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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI PALERMO
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
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Altavilla Milicia (torre Colonna)
«La Torre Colonna di epoca successiva alle altre (per gli esperti, di età viceregia) sulla costa miliciota. Torre Colonna è di proprietà privata».
http://palermodintorni.blogspot.it/2012/07/le-tre-torri-di-guardia-di-altavilla.html
Altavilla Milicia (torre della Milicia)
«La torre aragonese è allocata sotto il belvedere di Altavilla Milicia. Al pari delle altre fungeva da torre di avvistamento di navi corsare. La torre della Milicia si può ammirare lungo lo svincolo dell'Autostrada PA-CT che conduce al paesino di Altavilla».
http://palermodintorni.blogspot.it/2012/07/le-tre-torri-di-guardia-di-altavilla.html
Altavilla Milicia (torre delle Mandre o torre normanna)
«La torre delle Mandre, conosciuta dai più con il nome di torre Normanna, è una struttura architettonica dell'Altavillese, in provincia di Palermo. Sebbene spesso impropriamente considerata, insieme ad altre due torri costiere di guardia, di epoca normanna, risale in realtà a periodi più tardi, nello specifico aragonese nel caso di torre delle Mandre e probabilmente viceregio quella di torre Colonna, che si trova leggermente più ad ovest. L'anno in cui per la prima volta viene attestata la sua esistenza in alcuni documenti storici è il 1557. In questo periodo infatti, le torri rispondevano alle necessità di difesa dagli attacchi dei corsari e pirati maghrebini che sempre più frequentemente saccheggiavano i territori costieri siciliani fra il XV e il XVII secolo. La struttura oggi è di proprietà privata. Le condizioni in cui si conserva sono buone e non presenta preoccupanti segni di degrado architettonico. La costruzione è ubicata su capo Crosso, tra i territori comunali di Altavilla Milicia (PA) e Trabia (PA), in un punto strategico e panoramico che consente una visuale che va da capo Zafferano fino ai territori costieri di Campofelice di Roccella».
https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_delle_Mandre
Bagheria (palazzo Aragona Cutò)
«Il fascino di questo palazzo è da ricondurre alla compostezza complessiva dei suoi volumi chiusi, massicci e squadrati, insolitamente alleggeriti da una loggia monumentale che ne sovrasta il tetto col suo belvedere sul golfo di Palermo. Costruito fra il 1714 e il 1716 per volontà del principe Luigi Onofrio Naselli di Aragona, l’edificio presenta sul frontone, ai lati dell’ingresso principale, due nicchie scavate con all’interno due statue in tufo, dense di significato allegorico; mentre i busti di leoncello, che decorano i timpani delle aperture principali, sono lo stemma araldico della famiglia. Si accede al piano nobile grazie ad un doppio scalone monumentale che collega i piani dall’interno, anziché esternamente dal cortile come nella maggioranza delle costruzioni residenziali. Decorazioni e rivestimenti in marmo rosso donano agli ambienti un tocco estetico raffinato e ricercato; le volte dei soffitti recano ancora visibili le tracce di pregiate raffigurazioni mitologiche. Nel 1991 il palazzo è acquistato dal Comune che, dopo i necessari restauri, ne ha riaperto i cancelli, adibendo i suoi spazi a biblioteca civica e sede del Museo del Giocattolo e delle Cere di Pietro Piraino. Dal 2004 è anche sede universitaria del DAMS di Palermo».
http://www.bagherianews.com/bagheria/le-ville-di-bagheria.html
Bagheria (palazzo Butera, villa Cattolica)
«Palazzo Butera. I lavori iniziano nel 1658, per volere di Don Giuseppe Branciforti conte di Raccuja (poi principe di Pietraperzia e Leonforte, cavaliere del Toson d’oro). Delle due torri merlate, poste a presidio dei cortili e dell’edificio d’impianto rettangolare, oggi sopravvive soltanto quella occidentale che reca, ancora oggi visibile sul suo frontone, la nostalgica scritta del principe “O Corte, a Dio”. La struttura viene ritrasformata nel 1769 con interventi di ampliamento ad opera di Salvatore Branciforte, principe di Butera (primo titolo del Regno e come tale comandante del braccio militare del Senato). Per suo volere avrà inizio la stesura del primo piano regolatore della nascente borgata; a lui si deve anche il taglio del Corso Butera, che avrebbe congiunto il Palazzo con il tratto della Palermo-Messina ed ai margini del quale, di lì a poco, prenderà forma una primitiva edilizia bassa, di impostazione gentilizia, tuttora riscontrabile. Nel 1863 vi ha sede il convitto Manzoni, prima struttura scolastica a Bagheria; successivamente il palazzo ospiterà le suore di San Vincenzo Figlie della Carità, fino a divenire oggi sede della Caritas cittadina e della mensa dei poveri. Dal 2005 il palazzo è di proprietà del comune di Bagheria. ... Villa Cattolica. Circondata da alte mura merlate, la villa si staglia, con la magnificenza di un “castello”, nel paesaggio all’ingresso nord di Bagheria. Il complesso nella sua odierna composizione, è frutto di stratificati adattamenti: da antica masseria fortificata, con baglio e torri qual era, a residenza estiva nobiliare, a pochi chilometri dalla capitale del viceregno. Edificata nel 1736 dal potente Francesco Bonanno, principe di Cattolica, la villa presenta un’architettura dalle linee squadrate, con due esedre parallele – da una di esse si diparte lo scalone barocco a doppia rampa che conduce al piano superiore. L’incavo dell’altra facciata ospita un’ampia terrazza panoramica con un loggiato sottostante, da poco restaurato. Dal 1973, a seguito di una generosa donazione da parte del maestro Renato Guttuso al comune di Bagheria, il piano nobile è sede della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, che, tra le tante opere, vanta la più corposa racconta di tele del pittore. Dal 1990, nell’esedra settentrionale è presente il sarcofago monumentale, disegnato dallo scultore Giacomo Manzù, che accoglie le spoglie di Guttuso, proprio in faccia al mare, come la volontà del pittore indicava. Nel 2006 anche il piano superiore viene restituito alla bellezza d’un tempo, ed adibito a spazio per l’esposizione fotografica dei nostri migliori artisti. Mentre gli spazi inferiori ospitano, insieme al laboratorio dei pittori di carretto dei fratelli Ducato e quello del maestro Durante sculture della pietra d’Aspra, una sezione cartellonistica dedicata alla cinematografia storica».
http://www.bagherianews.com/bagheria/le-ville-di-bagheria.html
«Torre Amalfitano sorge nell'entroterra bagherese presso il crocevia che collega la strada che va da Bagheria verso Misilmeri, la Contrada Lorenzo, la strada per Incorvino e la strada Vicinale. La sua costruzione risale al 1546 ad opera del viceré De Vega. Si ipotizza anche che sia stata costruita da Federico II e che accanto alla torre vi fosse una filanda per la lavorazione della seta e l'allevamento del baco. La torre presenta una pianta quadrata ed era costituita da un pianoterra, un piano superiore adibito a magazzino ed un terrazzo con delle merlature a coda di rondine. La sua funzione non era solo di difesa ma soprattutto essa era una torre d'avvistamento per le navi nemiche» - «La torre fu edificata intorno al XIII secolo. Inizialmente era caratterizzata da una pianta quadrata e presentava un pianoterra con cisterna per l’acqua, un piano superiore adibito a magazzino ed un terrazzo con merlature a coda di rondine. Nel 1546 fu riedificata dal viceré Juan de Vega e durante la prima metà del XVIII secolo fu trasformata in masseria da Ugo Notarbartolo di Amalfitano. Si pensa che accanto alla torre vi fosse originariamente una filanda, stabilimento in cui si procede alla filatura delle fibre tessili, per la lavorazione della seta e per l’allevamento del baco».
http://www.trasfigurazione.diocesipa.it/le_torri.pdf - http://citbagheria.it/le-torri
Bagheria (torre di Mongerbino)
«Nei periodi più antichi la denominazione assunta era quella di “Bongerbino”. Si alzava al di sopra dell’omonimo capo, alla punta nord della costiera dell’Aspra, e dalla sua eminente posizione aveva buona corrispondenza con le torri Zafferana e Acqua dei Corsari. Anche quest’ultima torre senatoria palermitana, dovette avere vita parallela a torre Zaffarana, se nelle due lettere di Vega già citate si parla delle torri che “si fabricano in lo capo di Bongerbino et […] di Zafarano”. Doveva però trattarsi (e questo vale anche per Zaffarana) di semplici riparazioni se la torre è già considerata in esercizio in un documento del 1549. In un’altra lettera del gennaio 1550 lo stesso vicerè accenna a questa e ad altre torri senatorie, “havendosi per molte vie [saputo] del preparativo della armata che have fatto il Corsale Dragutte rays, sicché ordina di far la guardia, tanto de notte come de giorno […] che conviene con signale de foco la notte et de giorno di fumo quando se scuopessere vele de remo”. Di essa il Villabianca scrive: “Torre di guardia sul capo alzata detto Mongerbino, che sporge nei mari del littorale della baronia di Solanto. Tiene ella di Mongerbino sua appellazione perché edificata a piè del monte Gerbino e nel Capo di Marina di esso Monte, come sopra, tra le torri dell’Acqua dei Corsari del Capo di Zaffarana in distanza che più che otto miglia dalla città di Palermo. è una delle torri senatorie di detta città”. Fino a pochi anni fa la torre era ancora al suo posto, secondo il ricordo di chi ne riferisce».
http://www.sicilie.it/sicilia/Bagheria_-_Torre_di_Mongerbino
«Le torri sparse nelle campagne del territorio di Bagheria risalgono al XV secolo. Successivamente intorno a queste torri vennero realizzate delle masserie che erano adibite all’allevamento del bestiame e all’agricoltura. Elenco: Torre Amalfitano. ... Torre Bellacera. Torre Bellacera è una torre agricola. Fu costruita nel XVI secolo da Anfusio Bellacera, un imprenditore agricolo di canna da zucchero. Nel XVIII secolo la torre fu trasformata in una casina residenziale caratterizzata da una terrazza a belvedere e una cappella. Torre Chiarandà. Torre Chiarandà è una torre agricola risalente al XVI secolo. Attualmente si trova in stato di totale abbandono. Torre Cordova. Torre Cordova è una torre difensiva. Sorge nel XVI secolo per la difesa dei terreni appartenenti alla famiglia La Grua che si estendevano lungo il corso del fiume Eleuterio. Il piano terra era adibito a magazzino mentre il piano superiore come l’abitazione. Torre Ferrante. Torre Ferrante è risalente al XVI secolo. È nota per essere stata abitata dal rivoluzionario Andrea Cuffaro, patriota italiano di origini Bagheresi, che nel 1565 aprì il fuoco sui soldati dalla Torre Ferrante. Attualmente è inglobata nel tessuto urbano di Bagheria. Torre Mortillaro. Fu realizzata per volontà del marchese Mortillaro durante il XIX secolo. A causa dell’espansione urbanistica bagherese la torre non è più esistente. Oggi a fianco del Corso Butera è rimasto uno dei due pilastri in calcarenite che permetteva l’accesso alla tenuta Mortillaro. Torre Parisi. Torre Parisi è risalente al XVII secolo. Si tratta di una grande torre rustica con fornice, grande apertura destinata al transito pubblico, che presenta un affresco raffigurante il Padreterno. Torre Roccaforte. Torre Roccaforte è una torre agricola risalente al XVI secolo. Durante il XVIII secolo fu inglobata all’interno di Villa Roccaforte di proprietà dei principi Cottù, che erano marchesi di Roccaforte»
http://citbagheria.it/le-torri
Bisacquino (castello di Battellaro o Patellaro)
«Il complesso fortificato di Battellaro (Comune di Bisacquino, PA) sorge su un’altura isolata a quota m 561 s.l.m. è raggiungibile dalla SP 44 bis (ex Regia Trazzera del Patellaro) che collega Bisacquino a Contessa Entellina. La prima attestazione del castello è contenuta in Idrisi (1154): "Battalari, castello [hisn] primitivo, [unisce] all’antichità della costruzione, bellezza e validità alla difesa". Fu feudo di tal Goffridus Battalarius o Goffredo de Battallerio. Alla sua morte le terre tornarono alla Corona, che nel 1178 le concesse all’abbazia di S. Maria la Nuova di Monreale. Nel XIII sec. il sito attraversò probabilmente una fase di decadenza. La Cronaca di Michele da Piazza, ci informa della costruzione di una nuova arx a Battellaro nel 1353. Un abitato di 48 fuochi è attestato nei dintorni del castello tra il 1374 ed il 1413. Nel 1392 re Martino ordina al conte Guglielmo Peralta di restituire il castello all’abbazia di Monreale, che ne rimarrà proprietaria fino al 1812, anno della promulgazione della Costituzione siciliana. Dopo questa data, Battellaro ed il suo territorio passano al Demanio dello Stato per essere poi acquistati dal barone Orazio Fatta della Fratta. Nel 1955 la proprietà viene suddivisa fra diversi proprietari. Battellaro appare oggi come una masseria in pessimo stato di conservazione. Il sito si articola su due livelli ottenuti mediante tagli del rilievo calcarenitico ed è circondato da una cortina muraria che segue la morfologia del rilievo. La cinta è munita di tre torri, collocate sul lato ovest e conservate in elevato per circa 7 m. Esse si differenziano tra loro per morfologia e caratteri costruttivi. Due hanno pianta quadrata e pareti dello spessore di 1,25 m, l’altra ha pianta pentagonale e pareti spesse 1,4 m. Un’ulteriore torre, definita “d’avamposto”, è collocata a nord est, al di fuori del perimetro della cinta. La parte residenziale del complesso, situata a nord, si sviluppa su due piani ed è il risultato di diverse addizioni di corpi di fabbrica. A sud si trovano magazzini e case. Allo stato attuale, risulta impossibile individuare, se non per grandi linee, l’impianto originario e le successive trasformazioni strutturali e funzionali, che, nel corso dei secoli, hanno determinato la pluristratificazione del complesso. ...».
