciato: 1347 Descrizione dello stato di fatto: l’insieme del castello di Conturbia si presenta oggi convertito in villa gentilizia. Dopo diversi interventi, avvenuti principalmente nei secc. XVII e XVIII, che hanno profondamente modificato la struttura originaria, restano solo alcune parti del ponte levatoio. Il corpo di fabbrica, che era presumibilmente quadrangolare, è oggi ridotto a forma di L. Un ampio parco piantumato circonda l’edificio. Notizie storiche: ’area fortificata del castrum di Conturbia sorgeva su una modesta altura. Al suo interno era presente la chiesa di S. Maria, di cui oggi non resta nessuna traccia tangibile. Il castello subì uno smantellamento, come molte altre strutture nella zona, nel corso del XV sec. ad opera di Facino Cane. Successivamente venne trasformato in abitazione gentilizia. Verso il Mille sul luogo era presente un casato illustre, i signori da Conturbia, che furono feudatari del borgo. Nei secoli seguenti quest’ultima famiglia fu in contrasto con i Visconti e per questo motivo decadde, rifugiandosi a Novara. Sul luogo rimasero numerosi casati nobiliari tra i quali i documenti citano i Nasi, i Pata o Patius, i De Tonso, i de Sichis, i Tarabbia, i Zuccala. In seguito alla riorganizzazione feudale del XV sec., Conturbia si affermò come capo feudo e divenne uno dei più importanti della Squadra del Sesia. Successivamente, con l’infeudamento nel 1467 ad Alpinolo dei Casati, il territorio si ampliò fino a comprendere dieci paesi. Conturbia visse in questo momento il suo massimo splendore, mentre la vicina località di Agrate subì distruzioni e devastazioni».
http://www.100castellinovara.it/castle?id=18 (a cura di Stefano Della Sala)
«A testimonianza visibile di un passato largamente condizionato dalla presenza della proprietà signorile in Divignano è rimasto il castello: simbolo e documento nello stesso tempo di questi ultimi cinquecento anni di storia. Del castello, come succede del resto per quasi tutte le costruzioni consimili, non si hanno notizie dirette dell'epoca d'impianto, non si hanno notizie dirette dell'epoca d'impianto; dovrebbe risalire ad un periodo compreso fra la signoria di Filippo Borromeo (1454-64) e il 1489. La fortezza quadrata di Divignano, a ben osservarla lungo il lato nord, quello che si è conservato nelle sue originarie strutture del Quattrocento, determina un'impressione di solidarietà ed eleganza. Le due torri angolari, vaste e fortemente scarpate, sono rese più gentili dalle finestre ad arco acuto, incorniciate dal rosso cotto delle formelle decorate: i profili sporgenti di cinque grandi camini scandiscono l'alternanza delle sale, che ricevono la luce da altrettante finestre gotiche lungo tutto il braccio settentrionale. La sommità delle torri è decorata, proprio sotto il cammino di ronda, dal consueto motivo a dente di sega. Il complesso oggi visibile risulta come l'insieme di due diverse fasi costruttive, una verso nord di impianto originario e l'altra di ripristino. Il secondo intervento, settecentesco, che ha comportato l'abbattimento di tre lati della fortezza, non si è inserito nei livelli di altezza della prima fase, ma è risultato sopraelevato di almeno 2,5 m rispetto ai piani della struttura originaria. Quando, agli inizi del Settecento, si distrussero i tre corpi perimetrali i detriti non furono asportati e il loro accumulo determinò l'innalzamento del livello di calpestio. Fu invece mantenuta, pur trasformandola, la torre angolare di sud-ovest ove appaiono ancora i segni di quattro bifore, anche se tamponate per motivi di stabilità. Il castello fu completamente innalzato e finito nel suo impianto quadrangolare già nel periodo gotico ed ebbe non solo funzioni residenziali, ma anche utilizzazione militare. L'unica ala rimasta dell'antico edificio insieme con la torre di sud-ovest, è quella residenziale a nord che disponeva di due ordini di gallerie a volta; sopra le gallerie, il piano di rappresentanza consisteva in due ampi saloni di torre e forse di tre sale intermedie, tutti locali caminati. Purtroppo i bei camini settecenteschi furono asportati e sostituiti con rifacimenti approssimativi, mentre si sono conservati i soffitti a cassettoni delle sale e la bella volta unghiata della sala della torre di piazza».
http://www.comune.divignano.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=24938 (a c. di Annalisa Pilati)
a c. di Federica Sesia
«Il castello di Fontaneto d’Agogna sopravvive oggi in un complesso di edifici di epoca seicentesca situato nell’area compresa fra piazza Annunciata e piazza Castello, sul luogo che corrisponde a quello che fu lo spazio interno della fortezza fondata negli anni Cinquanta del XV secolo da Filippo Maria Visconti, uomo politico legato al ducato milanese degli Sforza. L’aspetto del castello, che doveva apparire ultimato agli inizi del Cinquecento, è noto dalle fonti storiche che lo descrivono come una rocca costruita su pianta quadrilatera, con quattro torri angolari cilindriche e fossato perimetrale. Le strutture difensive della residenza dei Visconti si prolungavano sui lati orientale e occidentale in rivellini che collegavano al complesso due imponenti torrioni quadrati, la torre Bianca a est e la torre Rossa a ovest; esse costituivano i punti di accesso del castello e sorgevano sulla superficie occupata attualmente dalle due piazze. Gli edifici oggi superstiti sono in prossimità di piazza Castello, e rappresentano quanto del nucleo residenziale fu conservato e recuperato dalla famiglia Visconti dopo la demolizione degli impianti di difesa e di una consistente porzione del castello avvenuta entro la metà del Seicento. Sul lato meridionale si trova la parte più antica, che si sviluppa intorno all’oratorio dedicato ai santi Sebastiano e Fabiano. Inglobata nella struttura fortificata, la chiesa sorse sul luogo di un’antica abbazia, probabilmente di dimensioni maggiori, collegata al monastero che occupò il luogo fin dal X secolo. Al suo interno sono presenti affreschi quattrocenteschi forse da attribuire a Cristoforo Moretti. Ulteriori testimonianze storico-artistiche dell’epoca della fondazione rinascimentale del castello sono negli edifici contigui dei cosiddetti “palazzo vecchio” e “palazzo nuovo”. Fra i numerosi elementi decorativi conservati spicca un fregio con cornici in cotto realizzato agli inizi del Cinquecento. Posto al di sopra di una loggia in granito, riproduce una sequenza di dodici stemmi araldici delle famiglie nobiliari che nel tempo furono alleate dei Visconti di Fontaneto.
La storia del castello di Fontaneto inizia secondo le fonti storiche nel X secolo. Un documento del 945 riporta che all’epoca nel luogo era presente una fortificazione realizzata probabilmente per iniziativa di Gariardo, nobile locale indicato come comes del castrum di Fontaneto, a protezione di un monastero benedettino dedicato a san Sebastiano. Attestato fin dagli inizi del X secolo, il monastero di Fontaneto nei secoli centrali del Medioevo fu legato alla diocesi di Milano, e a partire dal XII secolo fu sottoposto al monastero dei santi Gratiniano e Felino di Arona. Alla fine del Trecento il complesso fortificato del monastero fu coinvolto dalle contese per il controllo di Fontaneto che riguardarono diverse fazioni della nobiltà locale, ed era ormai gravemente danneggiato quando all’inizio del Quattrocento si affermò a Fontaneto il conte Manfredo Barbavara, uomo vicino al duca di Milano Gian Galeazzo Visconti. Un vero castello fu innalzato sul luogo dell’antico castrum solo dopo il 1456 ad opera di Filippo Maria Visconti, omonimo dell’ultimo duca della dinastia milanese, che svolse un ruolo politico e militare di primo piano nella Milano sforzesca della seconda metà del XV secolo. Egli fece costruire una residenza fortificata su pianta quadrata, che inglobò la chiesa del monastero di san Sebastiano e fu progressivamente integrata dopo la sua morte nel 1482 con la costruzione di nuovi edifici voluti dalla vedova Maria Ghilini e dal figlio Giovanni Maria. La fortezza dei Visconti ebbe tuttavia vita breve poiché un secolo più tardi, nella prima metà del Seicento, Fontaneto fu interessata dagli scontri che opposero a lungo francesi e spagnoli per il controllo dell’Italia settentrionale. Dopo aver subito nel 1636 un assedio da parte dei francesi che comportò gravi danni per l’intero paese, il castello nel 1645 venne completamente disarmato per decisione del governatore di Milano, e lo smantellamento delle strutture difensive compromise seriamente anche parte dei quartieri residenziali. Gli edifici recuperati, divisi nella proprietà fra diversi rami della famiglia, continuarono a costituire la residenza dei Visconti di Fontaneto fino a tutto il Settecento, e ancora oggi ospitano abitazioni private».
http://www.castellidelducato.eu/struttura.php?id=67
a c. di Federica Sesia
a c. di Federica Sesia
GOZZANO (borgo, palazzo del Vescovo)
«...Il centro abitato di Gozzano era costituito nel medioevo da due nuclei distinti: la villa (a nord-ovest) e il vicus (a sud-est). Al centro si trovava la piazza del mercato (l'attuale piazza S. Giuliano), dove, a partire dall'anno 919 (diploma di Berengario I), si svolgeva un importante mercato settimanale e una fiera annuale. Tra il X e l'XI secolo il colle presso l'abitato, dove sorge la basilica di San Giuliano, fu fortificato e trasformato in castello (prima menzione nell'anno 1015). Nel XIII secolo, sulla spinta di un forte incremento demografico, il centro abitato si allargò verso ovest, nell'area tre le attuali vie Dante (un tempo chiamata Contrada della Croce) e Sottoborghetto. L'intero paese fu circondato da un fossato con terrapieno (lungo l'attuale via Gentile), a scopo difensivo, e assunse il rango di "Borgo". Entro il recinto del castello, dove la popolazione si poteva rifugiare in caso di pericolo e dove poteva mettere in salvo i raccolti agricoli, fu edificato il palazzo dei vescovi di Novara, un vero e proprio castello dentro il castello: dove il vescovo abitava (in alternativa al castello dell'Isola di San Giulio) durante le sue visite nel territorio della Riviera e dove risiedeva il castellano da lui nominato, che governava e amministrava la giustizia. Al centro del borgo invece, sulla piazza S. Giuliano, sorsero il palazzo della comunità (Ticial), dove si riuniva il Consiglio della Riviera inferiore, e il palazzo delle prigioni (demolito negli anni '50 del Novecento). ... Architetture: Palazzo della comunità, detto Ticial (XVI secolo); Palazzo Vescovile (secoli XIII-XVIII); Palazzo Ferrari Ardicini, ora sede comunale; Antica porta del castello di Gozzano (secoli XI-XIII)» - «Il palazzo del Vescovo. Il dominio vescovile sulla “Riviera Inferiore e Superiore”, la zona comprendente Gozzano, Orta e i paesi limitrofi dislocati sulle rive del lago d’Orta, durò circa dieci secoli, a partire circa dal X secolo d.C. Sono quasi completamente scomparsi i sette stemmi della facciata del palazzo vescovile, mentre si sono conservati i due, scolpiti in pietra sotto la loggetta, dei vescovi Arcimboldi e Balbis Bertone. Di quest’ultimo è visibile lo stemma anche sul cancello d’ingresso, in ferro battuto. La costruzione duecentesca fu eretta per volontà del vescovo Pietro IV sui ruderi di un antico castello. L'edificio ora si presenta a pianta quadrata: sulla facciata, di semplice fattura, si può ammirare un elegante balconcino loggiato. Davanti al palazzo si stende un giardino, a cui si accede attraverso una cancellata di ferro battuto».
https://it.wikipedia.org/wiki/Gozzano#Storia - http://www.liceogalileiborgomanerogozzano.gov.it/index.php?option=com_content...