http://download.sns.it/labarcheo/erice09/Poster_Mangiaracina_light.pdf
a c. di Vita Russo
«La Torre Alba, detta anche Torre di Cala Rossa, è una torre di difesa costiera che faceva parte del sistema di Torri costiere della Sicilia, e si erge in località compresa tra Cala Rossa e Cala Bianca, in provincia di Palermo ricadendo nel territorio comunale di Terrasini. La torre nel 1578 al momento della ricognizione di Tiburzio Spannocchi non era stata ancora costruita, Camillo Camilliani nel predisporre il progetto nel 1586 l'aveva prevista come torre circolare con una scarpata nella parte inferiore e con base troncoconica. La torre esistente è invece a base quadrata con mura merlate sulla terrazza. Nel 1589 la torre era già stata completata ed era stata posta a carico della Deputazione del Regno di Sicilia, sempre da tali ultimi atti risulta che nel 1594 vi prestassero servizio tre uomini, e che la torre era stata posta sotto la responsabilità e soprintendenza di Carini. La contabilità dei salari dei torrari riporta che la torre fu continuamente presidiata per tutti gli anni 1619, 1714, 1717, 1797. Dal 1804 la soprintendenza passò al Principe di Carini, infine nel 1867 essa è ricompresa nelle fortificazioni da dismettere. A partire dal 2000 sino a tutto il 2007 è stata sottoposta a restauri e si presenta quindi , ora in ottimo stato. Faceva parte del sistema difensivo di avvistamento di naviglio saracene ed era in collegamento visivo ad est con la Torre Mulinazzo e con la Torre di Capo Rama ad ovest. La torre presenta il tipico aspetto "camillianeo", al basamento il lato è di metri 8,82 c.a., ed alta circa 15,70 metri, la terrazza è merlata con mensoloni su ogni lato che sicuramente sorreggevano i parapetti ormai scomparsi. La porta si apre a sud, con un arco a tutta volta, e non è provvista di scala, mentre le finestre contrariamente all'usuale si aprono solo su tre lati, essendone sprovvisto il lato est. La cisterna appare intatta e non "traforata" alla base come accade in altre torri purtroppo vandalizzate. Il tetto del primo piano è con volta a botte. La proprietà è privata».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Alba
Caltavuturo (castello di Terravecchia)
«Caltavuturo é dominata da un’imponente rupe, sulla cui sommità vi è un antico abitato abbandonato, completamente immerso nella natura: Terravecchia. Le sue origini si perdono nel buio dell’alto medioevo; occupato dai musulmani in età araba, venne da essi denominato Qal’at Abū Thawr da cui Caltavuturo. ... Destinato a ricoprire un ruolo strategico e difensivo già nel periodo dell’invasione musulmana in Sicilia, il castello di Terravecchia era già probabilmente edificato sotto i Bizantini e ubicato sulla sommità dell’antica rocca che sovrasta il moderno abitato. Le prime attestazioni dirette le abbiamo tuttavia soltanto nella metà del XII secolo; ce le fornisce il geografo arabo Al Edrisi, che accenna a Caltavuturo come “forte castello e popolato”, e poco tempo dopo in un documento viene citato un tale Riccardus “castellano”, cioè reggente del castello, di Caltavuturo. L’abitato, però, posto in quel luogo, se da un lato offriva un’ottima difesa contro i nemici, dall’altro presentava alcuni svantaggi, come il difficile approvvigionamento d’acqua e un’espansione urbana limitata; fu così che già attorno al 1500 alcuni abitanti cominciarono a costruire le prime case fuori dalla cerchia muraria, in direzione sud, nel luogo in cui sorgerà la nuova città. Al primo nucleo di case e viuzze presto se ne aggiunsero altre, e così il nuovo borgo prese il nome di Terranova, mentre l’antico l’abitato di Terravecchia veniva totalmente abbandonato intorno al 1750. Il sito di Terravecchia è stato recentemente ripristinato, e presenta, anche se sempre in stato ruderale, splendide testimonianze dell’antico abitato medievale, tra le quali emergono i resti dell’imponente castello, numerose abitazioni, una grande struttura absidata, identificata con la chiesa di San Bartolomeo e citata dalle fonti scritte del tempo e, infine, alcuni grandi ambienti, o dammusi, tutti coperti con volte a botte e adiacenti tra di loro, utilizzati come magazzini per la conserva delle derrate alimentari. Il sito é accessibile da un sentiero in pietra attraversando il quale si possono ammirare anche i tradizionali recinti in pietra (mànnari), utilizzati un tempo dai pastori del luogo, vera testimonianza storica, di un’archeologia pastorale ormai in disuso».
«Il castello occupa il punto più elevato all'estremità sud-est dell'altopiano roccioso (m 703 s.l.m.) della Terravecchia, la rupe che sovrasta 1'attuale cittadina di Caltavuturo e che fu sito della 'terra vecchia', il centro abitato medievale. Di quest'ultimo, in origine circondato interamente da mura, rimangono in particolare i resti di due edifici chiesastici e una serie di ambienti seminterrati. L'area e stata sottoposta alcuni decenni fa ad un folto rimboschimento. Descrizione: il castello, ormai allo stato di rudere, impegna una superficie di circa 1000 mq. Oltre ad una cisterna nella zona nord-ovest e ad alcune strutture parzialmente visibili sul terreno, rimangono soltanto le mura perimetrali, conservatesi per 7/10 m di altezza (ad eccezione del muro meridionale completamente crollato), e tre torri.: due rettangolari e una semicircolare. Tutto il fronte orientale poggia su una massa rocciosa emergente su cui sono visibili manufatti murari relativi a partizioni interne. Le mura perimetrali, spesse da 1,50 a 2 m, sono realizzate con pietrame calcareo informe o appena sbozzato, cementato con malta. I cantonali sono costruiti con conci scelti e ben squadrati. Una serie di fori con frammenti di travi al loro interno denota l'esistenza di ambienti con solai lignei o di camminamenti, mentre accenni di volte in pietra si individuano nelle torri. La poca consistenza dei resti e la mancanza di fonti documentarie non consentono di seguire le vicende costruttive del manufatto. Non e possibile distinguere gli spazi aperti da quelli chiusi; ne esiste un qualsiasi riscontro per l'individuazione della porta d'accesso che, comunque, è verosimilmente da ipotizzare sul lato meridionale. L'attuale configurazione del castello e comunque, certamente, il risultato di una serie di ampliamenti e trasformazioni apportate nel corso del tempo al corpo di fabbrica, in stretta relazione con la sua importante posizione strategica e con l'esistenza del borgo fortificato».
http://www.fondazioneborgese.it/sito2/attachments/041_CALTAVUTURO.pdf - http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=148
Campofelice di Roccella (castello, torre Roccella)
«Il castello di Roccella, ubicato in riva al mare nel Comune di Campofelice di Roccella in provincia di Palermo, conserva le tracce della sua antica imponenza, testimoniata alla fine del XVI secolo da un disegno di Tiburzio Spannocchi e da un acquarello di Camillo Camiliani. Erano stati redatti per fini militari su incarico della Deputazione del Regno di Sicilia che riteneva necessario procedere con urgenza all’esplorazione delle marine siciliane per riorganizzare la difesa militare contro il pericolo turco e piratesco. Il castello di Roccella faceva parte integrante di questo progetto difensivo poiché si trovava in un sito da sempre valutato di grande importanza strategica per la penetrazione verso l’interno dell’isola. Il luogo, nel significato intrinseco e nel contesto topografico, ha tutte le caratteristiche per poter essere associato alla località Roccamaris elencata nel diploma di fondazione della Diocesi di Troina (anno 1082) tra quelle concesse dal Conte Ruggero alla nuova Diocesi (R. Starrabba, Contributo allo studio della Diplomatica Siciliana, Palermo 1893, pp.19-20). Viene anche identificato con il toponimo arabo Saharat al Hadid – al quale è stato attribuito il significato di Rupe di Ferro – del quale parla il geografo Edrisi intorno all’anno 1139 ponendolo a dodici miglia dalla fortezza di Brocato e descrivendolo come un picciol casale con forte in cima della Rupe, la quale si avanza scoscesa d’ogni banda su la spiaggia del mare (Michele Amari, Biblioteca Arabo-Sicula, Edrisi, Torino 1880). Descrizione che corrisponde al luogo, e che è sempre una Rocca sul mare. Alcuni studiosi ritengono che il sito esistesse prima del periodo normanno.
Notizie documentali circa l’esistenza di un castello a Roccella sono contenute in una pergamena conservata nel monastero di Montevergine, della quale dà notizia Raffaele Noto in La Roccella e il suo territorio nei secoli XII e XIII. è dell’anno 1218 e vi si legge che il vescovo di Cefalù Arduino concede al monastero di Montevergine “il luogo nel quale sorge il castellum di Roccella e consente che ivi si costruisca una chiesa dedicata alla Vergine”. Il sito, nei primi decenni del XIII secolo, alterna l’appartenenza alla Chiesa all’appartenenza alla Contea di Collesano, e vi risulta l’esistenza di mulini, di un hospitalis (ospizio per l’accoglienza dei pellegrini) e di due chiese, la prima attestata nel 1135 sotto il titolo di S. Giovanni e la seconda nel 1232 sotto il titolo di S. Maria. Nel 1350 il vescovo di Cefalù, Nicola, come ci racconta Rocco Pirri, dice di essere infastidito da uomini nobili e potenti che vogliono estorcere la Roccella. Nel 1371 troviamo attestati un caricatoio e la forte influenza di Francesco Ventimiglia, conte di Geraci e Collesano, al quale 5e Federico IV d’Aragona concedeva di poter liberamente estrarre ogni anno duemila salme di frumento dallo scalo di Roccella. Il possesso legale sarà formalizzato il 27 dicembre 1385 con una permuta con la quale la chiesa cedeva il tenimento della Roccella a Francesco Ventimiglia ottenendone in cambio il feudo di Albiri. Dal documento risulta che il Ventimiglia aveva già costruito (o ricostruito) il castello. Roccella apparterrà alla famiglia Ventimiglia, dei due rami di Geraci e Collesano, fino all’anno 1418 quando, dopo un memorabile atto di forza, la Curia Regia lo avoca a sé. Nel 1440 Re Alfonso lo dona nuovamente ai Ventimiglia, che ne rimangono in possesso sino a fine secolo, quando rientra nel demanio regio.
Nel 1507 la Corona vende il castello ed il territorio di Roccella ad Antonio Alliata, che nel 1508 amplia i suoi possedimenti acquistando anche il feudo di Bonfornello. Gli Alliata introdussero nel territorio consistenti innovazioni agricole con l’impianto di cannameliti e trappeti per la produzione dello zucchero, che dal caricatore intraprendeva anche lunghi viaggi verso paesi come la Francia, l’Inghilterra e le Fiandre. Il Borgo del castello era il fulcro di tutte le maestose attività del feudo. Successivamente fu introdotta anche la coltivazione del riso. Gli Alliata rimasero in possesso dei due feudi fino alla metà del seicento, quando, per la concomitanza di più eventi sfavorevoli riguardanti sia l’economia dei feudi che la sfera personale, perderanno prima il feudo della Roccella e qualche decennio dopo anche quello di Bonfornello. Il feudo ed il castello di Roccella, dopo alcuni passaggi giudiziari, viene infine acquistato da una suora Terziaria dell’Ordine di San Francesco, suor Maria Rizzo, per persona da nominare. L’acquirente designato sarà Gaspare La Grutta, che avanzerà alla Corona la richiesta di una licentia populandi. Gli viene accordata il 18 dicembre 1699 e gli consente di impiantare sulla collina soprastante un abitato al quale viene dato il nome di Casale di Roccella. Pochi anni dopo, nel 1708, il castello e la baronìa diventano proprietà di Antonio Marziani, Principe di Furnari. è rimasto di proprietà privata fino ai giorni nostri. Il 29 gennaio 2008 il Comune di Campofelice di Roccella acquistava la Torre-fortezza e parte dei ruderi del Borgo.
Struttura della Torre superstite. La Torre ha forma rettangolare, una altezza complessiva di circa venti metri e un coronamento a beccatelli. è solcata da tre riseghe che all’esterno indicano la partizione in tre parti. Alle pareti basamentali venne aggiunta, per motivi difensivi, una scarpa in pietrame. L’ingresso originario alla Torre avveniva tramite una porta posta al primo piano sul lato nord. Il piano terra, originariamente raggiungibile dall’alto, è coperto da una volta a botte a tutto sesto ed è diviso in due campate da un arcone ogivale. Un foro nel pavimento fa intravedere una cisterna. Il soppalco venne probabilmente inserito successivamente alla realizzazione dell’ambiente. Al primo piano si notano finestre con profilo arcuato a tutto sesto ed un soffitto ligneo retto da diciannove travi sorrette da mensole lignee intagliate con motivi diffusi nell’architettura siciliana del trecento. Le travi originali sono state vandalicamente asportate nel secolo scorso quando il manufatto giaceva in una condizione di estremo degrado. Il secondo piano è coperto da due ampie volte a crociera su pianta quadrata, con costoloni e divise da un arcone ogivale. Nell’angolo nord-ovest vi è un camino con cappa bombata che in parte copre la nervatura. In questa sala troviamo più volte rappresentato lo stemma della famiglia Ventimiglia. Una scaletta conduce alla terrazza che controlla un vasto territorio, e dalla quale si possono scorgere i resti dell’antico Borgo e l’impianto dell’acquedotto, struttura che è testimonianza dell’eccezionale livello produttivo della baronia di Roccella nel passato».
https://sicilianticacampofelice.wordpress.com/castello-di-roccella (a c. dell’Associazione SiciliAntica, sede di Campofelice di Roccella)
«A Capo Rama si ritrovano vestigia che attestano la presenza dell'uomo e l'utilizzo che nei secoli è stato fatto di questo promontorio: muretti a secco che tracciano geometrie tra la vegetazione arbustiva, resti di vetusti ripari che dimostrano un’antica frequentazione del sito, i segni più recenti di una cava di pietra, di una probabile calcara, della presenza di pagliericci, di attività agricole e pastorali. Un fortino militare e una casetta in pietra e malta risalenti al secondo grande conflitto tramandano la memoria di un triste passato. Il manufatto più vistoso, divenuto il simbolo della Riserva, è rappresentato dalla torre di avvistamento che si innalza all’estremità di Capo Rama. La torre, che dal promontorio ha ereditato la denominazione, è stata una delle prime a sorgere sul litorale siciliano e rappresenta il manufatto più antico esistente nel territorio comunale di Terrasini. Fu Martino il Giovane nel 1405 a prevederne la costruzione in questo luogo che lo stesso Re di Sicilia individuò per la valenza strategica. La pianta circolare, le dimensioni modeste della struttura e la semplicità delle forme sono, infatti, caratteristiche architettoniche in uso nel XV secolo. La torre venne costruita per avvistare le imbarcazioni pirata e segnalarne la presenza attraverso i fani e risulta inserita in tutti gli elenchi ufficiali delle torri che costituivano il complesso e articolato sistema di avvistamento costiero. La torre di Capo Rama faceva parte delle 11 torri controllate dal Senato della Città di Palermo, di cui rappresentava anche la più occidentale. Al suo interno prestavano servizio due guardiani o torrari, ma in alcuni periodi vi erano tre uomini, che si avvicendavano nella vigilanza. Anche se parzialmente diroccata, la torre conserva intatto il suo fascino e il suo valore storico e architettonico. La Torre è stata oggetto di due interventi di consolidamento, i cui progetti sono stati realizzati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Palermo: il primo nel 2005 al fine di mettere in sicurezza il manufatto, il secondo, iniziato nel 2007 e terminato nel 2008, ha reso possibile il recupero della volta e di tutta la struttura».
http://www.siciliasud.it/luoghi-Capo%20Rama
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Dopo secolare degrado il Castello sta cominciando a rivivere e a suscitare quel fascino che lo ha reso famoso, grazie ai restauri effettuati negli ultimi dieci anni. "Carinis dominata da una fortezza di recente costruzione": così Al-Idrisi (1099-1166 ), scrittore arabo di scienze naturali, mediocre poeta, ma soprattutto geografo, scriveva nel suo libro, rimasto famoso con il nome di Kitab Rugiar (Il Libro di Ruggero), terminato nel 1154, ossia nell'anno stesso in cui Ruggero II moriva. L'edificio viene eretto tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo, su una costruzione precedente sicuramente araba, ad opera del primo feudatario normanno Rodolfo Bonello, guerriero al seguito del conte Ruggiero. Dagli scavi condotti nel corso del recente restauro, sia nel lato est che in quello nord, sono affiorate strutture murarie di epoche precedenti a quella normanna. Nel 1283, sotto il regno di Costanza d'Aragona, il Castello passa alla famiglia Abate che lo detiene per circa un secolo. Questa famiglia comincia a trasformare la struttura difensiva in ambienti quasi residenziali. Nel XIV secolo il feudo di Carini passa alla famiglia dei Chiaramonte. è nel 1397, che a Catania Re Martino il giovane, in cambio dei servigi resi, concede ad Ubertino La Grua di Palermo, Maestro Razionale del Regno, per se e per i suoi eredi successori la terra di Carini con tutti i suoi diritti e pertinenze. Due atti di notai attestano che nel Castello furono fatti restauri: uno, nel 1484, l'altro nel 1487, ad opera del maestro Masio de Jammanco, da Noto, cittadino di Palermo. Questi si obbligava col magnifico Guglielmo Talamanca, come tutore di D. Giovanni Vincenzo La Grua, barone di Carini di "dimorare a Carini per eseguire delle fabbriche nel Castello della stessa università ed altrove, per un anno continuo e completo, dal 2 ottobre in poi, per 11 onze, e mangiare e dormire per tutto il tempo".
Per raggiungere il Castello basta percorrere il Corso Umberto I e salire i gradini della Badia. Si hanno così, davanti, la porta e le possenti mura medievali dell'XI e XII secolo che un tempo tracciavano l'antico borgo. Elementi arabo/normanni sono riscontrabili anche nella seconda porta del Castello, dove l'arcata a sesto acuto ne prolunga lo slancio. In alto, a sinistra della porta, si scorge uno scudo, probabilmente della famiglia Abbate, mentre uno stemma dei La Grua Tocco Manriquez, che si trovava sopra la porta, è oggi (dopo il restauro), nei depositi comunali. Entrando, una caditoia, impediva l'ingresso ai nemici. Una grande corte apre la visuale della bellissima facciata interna, un tempo intonacata, oggi a faccia vista per mostrare gli stili delle varie epoche, per renderla omogenea al gusto rinascimentale cui si riferiscono i portali delle finestre e del portone di ingresso del piano superiore; come anche i quattro portali del piano terreno. Il secondo, partendo da sinistra, ha sostituito un'apertura trecentesca a sesto acuto con sguanci. I portali sono sormontati da stemmi raffiguranti la gru, simbolo della famiglia La Grua; altri mostrano tre zolle di terra, probabilmente simbolo dei Chiaramonte. In quello del salone del piano superiore troviamo anche due leoni rampanti, simbolo dei Lanza. Inoltre tre pentafoglia circondano la gru, come simbolo di fortuna. Entrando al piano terreno una stanza con volta a crociera contiene un muro a faccia vista (prosegue nella stanza successiva ) che originariamente era un muro esterno. In questo sono visibili delle finestre e una porta d'ingresso a sesto acuto con sguanci della vecchia struttura medievale. Un'altra stanza priva del piano di calpestio mostra le fondamenta di strutture precedenti. ...».
http://www.comune.carini.pa.it/castello.asp
a c. di Vita Russo
CASTELDACCIA (castello del duca di Salaparuta)
«Il castello del duca di Salaparuta sorge al centro di Casteldaccia e con la sua medievale maestosità domina sul golfo antistante il paese. Probabilmente si stratta del monumento più antico presente sul territorio casteldaccese, infatti la sua costruzione si ritiene avvenne intorno al 1400. La torre di avvistamento con baglio e masseria rappresenta una struttura fortificata finalizzata alla protezione della popolazione. Sulla sommità della torre d’ingresso al castello, infatti, è possibile ammirare dei merli tipici dell’architettura militare medievale. Essi richiamano la forma dei tipici merli ghibellini con la caratteristica forma a coda di rondine, i quali avevano funzione protettiva sia durante la fase di attacco che di difesa. La torre di avvistamento si componeva di magazzini, stalla, pagliarola, palmeto e corpi vari utilizzati come abitazioni. L’accesso principale al castello avviene attraverso un arco che si affaccia sulla piazza Matrice. La volta dell’ arco presenta un affresco che si è preservato fino ai giorni nostri. Il castello durante i secoli XV, XVI, XVII, XVII appartenne a varie famiglie nobiliari siciliane fra cui gli Alliata, Termini, Catena, Filangeri fino a quando, il 5 gennaio 1737, Ignazio Vincenzo Abate marchese di Lungarini stipulò il contratto con d’acquisto di 24 salme e 6 tumuli ed un quarto di terre situate in località “Castellazzo”. Agli inizi del 1900 la famiglia degli Abate si incrocia con quella degli Alliata. Una delle discendenti del Marchese di Lungarini, tale Felicia Lo Faso, sposò Eduardo Alliata, Duca di Salaparuta. Eduardo Alliata ricevette il titolo di duca di Salaparuta dal padre Giuseppe che nel 1824 fondò l’Azienda Vinicola Corvo. La lunga discendenza dei Lungarini che si incrocia con quella degli Alliata ci permette di capire le origini della scritta che campeggia sul prospetto della torre medievale. Eduardo Alliata fu un grande enologo del tempo e riuscì a migliorare ed incrementare l’azienda avviata dal padre. L’azienda in espansione necessitava di cantine capienti dove allocare le botti di rovere in cui far fermentare il vino, a seguito di questa necessità; Eduardo, fece costruire all’interno del Castello delle cantine che però sono andate distrutte negli anni. Nel 2000 la torre con baglio viene acquistata dal Comune di Casteldaccia e grazie al finanziamento P.O.R 2000/2006 vengono avviati i lavori di restauro».
https://triscelecult.wordpress.com/castello-del-duca-di-salaparuta
CASTELDACCIA (torre di Chiarandà)
«...Altre torri punteggiavano il territorio di quella che solo un secolo prima era stata la foresta della Bacharìa ed ora gradualmente si andava popolando e veniva messa a coltura, soprattutto con vigneti e canna da zucchero che faticosamente si facevano spazio fra “terre inculte et boscaritie”, quando non addirittura “pirriere”. Origini quattrocentesche ha avuto la grande torre rusticana di Castel dell’Accia (Casteldaccia), antico feudo dell’Accia, divenuta poi ingresso al castello baronale dei marchesi Abbate di Lungarini, colonizzatori del feudo; a monte tra Casteldaccia e Bagheria sorgeva la torre rusticana Chiarandà, oggi in rovina, centro di una masseria cinquecentesca scomparsa da tempo; nel feudo di Giampilieri si ergeva una grande torre di avvistamento con fornice affrescato attorno al cui nucleo, nei secoli successivi, con l’aggiunta di corpi adiacenti, si sarebbe formata villa Valdina, una delle ville più note ed antiche della campagna bagherese. Altre torri rusticane erano sorte nel corso dei secoli XV e XVI in una campagna a quel tempo infestata da pirati e briganti, campagna poi divenuta centro della moderna Bagheria. ... La torre agricola di Chiarandà, nell’entroterra di Santa Flavia ( raggiungibile dalla provinciale n. 16), ricorda i tempi della grande masseria cinquecentesca. Posta al centro di un cortile circondato da mura, era difesa da quattro bastioncini angolari: oggi ne rimane uno solo, di forma circolare. Il fiorente agrumeto di torre Chiarandà costituisce l’ultima fase di una trasformazione agricola del territorio che ha visto l’avvicendamento della canna da zucchero (all’epoca della torre), dei vigneti e, in ultimo, del limoneto, in auge fino agli anni Sessanta».
http://www.darioflaccovio.it/pdfdescr/283-DF9064.pdf (da Giulia Sommariva, Bagheria il territorio e le ville, Dario Flaccovio Editore)
a c. di Vita Russo
a c. di Vita Russo
«Diversi sono i reperti presenti nella zona ed attestanti, tra l'altro, proprio il periodo ellenistico-romano della località. Tra questi si possono citare innanzitutto le mura di fortificazione, il Tempio di Diana presente nella Rocca, i resti di alcune strade che colpiscono soprattutto per la loro ricca pavimentazione e che attualmente presentano una organizzazione urbanistica molto regolare e la presenza di vicoli medievali, la necropoli con numerose tombe, alcune delle quali monumentali, che abbracciano un periodo storico che va dal IV al I secolo a.C. La cinta muraria di fortificazione che, nonostante la sua antichità, è ancora in un buono stato di conservazione e contribuisce a dare a Cefalù un aspetto di roccaforte inespugnabile. La sua struttura è completata dalla presenza di torrette e bastioni dei quali occorre citare i resti di una torre la cui parte inferiore è stata inglobata nella Chiesa della Madonna della Catena ed il bastione Marchiafava. La parte meglio conservata, anche grazie a lavori di ristrutturazione prolungatisi nei secoli, della cinta muraria di fortificazione è quella a nord dove si possono ammirare dei resti rinvenuti attraverso degli scavi archeologici. Altro aspetto della cinta muraria è la presenza della Porta Marina o Pescara la solitaria superstite delle storiche ed originarie quattro porte che interrompevano la cinta muraria stessa e che permettevano l'ingresso in città. Le mancanti porte d'accesso erano denominate "Porta Terra", "Porta d'Arena o d'Ossuna", "Porta della Giudecca". La superstite è costituita da un arco gotico e permette la visione di un bel panorama a ridosso sul mare».
http://www.sicilyrentboat.com/marshrutyi/arenda-yaht-v-chefalu-ekskursii-i-istoriya-chefalu.html
«Residenza cefalutana dei marchesi di Geraci, costruita su antiche preesistenze, si compone di diverse parti: un nucleo iniziale, il palazzo "bicromo" (seconda metà del XIII sec.); il corpo contenente la torre (primi decenni del XIV sec.) ed altre parti oggi inglobate nelle costruzioni adiacenti» - «Di origine normanna è il complesso della cosidetta Osterio Magno, tanto che alcuni ritengono che sia stato costruito per volere di Ruggero II, come sua residenza privata. Esso aveva l’ingresso principale sulla via Amendola e all’interno era dotato di un’ampia corte, dove era collocato lo scalone che portava al piano nobile. Attualmente in una sala al pianterreno si trovano i ruderi di un pozzo. Sono ben individuabili i resti delle mura della torre quadrangolare. Divenne di proprietà della famiglia Ventimiglia nel XIV secolo. Questi avviarono lavori di ampliamento, restauro e ristrutturazione dell’esistente. Va detto che l’Osteria Magno è sempre stata oggetto di modifiche, tanto che si contano ben tre fasi storiche di lavori effettuati sul complesso. La prima fase risale, addirittura, all’epoca normanna. La seconda fase è rappresentata dalla sopraelevazione della citata torre quadrangolare, con un’elevazione di ben tre piani in altezza. La terza riguarda la costruzione del Palazzetto bicromo, al cui interno sono conservate bifore e trifore della seconda metà del XIII secolo. Nella prima parte del Seicento il palazzo fu rivenduto ai frati domenicani. Attualmente è frammentato in appartamenti e botteghe. Durante i lavori di restauro dell’interno, effettuati nel 1989, sono stati ritrovati resti antichissimi: parte di edifici di epoca ellenistica, monete di bronzo risalenti al IV secolo a.C. e numerose ceramiche. Tra gli altri spicca un bellissimo bacile decorato con un leone araldico del XIV secolo».
http://www.calanica.it/EN/Cefalu.aspx - http://www.celeste-ots.it/celeste_files/cefalu_monreale/cefalu_monreale_6.htm
«Il Palazzo Maria è tra i più antichi di Cefalù. Si ritiene risalga al XIII secolo e sia stato luogo dell'antico Palazzo Comunale. Nel 1599 divenne di proprietà della famiglia Maria, dei baroni di Alburquia (da cui deriva il nome), che vi presero residenza in quell’anno. Nell’Ottocento fu adibito a convitto maschile. Attualmente è frammentato in abitazioni private. Ebbe diverse trasformazioni, come l’apertura al piano terra di negozi, nel Cinquecento, e la sopraelevazione di un piano nell’Ottocento. Originariamente il piano nobile era contrassegnato sul prospetto principale da una successione di bifore, mentre lateralmente presenta una finestra ogivale, di tipo catalano, con ghiera decorata a fogliame. Il portone d’ingresso manifesta tutta la sua origine medievale: di tipo ogivale, presenta blocchi squadrati e cordoli concentrici, il tutto tenuto da due leoni. Il Palazzo Atenasio Martino dei baroni di Rocca e Valdina, risale al XV-XVI secolo e venne edificato su volere della famiglia Burragato. è situato nella piazza del Duomo. Fu ampliato, con l’inglobamento di edifici adiacenti, nel XVI secolo, dalla famiglia Ruffino, nuovi proprietari. Nel tempo vi si sono succedute diverse famiglie nobiliari, sia per acquisto che per testamenti. L’edificio, sostanzialmente posto solo sul piano nobile, circondava una corte interna con pozzo. In questa vi era un'imponente scalone di accesso al piano superiore. Palazzo Atenasio fu sopraelevato e modificato nel XIX secolo, con l’occupazione parziale dell’antica corte interna. Si presenta all’esterno con un portale in tufo ottocentesco. Il Palazzo Pirajno, situato anch’esso in piazza Duomo, è sorto verso la fine del XVI secolo. Costruito su volere della famiglia nobile Leone Muratori, passò, successivamente, a quella dei Pirajno di Mandralisca. Il progetto del prospetto principale denota l’origine tipicamente cinquecentesca. Su di esso spicca il portone d’ingresso bugnato con conci in tufo giallo. Il cortile interno mantiene l’ispirazione all’architettura catalana del periodo. La scala, che sale al piano nobile, è, infatti, addossata al muro opposto all’ingresso. Accurati mensoloni scolpiti reggono, tuttora, il ballatoio di disimpegno. Sono ancora presenti al suo interno saloni con soffitti a cassettoni lignei».
http://www.celeste-ots.it/celeste_files/cefalu_monreale/cefalu_monreale_6.htm
Cinisi (torre dell'Orso o della Tonnara dell'Ursa)
«La pesca del tonno ha in Sicilia origini antichissime, essendo attestata già in età greca e romana. Durante la dominazione araba l'impianto di tonnare lungo le coste siciliane era esente da autorizzazioni, mentre nel periodo normanno l'esercizio privato della pesca del tonno venne subordinato a concessioni regie, poiché apparteneva al demanio il litorale marittimo. Una di queste concessioni fu data il 19 marzo 1344 dal re Ludovico di Sicilia al "miles" Corrado de Castellis, per impiantare una tonnara alla marina di Cinisi. È questa l'attestazione più antica sull'esistenza di una tonnara sulla costa dell'Orsa. L'origine del nome ha dato luogo a fantasiose affermazioni sulla presenza di orsi a Cinisi ma, più verosimilmente, secondo lo studioso Girolamo Caracausi, sembra che il nome derivi dal nome proprio femminile "Orsa". Il 15 maggio del 1491 il monastero di San Martino cedette in gestione temporanea la tonnara al palermitano Matteo La Chimia, ma la gestione dovette risultare assai infruttuosa, forse per l'infelice posizione logistica. Il marchese di Villabianca, nobile erudito palermitano, la cita come una delle tonnare sterili della Sicilia, motivo per cui restava chiusa ... Nei primi del '900, dopo un secolo d'inattività, il cinisaro Serughetti prese in affitto la tonnara, tentando, per l'ultima volta, di perpetuare il miracolo del mare che da azzurro diventa rosso, crudele rito, simbolo dei colori e dei contrasti della terra di Sicilia. Entrando nel baglio, da destra, possiamo vedere la serie di stanze di lavoro e la taverna; l'edificio più grande, al piano superiore, doveva ospitare i familiari del capobarca, il rais, mentre un ponte levatoio in legno collegava il baglio con la maestosa e imponente torre che servi come punto d'avvistamento e come prigione benedettina. A sinistra della torre si staglia il locale di ricovero delle barche, il "trizzana", con gli archi rampanti, e, in successione, la ricostruzione dell'"appendituri" ligneo, dove venivano appesi i tonni. Accanto all'appenditoio abbiamo la cappella, parzialmente ricostruita, e, per ultimo, il "ribellino", la piccola torre in corrispondenza diagonale con la grande, squisita costruzione che consentiva, grazie alle numerose aperture e feritoie, il completo controllo d'ogni movimento da terra. Adiacente al torrino di terra si può notare il sistema di raccolta delle acque, con il pozzo e le cisterne, il lavatoio e il forno».