«Alta 16,5 m, la torre a circa 5 m dal suolo, sul lato meridionale, presenta un'apertura, la porta originale, architravata, sormontata da una targa marmorea con lo stemma dei Visconti, il ben noto biscione che ingoia un bimbo a braccia aperte. Questa apertura consentiva l'accesso alla torre mediante una scala mobile a pioli o di corda, che veniva appoggiata al ripiano antistante la soglia, del quale restano ancora le mensole. Internamente la torre è vuota, ma si suppone che un tempo fosse divisa in piani, costruiti in legno, collegati da scale che permettevano di salire sulla sommità per controllare il territorio; è completata da una merlatura ghibellina con merli a coda di rondine, aggiunta alla struttura originale nel 1931 da Giuseppe Bologna, proprietario della villa ove trovasi la torre. Costui provvide inoltre a rimettere in efficienza la scala in legno, per mezzo della quale si accede alla sommità, che, per maggiore stabilità, fu sostituita nel 1965 da una rampa e da un ballatoio in ferro fino all'altezza della porta originale. Posta all'interno di una vasta proprietà privata, è la parte meglio conservata di un complesso di edifici risalenti al XII-XIII secolo e costituenti il castello visconteo di Invorio, fortificazione strategicamente importante, presidio dei confini meridionali del Vergante, distrutto tra il 1356 e il 1358 per volere di Galeazzo II Visconti, quando infuriava la guerra con il marchese del Monferrato per il predominio del Novarese. Attorno alla torre sorgono tratti di mura che dovevano costituire il primitivo recinto collegato alla stessa. A queste mura fu addossato a levante, intorno al secolo XIV, un fabbricato che subì nel corso del tempo notevoli trasformazioni. Pare che, nell'Ottocento e sino al 1870, sia stato adibito ad osteria paesana. Probabilmente intorno allo stesso secolo XIV fu costruito quel secondo recinto, molto più ampio del primo, che contornava tutta la collina dove sorgeva la dimora viscontea. Di questo recinto esiste ancora un buon tratto di mura verso ponente, nonché qualche resto delle costruzioni che vi erano attigue, una delle quali doveva probabilmente costituire la cisterna del castello. Nell'angolo di nord ovest si apre una porta d'ingresso che dà accesso ad una strada la quale, costeggiando la recinzione, raggiunge il maniero. Proseguendo da questa porta verso il paese si incontra un robusto arco d'ingresso, sovrastato dallo stemma con il biscione, che dava su case di pertinenza del castello».
http://www.comune.invorio.no.it/torre.html
«La località di Peltrengo "Isola", attualmente connotata come una grande azienda agricola, già nella denominazione denota la caratteristica fisica che la qualifica: una particolare condizione di isolamento e di difficile collegamento con i paesi limitrofi che le fu propria fin dalle origini. Testimonia la presenza sul territorio di insediamenti di epoca romana il ritrovamento di un'ara votiva a Diana. La località era denominata "Palterigum", toponimo connesso al corso d'acqua che la circondava da due lati, denominata Paltelengana. Dal 1347 è testimoniata la presenza di una fortificazione, che risulta però già in cattive condizioni e distinta dalla villa, circondata da un fossato. Dal 1535 Giovanni Pietro Cicogna iniziò ad acquistare fortezza, villa e diritti, ricevendo un riconoscimento ufficiale da parte di Carlo V nel 1554. Ancora identificabile nel complesso la forma quadrangolare della fortezza quattrocentesca, isolata e circondata in origine da un fossato pieno d'acqua. Offre ancora una forte connotazione il torrione che sormonta l'ingresso carraio, ove si calava il ponte levatoio. I Cicogna fecero ampliare nel Cinquecento la struttura castellana, inserendo una nuova più ampia cinta muraria oggi poco leggibile. Un consistente riadattamento intervenne nei corso del secolo XVIII, soprattutto verso i lati occidentale e settentrionale. Il prevalere della destinazione agricola ha comportato ulteriori pesanti modifiche anche nella parte orientale, dove era in funzione un mulino. Riconoscibili fra gli interventi più recenti un lungo corpo edilizio ottocentesco e l'aggiunta di nuove abitazioni e locali d'uso agricolo. Particolarmente interessante la presenza all'interno dei complesso di una cappella che risale almeno agli inizi del 1600, decorata con dipinti raffiguranti vari episodi della vita della Vergine Maria. Fino a pochi anni fa veniva regolarmente celebrata la messa ogni domenica».
http://www.comune.casalino.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=21330
«Al Castello va riconosciuta priorità, non soltanto perché ha contrassegnato la vita quotidiana nel periodo medioevale, ma anche per essere sempre stato al centro delle scarse notizie sulla comunità landionese giunte fino a noi ... D'altronde la sua importanza è comprensibile, visto che - ad esempio - fra il 1277 ed il 1285 il Comune di Novara sentì addirittura l'obbligo di riservare cinquecento uomini per potenziare le strutture difensive del villaggio, e con ciò proteggere anche la città. Oggi, agevolmente visibile da piazza Vittorio Emanuele III, esso mantiene ancora identificabili parte della sua architettura medievale, sottolineata da una torre d'accesso le cui aggraziate proporzioni non sono state - per fortuna - troppo diminuite dai numerosi recuperi e restauri succedutisi negli anni. Anzi, essa è divenuta un po' il simbolo di Landiona, tanto da costituire la parte centrale dello stemma municipale odierno. ... Il Castello di Landiona fu costruito da Paolo Caccia intorno al 1280, e subì poi continue divisioni dovute ai numerosi proprietari che lo abitavano, spesso anche contemporaneamente. Esso era raccolto attorno ad un ampio cortile che oggi si presenta acciottolato, cinto sui quattro lati da un muro fortificato la cui struttura, purtroppo, è solo immaginabile viste le molte parti ampiamente rimaneggiate. L'ingresso si trovava sul lato est, ed era costituito da un portone con ponte levatoio, affiancato da una porticina più piccola. Su tutto sovrastava la torre quadrata, cui più tardi fu aggiunta la loggetta superiore. Prima dell'assedio del 1361 anche nell'angolo nord-ovest si trovava una torre, e così pure sul lato meridionale dove sorgeva il cosiddetto “palacium”, ossia la zona residenziale formata da stanze al pianterreno - precedute da un portico - e da altri vani al piano superiore. Tutto intorno è assai probabile che ci fosse il fossato, oltre il quale passava la strada. Oggi s'intravedono qua e là ampi frammenti di muri listati con mattoni, che delimitano ampi settori di ciottoli di fiume lavorati a spina di pesce ed intervallati da corsi di pietre. Soprattutto il corpo nord mostra ancora oggi una interessantissima facciata ricca di questi pregevoli muri che fanno ben comprendere la notevole qualità del complesso e fors'anche la sua fondamentale vocazione residenziale. Va inoltre ricordato che, esternamente ai quattro corpi di fabbrica che cingono il cortile, compaiono verso sud alcuni resti murari con struttura a ciottoli appartenenti probabilmente a qualche antemurale che recingeva il Castello. E da quanto risulta dalla mappa Rabbini - sempre precisa - la situazione planimetrica ottocentesca, proprio in questa zona, presentava un'ampia spianata che dava respiro alla facciata meridionale del Castello (cioè l'attuale Municipio) e raggiungeva addirittura la via Marconi».
http://www.novara-software.com/novara-provincia/castello-di-landiona.php
LESA (castello Vecchio, ruderi del Castellaccio o castello delle Monache)
«Sono ancora visibili i ruderi di questi due antichi edifici fortificati, testimonianze di un tempo in cui Lesa giocava un ruolo di notevole importanza politica ed economica per la regione del Vergante, tanto da venirne eletta capoluogo agli inizi del 1200. Allora apparteneva agli arcivescovi di Milano, divenne poi proprietà dei Visconti fino al 1416, anno in fu assoggettata dai Borromeo, la potente famiglia che governò le terre del Verbano per oltre trecento anni. Mentre poco o quasi nulla sappiamo del “Vecchio Castello”, situato all’interno del borgo, si hanno maggiori notizie del cosiddetto “Castellaccio”, costruito sulla riva e poi probabilmente distrutto da una piena del lago. Lesa risultava una delle ‘curie’ in cui aveva possedimenti il monastero di San Sepolcro di Ternate nel 1240. In attesa di altri documenti probanti, si può pensare che ciò corrisponda all’esistenza di una ‘corte’ di Lesa nei secoli anteriori al Mille. Questa sua importanza fin dall’Alto Medioevo contribuirebbe a spiegare la continuazione delle sue fortune nei secoli successivi. Già nel 998 il vescovo di Tortona Liutefredo vendette al duca Ottone di Carinzia metà di due porzioni di sue proprietà verbanesi tra cui il «castrum… quod clamatur Lexia». L’altra metà fu donata ad Ottone III imperatore, che nel 1001 la donò a sua volta alle monache del monastero pavese di S. Salvatore o della Regina. Poiché questi beni furono poi usurpati l’anno successivo dai fratelli Berengario prete e Ugone conte, fautori di re Arduino, le monache ricorsero al nuovo imperatore Enrico II e ne ottennero la conferma nel 1014. Il castello in questione viene individuato con l’odierno ‘Castellaccio’, chiamato tuttora ‘Castello delle monache’ e posto sulla riva del lago in territorio di Villa Lesa. ...
el 1256/57 il castellano del Vergante, Anrico da Perego, congiunto dell’arcivescovo Leone da Perego, sentenziò rispettivamente nel borgo e nel castrum di Lesa. Questo castello probabilmente non era più quello del 998, ma la fortificazione che si trova nel borgo ancora ai nostri giorni, seppur completamente trasformata, questa ipotesi è suffragata da indizi toponomastici e dal fatto che gli statuti trecenteschi prescrivevano la conservazione delle carte della comunità in uno scrigno da tenersi nella sacrestia di San Martino, che quindi non doveva essere lontana dal castello arcivescovile. Le funzioni pubbliche della comunità gravitavano sul borgo, non su un castello lontano oltre un chilometro come il Castellaccio. Lesa era servita da un porto (1232), godeva di antichi diritti di mercato, poi cancellati nel 1312 a seguito di una controversia con Arona, sede di un altro mercato. Il Castellaccio invece doveva assolvere nel periodo arcivescovile alla funzione di posto di dogana. Nel 1348 Giovanni Visconti sanzionò l’obbligo di pedaggi per i forestieri che trasportavano merci attraverso il distretto del Vergante. Mercanti per terra e per acqua (questi con i loro natanti) dovevano presentarsi al castello per il pagamento. Osservando la posizione del Castellaccio a guardia del più stretto braccio di lago lesiano, dirimpetto a Ranco, si può convenire che fosse quello il miglior posto doganale, per un fiorente traffico, a raggio padano-transalpino, di moltissime merci indicate in una carta del 1355. Il gettito finanziario doveva essere conseguentemente rilevante e venne conservato per altri secoli. I pedaggi erano ancora in vigore nel XVII secolo. ... Nel castello vecchio sono visibili un muro a scarpa con blocchi di pietra a vista, una finestra medievale murata, un portale con architrave a timpano e i resti di un altro portale murato sotto una nicchia che custodisce un affresco mariano. I ruderi del castellaccio o “Castello delle Monache”, sono avvolti da rovi e rampicanti che ne lasciano intravedere l’incerta muratura solo nella stagione invernale. Questo recinto è a pianta quadrata con una torre d’angolo sporgente. A sud si intravedono aperture tamponate, un allineamento di fori quadrati ed un muro interno merlato; ad est, dalla spiaggia, il portone a tutto sesto».
http://archeocarta.org/lesa-no-ruderi-del-castellaccio-e-chiesa-di-san-martino/
Lumellogno (torre dei Canonici)
«La “Torre dei Canonici”, risalente al 1400, è stata recuperata grazie alla Società AnFed Agri S.p.A., titolare dell’omonima Azienda agricola. La Torre dei Canonici, quindi l’omonima Residenza di Charme, è ubicata dove sorge l’attuale Lumellogno, che storicamente viene ritenuta uno dei più antichi insediamenti del territorio, come peraltro testimoniato dai ritrovamenti archeologici preistorici, ma anche romani, attualmente conservati nel Museo Civico di Novara. Il primo riferimento documentale che riguarda la Torre dei Canonici risale all’alto medioevo,quando nell’840 il vescovo Adalgiso regala ai Canonici di Santa Maria le terre di diversi pievi, tra le quali spicca Numenonium con Paliate. Come scritto da un anonimo amanuense dell’XI secolo, tra il 908 e il 931 «il Vescovo Dagiberto donò ai Canonici a Lumellogno una corte unitamente ad un castello, con le case, gli edifici rustici e tutte le strutture relative al centro fondiario». Successivamente, nel 985 vi fu da parte del Vescovo Aupaldo una donazione aggiuntiva rispetto alle terre della Curtis, ovvero la Chiesa di Sant’Ippolito in villa Nomenonium, incluse le proprietà e i servi che in essa lavoravano. Nel marzo del 1013 i Canonici acquisirono dal Conte Riccardo, figlio di Ildeprando, tutti i diritti che lo stesso deteneva sul territorio, così che gli stessi ecclesiastici divennero Signori di Lumellogno. Nella metà dell’XI secolo, grazie all’arciprete Raginfredo i Canonici entrarono in possesso dell’intero manso nel villaggio posseduto dal diacono Adamo, uno dei maestri della Cattedrale, fatto che consentì loro di espandere ulteriormente la proprietà. A quel punto l’intera Azienda agricola misurava poco più di 7 iugeri, ovvero circa 5 ettari e mezzo. Nel frattempo, proprio accanto al villaggio, i Canonici avevano da tempo edificato un mulino, affittato a uomini di fiducia, come riscontrabile dal primo contratto pervenuto e risalente al 1140. A causa del fatto di non essere fortezza di rilievo, il vecchio castello venne distrutto agli inizi del 1200. Per tale motivo ne venne costruito uno nuovo vicino alla chiesa, attualmente la Chiesa Parrocchiale di Sant’Ippolito.