http://www.salvalartesicilia.it/focus/default.asp?argomento=sas04&page=doc006.htm
«La Torre Mulinazzo è una torre di difesa costiera che faceva parte del sistema di Torri costiere della Sicilia, e si erge nella località di Punta del Mulinazzo che si trova all’interno dell’Aeroporto Falcone e Borsellino di Punta Raisi in provincia di Palermo ricadendo nel territorio comunale di Cinisi. Fu costruita a partire dal 1552 secolo su ordine del viceré Juan de Vega, nel 1578 l’architetto reale Tiburzio Spannocchi nel corso della sua ricognizione la trovò incompiuta, di forma tronco conica e diede disposizione di sopraelevarla oltre il primo piano. Nel 1583 la torre fu pressoché completata, il basamento tronco conico fu inglobato nella nuova struttura tronco-piramidale, rientrando così nella classica tipologia delle torri progettate da Camillo Camilliani. Nel 1584 la Deputazione del Regno decise di non costruire una scala in muratura per l’accesso al primo piano, e quindi non si completò il coronamento su mensoloni che correva su tutti e quattro i lati della torre. Nel parapetto si sarebbero dovuti aprire feritoie e varchi per l’artiglieria al centro in tutti i lati. Ovviamente sul lato terra si trovava la porta che invece fu realizzata con una caditoia a difesa che la sovrastava. Il progetto concreto fu realizzato con solo due piattaforme aggettanti angolari in conci di tufo, tuttora esistenti anche se senza la relativa piattaforma nel frattempo crollata. La torre è citata in varie fonti storiche ed archivistiche nel 1594, 1596, 1619, 1714. Nel 1805 era ancora attiva per come si desume da una nota riportata nel registri della Deputazione del Regno in cui si cita che il caporale di guardia, indiziato di omicidio, fu arrestato da guardie del comune di Torretta. Infine nel 1867 è ricompresa nell’elenco delle opere militari da dimettersi. ... La torre non è visitabile, infatti essa fa parte del Demanio dello Stato, Ramo Aeronautica».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Mulinazzo
«La Torre Pozzillo è una torre di difesa costiera che faceva parte del sistema di Torri costiere della Sicilia, e si trova nella località di "Puzziddu" proprio allo svincolo dell'autostrada per l’Aeroporto Falcone e Borsellino di Punta Raisi in provincia di Palermo ricadendo nel territorio comunale di Cinisi. È proprietà del Demanio di Stato, ed è facilmente visitabile in quanto di libero accesso. Fu costruita a partire dalla prima metà del 1600, in quanto non risulta rilevata nel 1578 dall’architetto reale Tiburzio Spannocchi nel corso della sua ricognizione. Anche al momento della ricognizione di Camillo Camilliani nel 1584 non risulta essere ancora costruita, nonostante egli avesse riscontrato che nella cala antistante potevano nascondersi: “ci possono stare 25 galere”. Nel 1625 la torre non era ancora completata, anche se dai registri della Deputazione del Regno di Sicilia già venivano indicati i relativi guardiani e “torrari”. Sempre dai registri della Deputazione del Regno di Sicilia, nel 1691 si apprende che era stata affidata al Principe di Carini e che la guarnigione era composta da tre uomini in tutto, compreso l’artigliere. Dal 1714 al 1717 sempre dai detti registri risulta che l’armamento consisteva in: 1 cannone di bronzo con affusto su ruote; 2 spingarde; 6 archibugi; 1 colubrina di bronzo (detta “masculo o mascolo”); 5 alabarde; 28 palle di cannone. Nel 1811 è citata in quanto la sua guarnigione fu arrestata per viltà di fronte al nemico non essendo intervenuta in soccorso di un naviglio americano attaccata dai pirati. La torre è citata nel 1823 nella cartografia ufficiale dell’esercito borbonico, ma con il nome di “torre nuova”, nel 1867 è ricompresa nell’elenco delle opere militari da dismettersi. Attualmente non ha alcun uso attuale e si presenta in discrete condizioni dopo i restauri effettuati a cominciare dal 1970. In qualche modo riprende lo stile camillianeo, oggi attraverso un varco effettuato a piano terra in corrispondenza di quella che era la cisterna si accede al primo piano composto da tre ambienti rettangolari di cui il più ampio è quello prospiciente la terra di circa 8 metri sul lato maggiore. La volta è come usuale a botte ed alta circa 5 metri. Sulla parete a destra si trova un camino e sulla parete a sinistra un armadio a muro. Nel muro centrale si trova il pozzetto che permetteva di attingere l’acqua dalla sottostante cisterna. Per raggiungere il tetto esiste una scala in pietra formata da due rampe incassata nel muro esterno di sud est. Il parapetto della terrazza fu ripristinato nel corso dei restauri del secolo scorso. La torre è fin troppo facilmente visitabile, in quanto il varco di accesso al piano terra è stato forzato più volte».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Pozzillo
Corleone (castello Sottano, torre saracena del Castello Soprano)
«Corleone è situata tra le due rocche di Levante e Mezzo Giorno. Esse, sin dall’età medievale, risultavano fortificate da due castelli: il Castello Soprano, di cui sussiste una torre isolata di impianto circolare che prende il nome di Torre “Saracena”, recentemente consolidata, e il castello sottano, di cui sussistono scarsi ruderi inglobati in un complesso abitativo posteriore, in atto adibito ad Eremo francescano (Frati Minori Rinnovati). Il fondamentale assetto urbanistico di Corleone è ancora quello a trama viaria dedalica, d’origine medievale, ma l’attuale volto della città risenta della sua “rifondazione” barocca, allorché da habitat “chiuso”, a carattere prevalentemente strategico-difensivo, si trasformò in habitat “aperto”, a notevole egemonia ecclesiastica, con l’insediamento di vari ordini religiosi vecchi e nuovi (Benedettini, Carmelitani, Agostiniani, Francescani, Gesuiti, Filippini, Domenicani), resi più efficienti dalle direttive di una chiesa controriformata; per assumere ancora, fra il 7 e l’800, l’aspetto residenziale signorile con l’elezione di numerosi palazzi baronali ad iniziativa del ceto agrario-borghese emergente(Sarzana, Bentivegna, Provenzano, Triolo, Cammarata, Milone). ... Ormai distrutto il sistema difensivo murario medievale, con le sue torri e le otto porte, rappresentante in una cartografica del XVI secolo(Porta grande della Bucceria, Porta di Fabio, Porta Soprana, Porta di Groppu, Porta dell’Avvocata e dello Steri, Porta di Persico, Porta di Torre, Porta Rubea o Sottana), delle quali rimane tuttavia qualche testimonianza nella toponomastica cittadina, risulta invece perfettamente leggibile l’originario assetto urbanistico del borgo che si svolge lungo la croce di strade costituita da un asse nord- sud destinato alle funzioni pubblico e collettive e da un asse est-ovest destinato alla rappresentazione del potere privato».
http://www.corleoneonline.com/index.php?option=com_content&view=article&id=3&Itemid=113
«Considerato il monumento più importante del paese, il Castello venne costruito a partire dalla seconda metà del quindicesimo secolo. La struttura originaria dell'edificio è costituita dalla torre, che col tempo fu oggetto di diverse opere di modifica. Attorno al 1733 ad essa venne aggiunta un ulteriore ala ad oriente e fu realizzata la suggestiva scala in pietra a due fughe. Situata su pregevoli archi, la scala è affiancata da una pregiata balaustra intervallata da acroteri. Successivamente venne edificata una cappella gotica, che fu poi denominata del Crocifisso, e della quale ci restano solo i muri di cinta nei quali si intravedono esili archi. Con il passare del tempo il Castello non fu più usato a scopi difensivi ma bensì abitativi. Questo portò alla realizzazione di ulteriori ambienti, nello specifico di grandi saloni con tetti decorati, terrazze e ampi balconi, un elegante portale in pietra all'ingresso».
http://sicilia.indettaglio.it/ita/comuni/pa/ficarazzi/turismo/turismo.html
Ficuzza (Real casina di caccia)
«Il palazzo domina il piccolo Borgo di Ficuzza, che si è formato con la sua costruzione. Fu edificato nel 1803 per volere di Ferdinando IV di Borbone che, innamoratosi del bosco di Ficuzza, eletto sua personale riserva di caccia, chiamò all’opera l’architetto palermitano Venanzio Marvuglia (1724-1814). Questi progettò un palazzo sobrio ed elegante, nello stile classico del barocco di alcune residenze di campagna inglesi dello stesso periodo. L’edificio, sovrastato dallo stemma dei Borboni, somiglia molto alla reggia di Caserta, ma al posto del bellissimo giardino campano, vanta alle sue spalle la grandiosa scenografia delle pareti calcaree della Rocca Busambra, con ai piedi il bosco di una delle riserve naturali più importanti dell’Isola. Il Palazzo, chiamato “Casina di caccia”, è stato restaurato di recente, restituendo alla sua bellezza il progetto architettonico del Marvuglia. Nell’edificio si trovano camere, saloni di rappresentanza, cappella privata, cantina, oltre a stalle e magazzini “d’ordinanza”. Nulla purtroppo si è conservato del mobilio originario perché depredato durante le rivolte ottocentesche. Nel 1820, alcuni detenuti fuggiti dalle carceri borboniche in occasione di una rivolta a Palermo, trovarono rifugio nel palazzo reale. Il bestiame della riserva reale fu ucciso e tutto quello che era trasportabile, mobili, arazzi, quadri, fu trafugato. Così, nel 1831 il palazzo reale è già poco più che una masseria. La Casina di caccia, proprietà dell’Azienda Regionale Foreste Demaniali, oggi è adibita a centro visitatori della Riserva Naturale di Ficuzza, di cui l’Azienda è ente gestore».
http://www.altobelicecorleonese.com/abc_tur/pag_arte_cultura.php?id=8
Geraci Siculo (castello di Geraci)
«Sopra una massiccia roccia basaltica, alle cui pendici ferve l’operosità degli abitanti di Geraci, si rinvengono le antiche e gloriose vestigia del “Maniero” di Geraci. La costruzione fu ritenuta la prima difesa occidentale della vasta Contea. La località è privilegiata per la sua posizione topografica inaccessibile. Dai lati Nord-Est e Sud il “maniero” era difeso dalla natura, e nei punti in cui la roccia presentava qualche debolezza strategica, si venne a rimediare con alcune opere murarie, al fine di rendere inespugnabile la “Rocca”. Dal lato Ovest “il sentiero si apriva pel declive” fino a giungere “sulla spianata dinanzi al ponte levatoio” che una volta tirato lasciava aperto il baratro del fossato. Dal punto di vista tecnico-militare la fortezza di Geraci si imponeva per la poderosa struttura e resistenza che la rendeva inattaccabile. All’interno gli ambienti avevano una distribuzione ed una collocazione militaresca, priva di lusso. Ospitava molte guarnigioni ed era preparata a resistere a lunghi assalti. L’area a pianta irregolare seguiva le ineguaglianze della roccia. I servizi si disimpegnavano nel sottosuolo ove erano conservate le provviste alimentari, le cisterne di riserva dell’acqua e le prigioni. Al pianterreno c’erano le scuderie, le cucine, le sale delle armi, i forni, i locali per i Vassalli e armigeri e le feritoie sui muri per i tiratori. Il piano sovrastante era adibito a residenza della famiglia del Conte, sede dei servizi amministrativi, dei Consigli di coordinamento e dei piani logistici. La merlatura coronava l’edificio. L’unico punto vulnerabile era costituito dal lato del fossato. Nella corte c’era una porticina dalla quale si giungeva per un corridoio segreto sul fossato, risalito il quale si arrivava sulla spianata del Castello; un altro sotterraneo conduceva alla Chiesa di S. Bartolomeo fuori le mura, seguendo i capricci della roccia. In fondo si trovava una cisterna d’acqua. è molto probabile che sia stato costruito dai greco-bizantini, una finestra moresca testimonia il segno dell’Impero musulmano; vennero poi i Normanni che lo trasformarono ai bisogni della guerra. Con gli Aragonesi e i Ventimiglia divenne una vera e propria fortezza militare. è di quel periodo la chiusura del perimetro urbano con delle grandi porte nei punti: “Porticella Superiore, Porticella Mediana, Porticella Inferiore, Porta Baciamano, Porta Santa Maria”. Ancora oggi se ne possono intravedere i segni. ...».
http://www.comune.geracisiculo.pa.it/2010042359/Monumenti/Il-Castello.html
«Il castello di Giuliana domina la vallata del fiume Sosio dalla rupe di origine vulcanica, mentre ai suoi piedi si è sviluppato il paese di Giuliana, di origini arabo-normanne. Il maniero, composto da un corpo a forma trapezoidale irregolare, appartenne, in epoca normanna, all’arcivescovo di Monreale; fu poi ristrutturato per esigenze strategiche sotto il dominio dello svevo Federico II; nel XVII secolo alcune sue parti diroccate furono ristrutturate e poi adibite a monastero della SS. Trinità ed affidato ai Padri Olivetani della vicina Santa Maria del Bosco. Il castello è stato restaurato, seppure parzialmente, di recente con progettazione e direzione dei lavori a cura della Soprintendenza ai beni Culturali ed Ambientali di Palermo, ospiterà un Museo delle pietre dure, con particolare riguardo alle agate e ai diaspri, ampiamente presenti nel territorio. I diaspri di Giuliana, di cui il De Borch (1778/80) ne ha enumerato ben 46 varietà, vennero massicciamente stilizzate in età barocca per la decorazione a marmi “mischi” delle chiese palermitane e vennero richiesti anche dalla corte medicea di Firenze e da quella borbonica di Napoli. ...».
http://www.sicilie.it/sicilia/Giuliana_-_Castello_di_Giuliana
«Cittadella difensiva a doppia cortina muraria di probabile origine alto-medievale (periodo bizantino o arabo), rifondata nella prima metà del XII secolo. Posizionato alla sommità di un costone calcareo dominante sul territorio e difficilmente accessibile, controllava, in origine, un borgo rurale montano di modesta entità. La tipologia è quella tipica dei castelli montani dell’epoca alto-medievale, cioè a “sistema integrato” (difesa orografica naturale più difesa architettonica). Constava di una doppia cortina muraria per la difesa passiva, rinserrante l’abitato e la cittadella, dotata di accorgimenti tecnici particolari (caditoie e feritoie per il tiro piombante e ficcante, camminamenti di ronda, torri e bastioni di rinforzo nei punti più vulnerabili a controllo di ingressi e cortine) che ne consentivano una facile percorribilità interna e una prolungata resistenza in caso di attacchi (presenza di cisterne idriche e ambienti destinati allo stivaggio di derrate alimentari); la cittadella, nel punto più alto dell’acropoli, era formata da un mastio centrale turrito, comprendente tre o quattro vani ed era, a valle, completato da ambienti di servizio (stalle, dormitoi e laboratori). Nato come punto di sentinella diventò, in periodo normanno, parte del sistema difensivo facente capo al regio Demanio, con compiti di sorveglianza e difesa del territorio e nel caso di acquartieramento delle truppe della Corte Reale in transito. Assolve poi a compiti di sorveglianza e difesa nel periodo feudale perdendo progressivamente quest’ultima prerogativa a favore della prima. Con tale compito verrà usato fino ai primi del ‘500. Da questo periodo in avanti e fino alla sua distruzione se ne sconosce la destinazione (probabile abbandono)».
http://www.comune.isnello.pa.it/Isnellonew/Castello.aspx
ISOLA DELLE FEMMINE (torre di Mare o di Fuori, torre di Terra o di Dentro)
«L'Isola vanta ben due torri di avvistamento, costruite come sistema difensivo della città. La Torre di Terra o "di dentro", fu costruita nel XV secolo dai Baroni di Capaci. La torre ha pianta a sezione circolare, mura spesse in conci di tufo e si trova in posizione solitaria su una rocca poco distante dal centro abitato. Recentemente la torre, è stata sottoposta ad un restauro conservativo a cura della Provincia Regionale di Palermo, che l'ha restituita al suo ambiente con il fascino originario. Una seconda torre, detta Torre di Mare, o "di fuori", venne costruita nel 1592 sotto indicazione di Camillo Camilliani, architetto fiorentino del periodo, sulla parte più alta dell'isolotto per segnalare il pericolo di incursioni corsare in tempo utile. Di struttura imponente, la torre era fornita inoltre di quattro cannoni di calibro medio per respingere qualsiasi attacco. Era composta da due ambienti: uno era utilizzato a cisterna, come garanzia di una scorta di acqua in caso di assedio, l'altro serviva come deposito delle polveri e della legna. Oggi la torre si trova in pessime condizioni, nella parte meridionale è crollata la parete che è stata usata dai militari americani come bersaglio nelle esercitazioni di tiro, durante la seconda guerra mondiale».