Il 5 gennaio del 1237 gli abitanti di Lumellogno si organizzarono in Comune ed in quel frangente il Preposto Giacomo Tornielli, su mandato del Capitolo di Santa Maria, con un segnale dato battendo un legno contro una tavola richiamò tutti i paesani affinché giungessero a riunirsi ed eleggessero un Rettore ed un Camparo. In seguito alle devastazioni attuate dagli eserciti del Marchese di Monferrato e dalla Compagnia Bianca, costituita da soldati inglesi capitanati da Alberto Sterz, che saccheggiarono e danneggiarono il castello, nel 1349 tutto il novarese venne colpito dalla piaga della peste. Dopo breve tempo i Visconti conquistarono il novarese, per cui anche il territorio di Lumellogno divenne parte della loro Signoria e venne inserito nel 1361 nella squadra inferiore, che era amministrata da un Vicario rurale. Nell’ottobre del 1466 il Capitolo della Cattedrale acquistò per 400 Libre, posseduto dalla vedova del Duca Francesco Sforza, l’intero feudo di Lumellogno e Pagliate, che i Canonici subaffittarono poi a Bartolomeo Bordello. Sebbene il castello versava in rovina, la garanzia della presenza degli ecclesiastici era data dall’immagine reale di una Torre, che veniva detta appunto dei Canonici, costruita a difesa del mulino, che tuttora sorge lungo il corso della roggia Orione a nord dell’abitato. La Torre è una costruzione del ‘400 posta al fianco di un palazzo e con una elegante finestra a sesto acuto. Successivamente, circa nel 1600, i Pernati ebbero in concessione il mulino con la Torre, mentre agli ecclesiastici venne concesso un altro mulino, detto “Molino del Bosco”, che si trovava a sud dell’abitato».
http://www.latorredeicanonici.com/it/site/tower.html
Massino Visconti (castello visconteo)
«L'attuale Castello Visconteo è solo uno dei due castelli che un tempo sorgevano nella località di Massino Visconti. Il così detto "Castellaccio" fu infatti distrutto da Galeazzo Visconti nel 1358. Databile alla metà del Cinquecento, fu residenza signorile della famiglia Visconti più che fortezza militare; originariamente si presentava come un quadrilatero coronato di merli, aveva quattro torri, un ponte levatoio, un fossato e due scale che conducevano al pretorio. Il suo aspetto è cambiato molto nel corso dei secoli, gli antichi spalti diradanti e terrazzati formano oggi un incantevole punto panoramico, contornato da un vasto giardino che si propaga verso il lago. Se all'inizio si mostrava come un quadrilatero con alte mura merlate e quattro grosse torri, ora si presenta come un edificio di tre piani che ha conservato una sola torre; le altre tre furono infatti abbattute per poter far posto alla lavanderia, alla cucina, alle scuderie, alle stalle e al giardino. Caratteristico è il balconcino rivolto verso il paese, da dove i Visconti parlavano al popolo. A causa delle numerose epidemie che colpirono l'abitato, le sale interne, un tempo caratterizzate da bellissimi affreschi, vennero ricoperte da calce, cosicché oggi, purtroppo, non ne rimane quasi traccia».
http://www.comune.massinovisconti.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=28422
«Chi giunge sulla piazza Libertà di Momo non ha certo la sensazione di trovarsi nell'area del "castrum vetus", una notevole realtà del passato che occupava una superficie fortificata di circa 11000 metri quadrati, più il fossato e l'area di sicurezza. Oltre un millennio di storia, spesso devastante, consente comunque il riapparire, in tutta la loro imponenza, degli elementi essenziali. Proprio nell'angolo nord - ovest della piazza è ben visibile, nei pressi della fontanella, il muro della cortina difensiva del lato nord, simile ai resti del lato sud, visibile solo da un cortile privato. Si tratta di murature compatte in ciottoli d'Agogna legati con resistentissima malta, completati con paramento esterno a spina di pesce. La loro larghezza alla base è di 1,6 mt. circa con scarpa esterna, mentre l'altezza è di circa 6 mt. Queste mura cingevano il castello per una lunghezza di circa 450 mt. Una fortificazione così estesa, comprendente anche la chiesa di "Santa Maria in castrum", poi trasformata nell'attuale chiesa Parrocchiale, era certo espressione di un centro di potere assai forte e ramificato sul territorio, come confermano i documenti artistici. Ed è in un rogito del 1 dicembre 1087 che compare la prima esplicita menzione del castello. Si tratta di una promessa di matrimonio con scambio di dote, rogata all'Isola di San Giulio, fra la giovane Gisla, "onesta femina" e Adamo da Momo, "vivente secondo la legge longobarda", il quale, come "morgencap" o dono del mattino, promette alla futura sposa un quarto dei suoi beni fra cui una "caneva" posta nel castello. La presenza della "caneva", una specie di magazzino generale per tutta la comunità, è considerata un fatto singolare per i castelli piemontesi tanto da fare ipotizzare per Momo una vera e propria cittadella fortificata. Fra le sue mura, negli anni 1132 - 1133, per circa sei mesi, venne ospitato l'imperatore Lotario III e, quasi a conferma della sua importanza, nel 1154 Federico Barbarossa la assediò e distrusse insieme alla "villa". Compatibilmente con le ricorrenti crisi del tempo, la fortezza fu ricostruita con nuovi criteri ma nuovamente distrutta durante la guerra del 1357 - 58 fra i Visconti e il Marchese del Monferrato. Anche in seguito testimoniò le vicende dei maggiori proprietari, i Cattaneo da Momo, venendo sempre indicato come "castrum vetus". Nuove vicende storiche e familiari dei "domini" imposero adattamenti alla struttura e mutazioni di proprietà, tanto da vedere presenti importanti casati quali i Barbavara, i Della Porta, i Tornielli, i Visconti di Fontaneto, i Pescatori, i Boniperti, i Caccia e gli Avogadro. Questa importante realtà storica e urbanistica si può leggere tuttora nelle sue mutazioni, percorrendo le attuali via Visconti a nord della piazza, via Silva a ovest della chiesa, via Binaghi a sud e via Garbarini a est, dove si vedono ancora i resti del portone ad arco con lo stemma araldino dei Cattaneo di Momo, riconoscibile per le tre conghiglie. Questo percorso anulare che generò la "villa" attigua è esattamente lo stesso del fossato che delimitava il "castrum"».
http://www.comune.momo.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=23894 (a cura di Giovanni Uglietti)
«Lungo la strada regionale n.229 vi è una edicola sacra eretta in onore di San Pietro. Poco oltre affiora dal tetto di un porticato, ciò che resta della torre campanaria della chiesa dedicata appunto a San Pietro. La torre, sempre considerata anche punto di avvistamento, è una massiccia costruzione quadrangolare databile alla metà del secolo XI, con lati di 4.5 metri e muri con spessore di oltre 1,5 metri. L'altezza attuale è di circa 8 metri ed è interamente costruita con ciottoloni e pietre disposti orizzontalmente, con pietre angolari grossolanamente squadrate. Ancora ben evidente resta la decorazione ad archetti pensili in cotto a gruppi di tre, divisi dalla lesena centrale. L'adiacente chiesa di San Pietro, di cui gli ultimi resti furono rimossi sul finire del secolo XIX, è documentata come antica Parrocchiale dal 1211 e si ritiene essere la prima chiesa cristiana del paese, posta nell'antico "vicus". In esso vi era murato un cippo romano detto "di vero", ora esposto al Museo Lapidario di Novara e vi furono rinvenute monete di Marco Antonio. Con le costruzioni vicine, ancora oggi ricordate come "ospizio", dovevano costruire il primo nucleo di edifici per una congregazione religiosa ispirata a San Filippo Neri, prevista dal momese Giovan Battista Cavagna nel luglio 1603. Al di là delle leggende che vorrebbero l'ospizio collegato al castello mediante un sotterraneo, va rimarcata l'importanza di questa area per la presenza di una porta vigilata e la confluenza di strade vitali fin dall'antichità. In questo punto di probabile incrocio fra un "cardo" e un "decumano" della centuriazione romana, si incontravano infatti l'antica via "Settimia" e la via "Strella". La prima, poi via "Francisca", proveniva da Novara attraverso gli originari nuclei abitati di Vignale, Isarno, Caltignaga, Mirasole, Savonera e Momo passando fra il castello e il monastero, arrivando qui da ovest sulla strada detta "al Cardino", appunto da "Cardo", poi via Cardino fino al 1961 quando venne improvvisamente mutata la denominazione nell'attuale via Risorgimento. La seconda strada confluente, la via "Stella", ancora così denominata a sud del paese (notoriamente utilizzata dalle greggi per evitare le strette strade dei centri abitati) si ricongiungeva nell'ampio spazio antistante la chiesa di San Pietro, ancora ben evidenziato dalla mappa Teresiana, dopo aver percorso quella che oggi è la strada centrale di Momo, lambendo a sud l'antico "burgus", ancora detto dialettalmente "borg", che si sviluppò poi attorno alla chiesa romanica di San Martino, citata nel 1347 come "ecclesia in villa", più volte rimaneggiata».
http://www.comune.momo.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=23896 (a cura di Giovanni Uglietti)
«L’attuale rocca rappresenta il restringimento quattrocentesco della più ampia area incastellata di età medievale. Attorno si è sviluppata una villa signorile, che, nel suo aspetto attuale, risale ai decenni tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del sec. XX. Primo documento rintracciato: La prima notizia documentaria del castello, contenuta negli Annales Mediolanenses Maiores, risale al 1156, quando la fortificazione fu assediata dalle truppe milanesi. Fasi costruttive: Attorno alla rocca è ancora riconoscibile il perimetro dell’antico castrum medievale, un tempo circondato dal fossato, del quale sussistono i resti due torri e di altri edifici (le case del Malcantone), con muratura di ciottoli disposti a spina di pesce. La documentazione medievale offre molte espressioni riconducibili ad opere di fortificazione o ad edifici sorti entro le mura del castello: case murate et cuppatae, ossia con muri di mattone e coperte da coppi; terra murata, ovvero racchiusa da una cerchia di mura, entro le quali si apriva la porta Bruxatorum, dei Brusati. Questa fortificazione subì distruzioni a metà del sec. XIV. La rocca e la cortina muraria con i merli e il cammino di ronda rappresentano il restringimento dell’antica area incasellata e furono edificati come propria dimora da Giovanni Brusati e dai figli Bergonzio e Giacomo attorno agli anni Sessanta del Quattrocento. Tra Ottocento e Novecento furono eseguite le opere di ristrutturazione che trasformarono il complesso in residenza signorile. Descrizione dello stato di fatto: Il complesso fortificato sorge all’interno di un ampio parco recintato. Nel torrione quadrangolare, sui cui merli poggia il tetto, si entra attraverso una porta carraia, con a fianco la postierla. Sul lato settentrionale si allunga una cortina muraria, sul quale corre il cammino di ronda protetto dai merli. Torrione e muro sono manufatti originari del Quattrocento. Tutto attorno si sviluppano le costruzioni della residenza signorile, completata all’inizio del Novecento, con tratti architettonici e decorativi propri del gusto dell’epoca, voluti dai proprietari di allora. Notizie storiche: Il castello fu assediato e conquistato nel 1156 dall’esercito di Milano, allora in guerra con i Novaresi, che due anni prima, alleati con Federico Barbarossa, avevano distrutto la fortezza di Momo. Morghengo era allora al centro di un sistema di fortificazioni controllate dal comune di Novara che comprendeva anche Momo, Mosezzo e Fara. ...».
http://www.100castellinovara.it/castle?id=183 (a cura di Fiorella Mattioli)
Nibbiola (castello dei Tornielli)
«Si ha notizia della presenza di una fortificazione nel borgo di Nibbiola già nel 1198. Situato nel centro del paese, in posizione leggermente sopraelevata, l'attuale castello risale al XV secolo e presenta tracce di parziali rifacimenti effettuati nel XVIII secolo. è interamente costruito in mattoni e dopo la radicale ristrutturazione settecentesca è stato trasformato in residenza privata. Sul lato meridionale è situata la fortezza, costituita da quattro torri angolari e da un torrione sovrastante il ponte levatoio. La parte ancora meglio conservata è rivolta a ponente: qui, infatti, sono ancora visibili il fossato, i merli, le caditoie, il ponte levatoio corredato da balconi in legno, le catene e i cardini di ferro. All'interno, prospiciente al vasto cortile, si affaccia un porticato formato da cinque colonne in granito; le finestre del piano nobile sono elegantemente decorate da stucchi e graziosi sono i balconcini settecenteschi in ferro battuto. Alcuni saloni interni sono decorati con affreschi risalenti al XVIII secolo. Nel castello è situato un oratorio devozionale privato, dedicato a San Francesco da Paola. L'attuale Castello dei Tornielli, edificato in mattoni, sorge su una collinetta presso l'abitato ed è costruito da quattro torri angolari e un torrione, provvisto di ponte lavatoio ben conservato. Dell'antica decorazione quattrocentesca è visibile solo un motivo a denti di sega, posto sulla finestra ad arco ribassato di sud-est. L'edificio fu in gran parte rimaneggiato nel Settecento, con la trasformazione dell'interno in vasti saloni, l'apertura di finestre quadrate, spesso provviste di balconcini in ferro battuto, l'aggiunta di un loggiato interno. I merli sulle torri sono invece dell'Ottocento. All'interno, sul lato meridionale, è posto l'oratorio privato dedicato a San Francesco di Paola».
http://www.comune.nibbiola.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=1508
«Gli edifici del Broletto sorgono proprio nel centro della città, prospettando verso sud sulla piazza del Duomo (ora piazza della Repubblica) e aprendosi verso nord con un grande arco in laterizio su corso Italia, una delle vie commerciali più importanti del centro urbano. Le costruzioni, disposte a quadrilatero attorno ad un cortile centrale, vennero erette in tempi successivi, dal secolo XIII al XVIII. Fra gli edifici il più noto è il Palazzo Arengario, situato sul lato nord, imponente nella sue forme architettoniche medioevali (secoli XIII-XIV); quello più suggestivo il Palazzo del Podestà, per le finestre ad arco acuto decorate da importanti cornici di terracotta (fine secolo XIV, inizio XV). A questi si affiancano ad est il Palazzetto dei Paratici, il cui corpo antico ascritto alla metà del secolo XIII è nascosto dalla loggia dai caratteri barocchi (secolo XVIII); a ovest il Palazzo della Refenderia ampiamente ristrutturato nel Novecento in forme quattrocentesche (eretto fra la fine del secolo XIV e il XV, documentato come sede di uffici nel 1618). Era in questo cortile e in questi palazzi che, in antico, si svolgeva la vita pubblica della città: nella grande sala arengaria venivano eletti i consoli; nel cortile si teneva il mercato (soprattutto dei grani, dei legumi e della biada con il relativo passaggio di carri), erano letti i bandi dai banditori dall’alto della pietra ancora conservata; sotto gli arconi si trovavano i banchi dei consoli di giustizia, i condannati venivano esposti alla gogna. In epoca successiva in questi palazzi furono collocati gli uffici per un’amministrazione civica che diventava sempre più farraginosa e impegnativa e, a partire dal 1800, durante l’età napoleonica, spostati nel 1798 gli uffici comunali, furono situati gli Uffici Giudiziari.
Anche se gli interventi edilizi furono continui (impegnativi quelli del 1589, 1613, 1619, 1671, 1711, 1740, 1752) fu nell’Ottocento che furono eseguiti quelli più importanti, tali da rendere quasi irriconoscibile l’antica struttura. Infatti nel 1800 in questi edifici vennero collocate la Pretura e la Magistratura d’Appello per il Dipartimento dell’Agogna e nel 1807 la Corte di Giustizia Civile e Criminale. I lavori di adeguamento eseguiti, seppure sotto la direzione di due fra i professionisti più attenti attivi in Novara in quegli anni, l’ingegnere Stefano Ignazio Melchioni e l’architetto Luigi Orelli, snaturarono le caratteristiche interne e gli antichi equilibri volumetrici degli edifici con la manomissione dei passaggi e delle aperture. Per il Broletto novarese, inoltre, molto importanti erano (e sono) i due accessi a sud e a nord perché creavano una comunicazione diretta del recinto con la vita commerciale della città. Soprattutto lo era l’arcone verso sud, che dal 1209 metteva in relazione il Broletto con il pasquario della cattedrale di Santa Maria, con il suo quadriportico, il battistero e con i portici di legno dove i mercanti avevano aperto le proprie botteghe (i ‘ricioli’). Il passaggio creava un accesso rapido anche con la piazza del mercato degli ortaggi, la Piazza delle Erbe (ora Cesare Battisti), spazio nel quale trovava sviluppo e completamento l’antica filiera economica del Novarese. Infatti, sulla piazza e intorno ad essa erano insediati i ‘beccai’ e i ‘calegari’ (macellai e calzolai), cioè quelle attività strettamente legate alla lavorazione dei prodotti derivati dai bovini, allevati nelle campagne circostanti. Queste, essendo ricche di acque, avevano permesso, già dal secolo XII, un’organizzazione territoriale basata sulle cascine (i ‘mansi’) e la creazione delle ‘marcite’, che consentendo un numero maggiore di tagli annuali di erba facilitavano l’allevamento. ...».
http://www.brolettodinovara.it/it/broletto
Novara (castello visconteo-sforzesco)
«Il castello visconteo-sforzesco di Novara sorge nel centro della città, compreso all’interno del parco comunale dell’Allea, sul limite sud-occidentale dell’area che corrisponde al nucleo storico di Novara, delimitato in epoca medievale da una cerchia di mura di cui restano ancora oggi tracce. Circondato da un largo fossato, il complesso del castello è definito da un ampio quadrilatero di mura la cui fondazione risale alla seconda metà del XV secolo. Il perimetro delle mura, conservato integro nel tempo, permette di cogliere l’immagine che il castello aveva assunto all’epoca degli Sforza di Milano, ma le strutture dei bastioni presentano rimaneggiamenti che testimoniano le pesanti trasformazioni subite dalla fortezza in età moderna a causa degli usi diversi a cui è stata adeguata. Le pareti delle mura risultano prive di aperture e delle merlature che ne cingevano le sommità, mentre le torri angolari, che sono ribassate all’altezza del recinto murario e svuotate dei volumi interni, si riconoscono per i soli lati esterni che sporgono dallo schema planimetrico del castello. L’unica torre che sopravanza oggi le cortine quattrocentesche si trova al centro del fronte settentrionale, in corrispondenza dell’ingresso principale, ma si tratta di un rifacimento recente. L’impatto che gli interventi moderni hanno avuto sull’impianto storico del castello è chiaramente visibile nello spazio interno alle mura, dove i lavori di restauro avviati negli ultimi anni hanno sgombrato buona parte dell’area abbattendo gli edifici privi di interesse storico perché costruiti fra Ottocento e Novecento, quando il castello era la sede del carcere della città. L’elemento di maggiore interesse è la “rocchetta” di epoca viscontea, un edificio con pianta a L posto all’angolo di nord-est, che integra resti di più antiche strutture duecentesche e sul lato orientale conserva le tracce di due torrioni descritti in alcuni documenti storici relativi al castello, la torre Mirabella e la torre del Monicione.
Secondo lo storico dell’età sforzesca Bernardino Corio, le origini del castello visconteo-sforzesco di Novara risalgono alla seconda metà del XIII secolo. Il primo nucleo del castello fu fondato nel 1272, quando la famiglia Della Torre, che deteneva il governo di Milano, estese il proprio controllo sulla città di Novara e fece costruire sul luogo una struttura fortificata, nota come la Turricella. Da allora e per oltre due secoli, la fortezza costituì il presidio principale della dominazione milanese su Novara, e gli interventi voluti nel tempo dai Visconti e dagli Sforza di Milano segnarono le fasi più importanti della vicenda architettonica del castello. Il primo a compiere lavori di rafforzamento sulla Turricella fu Matteo Visconti alla fine del Duecento, mentre Giovanni, intorno al 1332, promosse una vera e propria ricostruzione della fortezza. Dopo un periodo di progressivo decadimento del castello, gli Sforza, al potere a Milano dalla metà del Quattrocento, dimostrarono un rinnovato interesse per Novara, e negli anni Settanta il duca Galeazzo Maria, figlio di Francesco Sforza, affidò a Bartolomeo Gadio e altri architetti ducali il progetto per la rifondazione del palazzo di epoca viscontea e l’innalzamento di un imponente sistema murario, che doveva fare del castello di Novara l’estremo baluardo difensivo occidentale del territorio di Milano. La realizzazione del nuovo complesso fortificato, le cui opere di difesa furono completate sotto Ludovico il Moro, definì nel perimetro delle strutture l’assetto che il castello ha mantenuto fino a oggi. Dopo la fine del ducato di Milano, il castello di Novara perse infatti la sua importanza strategica e tra il Cinquecento e il Seicento, all’epoca della dominazione spagnola, fu progressivamente integrato nella cerchia delle mura della città e convertito a caserma militare. Dagli inizi dell’Ottocento il castello divenne sede del carcere cittadino e mantenne tale uso fino al 1973. Passato nel 2003 dal controllo del Demanio al Comune di Novara, il castello è stato sottoposto negli ultimi anni a una serie di interventi di restauro il cui progetto complessivo, oggi non ancora completato, verte sulla conservazione delle parti di maggior valore storico-architettonico e la riconversione del castello a sede museale».
http://www.castellidelducato.eu/struttura.php?id=70
NOVARA (palazzo Medici, palazzo Tornielli-Bellini)
«Il Palazzo Medici, che si erge in via Canobio, fu eretto alla metà del Cinquecento dall'architetto mediceo Vincenzo Seregni. L’edificio è importante perché manifesta, nella sua architettura, l’arrivo e l’adozione di nuovi orientamenti stilistici. In particolare, si nota che il Seregni s’ispirò decisamente al manierismo di Bartolomeo Ammannati. Le innovazioni architettoniche si notano soprattutto all’esterno, ove il rivestimento in laterizio è sostituito da stucco modellato. Innovativa è anche l’introduzione – per la prima volta nel novarese – di marcapiani riccamente ornati all’esterno che, gradualmente, diventano più lineari verso il cortile. All’interno si trova il cortile quadrato su cui si affacciano le quattro pareti del palazzo, completate con bugnato al piano inferiore e con stucchi e lesene nei due piani superiori. Sul lato sinistro del palazzo sorge una piccola loggia, con colonne di tipo classico, che immetteva nel giardino. Particolarmente elaborati sono anche gli stucchi delle volte del portone. Il piano terra è separato da quello superiore da una fascia decorata da mascheroni ed elementi fitomorfi intrecciati. Il cortile è chiuso da un ultimo piano, probabilmente aggiunto, decorato da putti.
Palazzo Tornielli-Bellini. La presenza di questo edificio, situato in Via Negroni, è testimoniata per la prima volta da un documento del Cinquecento, che fa risalire la proprietà ai conti Tornielli, una potente famiglia di Novara. Il Palazzo passò poi ai Bagliotti e nel 1751 alla famiglia dei conti Bellini. Grazie ai Bellini, il palazzo fu restaurato in stile rococò e le sale furono abbellite con affreschi, stucchi e specchi: il palazzo divenne uno dei più sontuosi della città. Nel corso dell’Ottocento il palazzo ospitò una serie di personaggi illustri. Nel 1800 vi fece sosta Napoleone, prima della battaglia di Marengo; nel 1849 fu la volta di re Carlo Alberto che abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele; da ultimi, Napoleone III e il futuro Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, qui si riuniscono per studiare i piani in preparazione della battaglia di Magenta. Dotato all'interno di un nobile quadriportico e di ricca decorazione con stucchi e pitture, nel 1900 fu acquistato dalla Banca Popolare, fondata a Novara nel 1871. Dopo il completamento della facciata ad opera dell'architetto Luigi Broggi di Milano, a partire dal 1905 divenne la sede centrale della stessa banca. Gli antichi e sontuosi ambienti, decorati dal pittore settecentesco Antonio Pianca, furono destinati a funzioni di rappresentanza. Notevoli le “Sale Storiche” del palazzo a partire dalla Galleria degli Arazzi che presenta una collezione di arazzi settecenteschi e coralli siciliani. Notevoli sono anche la Sala del Comitato, dove sono ospitate le tele di paesaggisti del Settecento; la Galleria del Pianca, con pannelli pittorici di Giuseppe Antonio Pianca; la Sala Maggiore, detta anche “degli Specchi” o “della Musica”, poiché arredata con dieci grandi specchi e già sede di ricevimenti e balli».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/novara/palazzo-medici/ - http://guide.travelitalia.com/it/guide/novara/palazzo-tornielli-bellini/
«Stato d'esistenza: l’unica torre rimasta, oggi civica torre con orologio, è una struttura duecentesca in mattoni facente parte del seicentesco Palazzo Natta, odierna sede della Prefettura. Configurazione Strutturale: le torri private, denominate quasi sempre con l’appellativo della famiglia ed erette presso la dimora abituale, costituivano prevalentemente un deposito contenente oggetti preziosi, documenti e provviste ed una temporanea difesa in caso di pericolo. Erano simbolo anche di forza, ricchezza e potenza, in quanto, formando un corpus unico con i palazzi nobiliari, dominavano le case coperte di paglia e legno che caratterizzarono Novara per tutto il Trecento. Solamente al principio del secolo successivo le abitazioni divennero di muro e coppi. Primo documento rintracciato: l’Azario scrisse che nel periodo carolingio vi erano due zone fortificate vicinissime a Novara, chiamate castrum comitis Engalardi e castrum comitis Boxoni. Una turrem Bosonis fuori delle mura è testimoniata nel 931. Fasi costruttive: Dalla seconda metà del XIII secolo si accrebbero notevolmente le tensioni politiche per il predominio nel Comune e le famiglie aristocratiche costruirono torri private per proteggere le loro abitazioni. Guelfi e ghibellini si alternarono al potere e, per impedire ulteriori prevaricazioni, nello statuto n. 16 del 1274-1276, si stabilì che “in città e nei suburbi non si debbano fare fortificazioni o edifici che superino in altezza 16 braccia”, si diedero precise disposizioni sulla custodia e manutenzione delle mura cittadine e si decise che la Torre campanaria della cattedrale di Santa Maria, il più alto campanile di Novara, diventava un elemento fondamentale nel sistema difensivo. Durante la dominazione ghibellina vennero approvati nel 1316 degli statuti che prevedevano la fortificazione di un intero quartiere, il cui fulcro era nelle vicinanze della basilica di San Gaudenzio. Mentre le altre zone cittadine erano difese semplicemente da palizzate o fossati, il quartiere della Pars Rotunda veniva dotato di muro di cinta con postierle, ponti ed andatoria che, scavalcando le strade, mettevano in comunicazione diretta i muri perimetrali con le case e le torri. Nessun abitante inoltre poteva fortificare la propria casa se privo del consenso antianorum Partis Rotundae vel Gibeline Novarie. Notizie storiche: sei anni dopo il saccheggio e la distruzione delle mura romane operate dall’imperatore Enrico V nel 1110, si stipulò un accordo in base al quale i cives novaresi potevano ricostruire il recinto difensivo, dotarlo di torri e circondarlo con un fossato. Nel Duecento la popolazione novarese aumentò e con essa vennero edificate molte case all’interno delle mura e creati nuovi sobborghi fuori delle porte di cinta. Furono erette anche nuove chiese e sorsero grandi complessi religiosi appartenenti a Benedettini, Umiliati e Mendicanti».