Marineo (castello Beccadelli Bologna)
«Si erge su una parete rocciosa a strapiombo sulla valle. Con certezza sappiamo che la prima e più importante costruzione avvenne subito dopo l’epilogo vittorioso che Carlo d’Angiò sostenne contro la casa Sveva per la conquista della Sicilia e dell’Italia meridionale. Poiché il suo potere e la sua fortuna si basava sulla sua forza militare egli coprì i suoi territori di castelli innalzati nei punti di notevole interesse strategico. Al tramonto della potenza Angioina, scacciata dalla Sicilia in seguito al moto popolare dei Vespri, seguì il dominio della casa d’Aragona, un periodo buio caratterizzato dall’anarchia baronale e dalla lotta fraticida. Il Castello Angioino e il vicino centro urbano, per l’importanza strategica, parteciparono attivamente a questa lotta tra famiglie nobili contro il potere centrale, fino a riportarne danni tali che il nucleo abitato venne cancellato. Nel XVI secolo l’imperatore Carlo V investì del feudo di Marineo Francesco Beccatelli Bologna, questore dell’isola e signore di Cefalà e Capaci, il quale nel 1553 diede origine all’attuale Marineo con la costruzione di cento dimore, seguite presto da altre duecento, per opera del figlio Gilberto, che nello stesso tempo diede inizio ai lavori di ricostruzione e riparazione dei resti del castello, che venne trasformato in un palazzo residenziale. L'edificio non era circondato da possenti mura difensive, bensì da capaci granai e da un muro coperto di feritoie sulla rampa di accesso al piano nobile, forma di difesa, non da agguerriti eserciti ma da briganti di strada. Attualmente ospita il Museo Archeologico Regionale della Valle dell'Eleuterio di recentissima istituzione».
http://castelliere.blogspot.it/2011/09/il-castello-di-lunedi-26-settembre.html
«La sua costruzione risale all’epoca della fondazione del paese. Non si tratta di un “castello” nel senso classico della parola, ma fu sicuramente in passato una comoda e sicura dimora per il proprietario delle terre di Mezzojuso, dotata di stanze adibite ad alloggi, stalle, magazzini per il deposito di frumento, vino, ecc. Nel 1132 il feudo di Mezzojuso veniva assegnato da Ruggero II ai monaci di San Giovanni degli Eremiti. Questi, che avevano concesso in affitto tutte le terre ricevute in assegnazione, quando si recavano a far visita a Mezzojuso, usufruivano di questa casa che veniva chiamata “lu castello” come dimora per abitarci. Nel 1527 quando i monaci concedettero in enfiteusi la Terra di Mezzojuso alla nobile famiglia dei Corvino, “lu castello” divenne anche per questi una nobile dimora dove trascorre i soggiorni durante le loro visite in paese. Durante tutto il periodo feudale, ed in particolare tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 si effettuarono dei lavori di ampliamento e di abbellimento che diedero un nuovo aspetto alla fabbrica e che nelle grandi linee è rimasto invariato fino ad oggi. Nel 1844 con l’abolizione della feudalità, la struttura cominciò a perdere pian piano il suo ruolo di palazzo signorile e finì per ricadere in uno stato di completo abbandono. Dopo l’acquisto nel 1984 da parte del Comune di Mezzojuso, la struttura è stata completamente restaurata ed abbellita ed oggi è divenuta sede della Biblioteca Comunale, spesso viene utilizzata per ospitare conferenze e manifestazioni culturali».
http://www.prolocomezzojuso.it/cosa%20vedere.htm
Misilmeri (castello dell'Emiro)
«Presumibilmente il primo nucleo abitato sorse nelle vicinanze di un casale arabo, il "Manzil al Amir" o "casale dell'Emiro". Il castello che sovrasta il centro abitato venne inizialmente destinato dagli Arabi ad un uso agricolo. Solo verso l'XI secolo verrà circondato da una robusta cinta muraria a scopi difensivi, che lo trasformeranno, di fatto, in una fortezza. Nel 1068, Ruggero di Altavilla riuscirà ad infliggere una pesante sconfitta ai musulmani, conquistando il territorio. Qualche secolo dopo, nel 1340, i Chiaramonte, uno dei casati più potenti della Sicilia, acquisterà il feudo con il castello dalla famiglia dei Caltagirone. Col chiaro intento di controllare la vallata sottostante, verranno apportate numerose modifiche alla struttura originaria del maniero, potenziandone ulteriormente la funzione difensiva. Dichiarato monumento nazionale nel 1980, il castello medievale di Misilmeri è uno dei quaranta castelli della provincia di Palermo che testimoniano la millenaria storia della Sicilia» [N.d.C.: il castello è stato restaurato; i lavori sono terminati nel marzo 2010].
http://www.palermoweb.com/misilmeri
Mondello (torre Amari o Dammuso di Gallo)
a c. di Pippo Lo Cascio
Mondello (torre del Fico d'India)
a c. di Pippo Lo Cascio
Mondello (torre della Tonnara)
a c. di Pippo Lo Cascio
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il Castello di Monreale, conosciuto da tempo con l’appellativo de “Il Castellaccio”, sorge sulla cima di monte Caputo. Questa opera faceva parte integrante di un vasto complesso monastico voluto dal re normanno Guglielmo II, unitamente al Duomo di Monreale. Secondo molti studiosi quella costruzione sorse sulle rovine di un preesistente abitato di origine musulmana. Il castello di Monreale, o castellaccio, venne dedicato a san Benedetto. Vari documenti lo designano come luogo di riposo o di convalescenza per i monaci del vicino monastero di Monreale, è evidente comunque, dalle caratteristiche costruttive, che quell’edificio era destinato a fungere da baluardo e di avvistamento delle navi dei pirati saraceni che, periodicamente terrorizzavano e depredavano gli abitanti di Palermo e dei suoi dintorni. Nel 1370 l’esercito di Giovanni Chiaramente in lotta contro il forte nucleo Catalano, affiancato dai monaci monrealesi, causò seri danni alla struttura. L’edificio era troppo importante e serviva a prevenire eventuali attacchi improvvisi sia da Nord che da Sud, quindi divenne indispensabile un rapido ripristino dello stato originario, infatti le parti che avevano subito i danni vennero ricostruite rapidamente, grazie anche alla pressante volontà di papa Urbano V. Il “Castellaccio” proseguì nella sua preziosa funzione di “sentinella”, tanto è vero che venne abitato dal re Martino I nel 1393 che si sentiva inattaccabile all’interno di quelle poderose mura. Poco dopo iniziò il degrado con il definitivo abbandono avvenuto nel secolo XVI. Il monumento iniziò la sua decadenza che proseguì per molti secoli, fino al 1898 quando l’architetto Giuseppe Patricolo, che ebbe già parte nel riportare alla luce moltissimi monumenti siciliani, si dedicò al restauro del “Castellaccio” nelle sue parti meno danneggiate. Dopo l’intervento di ripristino il “Castellaccio” entrò nella proprietà del Club Alpino Siciliano che lo dedicò ad ospitare un rifugio montano. Oggi del castello rimangono i muri d’ambito e le irregolari strutture delle sette torri, di varia elevazione, che accentuano notevolmente l’aspetto militare della struttura. L’edificio ha uno sviluppo rettangolare con alcune irregolarità e, molto probabilmente, la costruzione all’origine si sviluppava in due piani. L’interno mostra dei locali di cui non si conosce l’uso, probabilmente luoghi di riposo per i monaci. Questi sono dislocati lungo i muri perimetrali e si raggiungono per mezzo di un corridoio, da questo si raggiunge un atrio circondato da portici che lo indicano quale chiostro dell’intero complesso monastico. È facilmente visibile quel minimo che resta di una chiesetta che si sviluppava su tre absidi con la centrale più elevata delle altre due».
http://www.monrealeimmobili.it/storia/castellaccio_di_monreale.php
Palazzo Adriano (castello borbonico)
«Il nucleo più antico è sul colle S. Nicola dove si trovano i ruderi dell'antico Castello del secolo XIV edificato secondo la tipologia dei palazzi-torre. Nei primi decenni del XIX secolo il castello fu adibito a residenza reale durante i rapporti che Ferdinando IV intrattenne coi palazzesi. Gli ultimi ad utilizzare la struttura furono i Borboni. Il castello è sede del Museo Civico Real Casina, con una sezione dedicata alla cultura Arbereshe. Per l'importanza storica dei fatti svoltisi nei riguardi dei baroni che abitarono quel castello nel corso dei secoli, i suoi ruderi sono stati dichiarati monumento nazionale».
http://www.siciliainfesta.com/comuni/palazzo_adriano.htm
Palermo (castello a Mare o di San Pietro)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Circa l’anno di costruzione della fortezza si sa ben poco, alcune fonti dicono che la fondazione del castello sia addirittura antecedente al X secolo. Le prime testimonianze della presenza del castello si hanno in epoca arabo-normanna, quando era usato come fortezza difensiva per il porto. Col susseguirsi dei popoli, vista la sua vantaggiosa posizione geografica, il castello fu continuamente ingrandito e fortificato; era dotato anche di una moschea, poi trasformata in chiesa dai normanni. Con gli spagnoli, divenne sede del viceré e più tardi, nel 1551, sotto il regno di Ferdinando il cattolico con De Vega viceré, diventa residenza dell’inquisitore e del tribunale dell’inquisizione e in questo periodo diventano tristemente famose le sue anguste prigioni sotterranee che fecero migliaia di vittime. Tutto questo fino al 1593, quando un’esplosione provocò tantissime vittime tra detenuti e carcerieri: tra le vittime illustri ci fu il poeta locale Antonio Veneziano, prigioniero per aver offeso il viceré. Preoccupato per l’esplosione, l’inquisitore Paramo decise di trasferire il tribunale al palazzo Chiaramonte lasciando al castello le prigioni fino al 1609. Il castello è stato protagonista di tante battaglie, da ricordare quelle dei savoiardi e spagnoli nel 1718, quella tra gli austriaci asserragliati dentro il forte e i Borboni, vincitori nel 1734 e ultima la ribellione contro il potere borbonico barbaramente repressa. Quello che rimane oggi del castello è poco più di un rudere, visto che nel 1923 fu distrutto con cariche esplosive per far spazio all’espandersi del porto. Adesso, forse per rimediare all’errore fatto con la demolizione, il comune ha programmato un restauro del maniero con l’intenzione di creare un’area archeologica, lavori che dovrebbero iniziare nel gennaio 2006».
http://www.palermonelmedioevo.com/monumenti%20castello%20a%20mare.htm
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La Cuba, costruita da
Guglielmo II nel 1180, è una delle ultime architetture dell'età normanna.
Faceva parte del parco Reale detto Ghenoard "giardino fiorito", che si
estendeva a sud ovest del Palazzo Reale. Era un grande padiglione dove il re
soggiornava nelle ore diurne, assisteva a feste e cerimonie, riposava e si
rinfrescava durante le giornate estive più afose. La costruzione è ad un
solo piano diviso in tre parti e non ha appartamenti privati. Nell'arco del
tempo ha subito gravi crolli ed alterazioni, conseguenti al suo adattamento
a lazzaretto prima, e a caserma poi. Dall'esterno si vede un edificio
rettangolare lungo 31,15 m. e largo m 16,80. Al centro di ogni lato sporgono
quattro corpi a forma di torre. Il corpo più sporgente costituiva l'unico
accesso al palazzo dalla terraferma, in quanto la Cuba era circondata
dall'acqua e solo in questo punto c'era una striscia di terra che la
collegava alla riva. Oggi il lago artificiale che lo circondava è scomparso
ed è stato trasformato in cortile della caserma. I muri esterni sono ornati
con arcate cieche ogivali. Nella parte inferiore si aprono alcune finestre
separate da pilastrini in muratura. I muri spessi e le poche finestre si
pensa siano dovuti ad esigenze climatiche, offrendo maggiore resistenza al
calore del sole. Inoltre, si ritiene che la maggior superficie di finestre
aperte fosse sul lato nordorientale, perché meglio disposta a ricevere i
venti freschi provenienti dal mare, temperati ed anche umidificati dalle
acque del bacino circostante. L'interno della Cuba era divisa in tre
ambienti allineati e comunicanti tra loro. Al centro dell'ambiente interno
si vede un impluvio a forma di stella a otto punte, che serviva come bacino
di raccolta delle acque piovane. All'interno delle pareti ci sono delle
nicchie con decorazioni in gesso: i Muqarnas. La Cuba passò nel XIII secolo
alla casa D'Angiò ed in seguito a Pietro D'Aragona. Nel 1320 fu proprietà
del conte Barca Siginolfo ed in seguito di altri privati cittadini. Nel XVI
secolo la Cuba è ricordata dal Boccaccio in una novella del Decamerone e
come sostiene il Fazzello era ancora in mano agli Aragonesi ed in tutto il
suo splendore. Durante la peste del 1575/76 la Cuba fu adibita a lazzaretto
e come tale rimase fino al 1626. Nel XVIII sec. vi fu stanziata la
cavalleria Borgognona e il fabbricato subì ulteriori rifacimenti, ai quali
seguirono ricostruzioni e modifiche. Altre distruzioni le subì durante la
rivoluzione del 1848. Tutt'intorno la Cuba era coronata da un'iscrizione
araba, che corre ancora in parte in una fascia alta cm 40. La prima
traduzione fu fatta nel 1849 dalla Amari in essa si legge in arabo il nome
di Guglielmo II, l'anno 1180 ed il nome "al-Musta'izz", cioè "bramoso di
gloria". Nel 1921 la Cuba diventa proprietà dello stato, che inizia i lavori
di restauro, affidandoli al Soprintendente Francesco Valenti. Negli anni '50
la proprietà della Cuba passa alla Regione Siciliana, che ne cura il
restauro intorno agli anni 80'/90'. L'architetto Tomaselli, incaricato del
restauro, riporta la Cuba all'antico splendore, utilizzando criteri e
materiali del tipo originario.
LA CUBA. è uno dei più importanti monumenti della città, unico in Italia.
Sulle origini del nome Cuba sono state fatte numerose ipotesi: si dice che
Cuba fosse una principessa araba, figlia di un emiro; pare che il palazzo le
sia stato regalato in occasione delle nozze. Per altri Cuba era il nome di
tutta la zona, trasformata dai Normanni in un grande parco. Per altri era il
nome della sorgente che lì è ubicata. Altri ancora pensavano che il nome
Cuba derivasse dalla presenza di una cupola, ipotesi smentita dal fatto che
non vi è mai stata alcuna cupola. L'ipotesi più accreditata, invece, è
quella che Cuba significhi "casa quadrata". La Cuba fu costruita da
Guglielmo II, re dei Normanni, nel 1180. Questo posto, vicino al palazzo
reale, era un grande parco chiamato "Genoardo", paradiso della terra, perché
ricco di acque e magnifici giardini. Era circondata da un laghetto quadrato,
ricco di pesci. Il re, per la costruzione del palazzo, incaricò degli
ingegneri arabi, che furono talmente bravi da convogliare le acque verso la
sala centrale dell'edificio, dove ersero una fontana a forma di stella, la
quale, a sua volta, riversava le acque in una maestosa peschiera di forma
rettangolare. La sala centrale era, inizialmente, utilizzata dal re per
riposarsi dalla caccia e per organizzare feste, concerti e danze. Era
abbellita da muqarnas (stalattiti delle quali ne rimane una soltanto); vi
erano quattro colonne e le stanze laterali erano adibite a luoghi di
servizio e come corpo di guardia. Le finestre, a bocca di lupo, permettevano
di generare correnti d'aria, che davano un senso di frescura, specie nelle
calde ed afose giornate estive; inoltre, esse davano la sensazione che il
palazzo fosse a più piani, quando, in effetti, si svolgeva su uno solo.