http://www.100castellinovara.it/castle?id=157 (a cura di Fiorella Mattioli)
Oleggio Castello (castello Dal Pozzo)
«Il Castello di Oleggio Castello rappresenta un esempio pressoché unico ed abbastanza raro, per la sua coerenza, continuità e leggerezza di stile neogotico, ispirato al gotico cinquecentesco inglese: esperti d'arte britannici hanno recentemente definito l'architettura della villa come una delle espressioni più pure di reinterpretazione del gotico Tudor in Italia, quale espressione artistica dell'età Vittoriana. l'entrataIl Castello di Oleggio Castello, curato nei minimi particolari nei primi dell' 800 dal Marchese Claudio Dal Pozzo, presenta tutte le migliori caratteristiche di questo movimento di ispirazione culturale ed architettonica tipicamente anglosassone, ma ingentilito, semplificato e stemprato dal gusto più mediterraneo e latino del suo proprietario. All'esterno il Castello presenta, attraverso il portico d'ingresso, la Cappella, la massiccia torre quadrata di levante, la torricella ottagonale sullo spigolo sudoccidentale, una fisionomia molto compatta. L'architettura costituisce poi, un tutt'uno con la decorazione interna: le vetrate istoriate a colori per le finestrelle dell'abside della Cappella, fatte eseguire in Inghilterra, i cancelli in ferro battuto, ripresi da modelli scozzesi, le porte in legno massiccio intagliato, le pareti dipinte, l'abbondante uso del legno, le mensole in pietra scolpita con figure di angeli per l'appoggio delle travi dei soffitti, l'incastonatura sui muri esterni di varia provenienza. All'interno lo studio attento e l'amorevole cura per l'esecuzione di ogni particolare, sono presenti negli stencils alle pareti, nei decori delle piastrelle, nelle decorazioni dei mobili e riportano allo spirito, al clima culturale di William Morris ed al movimento da lui creato, denominato "Arts and Crafts". La dimora è tuttora luogo di principale riferimento della casata Dal Pozzo d'Annone. Il Castello è circondato da una grandiosa sistemazione paesaggistica, con modellazioni di terreno e disposizione di essenze arboree rare di grande interesse botanico che, sui declivi a prato, lasciano liberi dei cannocchiali dai quali esso troneggia, dominando dalle alture il dolce e lussureggiante paesaggio del Lago Maggiore. Il parco, così come descritto, è stato pensato e lasciato il più possibile al naturale, privilegiando la spontaneità alle più rigide disposizioni geometriche e simmetriche dei secoli precedenti. Il giardino dell'800 vuole essere una copia della natura. Abbondano perciò vaste distese d'erba, il lago col laghetto adiacente, la grotta, l'isolotto, i salici piangenti. Un insieme che magistralmente compendia e fa da cornice all'imponente maniero neogotico sovrastante».
http://www.comune.oleggiocastello.no.it/index.php/il-castello.html (a cura di Cassiano Dal Pozzo)
Orta San Giulio (torre di Buccione)
redazionale
Pernasca (castello di Peronasca)
«Fra i borghi franchi del Comune di Vercelli uno dei meno ricordati è certamente quello di Peronasca (odierna Pernasca), di cui si ha traccia negli Statuti del Comune. Un documento del 1258, conservato presso l'Archivio dell'Ospedale Maggiore di Vercelli, e citato dal Mandelli, riporta i confini territoriali del borgo, compresi fra Vinzaglio e Torrione. Fra questi compare il castellacium Casae Dei, toponimo attualmente conservato nella forma Cadé e attribuito ad un cascinale. Fra le disposizioni degli Statuti è presente una garanzia di conservazione dei diritti dei già signori di Peronasca nei confronti del comune e uomini di Bulgaro, dalla quale si deduce che la fortificazione richiamata nel documento col termine castellacium, in disuso quindi e situata ai confini del territorio, poteva essere stata di pertinenza dei domini di Peronasca, che detenevano diritti anche su Bulgaro. Quale relazione esista fra il detto castellacium e l'ospedale della Casa di Dio, situato in corrispondenza del ponte sulla Gamarra, fondato intorno al 1208, e trasferito nel 1233 a S. Giovanni della Varola, non è possibile stabilire con certezza. è invece possibile che vi sia relazione fra lo spostamento di sede del monastero (1233), causato da difficili condizioni ambientali, e l'abbandono della fortificazione, documentato dal toponimo pochi decenni piú tardi. Sembra da escludere, infine, l'identificazione del castellacium con il monastero stesso; una bolla di papa Gregorio IX del 1231 confermava infatti i diritti delle monache sul monastero e sulle sue pertinenze e sottolineava la proibizione a chiunque di esigere decime dalle terre dell'ospedale, segno probabile di conflitti di competenza con i domini loci. Il sito della fortificazione, così come quello dell'ospedale, non è attualmente identificabile se non genericamente con l'area della cascina Cadè. L'interesse dell'attestazione è da ritenersi, quindi, esclusivamente di tipo archeologico».
http://www.metropolis.it/comuni/storia.asp?LUNG=9000&pag=3&ID=2158
«Descrizione dello stato di fatto: nella piccola frazione di Pisnengo, ad est di Casalvolone, lambita dal corso della roggia Busca, l’antica fortezza è riconoscibile nel complesso agricolo quadrangolare (oggi in gran parte disabitato e fatiscente) che si affaccia sulla piazzetta, dove sorge la torre-porta quattrocentesca, mozzata in altezza, con le feritoie sede dei bolzoni dei ponti levatoi della porta carraia e della pusterla pedonale. La torre-porta è ubicata al centro del lato orientale; la posizione della pusterla, ora otturata, a destra della porta carraia, anziché a sinistra come più usuale nel Novarese, ha indotto Conti (1975, p.146) a suggerirne, con cautela, una probabile derivazione dalle consuetudini costruttive monferrine. I restanti tre lati del complesso, a cui si addossano internamente edifici rustici e residenziali, presentano murature in mattoni con finestre contornate da cornici in intonaco bianco, quattro-cinquecentesche, alcune delle quali presentano i ‘ferri da ventiera’. Entrati dalla torre-porta, l’edificio a destra presenta una canna fumaria aggettante sostenuta da mensole in mattoni disposti a formare una tripla cornice a dente di sega. Non sono visibili merlature. Notizie storiche: non si sono reperite notizie storiche sul castello; la località di Pisnengo, insieme con le vicine Casaleggio, Casalino, Orfengo, Fisrengo, Gargarengo e Peltrengo, fu infeudata dal 1492 alla fine del ‘500 alla famiglia Crotti, proprietaria della roggia omonima poi denominata Busca. Condizione giuridica: Proprietà privata Bibliografia: F. Conti, Castelli del Piemonte, tomo I, Novara e Vercelli, Milano 1975, p. 146. Ricercatore: Compilatore scientifico dei testi: prof. Franco Dessilani Revisore: dott. Fiorella Mattioli».
http://www.100castellinovara.it/docs/.../castle?id=66
POMBIA (castello Arduinico o Borromeo)
«L’edificio, di pianta regolare, è il risultato dell’unione di due distinti fabbricati e risale al secolo XVI. Resti architettonici più arcaici testimoniano l’esistenza di un edificio preesistente: una colonna con capitello trecentesco, residuo di un porticato, e una colonna ottagonale con base e capitello della stessa epoca. Altri elementi originali sono le due bifore e i merli sovrastanti. ... nei pressi della Chiesa di San Vincenzo è anche il Castello risalente al XVI secolo» - «L'edificio è situato su un'altura e gode di un'ampia vista panoramica sia sul Ticino sia sulla pianura verso sud. Il Castello Borromeo è così denominato per lo stemma gentilizio affrescato su uno dei prospetti. La costruzione del castello risale al XVI secolo ed è a pianta quadrangolare; originari sono i segni delle merlature e due scale a chiocciola inglobate nelle torri laterali».
http://archeocarta.org/pombia-no-castrum-domini - http://www.provincia.novara.it/comuni/pombia.php
«In cima ad una collina chiamata il Monticello, nel 1776 venne costruita una casa quadrata. Era una casa di campagna per una famiglia benestante, il terreno intorno era adibito a giardino, vigneti e campi coltivati. Intorno alla metà dell’800 tutta la proprietà venne comprata dalla ricca famiglia Balsari e il sig. Luigi Balsari chiamò l’architetto più estroso del tempo per ristrutturare la casa. L’architetto Marietti aveva già costruito alcune delle splendide ville sul lago, così decise di creare qui, in aperta campagna, un luogo speciale. Iniziando quindi dalla base quadrata, crea più innalzamenti con torri, torrette, merletti... Fa eseguire il balconcino in ferro battuto con le iniziali del sig. Balsari, L.B., viene scavata una splendida ghiacciaia ed il pozzo sorgivo, tutto in stile medievale ma con sistemi di costruzione davvero innovativi rispetto al periodo. Verso la vallata era annesso anche un grande terreno boschivo con una cascina di caccia, sede di merende e spuntini: i panieri ricchi di prelibatezze arrivavano sulla tavola scendendo da una specie di funicolare collegata alla torre centrale del Monticello. ...».
http://www.monticello-pombia.com/#!tenuta-monticello/c15ri
POMBIA (ruderi del castrum Domini)
«Castrum Domini. È costituito da resti di fortificazioni risalenti, si ritiene, al X secolo, di cui rimangono due ampi recinti, un pozzo e una torre quadrata. Aveva il compito di proteggere la popolazione da un eventuale attacco nemico. I muri perimetrali hanno uno spessore di un metro e presentano un tessuto murario irregolare; alcune parti mostrano tracce di laterizi romani, altre a spina di pesce, mentre la maggior parte è costituita da grossi ciottoli di fiume misti a pietra. ... Il Castrum Domini si trova nei pressi della Chiesa di San Vincenzo» - «Di fronte alla chiesa di San Vincenzo si trovano i resti di un'antica fortificazione risalente al X secolo e anticamente proprietà esclusiva del vescovo di Novara. Si possono vedere una torre quadrata e un foro situati all'interno di due vasti recenti. Robusti sono i resti dei muri perimetrali costruiti con tecniche miste: ciottoli di fiume, laterizi romani e ciottoli di mattoni sistemati a spina di pesce».
http://archeocarta.org/pombia-no-castrum-domini - http://www.comune.pombia.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=5441
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il castello presenta una pianta rettangolare con due corpi sporgenti e un ingresso collocato a Sud mentre nella parte Ovest vi sono testimonianze dell’antica merlatura. Il complesso è stato cimato, per far luogo alle falde dei tetti. Le finestre risalgono in parte alla costruzione originale, in parte sono state aperte nel muro fra ‘600 e primo ‘900. Si evidenziano monofore a sesto ribassato. Le prime notizie certe risalgono al 1225, quando il maniero era abitato da Olrico Scarla consorte di Beatrice, figlia di un da Casalvolone; fu proprio con questa famiglia che nel XIII sec. Ponzana passò, quasi certamente, dall’influenza vercellese a quella novarese. Il castello fu al centro della comunità che vide nel XIV sec. il dissidio fra il marchese del Monferrato e il duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti. A guerra terminata la località di Ponzana divenne parte dei possedimenti dei duchi di Milano, seguendo le sorti di questa signoria. Nella metà del XV sec., durante l'età degli Sforza, Ponzana si presentava come una piccola località della pianura novarese, circondata da un fossato, con castello fornito di una cappella per gli usi cultuali, costituita da un'aula rettangolare con abside, unico ingresso e due finestre a Sus. La cappella in castro era dedicata a S. Silvestro ed è ancora citata nell'elenco degli edifici sacri allegato al testo a stampa del Sinodo Diocesano dello Speciano del 1590. In età sforzesca il maniero subì indicativi rimaneggiamenti per essere adeguato alla tipologia edilizia utilizzata nell’area d’influenza lombarda, con una pianta quadrangolare sviluppata intorno ad una corte con torri di avvistamento, caditoie e merli. Ma dalla fine del ‘400 iniziò l'acquisizione del castello di Ponzana, detenuto fin’allora dalla famiglia Varoni, da parte dei nobili Caccia di Novara. Tale operazione fu portata avanti con continuità e determinazione fino a stabilire il totale controllo dei Caccia sul castello e i terreni circostanti. Ancora nel 1890 era visibile il complesso fortificato con pianta quadrata di 32 m per lato. Il complesso si presenta oggi rimaneggiato da interventi successivo, e si osserva un organismo rettangolare con due corpi di fabbrica sporgenti e un ingresso posto nel prospetto meridionale, con l'adiacente posterla murata e tracce dei ponti levatoi: Nella parte occidentale si riscontrano ancora segni dell'antica merlatura. Il castello in mattoni a vista, si nota con facilità nel territorio di Ponzana e, assieme ad altri beni, costituisce parte del patrimonio del «Nobile Collegio Caccia» di Novara che da lungo tempo aiuta gli studenti novaresi meritevoli con sussidi mirati per affrontare gli studi».