Nella sala, ubicata sul lato nord, si trova un'iscrizione in arabo tradotta
dall'Amari, grande studioso della storia degli arabi in Sicilia: "A/e/ nome
di Dio clemente e misericordioso. Bada qui, fermati e mira! Vedrai l'egregia
stanza dell'egregio tra i re di tutta la terra Guglielmo II. Non v'ha
castello che sia degno di lui. ...Sia lode perenne a Dio1 Lo mantenga
ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita." Dopo i Normanni, lo
splendore della Cuba e del suo parco si spensero. Il "paradiso della terra"
venne devastato; gli Angioini non ebbero pietà per gli alberi e le vigne,
che erano stati coltivati con tanta cura. La Cuba cadde nell'oblio! Solo il
Boccaccio vi ambientò una delle sue più belle novelle, la sesta. Nel 1575, a
causa della peste, fu trasformata in ospedale. Il governo borbonico vi
insediò la cavalleria. Nel 1860 tutta l'area militare e la Cuba divennero
proprietà dello Stato Italiano. Di recente le autorità militari l'hanno
ceduta alla Regione Siciliana, che, dopo un valido restauro, gli ha
restituito il suo legittimo splendore. La Cuba è, con la Zisa, l'edificio
che più rappresenta l'architettura fatimita (araba) in Sicilia. ...».
http://www.palermoweb.com/cittadelsole/monumenti/castello_della_cuba.htm
Palermo (castello di Maredolce e cappella dei Santi Filippo e Giacomo)
a c. di Pier Luigi Contino
Palermo (castello novecentesco Utveggio)
«Il Castello Utveggio è ormai parte integrante e caratterizzante del "più bel promontorio del mondo" come Goethe definì Monte Pellegrino nel suo celebre Viaggio in Italia. Dal Primo Pizzo,a quota 346 metri, il Castello domina la città di Palermo e dalle sue finestre la vista spazia dalla Conca d'Oro ai monti che la racchiudono, al Golfo che va da Capo Zafferano sino alla punta di Sferracavallo e, talvolta, la sommità dell'Etna e le isole Eolie. Il Castello nasce dall’idea del Cavaliere Michele Utveggio di costruire un grande albergo esclusivo. Il Grand Hotel Utveggio fu inaugurato nel 1934, ma non ebbe una grande fortuna, nonostante l’innovatività di una struttura ricettiva “completa”, dotata perfino di un sistema autonomo per l’approvvigionamento idrico. L'intera struttura - l'edificio principale, la strada di accesso con il ponte, l'arredo esterno, i grandi serbatoi di acqua potabile, l'impianto di sollevamento, i magazzini e l'arredo esterno - fu realizzata in soli 5 anni dall’impresa "Utveggio e Collura", che a Palermo aveva già realizzato importanti opere di edilizia pubblica e privata, come Il Cine-teatro Utveggio di Piazza Massimo, lo Stadio della Favorita, etc. Il Grand Hotel non ebbe alcuna fortuna, se non per pochissime stagioni. Già negli anni precedenti al secondo conflitto mondiale, la struttura cadde in declino e la situazione precipitò con la guerra:l'area del Primo Pizzo diventò sede della contraerea fascista prima, di quella tedesca poi, ed infine di quella americana. Il Castello, rimasto in stato di totale abbandono, divenne oggetto di saccheggio ed atti vandalici. La Regione Siciliana, divenuta proprietaria per esproprio del complesso, ha avviato nel 1984 il recupero dell'edificio provvedendo a ripristinare gli arredi interni ed esterni, dotando la struttura delle più avanzate tecnologie informatiche e di comunicazione, e destinandolo ad una Scuola di Eccellenza, di alta formazione manageriale e di ricerca socio-economica: il CERISDI, Centro Ricerche e Studi Direzionali».
http://www.cerisdi.org/castello_utveggio.php?activo=7
«Palazzo Abatellis sorge nel cuore del quartiere della Kalsa, in prossimità dell'antico porto della Cala; la sua fondazione risale al 1495, quando Francesco Abatellis o Patella, maestro portulano del Regno ne affida la costruzione a Matteo Carnelivari, architetto siciliano originario della Val di Noto, ma ampiamente attivo a Palermo. Come nel vicino Palazzo Ajutamicristo, anche qui l'architetto tenta una sintesi tra la tradizione costruttiva gotico-ispanizzante e lo spirito rinascimentale che permea le varie parti del palazzo, concepito per fasce orizzontali. Il complesso a due piani si sviluppa intorno ad un ampio atrio caratterizzato sul lato occidentale da un doppio loggiato e da una scala esterna che conduce al piano nobile. Il fronte principale è dominato dall'elaborato portale d'ingresso e, sull'angolo nord occidentale, dall'alta torre merlata. Morto senza eredi Francesco Patella, l'edificio diviene nel 1527 convento delle benedettine dell'attigua chiesa di Santa Maria della Pietà, indi monastero delle domenicane che lo adattano alle esigenze della clausura. I gravi danni inferti dai bombardamenti del '43 sollecitano il restauro dell'intero complesso, eletto a nuova sede della Galleria Nazionale della Sicilia e aperto al pubblico il 23 giugno 1954. Il nuovo ordinamento delle collezioni viene curato dall'allora Soprintendente Giorgio Vigni, il quale affida all'architetto veneziano Carlo Scarpa l'allestimento museografico che ha reso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis uno dei musei più noti in tutto il mondo».
http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/palazzoabatellis/home.htm
Palermo (palazzo Aiutamicristo)
«è uno splendido palazzo del XV secolo oggi di proprietà della famiglia dei Baroni Calefati di Canalotti, che ne sono venuti in possesso nel secolo scorso. Il palazzo prende il nome da Guglielmo Aiutamicristo barone di Misilmeri e di Calatafimi che l’aveva fatto edificare, per utilizzarlo come residenza personale e della propria famiglia, tra il 1495 e il 1501. Il progetto della costruzione fu affidato celebre architetto Matteo Carnilivari, da poco giunto a Palermo, ma di notevole fama. Sulla strada di Porta Termini, Carnilivari, disegnò una struttura grandiosa, che venne realizzata solo in parte, a causa della spesa così eccessiva tanto da superare la volontà dello stesso committente, che da tempo sognava di realizzare a Palermo una "Domus Magna" tale da rappresentare degnamente la propria ricchezza e facesse di questo palazzo una delle più ammirate architetture della città. Guglielmo Aiutamicristo, banchiere di origine pisana, era stanco infatti di abitare nel castello arabo di Misilmeri, paese di cui era il signore, volendosi trasferire nella capitale per meglio condurre i commerci nell’esportazione di formaggi e cereali siciliani, che lo avevano arricchito nel giro di qualche decennio. Nonostante la realizzazione sia stata modificata rispetto ai disegni iniziali, il pregio architettonico e gli arredi interni di grande ornamento e decoro, richiamarono a dimorare nel palazzo ospiti illustri. Comprensibilmente con la mancanza di specifiche strutture, nei primi anni del secolo XVI vi albergò la regina Giovanna, moglie del re don Ferrante di Napoli; nel 1535 vi fu ricevuto l’imperatore Carlo V, preferendolo al palazzo reale non adatto alla propria magnificenza; nel 1544 vi prese alloggio Muley Hassan, re di Tunisi, poco prima di essere accecato dal figlio Ajaja; nel 1576 vi fu accolto don Giovanni d’Austria, fratello del re Filippo II, vincitore della battaglia di Lepanto. Nel 1588 Margherita Aiutamicristo concesse in affitto il palazzo a Francesco Moncada, primo principe di Patemò, per un canone di 390 once annue. è il primo atto che porterà la famiglia a distaccarsi da questo palazzo tanto ammirato, perché Moncada, ben presto chiederà, ed otterrà, di tramutare l’affitto in proprietà».
http://www.entasis.it/grandtour/PaAiutamicristo.htm
Palermo (palazzo Chiaramonte Steri)
«Nel 1306 Manfredi Chiaramonte il Vecchio acquistava dal Convento di Santa Maria di Ustica e di S. Onofrio, il terreno su cui sorge l’edificio. Non è noto quando e da chi fu iniziata la costruzione del Palazzo, ma poiché il Chiaramonte era Gran Giustiziere Capitano di Palermo ed Ammiraglio del Regno, è probabile che ad iniziare i lavori sia stato lui, intorno al 1307. Il Palazzo è chiamato anche Steri (da “hosterium”, palazzo fortificato), ed è il primo esempio del nuovo stile architettonico che si affacciava in Sicilia all’inizio del Trecento: lo stile, detto appunto “chiaramontiano”, che si caratterizzava per la facciata elegante e raffinata, coronata da feritoie ed adornata da splendide finestre con archi ogivali a sesto acuto. Il Palazzo ha una storia segnata da avvenimenti cruenti e terribili. L’ultimo dei Chiaramonte, Andrea, nel 1396 fu decapitato davanti al suo palazzo. Poi lo Steri passò al regio demanio. Sotto il re Martino fu sede della Corte; quindi, intorno al 1400, vi si stabilirono i siniscalchi e i tribunali. Nel 1601, dopo che nel 1598 la Regia Magna Curia fu trasferita al Palazzo dei Normanni, lo Steri divenne sede del Tribunale della Santa Inquisizione. In quel tempo fu costruito il Carcere dei Penitenziati e nello stesso Steri ebbero sede le spaventose prigioni dei Filippini. Il Tribunale fu chiuso nel 1782 dal Viceré Caracciolo, il quale diede poi alle fiamme l’archivio segreto e gli strumenti di tortura. Per qualche anno lo Steri fu sede del Rifugio dei Poveri di S. Dionisio e successivamente della Regia Impresa del Lotto. Dal 1800 al 1958 il Palazzo ospitò nei piani superiori gli Uffici Giudiziari e, al pianoterra, gli uffici della Dogana. All'interno - al primo piano - si trova la Sala Magna o dei Baroni, con uno splendido soffitto ligneo, considerato una vera e propria "enciclopedia medievale": conta trentadue storie, per lo più bibliche, mitologiche o cavalleresche, dipinte a tempera nel 1380 dai pittori Darenu da Palermo, Simone da Corleone e Cecco da Naro. In una delle sale è esposta "La Vuccirìa" di Renato Guttuso. Il celebre quadro, dipinto nel 1974, è un’opera in cui lo spirito del celebre mercato palermitano, con il suo colore, le sue suggestioni, il suo stordimento fatto di odori e di voci, viene evocato nell’espressionismo vitale di una figurazione esuberante e magniloquente. Oggi il Palazzo Chiaramonte-Steri è sede del Rettorato dell'Università di Palermo. Solo una minima parte degli ambienti è aperta al pubblico».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/palermo/palazzo-chiaramonte-steri
Palermo (palazzo Pretorio o delle Aquile)
«Era pretore Pietro Speciale quando intorno al 1470 il palazzo fu edificato su una preesistenza trecentesca. Dopo i numerosi ampliamenti e trasformazioni delle età rinascimentale e barocca, che lo rendevano un interessante palinsesto di stili, fu rifatto in modi neoclassici nel 1875 dall'architetto Damiani Almeyda. Il Palazzo Pretorio, oggi sede del Comune, definisce il lato meridionale della piazza omonima al cui centro è la suggestiva Fontana Pretoria. è un volume rettangolare compatto, con un cortile al centro. L'architetto Damiani Almeyda, all'esterno, ha rivestito ogni facciata con un uniforme finto bugnato color ocra. Il prospetto principale è forato da quattro ordini di regolari aperture, balconi quelle del piano nobile. Del 1827 sono i pesanti consolidamenti, ritenutisi indispensabili dopo il sisma del 1823, che modificarono soprattutto l'atrio, in cui venne costruito un portico tetrastilo sul lato meridionale e lo scalone, esistente già dal 1596, dal quale venne eliminata la rampa che permetteva l'accesso dal prospetto orientale, su cui era la porta con l'iscrizione, ancora esistente, «PAX HUIC DOMUI». Sul portale è l'Aquila marmorea, simbolo della città di Palermo, dello scultore Salvatore Valenti (1880), mentre sul coronamento è una statua di S. Rosalia, patrona della città, di Carlo D'Aprile (1661). Dall'atrio centrale, sopraelevato rispetto al livello della piazza, tramite il maestoso scalone, si passa ai saloni del piano nobile aggiunti dopo il 1553: la Sala rossa, la Sala gialla, la cappella e, soprattutto, la Sala delle Lapidi, cosiddetta per le numerosissime iscrizioni marmoree collocate alle pareti, ove si riunisce il consiglio comunale. Al secondo piano, di carattere meno aulico, sono i vari uffici. Nell'atrio sono degni di nota il portale barocco con colonne tortili, opera di Paolo Amato (1691); i due affreschi di Giuseppe Albina e Giovanni Paolo Fonduli raffiguranti Cristo in Croce e La Vergine Immacolata (1591); nello scalone la statua del Genio di Palermo, opera di Gabriele di Battista e Domenico Gagini (seconda metà del XV secolo)».
http://artemedia.neomedia.it/?pag=scheda.php&id=40
Palermo (palazzo Reale o dei Normanni)
«DA FORTEZZA A REGGIA NORMANNO-SVEVA. Nel 1072, Roberto il Guiscardo e Ruggero d'Altavilla, condottieri normanni (del ceppo proveniente dalla Francia settentrionale e stanziatosi nell'Italia meridionale), conquistano Palermo e potenziano ulteriormente le fortificazioni anche con la costruzione di una Torre (detta Rossa presumibilmente per il colore dei materiali usati) in posizione più avanzata rispetto al 'qasr' arabo. Nonostante i problemi difensivi, preminenti per la insofferenza della popolazione araba di Sicilia, Ruggero (divenuto Gran Conte di Sicilia) sembra avesse pensato di costruire, all'interno della fortezza, un palazzo (lo farebbero supporre alcune strutture ancora non del tutte studiate dagli archeologi); è però nel 1130, con Ruggero II, il primo dei re normanni di Sicilia che, pur non trascurando le caratteristiche difensive della fortezza, la trasforma in reggia. Nel 1132 Ruggero II realizza, all'interno della reggia e immediatamente al di sopra di una chiesa preesistente, la Cappella di S. Pietro, detta 'Palatina' (cioè 'del Palazzo'). I suoi successori, Guglielmo I e Guglielmo II, proseguiranno nell'opera di trasformazione del Palazzo che, articolandosi attraverso un sistema di torri (Pisana, Ioaria, Chirimbi, Greca) tra loro collegate da camminamenti, presenta numerosi ambienti necessari ad ospitare una corte cosmopolita, nonché la Zecca (v. foto) ed il Tiraz, l'opificio per la manifattura di stoffe preziose. Per la raffinata eleganza delle soluzioni architettoniche e per la ricercatezza delle decorazioni si deve ritenere che la Torre Pisana e la torre Ioaria (la Chirimbi non è più esistente e la Greca è stata oggetto di demolizioni e ricostruzioni) abbiano ospitato gli appartamenti dei sovrani normanni nonché di Federico II di Svevia (nipote di Ruggero II e di Federico Barbarossa), imperatore di Germania e re di Sicilia. Il quale, pur costretto a lasciare per lunghi periodi la sua città (in quel periodo fra le più importanti insieme con Costantinopoli e Alessandria d'Egitto), vorrà esservi sepolto. Dopo la morte di Federico II (1250) e con il tramonto della casata Sveva, la Sicilia è attraversata da lunghe lotte di potere che vedranno prevalere prima gli Angioini e, dopo la rivolta dei Vespri siciliani (iniziata nel 1282), gli Aragonesi. Alla fine del 1300 gli ultimi sovrani di questa dinastia (originatasi nel sud-est della penisola iberica) decidono, probabilmente anche per motivi di sicurezza, di lasciare il Palazzo reale per trasferirsi nel palazzo tolto ai Chiaramonte (lo "Steri"), rei di tradimento. Il Palazzo si ridurrà, quindi, per tutto il XV secolo, a sola struttura di difesa; rimarrà, fortunatamente, sempre attiva la Cappella Palatina.
IL PALAZZO DEI VICERé. A seguito di lunghe e complesse vicende dinastiche, la Sicilia si trova a far parte, nei primi decenni del XVI secolo, dei possedimenti dei sovrani spagnoli, i quali affidano il governo dell'Isola ad un viceré: una sorta di governatore, scelto fra personalità di rilievo della nobiltà più fedele alla Corona, che esercitava poteri amplissimi in nome e per conto del re. Appunto in tale periodo il Palazzo diventa sede del viceré e della sua corte subendo profondi interventi di ristrutturazione sia delle parti esterne che di quelle interne. Già nel 1536, nell'ambito delle opere di potenziamento dell'intero sistema difensivo della città, volute dal viceré Gonzaga, l'ingegnere bergamasco Antonio Ferramolino si era occupato delle fortificazioni del Palazzo, ma è nel 1553, dopo il trasferimento allo Steri del Tribunale della Santa Inquisizione, che si iniziano le demolizioni e le nuove costruzioni. In particolare: nel 1553 viene demolita per motivi strategici la Torre Rossa; nel 1560 vengono costruiti un bastione rivolto ad occidente ed il corpo di guardia compreso tra la Torre Pisana e la Torre Greca, che a sua volta nel 1567 è parzialmente demolita per ricavarne ambienti più ampi. Negli anni immediatamente successivi (1569-1571) viene demolita un'ampia parte delle strutture normanne del lato occidentale del Palazzo e, riutilizzando anche le fondazioni e parte dei materiali preesistenti, viene realizzata una struttura con tre elevazioni: una seminterrata, che alcuni decenni dopo sarebbe stata trasformata ulteriormente (Sale Duca di Montalto), una seconda che si affaccia sul Cortile 'della Fontana', realizzata nel 1571-72 (nel luogo in cui sorgeva la normanna torre Chirimbi); la terza elevazione, costituita da un ampio salone, avrebbe ospitato le sedute del Parlamento della Sicilia o, meglio, i 'Parlamenti generali del Regno', convocati periodicamente dai Sovrani spagnoli. Negli stessi anni si procede alla costruzione dei loggiati del Cortile della Fontana e, nel 1580, per volontà del viceré Marcantonio Colonna, alla realizzazione di un lungo corridoio scoperto per collegare il Palazzo alla Porta Nuova. Negli anni dal 1599 al 1601 vengono costruiti il grande cortile Maqueda (dal nome del Viceré) e lo scalone d'onore destinato a collegare i tre livelli dei loggiati. Nel 1600, quindi, il Palazzo ha mutato quasi del tutto l'aspetto che sostanzialmente aveva mantenuto per quattro secoli. E lo muterà ancora negli anni successivi con il nuovo prospetto che verrà addossato, occultandola, all'antica struttura normanna. All'interno di questo nuovo prospetto si ricaveranno vasti ambienti (disposti sui due livelli principali); in particolare, il piano nobile ospiterà una vasta 'Galleria'. Altri interventi di rilievo riguarderanno: la costruzione di due bastioni sul prospetto principale (1647); la copertura del corridoio di collegamento con la Porta Nuova (1696) e la creazione di nuovi ambienti che oggi ospitano il Comando militare della Regione Sicilia; la demolizione della cupola della Torre Ioaria sostituita da una copertura lignea (1713); la realizzazione di una rampa di accesso al Cortile della Fontana (1735); la 'ristrutturazione' della Galleria che determina la creazione delle attuali Sala Rossa, Gialla e Verde (1787).
L'ULTIMO PERIODO. Con i Borboni il Palazzo si trasforma ancora: nel 1790 Ferdinando IV fa elevare sulla Torre Pisana un Osservatorio astronomico ancora oggi esistente e particolarmente specializzato negli studi di astrofisica; nel 1798 la corte borbonica, trasferitasi nel Palazzo a causa dell'occupazione francese di Napoli, fa modificare numerosi ambienti per adattarli alle nuove esigenze; nel 1811 vengono per l'ennesima volta decorate le pareti e la volta della Sala del Parlamento che sarà chiamata 'Sala d'Ercole' appunto per le numerose tempere che raffigurano le fatiche dell'eroe mitologico; dopo il 1820 vengono demoliti i bastioni. Con l'Unità d'Italia il Palazzo, sebbene ancora 'reale' con la monarchia sabauda, ospiterà anche uffici ministeriali. Il periodo più recente è stato caratterizzato dal restauro del Palazzo, iniziato nel 1930 con le strutture normanne, e tuttora in corso. Nel fare ciò si è tenuto conto della specifica attività che, dal 1947, si svolge in questo articolato complesso monumentale essendo sede dell'Assemblea regionale siciliana, cioè del Parlamento siciliano moderno».
http://www.ars.sicilia.it/tour/default.jsp?page=1
«Ad occidente di Palermo, nella contrada di Altarello di Baida, esistono i resti di un palazzo che Nino Basile ha individuato con quello denominato Uscibene o Scibene. Lo Scibene era un corso d’acqua che bagnava la contrada, la quale pare facesse parte dei territori concessi nel 1177 da Guglielmo II all’arcivescovo di Palermo. Le caratteristiche tipologiche e stilistiche lo fanno risalire al XII secolo e indicano nella costruzione un edificio da giardino di delizie, un riyàd, come attesta un documento del 1681 riportato dal Basile. Con questo lo Scibene è citato «Xibene cum stantiis, cappella et alliis terris viridario, parietibus circum circa dictum viridarium, sive locum et cum acquis fluentibus ex flumine Gabrielis». Appare chiaro che ancora nel XVII secolo esisteva un viridario destinto dalle terre di coltivazione utilitaria, circondato da un muro e ricco di acqua. Alla balza di terreno da cui scaturiva la sorgente fu addossato il nucleo essenziale del palazzo, un iwàn di tipo persiano. L’acqua scaturiva dalla parete di fondo dell’iwàn, scorreva sul pavimento e fluiva in un bacino ancora esistente nel XVII secolo. L’iwàn si apriva verso l’antistante bacino con un fornice ovale. Lo sviluppo dell’iwàn può essere ben apprezzato nel disegno fatto da A. Goldschmidt nel 1898. Al centro delle parete di fondo una frattura del muro rivela il posto della distrutta fontana. Le tre nicchie hanno catini con muqàrnas di due tipi. Ai lati si vedono muqàrnas ad ombrello con scalanature; nella nicchia di fondo i muqàrnas sono a stalattiti, nella forma più generalmente usata a Palermo.Tanto l’uno che l’altro tipo di muqàrnas è presente nell’archittetura fatimida maghrebina. Negli ambienti annessi all’iwàn affiora la roccia della balza sulla quale il palazzo è appoggiato. Lo Scibene aveva un secondo piano innestato sul primo e sul rientro della balza; esso quindi sfruttava la differenza di livello del terreno di appoggio. Qui è la cappella molto manomessa. è decorata all’esterno da arcate cieche, come si vede da un altro rilievo del Goldschmidt».
https://www.facebook.com/note.php?note_id=176343349092769
«Costruito da Matteo Sclafani nel 1330, il Palazzo prospetta su Piazza San Giovanni Decollato ed è considerato un raro esempio di architettura civile tardo-normanna. Sembra che la costruzione del Palazzo sia stata originata da una scommessa: lo Sclafani voleva costruire una dimora signorile che superasse in bellezza quello del cognato Manfredi Chiaramonte, ossia Palazzo Chiaramonte-Speri. Nel Quattrocento l’edificio fu occupato dagli Spagnoli e divenne un ospedale. Nell’Ottocento fu trasformato in caserma. Attualmente è sede del Comando Militare della Regione. In questa serie di passaggi e di cambiamenti di destinazione, l’edificio originario fu modificato e in gran parte cancellato. Ciò che resta lascia intuire che Palazzo Sclafani fosse un palazzo imponente, ingentilito da eleganti intarsi sulla pietra, dalle leggiadre bifore del piano superiore, dagli archi decorati da inserti di pietra pomice. Sul portone d'ingresso si trova un'edicola sormontata da un'aquila, opera di Bonaiuto da Pisa. Nella corte interna un ignoto artista dipinse un notevole affresco - con chiare influenze fiamminghe e spagnole - raffigurante il Trionfo della Morte. Questo affresco è oggi conservato alla Galleria Regionale della Sicilia, a Palazzo Abatellis. Recentemente, è stato scoperto nel cortile l'angolo di un peristilio di una domus romana: si conservano parte delle colonne e gli ambienti affacciati sul portico».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/palermo/palazzo-sclafani/
Palermo (ponte dell'Ammiraglio)
«Costruito per volere del Grande Ammiraglio di Ruggero II, Giorgio d'Antiochia - prima metà del XII sec. (1125-1135) - costituisce un'importante documento che testimonia la notevole professionalità posseduta dai tecnici arabi e normanni, dai quali non deve disgiungersi l'antica esperienza bizantina nella costruzione dei ponti. Si evidenzia in quest'opera d'ingegneria, ed in altre analoghe, svincolate da esigenze formali architettoniche, l'adozione di archi estremamente acuti, staticamente più idonei a sopportare grandi sollecitazioni. Va inoltre evidenziato l'accorgimento di alleggerire con l'apertura di un arco minore, la spalla tra due archi maggiori, ciò consente, oltre ad un risparmio di materiali, un alleggerimento della pressione del fiume sulle strutture. Tutto questo presuppone una profonda conoscenza, anche se empirica, della statica e dell'idraulica da parte degli ingegneri siculo normanni, oltre ad una necessaria progettazione preliminare. Le foto mostrano l'insieme ed i particolari strutturali del ponte, evidenziandone tra l'altro, la particolare inclinazione dei piani viari che contribuisce ad una maggiore staticità complessiva del manufatto».
«Porta Felice chiude il Foro Italico al Corso Vittorio Emanuele. Il prolungamento del Cassaro della chiesa di Portosalvo sino al mare, avvenuto nel 1581 ad opera del viceré Marcantonio Colonna e la necessità di collegare questa strada con l’altra magnifica che correva fuori le mura lungo la spiaggia, creata nell’anno precedente dello stesso viceré, imposero l’apertura di una porta nell’estremità del Cassero. Il senato palermitano, che aveva intitolato la strada di mare (attuale Foro Italico) al viceré Colonna, decise di chiamare (Felice) la nuova porta in onore della moglie del viceré, donna Felice Orsini. Ma i lavori di costruzione della porta, per un complesso di circostanze, andarono per le lunghe. Infatti, effettivamente nei primi mesi del 1584, furono sospesi poco dopo in occasione della partenza del viceré Colonna, avvenuta nel maggio di quell’anno; è i successori si preoccuparono di riprenderli immediatamente. Soltanto nel 1602, essendo viceré il duca di Feria, fu deciso di dare un concreto avvio alla costruzione della porta. Ma in realtà, l’opera concepita dallo Smeriglio venne soltanto realizzata parzialmente. Nel 1636, alla morte dello Smeriglio, veniva nominato come architetto della porta il monrealese Pietro Novello che ne modificava la parte superiore nelle forme che pressappoco oggi si possono osservare. In effetti, al Novelli riuscì a subentrare nella direzione dell’opera Vincenzo Tedeschi, suo rivale, mettendo in evidenza alcuni errori tecnici commessi, ma l’opera, ad eccezione di lievi modifiche, rimase sostanzialmente quella ideata dal morrealese. I lavori si poterono ritenere ultimati soltanto nel 1637, anche se alcuni elementi decorativi, come le due fontane, furono aggiunti soltanto nel 1642. Per circa tre secoli Porta Felice fu protagonista della via palermitana. Attraverso i suoi due piloni fecero il loro ingresso molti sovrani, passarono lunghe processioni, sfilò il carro trionfale di Santa Rosalia durante le tradizionali giornate del Festino, uscirono carrozze ed equipaggi per la celebre passeggiata della Marina della Belle Epoque. Poi, durante il secondo conflitto mondiale, una bomba centrò in pieno il pilone di destra riducendolo ad un ammasso di rovine assieme al contiguo palazzotto Santocanale ed al vicino Ospedale di San Bartolomeo. Al termine della guerra il pilone crollato venne ricostruito, ma purtroppo andarono irrimediabilmente perduti molti elementi decorativi che un tempo lo adornavano».
http://laguilla.wordpress.com/i-barboni-di-palermo
Palermo (porta Nuova, altre porte)
«Porta Nuova. In prossimità del punto estremo e più elevato della via Marmorea o strada del Cassaro, esistette prima del XV secolo una porta detta del palazzo sulla cui ubicazione sono in distacco i diversi autori che sinora si sono occupati della topografia storica di Palermo. la porta del Palazzo venne successivamente chiusa e, verso l’anno 1460, ne fu aperta un’altra, posta proprio in corrispondenza della intersezione della Strada del Cassaro con cortina occidentale delle mura della città. Questa porta denominata dal popolo (nuova) fu dapprima concepita in semplici forme architettoniche, a fornice, con un solo ordine di colonne ed un cornicione sovrastante. Il 12 settembre 1535 da essa entrò in Palermo l’imperatore Carlo V, reduce dai trionfi riportati contro i Turchi nel regno di Tunisi. A ricordo di questo avvenimento, il Senato Palermitano decretò di riedificarla in forme migliori ed i lavori iniziati nel 1538 vennero portati a termine nell’anno successivo, in tale circostanza per volere del viceré del tempo Marcantonio Colonna, la porta fu detta Imperiale o d’Austria. Il 20 dicembre 1667, durante un nubifragio che si abbatté sulla città,l’edificio fu colpito da un fulmine che provocò l’esplosione delle polveri che erano depositate in alcune stanze superiori, causando numerose vittime, oltre ad arrecare notevoli danni alle fabbriche della stessa porta e del vicino Palazzo Reale. La porta venne quasi subito ricostruita nelle stesse forme architettoniche della precedente, sotto la direzione dell’architetto del Senato Gaspare Guercio. Fu nuovamente danneggiata dal terremoto del 13 giugno 1686 e, in conseguenza, vennero eseguite le necessarie opere di consolidamento. Altri notevoli danni subì a causa del terremoto del 5 marzo 1823 e probabilmente, nel corso dei lavori di restauro furono asportate alcune decorazioni marmoree del prospetto che guarda verso la Piazza Indipendenza. Nel 1848 Porta Nuova rischiò di essere demolita ad opera del governo rivoluzionario, ma venne salvata in extremis ...».
http://laguilla.wordpress.com/i-barboni-di-palermo
Palermo (torre di fra' Giovanni o del Rotolo)
«La Torre di fra Giovanni o Torre del Rotolo o del Ruotolo si trova sulla punta Rotolo, tra l'Addaura e Vergine Maria, sul Lungomare Cristoforo Colombo n. 1624 in località Vergine Maria, borgata marinara di Palermo. Venne eretta per volere della real corte nei primi decenni del XV secolo. Era una delle torri costiere di avvistamento di "corta distanza" insieme alla torre di Capo Zafferano, alla torre del Fico d'india, alla torre di Punta di Priola, alla torre della Tonnara di Vergine Maria e alla torre della Tonnara di Mondello. Oggi è di proprietà della Provincia di Palermo. La torre del Rotolo è una torre primitiva e poco efficiente: di struttura esile e dimensioni ridotte, poco adatta a sostenere l'artiglieria, era inoltre priva di cisterna per la raccolta dell'acqua potabile, per cui era difficile resistere agli attacchi nemici. La successiva Torre della Tonnara di Mondello, sperimentando un modello architettonico più razionale, segnò una svolta nel sistema difensivo costiero palermitano. Versa in uno stato di conservazione non ottimale».