http://www.100castellinovara.it/castle?id=5 (a cura di Fiorella Mattioli)
Prato Sesia (resti del castello di Supramonte)
«Giunti in paese, si consiglia di lasciare il proprio mezzo di trasporto in piazza Europa oppure nel piazzale della parrocchiale; da qui, seguendo la cartellonistica che indica il castello di Sopramonte, si percorre la strada della "Rocchetta", che, a ridosso della collina, porta al rione di "Prato Nuovo". Abbandoniamo la strada asfaltata e incamminiamoci sul bel sentiero acciottolato che ci conduce in cima alla collina (10-15 min.). Varie componenti fanno sì che questo luogo sia suggestivo, quasi magico: la torre, la chiesetta, i ruderi del castello e, non ultimo, lo splendido panorama che si ammira dal piccolo sagrato o dall’estrema punta nord della collina. Appena in cima, sulla destra, si trova una torre (XI-XII secolo) di notevoli dimensioni: alta una ventina di metri, di base quasi quadrata, priva di merlatura, molto rimaneggiata nel tempo e dotata di un balconcino (XIX secolo). A una distanza di circa cento metri dalla torre si trovano le rovine del castello di Sopramonte. La costruzione, interamente realizzata in ciottoli di fiume legati da strati di malta, aveva almeno tre torrioni, di cui il più antico è quello posto vicino alla chiesa di Santa Maria. Di questa grande torre è ancora oggi visibile il basamento a pianta quadrata, con uno spessore dei muri di 140 cm. A est della torre si apre una cisterna circolare con un diametro di 340 cm. Per la sua posizione geografica, questa fortezza ebbe certamente grande importanza territoriale; oggi, però, di questo complesso in avanzato stato di rovina si riconoscono solo i possenti muri della fortezza, in ciottoli di fiume a spina di pesce, segnati da alcune feritoie a uso degli archibugi, in gran parte diroccati. Non migliore sorte hanno avuto i reperti bibliografici: pochi i documenti reperiti e molte incertezze circa la loro autenticità. Gli storici fanno risalire alla fine del XIII secolo l’origine del castello di Sopramonte, mentre altre testimonianze si rifanno a documenti testamentari ormai ritenuti contraffatti; così, il problema della datazione resta aperto, anche perché un’attenta osservazione dei ruderi sembrerebbe anticipare l’origine stessa al secolo precedente, indipendentemente dalle aggiunte murarie successive. Di certo, Prato Sesia faceva parte della Signoria dei Romagnano e pertanto la sua storia si identifica con questa. Vari sono i passaggi: da Arduino a Ottone, ai Barbavara, ai Visconti, ai Tornielli e infine al cardinale Mercurino Gattinara. La piccola chiesa del "Castello", riedificata in forme barocche, è dedicata alla Natività della Vergine; contiene un affresco del XV secolo raffigurante San Sebastiano e un Santo Vescovo e si presenta ad aula semplice, con pronao voltato a crociera. Buono è lo stato di conservazione. Va ricordato che nell’Ottocento Anselmo Prato, magistrato di Romagnano Sesia, ambientò un romanzo storico proprio nel castello, intitolato "Beatrice di Sopramonte", sulla scia dei Promessi Sposi manzoniani».
http://www.novara-software.com/novara-provincia/castello-sopramonte-prato-sesia.php
«Secondo la descrizione del Conti (in Castelli del Piemonte, 1975) la lapide murata presso l'ingresso ci dice che il castello di Proh venne eretto principalmente come "luogo di delizie" da Francesco Sforza, Duca di Milano. Una scelta militare non poteva essere stata, o almeno sembrerebbe strana, sia perché nel raggio di 5 km sorgono altri tre castelli, assai importanti e proprio a quell'epoca attrezzati o riattrezzati per le operazioni difensive o offensive del Ducato milanese (Briona, Barengo e Castellazzo Novarese), sia per la relativa piccolezza del castello stesso. Questa suggestione è creata anche dalla posizione del monumento, in pianura isolato, ai piedi di una collinetta boscosa e dalla sua apparenza di oggetto civettuolo più che guerresco, ed anche la sua notevole altezza, lo rende quasi un oggetto cubico. Il castello immagine ingrandita Lapide Murata - Ingresso Castello (apre in nuova finestra) sorse nella seconda metà del 1400 e, dopo la parentesi ducale, passò ai Tornelli, signori di Briona. Nel 1495 fu occupato dalle truppe di Ludovico il Moro. Nel 1597 passò ai Caccia e nel 1672 fu acquistato dai fratelli Gaspare e Giacomo Filiberto Cattaneo di Novara. Due anni dopo essi ottennero il titolo comitale. Nell'Ottocento passò alla famiglia Fantoni, che lo trasformò in cascina e lo vendette poi, verso la metà del secolo, al Conte Arese Lucini. Fu acquistato all'inizio del'900 dai Varelli e poi passò ai Marelli di Milano, attuali proprietari. Il castello si presenta oggi come frutto di successive sistemazioni, solo in parte eliminate nel corso di recenti restauri. La pianta è asimmetrica secondo la diagonale NE-SO. L'impianto è rettangolare, leggermente irregolare, con due torri tonde agli spigoli nord-orientale e sud-occidentale. Alcune costruzioni sorgono ai lati nord, sud e ovest. Il cortile è appoggiato immagine ingrandita Castello di Proh (apre in nuova finestra) alla cortina orientale. Gli ingressi in origine erano due: ad est tramite una postierla aperta nella torricella centrale e dotata di ponte levatoio; ad ovest tramite una porta carraia dotata di ponte levatoio. Sull'ingresso ad ovest era impostata una torre a filo di cortina inglobata poi nei fabbricati interni e rimasta senza coronamento, ma comunque facilmente riconoscibile. Oggi la situazione degli ingressi è la meno felice di tutto il complesso, affidata a due archi ribassati che stonano con il resto della costruzione. I fossati, di cui rimane ancora traccia sul terreno, sono colmati. L'altezza del castello, tranne il tratto di cortina tra la torricella d'ingresso e l'inizio del primo fabbricato del lato orientale, è tutta uguale. Per tutto il castello corre l'apparato a sporgere con lunghe caditoie, tipiche dei castelli novarese del'400, le caditoie sono decorate con il tipico motivo a denti di sega dei castelli sforzeschi. Il castello in origine era ornato di affreschi di cui ne sopravvivono due: uno sbiadito trittico sulla parete di levante del cortile, rappresentante nel riquadro centrale la Madonna col Bambino e nei due laterali figure di Santi, di ispirazione gaudenziana, l'altro con lo stemma dei Cattaneo sulla torre angolare di sud-ovest».
http://www.comune.briona.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=954
«Il 7 febbraio 1266, Bonsignore da Arborio, nobile Vercellese di antica famiglia capitaneale della Chiesa Eusebiana, giurava il cittadinatico al Comune di Vercelli. Il "dominus" si impegnava ad accettare l'alta sovranità dell'ente politico vercellese sui suoi possessi e sugli uomini, ma, poiché questi erano posti lungo i confini fra Novara e Vercelli, accanto al conteso centro di Biandrate, dove ancora risiedevano i conti, cercava di salvaguardare, con alcune importanti clausole, i suoi interessi locali ed evitare di essere schiacciato dalle due vicine potenze militari sempre in urto; chiedeva soprattutto a Vercelli di essere esentato, in caso di guerra, dal combattere contro chiunque, in particolare contro la rivale Novara, usando le proprie fortificazioni situate ad est della Sesia, nel luogo chiamato Cerreto e costituite dal castello, dal ricetto e da case in muratura, garantendosi così contro un'eventuale edificazione di un borgo franco vercellese a Biandrate che di fatto avrebbe portato allo spopolamento di Cerreto e all'abbandono delle strutture fortificate locali con la conseguente grave perdita dei diritti signorili. In quel periodo, dunque, Bonsignore da Arborio possedeva in regione Cerreto (località che denuncia l'esistenza di un querceto, di un bosco a cerri, probabilmente un "gualdo") delle fortificazioni costituite dal castello, dal ricetto e da case in muratura che cercava di salvaguardare. Il giuramento non permette di fissare il momento di formazione del centro demico (in quell'anno o anche prima) e neanche di fissare il quadro d'influenza della chiesa di S. Maria delle Nevi su cui doveva fare da perno, ma forse aiuta a determinare e fissare proprio in quel periodo il momento dell'erosione del territorio biandratese da parte dei da Arborio. Il ricetto dovette essere di grande impatto sull'area, in quanto, nel giro di pochi decenni, fu in grado di mutare il toponimo del luogo; nel 1348 il villaggio non è più indicato Cerreto ma Recetto. Dapprima si sviluppò un villaggio in prossimità della regione Cerreto servito dalla chiesetta dedicata alla Madonna delle Nevi (per tradizione detta "l'antica parrocchiale" e che la titolazione dovrebbe far risalire agli albori del XII secolo, se non prima); in seguito, eretto il castello ad uso ricetto ad ovest - a 200 metri, in posizione leggermente rialzata e separata da un avvallamento - l'abitato finì per gravitare sui due poli chiesa-castello (est-ovest). Forse il fortilizio venne dotato di "cappella" a carattere privato intitolata a S. Domenico fin dalle origini dell'incastellamento. A nord-ovest di esso, in area contigua ma extraurbana, venne situato l'airale per il deposito dei prodotti infiammabili (paglia, fieno, canapa, ecc.)».
http://www.comune.recetto.no.it/ComGalleria.asp?IdCategoria=498
ROMAGNANO SESIA (torrione del Pretorio)
«è una torre a pianta quadrata, in origine parte di un castello o di una casaforte che costituiva l'estremo angolo nordorientale di un quadrilatero fortificato. La sopraelevazione è ascrivibile alla seconda metà del XV secolo. Successivamente fu anche residenza del podestà e del pretore. Dal 1870 è residenza privata» - «Romanianum vanta origini romane documentate da rinvenimenti archeologici dei primi secoli dell’Impero. Il paese fece poi parte della Marca d’Ivrea e fu donato nell’882 alla Chiesa di Vercelli dall’imperatore Carlo III e successivamente infeudato ai Marchesi di Romagnano da Federico I (1163). All’inizio del Mille venne fondata l’Abbazia benedettina di San Silvano. Nel 1198 la popolazione si aggregò in nucleo urbano cinto da mura, a cui il Comune di Novara concesse la dignità di Borgo. Passò in seguito nelle mani dei Visconti con i quali il borgo rifiorì economicamente e attraversò un lungo periodo di pace. Dopo una parentesi di 400 anni circa, in cui fu prima dei Tornielli e poi dei Barbavara, ritornò ai Visconti. Dopo alterne vicende, finì ai Savoia. Romagnano, nel suo nucleo antico, conserva il tipico impianto urbano medievale e alcuni resti di edifici, come la Torre del Pretorio, i resti del Ponte Medievale e della chiesa di San Pietro. Il Torrione del Pretorio è una torre a pianta quadrata. La sopraelevazione è sicuramente ascrivibile al 1466. Situata nel cuore del paese, fu la residenza dei Marchesi Romagnano, famiglia arrivata in Italia secoli prima al seguito dei Carolingi e che trasse il nome del proprio casato dal luogo. Successivamente divenne residenza del “Pretore” o “Podestà”, colui che era incaricato di amministrare i beni del feudo per conto dei marchesi. La torre è quel che resta di un quadrilatero fortificato all’interno del quale si sviluppò il borgo storico. A difesa della fortezza vi erano anche alcuni fossati, riempiti agli inizi del sec. XIX per formare rispettivamente quelle che oggi sono Piazza Cavour e Via 1° Maggio. Evidenti sono i caratteri quattrocenteschi della struttura: le mura costituite da ciottoli spesso disposti a spina di pesce, le caditoie e il coronamento superiore. La parte più bassa del torrione sembra appartenere a un edificio più antico, forse un preesistente castello. In corso Marconi, negli edifici ai n° 21 e 23 si sono conservate due monofore ogivali con decorazioni in cotto».
http://www.comune.romagnano-sesia.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=25064 - http://archeocarta.org/romagnano-sesia-no-torrione-del-pretorio...
«Nell'ottobre 1152 l'imperatore Federico I Barbarossa confermava al conte Guido di Biandrate la giurisdizione su quelle medesime terre di cui già faceva menzione il diploma di Corrado III del 1140-1141, cioè Biandrate, Olengo, Cameri, Cerano, Cavagliano, Bellinzago, Oleggio, Mezzomerico, Galnago, Revislate, Agrate, Invorio Superiore e Inferiore, Briga, Cureggio, Cavaglio, Briona, Proh, Sizzano, Breclema, Rocca di Mal Sesia, Montrigone, Agnona, Seso (oggi Borgosesia), con tutti i castelli, le ville e i territori loro pertinenti in Valsesia; inoltre gli si concedevano Megolo e il comitato dell'Ossola, San Nazzaro, Casanova, Lenta, Carpignano, Camodeia e molti altri luoghi fuori del Novarese. Sono questi i primi documenti sui quali ci si può basare per ipotizzare la presenza di un castello a Sizzano. è difficile dire come si presentasse la fortificazione, se già cera. Poteva essere munita di una cerchia difensiva, formata da una palizzata o da un muraglione. Al suo interno sorgeva sicuramente già la basilica pievana di San Vittore, con il suo piccolo cimitero. Anzi, forse proprio la pieve aveva costituito il nucleo attorno al quale era sorto il castrum a sua difesa. Osservando le antiche mappe catastali superstiti (le cosiddette mappe "Teresiana" e "Rabbini", rispettivamente del XVIII e XIX secolo, esemplari delle quali si conservano presso l'Archivio Comunale di Sizzano), si ha la visione dell'area che il castello occupò fino alle demolizioni avvenute intorno al 1870. La fortificazione aveva struttura irregolarmente anulare, con un unico ingresso verso occidente, ed era attorniata da un fossato pieno d'acqua, esternamente al quale correva una striscia di terreno sgombro da edifici. Il centro del castello era occupato dalla chiesa pievana, attorno alla quale la superficie all'interno delle mura ospitava costruzioni disposte a raggiera. A questo punto si pone una domanda: sorse per prima la chiesa pievana, attorno alla quale venne elevata la fortificazione, o avvenne il contrario? I pochissimi documenti disponibili per l'epoca altomedievale sembrano autorizzare la prima ipotesi: San Vittore è già ricordata nell'anno 1000 (come si è visto, e per ora non c'è ragione di ritenere che si trovasse in luogo diverso dall'attuale), mentre le notizie relative al castello sono più tarde.
Sulla compresenza di castelli ed edifici religiosi di particolare richiamo, come le chiese pievane, ha posto attenzione Aldo A. Settia, in un suo fondamentale saggio. Lo studioso ha sottolineato dapprima la funzione di rifugio per gli uomini e i loro beni primari, esercitata normalmente dalle chiese in momenti di pubblico pericolo, specie in tempi nei quali i castelli non esistevano ancora o erano assai poco numerosi, come nel IX e X secolo. Data questa premessa, parve naturale agli uomini dell'Alto Medioevo scegliere proprio le chiese, e specialmente le sedi pievane, per costruirvi intorno una fortificazione. Così deve essere avvenuto anche a Sizzano. Probabilmente molte famiglie, se non tutte, avevano residenza stabile nel castello fin dalle origini. A questo proposito concordiamo con Giancarlo Andenna sulla necessità di abbandonare l'idea che quello di Sizzano, come altri analoghi (di Carpignano o di Ghemme, per restare nelle vicinanze), fosse un "ricetto", cioè un recinto fortificato destinato a essere occupato dalla popolazione solo in occasione di assedi, guerre o scorrerie. All'epoca in cui fu costruito, il castrum (così è definito nei documenti) di Sizzano fu certamente abitato in modo stabile e continuativo; soltanto nell'età moderna (quando ormai il paese era cresciuto per numero di abitanti, il pericolo di continue invasioni andava lentamente cessando e le possibilità di difesa offerte dalla fortificazione di fronte il progredire delle artiglierie nel Rinascimento si facevano tenui) il castello fu a poco a poco abbandonato e i suoi edifici, rimasti in gran pane liberi, furono adibiti a dimora e magazzini di derrate agricole. E ancora Giancarlo Andenna, proprio circa il Castello di Sizzano, a notare che il termine "ricetto" non compare mai nelle fonti documentarie che parlano invece sempre di castrum; lo studioso propone quindi di tralasciare la denominazione ambigua di ricetto, coniata nella prima metà del nostro secolo dal Nigra, per usare quella più corretta e storicamente fondata di castello. I documenti del 1140-1141 e del 1152 parlano di Sizzano e degli altri luoghi dei conti usando l'espressione "con tutti i castelli e le ville" (cum omnibus castris et villis)».
http://www.comune.sizzano.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=1190
SUNO (castello)
«Stato d'esistenza: l'edificio originario è stato totalmente rimaneggiato alla fine dell'800 per diventare un palazzo residenziale. Dell'antica struttura conserva solo l'impostazione planimetrica. Configurazione Strutturale: situata sopra una collinetta digradante verso il torrente Meia, la fortezza ha una pianta rettangolare con le strutture di base delle torri ai quattro angoli e sul lato occidentale il torrione quadrato, che in passato difendeva la porta d'ingresso, munita di ponte levatoio sul fossato, ora ricolmo. Fondazione: XV secolo. Primo documento rintracciato: la prima traccia storica del castrum di Suno risale al maggio 1037, quando, il diacono Oddone, figlio del fu Ribaldo de loco Xuni, dona agli amici Walterio e Loterio una cascina comprendente una casa e dodici terreni situati nel territorio di Suno.
Fasi costruttive: Epoca di fondazione: non vi è alcuna certezza al riguardo. L'ipotesi più verosimile, avanzata dall'Andenna e basata sulle modalità costruttive dell'edificio, fa risalire la costruzione al periodo 1470-1490. Fasi costruttive: Al tempo dei Romani, Suno, posta sulla strata Francisca, che da Genova andava al Sempione, fu uno dei più importanti centri della pianura novarese, sede probabilmente di una colonia militare. Del castrum, inteso non come singola costruzione, ma come un grande insieme di case difese da una fortificazione, si parla per la prima volta in un documento del maggio 1037. In quel periodo, a Suno, grandi proprietari di beni immobili erano Uberto, probabilmente anche conte di Pombia ed il diacono Oddone de loco Xuni. L'insediamento medieovale, secondo i documenti del XIII e XIV secolo aveva tre centri nevralgici: la villa, il vicus ed il castrum vero e proprio. Il castrum, posto su un'altura sovrastante il torrente Meia e tutto il resto del complesso, era piuttosto vasto, attorniato da un muro fortificato, e nel suo interno vi erano delle strade, la chiesa di San Michele ed un certo numero di case, appartenenti a vari proprietari. Oltre il corso della Meia, che era attraversata dal pons Meolie, vi erano, ad est, il vicus con la chiesa di Santo Stefano e la villa (dove si trovava la chiesa di S. Maria), circondata e difesa da un fossato. Nella prima metà del XV secolo, i Della Porta, che riscuotevano i dazi del territorio di Suno ed erano proprietari di parecchi immobili e terreni, iniziarono ad ammodernare il castrum. La fortezza venne probabilmente costruita tra il 1470 ed il 1490, periodo in cui i Della Porta dimostrarono grande potenza economica e politica. Essi mantennero il possesso dell'immobile fino alla metà del XX secolo, quando fu acquistato dagli attuali proprietari, la famiglia Tarantola. ...
Descrizione dello stato di fatto: l'attuale costruzione è un restringimento fortificato del maniero originale. Della primitiva struttura sono rimaste la pianta rettangolare rinforzata da torri ai quattro angoli e la torre quadrata d'ingresso. A fine 800 l'intonacatura, l'arricciatura che ha interamente ricoperto i muri esterni, la suddivisione interna, hanno profondamente trasformato il preesistente fortilizio. Ricordano l'antico castello la frangia dei mattoni sporgenti a dentello, che in origine correva sotto le merlature e, a metà della torre d'ingresso, le tracce ancora visibili dei bolzoni. Il lato meridionale, sul quale sono state aperte finestre a distanza regolare, ha assunto l'aspetto di un'elegante villa del XIX secolo. Lungo la strada di accesso, in leggera salita, su entrambi i lati restano tuttora tracce dell'antico castrum, con mura e case risalenti ai secoli XIV e XV. Nei pressi del castello inoltre vi è una casa, costruita prima della rocca, ristrutturata in epoca moderna con ciottoli e cotto, con finestre ad arco gotico ed uno stemma dei Della Porta sulla facciata. ...» (testo di Carlo Giordani; revisore: dott. Fiorella Mattioli).
http://www.100castellinovara.it/castle?filter=c3Vubw%3D%3D
TERDOBBIATE (castello dei conti Cicogna)
«Le prime notizie di una fortificazione a Terdobbiate risalgono al X sec., ma si trattava certamente di un semplice sistema difensivo, costituito da una palizzata di legno. In quell'epoca Leone, vicedomino della Chiesa novarese, ottenne infatti da re Berengario il permesso di costruire un castello per difendere i possedimenti dalle frequenti incursioni degli Ungari. Per avere ulteriori informazioni bisogna aspettare il XV sec. quando la fortificazione era in pessime condizioni strutturali e le famiglie gentilizie novaresi dei Tornielli, Caccia, Clapis, Leonardi, ecc., sono descritte come proprietarie delle abitazioni e magazzini presenti nel castello. Le precarie condizioni della struttura indussero però i Caccia, i Tornielli e i Clapis a organizzare una rocca interna al castello. Alla fine della prima metà del Quattrocento iniziò la ristrutturazione generale dell’intera vetusta fortificazione, cui parteciparono i locatari per la riparazione delle case e i nobili possessori per le strutture difensive collettive. Nel corso di questi lavori le nobili famiglie, insieme al monastero degli Umiliati di San Simone di Novara, elevarono anche un mastio. Mentre i feudatati di Terdobbiate cambiavano con una certa frequenza (Giovanni Filippo da Trecate, la cui unica figlia Costantina sposava Giovanni Antonio Gambalojta), il castello continuò ad essere posseduto dalle famiglie gentilizie novaresi, che lo tennero per circa un secolo. Solo nel XVI sec. iniziò un’operazione d’acquisto della fortificazione da parte di Giovan Pietro Cicogna, conclusa in qualche decennio. Da allora il castello rimase proprietà dei nobili Cicogna mentre il feudo, con sentenza del 1590, ritornò ai Gambalojta. La famiglia Cicogna era d’origine novarese, alcuni suoi esponenti già nel XV sec. rivestivano cariche alla corte ducale di Milano. Giacomo Cicogna nel 1468 fu segretario ducale e anche suo figlio Luigi ricoprì la stessa dignità presso Bona di Savoia, duchessa di Milano; Giovanni Bartolomeo (figlio di Luigi) sposò una Caccia, nobile novarese, e fu padre di Giovan Pietro Cicogna e di Paolo. Il primo fece una notevole carriera nell’ambito militare e amministrativo.
Con l’arrivo dei Cicogna Mozzoni il castello di Terdobbiate mutò notevolmente il suo aspetto strutturale: fra Seicento e Settecento fu trasformato in residenza gentilizia di campagna. In quest’ottica fu ridotta l’altezza delle torri e costruito il braccio centrale, dividendo la corte dell’antico castello in due parti e mettendo in comunicazione l’ala Sud con l’ala Nord; fra la fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento furono realizzate le cortine murarie con le merlature di gusto neomedievale. Il complesso presenta il tradizionale impianto quadrangolare dei castelli di pianura lombarda con quattro torri angolari, altrettanti bracci perimetrali e uno centrale (aggiunto successivamente). Affiancata ai lati Sud ed Est del castello è stata realizzata una grande corte quadrangolare probabilmente fra Ottocento e Novecento; sul lato Nord della corte trovavano sede le antiche scuderie di pertinenza del castello ora ristrutturate e adibite a deposito. Sugli altri lati trova spazio una cortina con edifici di spettanza dell’azienda agricola che ivi ha sede. L’accesso principale al castello è collocato lungo il lato Est, preceduto da un passaggio sopraelevato costruito sul fossato ancora presente solo in questo tratto. L'edificio presenta due piani fuori terra e tutto il complesso è stato con ogni evidenza cimato, così da poter ospitare le falde dei tetti. Le finestre sono state previste durante la costruzione e altre da rottura di muro. Sopra l’ingresso trova spazio lo stemma della famiglia Cicogna costituito da una cicogna che tiene serrata nel becco una serpe. Altri stemmi di famiglie gentilizie, con cui si sono stati e sono tuttora imparentati i conti Cicogna Mozzoni, si trovano nella sala d’armi al secondo piano; nella parte alta delle pareti sono presenti le armi dei Borromeo d’Adda, Marliani, Annoni, Jacini, ecc. Nel castello una scala d’onore unisce il piano terreno al primo piano e si conserva un imponente camino con rilievi. L'edificio, sia internamente che esternamente è quasi completamente intonacato, ad eccezione di una piccola torre circolare con bifora, realizzata fra Ottocento e Novecento posta a Est, dove si trova un’apertura verso il parco. Il complesso, infatti, presenta nella zona Nord e Nord Est un vasto parco grande interesse paesaggistico e botanico perché ricco di specie arboree secolari, quali querce, tigli, ippocastani e due imponenti olmi. Sono ancora conservati i ponti levatoi originali del tardo XVI secolo».
http://castelliere.blogspot.it/2015/02/il-castello-di-mercoledi-11-febbraio.html
«La costruzione originaria del castello risale al XIII secolo. L'edificio venne poi distrutto nel 1358 durante una contesa fra il marchese del Monferrato e Galeazzo Visconti. Riedificato sul finire del XIV secolo passò ai Barbavara, ai Casati e alla famiglia Caccia, alla quale furono confiscati tutti i possedimenti della Camera Ducale Milanese perchè l'ultimo erede, Giovanni battista, fu condannato e giustiziato per la sua cattiva condotta. Nel 1688 il castello passò a Galeazzo Visconti e la sua casata lo tenne per tutto il Settecento. Fu poi proprietà della famiglia Tagliabue che ebbe il pregio di conservarla nella struttura visibile oggi. è un edificio a tre piani, a pianta rettangolare, con muratura in ciottoli nella parte bassa e mattoni nella parte alta. Con buona approssimazione si può dire che il castello sia stato costruito verso il 1220, proprio nel bel mezzo del "castrum", allora già esistente da un bel pezzo; committenti della fortezza erano i da Momo, i futuri De Capitaneo poi Cattaneo, allora feutdatari anche di Vaprio. Fu eretto, per quanto risulta, soprattutto per rafforzare la rappresentatività del loro potere sui beni locali, potere appena riconquistato dopo un difficile contendere con il vescovo di Novara e quindi per dimostrare, semmai in futuro fosse stato ancora necessario, la legittimità dei loro diritti feudali sul territorio. è stato portato a termine, così come lo si vede adesso, in tempi diversi. Prima si costruì il corpo più a sud del complesso. Doveva dare sicura dimora al valvassore incaricato di seguire in loco gli interessi del feudo. solo in seguito, probabilmente all'inizio del Trecento, si aggiunse un secondo corpo e sul finire del Quattrocento si portò alle dimensioni attuali. La casa-forte, per la sua struttura sarebbe meglio chiamarla così, nel corso dei secoli subì tante e tali alterazioni, distruzioni, ricostruzioni, modifiche e riadattamenti che oggi anche con la più attenta lettura della superficie esterna risulta impossibile quantificarle e differenziarle tra loro. ... Il castello passò, nel 1688, al conte Galeazzo Visconti fu Giovanni, signore di Fontaneto. Dall'Inventario fatto per la vendita si sa che loggi il castello conserva la stessa struttura di allora. Nel 1740 la fortezza, ormai non più necessaria come luogo di difesa, venne adattata a civile abitazione e occupata da inquilini. Nell'ottocento cambiò ancora proprietà e nel 1895 fu possedimento degli Acerbi, nobile famiglia milanese con grosse proprietà terriere in loco. Nel 1916 il castello fu rilevato da Enrico Baroli, un emergente della nuova economia agraria e sindaco di Vaprio: proprietario oggi è il dottor Giuseppe Marcotti di Veruno. Si dice da sempre che il castello sia in comunicazione con quello di Barengo per mezzo di una galleria. Questo collegamento sotterraneo, che piacerebbe a molti per i misteri che porterebbe con sé, purtroppo non esiste. La leggenda di questo incredibile passaggio piaceva sicuramente anche al Caccetta che lasciava correre o addirittura aiutava a diffondere per incrementare la sua fama di uomo potente, imprendibile e diabolico. Oggi il fabbricato, riconosciuto monumento nazionale, si trova in cattive condizioni per mancanza di manutenzione ed il peso dei lunghi e travagliati secoli di vita si vede tutto: se non si interviene al più presto con un restauro mirato, la sua storia finirebbe per registrare un'altra e forse definitiva distruzione».
http://www.comune.vapriodagogna.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=5717 (a cura di Pietro Marco Agazzone)
VARALLO POMBIA (palazzo Caccia)
«Anche questa signorile dimora sorge nel centro del paese, e deriva dalla trasformazione e dal riadattamento, nel corso del Settecento di un castello medievale. A testimonianza dell'antico maniero sono la muratura esterna di una torre e parte di fabbricato costituita da pietre poste a spina di pesce. All'interno del palazzo è situato l'Oratorio di San Giuseppe, già cappella nobiliare, fondata dall'abate Antonio Caccia nel 1726. Di notevole interesse è il parco riccamente piantumato con alberi secolari».
http://www.comune.varallopombia.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=5750
VARALLO POMBIA (villa Soranzo, già castello)
«La prestigiosa villa sorge su un’altura nel centro del paese, lungo la strada che conduce verso il ponte sul Ticino, non lontana dall’antica pieve dei SS. Vincenzo e Anastasio. La villa fu edificata dopo la metà del Seicento dal cardinale Federico Caccia e alla sua morte, avvenuta nel 1699, passò in eredità ai marchesi Ferrero di Milano e poi, per vari passaggi ereditari, ai conti Gallarati Scotti e ai Simonetta. L’intero complesso è stato venduto dagli eredi dell’ultima proprietaria, la contesse Teresa Bollini Mocenigo Soranzo, al Comune di Varallo Pombia nel 1972, che l’ha destinata a Municipio, Biblioteca civica, Museo archeologico e Pinacoteca. L’edificio si compone di due corpi di fabbrica, ortogonali tra di loro ma differenti per lunghezza, larghezza e numero di piani. L’ala maggiore presenta sulla facciata nord, verso il parco, un’architettura molto severa, ritmata da semplici finestre e preceduta da due rampe simmetriche che si accostano nella parte centrale, in modo da porre il grande salone (ora divenuto Sala consigliare) in comunicazione con il giardino. La facciata posta a sud, che si affaccia sul cortile principale, è caratterizzata da due importanti stemmi gentilizi, dipinti sul muro: quello della famiglia Caccia e quello di Innocenzo XII, della famiglia Pignatelli, che aveva nominato cardinale appunto Federico Caccia. Infine, fa bella mostra di sé una grande meridiana, incorniciata in eleganti volute barocche. Il cortile è delimitato verso strada da un edificio a due piani, munito di androne e portale ad arco ribassato. Alcune finestre al primo piano, affacciate sul cortile, sono dipinte con misteriose figure (trompe-l’oeil). All’interno, di particolare prestigio è lo scalone d’onore in granito rosa, che si snoda entro un vano ottagonale, ove si possono ammirare, collocate nelle rispettive nicchie, quattro statue di fattura settecentesca raffiguranti le quattro stagioni. Sempre nell’ala maggiore sono da segnalare numerosi soffitti a cassettoni dipinti, che abbelliscono le sale più rappresentative della villa. Al primo piano dell’edificio, un museo archeologico raccoglie reperti risalenti alla civiltà di Golasecca e a quella romana, provenienti da scavi avvenuti in zona. Il giardino, di gusto romantico, è ricco di camelie e azalee, rododendri e palmizi, mentre un grande castagno individua il luogo in cui la contessa amava sostare per sorseggiare un tè con le amiche. All’inizio del viale delle camelie è possibile ammirare una rara “michelia”, pianta originaria della Cina, che predilige climi temperati e possiede fiori che emanano un gradevole aroma di banana: pare che questo sia l’unico esemplare nel Novarese».
http://www.turismonovara.it/it/artestoriascheda?id=68
«Il Castello di Vergano venne edificato sulla collina di Vergano, una piccola frazione di Borgomanero, tra la fine del XIII secolo e la prima metà XIV secolo, su commissione dei Tornielli. Nel tempo vennero effettuate nuove ristrutturazioni nel corpo di fabbrica e nel cortile, finché alla fine del Cinquecento, iniziò la crisi della famiglia proprietaria, a causa dei debiti, del decesso di alcuni suoi membri e delle vicende belliche di quegli anni. Dopo varie successioni, esattamente nel 1773 la Regia Camera dei Conti di Torino approva la nobiltà dei Tornielli, riconfermandoli feudatari di Vergano. La parte più significativa del Castello è la torre quattrocentesca di forma quadrata, con tracce dei ponti levatoi che permettevano l'accesso al suo interno. Interessante è anche il finestrone con voltino a tutto sesto sormontato da uno stemma nobiliare. Oggi il monumento si presenta costituito da quattro corpi di fabbricato, con la parte anteriore posta verso il paese. Gli elementi interessanti della costruzione sono il torrione dove si trovava il ponte levatoio e la parte a nord, attualmente adattata ad abitazioni private».
«Il Castello di Vespolate venne eretto attorno al X secolo. Notizie certe della sua esistenza si hanno a partire dal 1053 quando la contessa Adelaide, figlia del conte di Parma e vedova del conte di Pombia, donò a Rodolfo da Besate il Castello di Vespolate. Al castello si aggiunse nell’anno 1351 l’attuale rocca costruita dal vescovo Guglielmo Amidano, come riportato da una lapide in caratteri gotici. Nel 1457 Il principe Francesco Sforza prese possesso del Castello e del feudo di Vespolate che fu poi attribuito nel 1539 al marchese di Novara, Pier Luigi Farnese, duca di Parma. In seguito l’Austria subentrò alla Spagna nel dominio del territorio, fino al momento in cui tutto il novarese venne a far parte del Regno di Sardegna (1748). A partire dal 1767 la proprietà del paese tornò al vescovo di Novara, che assunse il titolo di “marchese di Vespolate” e successivamente, nel 1817, quello di “principe di S. Giulio, Orta e Vespolate”. Con la legge del 1866 che espropriava i beni ecclesiastici il Castello e la Rocca di Vespolate passarono in mano a privati. Oggi sono di proprietà della famiglia Macchi».
http://www.castello-di-vespolate.it/storia.htm
«La rocca venne eretta da Antonio Rabozio – fido sostenitore degli Sforza negli anni di guerra per la conquista del Ducato di Milano – tra il 1455 e il 1464 al fine di assicurare una difesa maggiore alla propria residenza. I Rabozio furono già “milites” vassalli dei conti di Biandrate e grazie a questo titolo abitavano gli edifici del castrum già da molto tempo. Nel 1491 Bernardina e Maria, figlie del Rabozio, si divisero la rocca, che passò nel 1539 ai Gritta. Nel 1559 gli uomini di Vicolungo espressero il desiderio di poter avere una piazza davanti alla parrocchiale di San Giorgio, così da avere l’accesso diretto al luogo di culto senza più transitare nel castello. I Gritta acconsentirono a rinunciare al loro orto a favore del Comune e a costruire una nuova porta sempre aperta, ove ancora oggi vi è l’affresco di san Giorgio e il drago. Sotto la famiglia Gritta, venne restaurato parte del fortilizio, si aggiunsero tre sale e una loggetta (dipinta tra il 1624 e il 1647). All’estinzione della nobile famiglia la proprietà venne rivendicata dai Caccia da Mandello, per poi passare definitivamente nel 1687 all’Ospedale della Carità di Novara. La residenza da allora fu trasformata in cascina e ancora oggi ha queste caratteristiche. Il castello di Vicolungo si sviluppa con gli annessi corpi di fabbrica e le due corti lungo un asse nord-sud. Risulta molto difficile risalire a una datazionhe certa del nucleo più antico, come pure conoscere la forma originaria dell’intero complesso, non essendoci documentazioni antecedenti il XV secolo. La muratura a ciottoli di fiume disposti a spina di pesce, di cui si trovano tracce, risale ai secoli XI -XIV. Nonostante alcune demolizioni avvenute alla metà dell’Ottocento, sono ancora ben conservate alcune parti della rocca: sull’angolo sud-est il torrione quadrato provvisto di caditoie; sul lato est traccia della postierla (murata), la cui planca scavalca la roggia Molinara. Vi sono finestre a sesto acuto in corrispondenza dei vari piani del torrione. L’edifico è di proprietà privata».
http://archeocarta.org/vicolungo-no-castello
«Notizie documentate della località denominata "Viguciallum" e del Castello posto all'interno del "castrum" risalgono al 1011. Vari, nel corso dei secoli, furono i feudatari di questa piccola ma interessante località dal punto di vista strategico perché posta sulla riva sinistra del fiume Sesia e sul confine tra le terre pavesi e novaresi. Il Castello Sella sorge su un dosso alluvionale del fiume Sesia, ai margini dell'abitato. Ora dell'antico fortilizio del XIII secolo rimangono soltanto i resti di tre torri e parte di murature, nei pressi dell'attuale castello rinascimentale. Nel corso del XIX secolo l'edificio divenne proprietà della potente famiglia Sella che lo restaurò e modificò secondo i canoni e la funzionalità di una residenza aristocratica di campagna. Attualmente la maestosa dimora, privata, si presenta in avanzato stato di degrado. Parlare di questo piccolo paese significa risalire con decisione al pieno medioevo; e per farlo si deve assolutamente rivolgere l'attenzione ad uno dei due monumenti che del paese sono i punti di riferimento, perché se la chiesa è edificio del pieno seicento, il castello è di tale antichità da affondare le basi dei suoi muri nel terreno altomedievale del secolo undicesimo. Grazie al suo castello infatti Vinzaglio, potrà dichiararsi a breve (2011) insediamento abitativo dalla storia millenaria. Ma alla veneranda antichità di muri non corrispose altrettanta fortuna di conservazione: nel 1911, quando per disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione si censirono gli edifici monumentali della provincia di Novara di Vinzaglio si tacque completamente, non menzionandovi alcuna costruzione, sacra, militare o civile. Arrivando ai nostri giorni, non si può dire che resti molto dell'antico "castrum Vigucialli"; il continuo lavorio edilizio, imposto dal pieno seicento alla proprietà dalle famiglie avvicendatesi nel possesso territoriale e nel diritto feudale (Crotti, Trotti, Visconti Borromeo Arese, Arconati, Sella, con una sporadica e spregiudicata incursione dei Borromeo) ne ha sovvertito pressoché completamente l'iniziale configurazione, così da farne riconoscere a stento le originarie linee di costruzione militare e di rocca signorile. Il castello si mostra oggi infatti come grande palazzo, con pianta a U, dove i corpi di fabbrica potrebbero lasciar intravvedere qualche debolissima preesistenza, forse quattrocentesca, specie nella parte centrale dell'edificio. La lettura dei paramenti e di eventuali tracce è comunque assai difficile, praticamente impossibile nel corpo di fabbrica che da su una sorta di recinto triangolare guardato da tre torri cimate e mozzate nella merlatura, che il Conti fa risalire (pur con rimaneggiamenti e modifiche) al primitivo insediamento che ora funge al piano nobile della residenza, passando da una scalea coperta neoclassica, frutto dell'intervento (1835) dell'architetto torinese Cappello, chiamato dai Sella a metter mano all'ennesima ristrutturazione del complesso. La sensazione che si ha dalla lettura dei documenti (radunati con preziosa e serrata indagine delle fonti da Giancarlo Andenna, le cui pubblicazioni sono state utilizzate anche per stendere le presenti note) che menzionano a partire dal 1011 il castello e il villaggio di Vinzaglio, è che il primitivo fortilizio fosse poco più di un ricetto, dotato probabilmente di una torre o di una casaforte posta all'interno o su un lato del recinto fortificato. ...».
http://www.comune.vinzaglio.no.it/ComSchedaTem.asp?Id=1648
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