https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_del_Rotolo
«Sulla sponda destra del fiume Imera, in posizione epicentrica nella valle fluviale che dal mare si estende verso i rilievi delle Madonne si erge, integra nelle sue strutture e perfettamente conservata nelle sue cinquecentesche forme originarie, la Torre di Garbonogara, il cui corpo massiccio, di forma rettangolare e muratura in pietrame a vista, domina un’ampia corte quadrata chiusa da tutti i lati (baglio). Edificata alla fine del XVI secolo, Garbonogara rimane l’esempio più significativo di baglio cinquecentesco. Dal nome di derivazione araba composto da garb, terra occidentale e nuarah, luogo di floride coltivazioni, Garbonogara lega la sua nascita alla memoria della lavorazione dello zucchero, che ebbe un impatto economico e sociale determinante nella seconda metà del Cinquecento in Sicilia. Costruita e fortificata a difesa del territorio dai predoni che minacciavano i floridi commerci di zucchero lungo la valle del fiume Imera, allora navigabile, la Torre di Garbonogara ha seguito la storia dell’evoluzione del paesaggio siciliano adattandosi, in epoca successiva, in baglio feudale e completando il suo percorso architettonico nella prima metà del Settecento, quando raggiunse il suo assetto definitivo ed attuale. Assolutamente integra nelle sue strutture e forme originarie, la Torre di Garbonogara domina un ampio complesso architettonico costituito dal baglio a corte quadrata, chiuso da tutti i lati; l’accesso, garantito da un unico portale ad arco ricavato al centro della torre e sovrastato da uno scudo inquartato dove sono rappresentati gli stemmi delle famiglie succedutesi nel possesso del feudo, immette in un ampio spazio in cui le scuderie, i magazzini, la cappella, il palmento e le abitazioni servili sono disposte lungo i bracci che chiudono la corte. Due scale esterne in pietra basaltica, collaterali al frontone interno stemmato, collegano il piano terra alla residenza padronale; una merlatura “guelfa” nella parte sommatale della torre cinquecentesca, conferisce al complesso un aspetto ancora guerriero, del tempo in cui dall’alto dei suoi spalti, all’altezza delle caditoie, si combatteva contro gli assalti dei corsari. La dimora padronale mantiene ampie sale dalle volte a botte o lunettate che spingono l’ospite, attraverso strette e tortuose scale ricavate nel corpo stesso della muratura, alla terrazza di copertura e, quindi, alla torre guerriera. Le ampie pertinenze, che un tempo ospitavano le macine e il torchio per la lavorazione della canna da zucchero, le poderose e integre murature in pietrame a vista, la cappella, gli originari pavimenti in cotto testimoni della storica tradizione della ceramica collesanese, i camini in marmo e pietra, il pozzo collegato con un complesso sistema di gallerie sotterranee al vicino fiume Imera, le stalle per il ricovero di buoi e cavalli e i fienili sono, oggi, testimoni viventi delle memorie di un glorioso passato e, al tempo stesso, anfitrioni di un nuovo e moderno modo di conoscere e vivere i fasti della storia attraverso l’accoglienza e l’ospitalità di questa dimora che ha tenacemente e con orgoglio percorso i secoli».
http://www.prolocotermini.it/index.php?option=com_content&view=article&id=218:torre-garbonogara&catid=91:luoghi-di-interesse...
«Villa Niscemi è stata acquistata dal Comune di Palermo nel 1987 per farne la sua sede di rappresentanza. Essa costituisce un insieme di grande interesse sia per la splendida conservazione degli interni, sia per la vastità e bellezza del parco che, confinante com'è con quello della Favorita, ne costituisce la naturale prosecuzione, formando con esso un unicum paesaggistico. Le origini della villa risalgono al XVI secolo, e sono da individuare in una robusta torre agraria, di base quadrata, messa evidentemente a controllo e difesa di una importante tenuta agricola e collegata con altre torri vicine,in particolare con quella del monte Pellegrino, fra le più importanti dell'agro di Palermo. Intorno a questa torre, della quale sono ancora leggibili i resti nell'angolo posteriore sinistro della villa attuale, si estese poi un ampio baglio, caratterizzato, come molti altri siciliani, dall'ampio cortile quadrato, dalla costruzione massiccia delle strutture perimetrali, dalla profonda introversione. Nel corso del Settecento, il baglio venne in proprietà, attraverso una donazione, dei principi Valguarnera di Niscemi, antica e nobilissima famiglia siciliana, risalente a Pietro d'Aragona; esso fu profondamente trasformato, assumendo la forma di una vera e propria villa di campagna, destinata sia alla villeggiatura dei proprietari, sia alla sovrintendenza della vasta tenuta che ancora la circondava. Quest'ultima sarebbe stata smembrata nel 1799, quando, essendo giunto a Palermo Ferdinando di Borbone insieme alla moglie Maria Cristina, in fuga da Napoli a causa della rivoluzione, il principe di Niscemi, insieme ad altri nobili suoi vicini, quali il marchese Vannucci, il principe Malvagna, il duchino di Pietratagliata e il marchese Ajroldi, si offrì di donare parte delle proprie terre al re, affinché i vari appezzamenti, tutti riuniti, potessero formare tutt'attorno, e ai piedi del monte Pellegrino, un vasto parco che costituisse riserva di caccia per il sovrano e oasi di pace per la consorte. La donazione fu poi trasformata, per volere del re, in un acquisto per censuazione, con canone, tuttavia, quasi irrisorio, mentre la vicina casina dei Lombardo, "alla cinese", veniva acquistata per essere adibita a casino di caccia e di feste private. ... Attualmente è sede di rappresentanza del Sindaco. Inoltre presso ex-scuderie, oggetto di un accurato restauro finito nel luglio 1998, trova sede l'Area di servizio d'Arte».
http://www.comune.palermo.it/comune/villa_niscemi/niscemi.htm
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Le prime notizie indicanti il 1165 come data d’inizio della costruzione della Zisa, sotto il regno di Guglielmo I (detto "Il Malo"), ci sono state tramandate da Ugo Falcando nel Liber de Regno Siciliae. Sappiamo da questa fonte che nel 1166, anno della morte di Guglielmo I, la maggior parte del palazzo era stata costruita “mira celeritate, non sine magnis sumptibus” (lett. "con straordinaria velocità, non senza ingenti spese") e che l’opera fu portata a termine dal suo successore Guglielmo II (detto "Il Buono") (1172-1184), subito dopo la sua maggiore età. L'appellativo Mustaʿizz è riferito, secondo Michele Amari, a Guglielmo II anche in un'iscrizione in caratteri naskhī nell'intradosso dell'arcata d'accesso alla Sala della Fontana. Un'altra iscrizione, invece, ben più famosa – in caratteri cufici – è a tutt'oggi conservata nel muretto d’attico del palazzo, tagliata ad intervalli regolari nel tardo medioevo, quando la struttura fu trasformata in fortezza. Alla luce di queste fonti, la maggior parte degli studiosi sono concordi nel fissare al 1175 la data di completamento dei lavori del solarium reale. Fino al XVII secolo il palatium non venne sostanzialmente modificato, come ci testimonia la descrizione del 1526 fatta dal monaco bolognese Leandro Alberti, che visitò la Zisa in quell’anno. Significativi interventi di restauro si ebbero negli anni 1635-36, quando Giovanni de Sandoval e Platamone, cavaliere dell’Alcantara, marchese di San Giovanni la Mendola, príncipe di Castelreale, signore della Mezzagrana e della Zisa, acquistò la Zisa, adattandola alle nuove esigenze abitative. In occasione di questi lavori fu aggiunto un altro piano chiudendo il terrazzo e si costruì, nell’ala destra del palazzo, secondo la moda dei tempi, un grande scalone, resecando i muri portanti e distruggendo le originarie scale d’accesso. Successivamente, nel 1806, la Zisa pervenne ai Principi Notarbartolo, rappresentanti della più antica nobiltà siciliana ed eredi della Casa Ducale dei Sandoval de Leon, che ne fecero propria residenza effettuando diverse opere di consolidamento, quali il risarcimento di lesioni sui muri e l’incatenamento degli stessi per contenere le spinte delle volte. Venne trasformata la distribuzione degli ambienti mediante la costruzione di tramezzi, soppalchi, scalette interne e nel 1860 fu ricoperta la volta del secondo piano per costruire il pavimento del padiglione ricavato sulla terrazza. Nel 1955 il palazzo fu espropriato dallo Stato, ed i lavori di restauro, iniziati immediatamente, vennero poco dopo sospesi. Dopo un quindicennio d’incuria ed abbandono nel 1971 l’ala destra, compromessa strutturalmente dai lavori del Sandoval e dagli interventi di restauro, crollò. Il progetto per la ricostruzione strutturale, il restauro filologico e la fruizione, venne affidato al prof. Giuseppe Caronia, il quale, dopo circa vent'anni di appassionato lavoro e rilettura integrale, nel giugno del 1991, restituì alla storia, uno dei monumenti più belli e suggestivi della civiltà siculo normanna. ...
Descrizione. Il palazzo della Zisa, concepito come dimora estiva dei re, nasce da un progetto unitario, realizzato da un architetto di matrice culturale islamica ben consapevole di tutta una serie di espedienti per rendere più confortevole questa struttura durante i mesi più caldi dell’anno. Si tratta, infatti, di un edificio rivolto a nord-est, cioè verso il mare per meglio godere delle brezze più temperate, specialmente notturne, che venivano captate dentro il palazzo attraverso i tre grandi fornici della facciata e la grande finestra belvedere del piano alto. Questi venti, inoltre, venivano inumiditi dal passaggio sopra la grande peschiera antistante il palazzo e la presenza di acqua corrente all’interno della Sala della Fontana dava una grande sensazione di frescura. L'ubicazione del bacino davanti al fornice d'accesso, infatti, è tutt'altro che casuale: esso costituiva una fonte d’umidità al servizio del palazzo e le sue dimensioni erano perfettamente calibrate rispetto a quelle della Zisa. Anche la dislocazione interna degli ambienti era stata condizionata da un sistema abbastanza complesso di circolazione dell’aria che attraverso canne di ventilazione, finestre esterne ed altri posti in riscontro stabilivano un flusso continuo di aria. La stereometria e la simmetria del palazzo sono assolute. Esso è orizzontalmente distribuito in tre ordini, il primo dei quali al piano terra è completamente chiuso all’esterno, fatta eccezione per i tre grandi fornici d’accesso. Il secondo ordine è segnato da una cornice marcapiano che delinea anche i vani delle finestre, mentre il terzo, quello più alto, presenta una serie continua di arcate cieche. Una cornice con l’iscrizione dedicatoria chiudeva in alto la costruzione con una linea continua. Si tratta di un’iscrizione in caratteri cufici, molto lacunosa e priva del nome del re e della data, che è tuttora visibile nel muretto d’attico del palazzo. Questa iscrizione venne, infatti, tagliata ad intervalli regolari per ricavarne merli nel momento in cui il palazzo fu trasformato in fortezza. ...».
http://it.wikipedia.org/wiki/La_Zisa
Partinico (castello di Monte Cesarò)
a c. di Vita Russo
Paternella (torre Toledo o Paternella)
«Il mare e la costa sono le peculiari attrattive della cittadina [Terrasina]; dal porto terrasinese, che possiede una flotta peschereccia di tutto rispetto, l'itinerario marino incontra la spiaggia della Praiola dai suggestivi faraglioni, subito dopo la grotta Perciata, che ispirò al poeta Giovanni Meli le più belle pagine sul mare. Il punto dove il poeta soleva rimirare le onde che s'infrangevano nell'antro è chiamato "seggia di l'Abati Meli", sedia dell'Abate Meli. L'itinerario costiero prosegue con la cala Palazzolo, l'antica cala bianca, vigilata dalla cinquecentesca torre Alba, futura sede del museo del mare. Grotte marine e insenature spettacolari si susseguono in un mare di cristallo: la grotta Monachelle, la famosa cala Rossa e, oltrepassata la punta Catalana, la grotta Madonna, cala Porro e capo Rama con la caratteristica torre senatoria circolare del XV secolo. Tre celebri grotte, dei Nassi, dei Palombi e la grotta Grande ci portano alla torre Paternella (XVI sec). Cala Corallo, grotta dei Parrini e della Stella, cala Sciaccotta, cala dei Muletti e l'arenile San Cataldo concludono lo splendido itinerario della costa, forse la più bella della Sicilia Occidentale».
http://www.palermoweb.com/Terrasini
Piraineto (torre Muzza o Torrazzo o "torre Ulisse")
«La Torre Muzza, detta anche Torrazza, è una torre di difesa costiera che faceva parte del sistema di Torri costiere della Sicilia, e si erge nella località di Piraineto (frazione di Carini) in provincia di Palermo ricadendo nel territorio comunale di Carini. Fu costruita solo dopo le ricognizioni effettuate nel 1578 dall’architetto reale Tiburzio Spannocchi, e dopo il 1583 da Camillo Camilliani, infatti in entrambe le ricognizioni la torre non è citata. Solo nel 1677 compare in una cartografia militare sabauda come già esistente. Pur non risultando negli elenchi delle 45 torri affidate, direttamente, alla gestione della Deputazione del Regno di Sicilia, nel 1809 tale organismo scrisse al Principe di Carini per lamentarne il degrado, ed in tale occasione è identificata come Torrazza. La torre è citata nel 1823 nella cartografia dello Stato Maggiore del Regio Esercito Borbonico. Infine nel 1867 è ricompresa nell’elenco delle opere militari da dimettersi. All’inizio degli anni ’70, da una ricognizione personale, la torre risultava in terreno privato ed era ancora custodita tant'è che il varco creato a piano terra nella cisterna era chiuso con una porticina in legno. Mazzarella e Zanca dopo visite effettuate nel 1976 relazionavano che ormai era quasi del tutto diruta. Essa faceva parte del sistema difensivo di avvistamento di naviglio saracene ed era in collegamento visivo ad est con le due Torre di Isola delle Femmine, mentre ad ovest con la Torre Pozzillo e con la Torre della Tonnara dell'Ursa. Ormai è completamente in rovina, restano comunque imponenti i resti residui, nella ricognizione effettuata agli inizi degli anni ’70, fu misurato il basamento ancora intatto risultando di ben 18 metri lineari, era quindi una delle torri più grandi del sistema difensivo e si giustifica, forse, il toponimo in volgare la Torrazza. Negli anni Novanta del secolo scorso un locale di ristorazione, fantasiosamente, aveva quale insegna Torre di Ulisse, e ad absurdum nella toponomastica del Comune di Carini la via che conduce ai resti si chiama ora via Torre di Ulisse».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Muzza
POLLINA (resti del castello dei Ventimiglia, torre del Marchese)
«In cima al pizzo sorge il castello di cui oggi rimangono pochi ruderi; invece s'innalza ancora imponente la torre quadrata. È stata, questa torre, la prima specola del Rinascimento, infatti tra il 1548 ed il 1550 il grande scienziato messinese Francesco Maurolico la utilizzò come osservatorio astronomico. Grazie alle sue osservazioni furono corrette le Tavole Alfonsine, il calendario in uso fin dal Duecento. A un architetto veneziano, Antonio Foscari, si deve il progetto realizzato nel 1978 del moderno anfiteatro di Pietrarosa, costruito ai piedi della torre medievale del castello dei Ventimiglia. Il teatro è stato chiamato in questo modo per via del colore caratteristico, non solo della pietra utilizzata, ma dell'intera montagna su cui sorge il paese, una roccia di tipo dolomitico che al tramonto assume il tipico colore rosato. La struttura, in cui possono trovare posto un migliaio di spettatori, è perfettamente integrata nel contesto urbano ed è stata realizzata come avrebbero fatto secoli fa i nostri avi greci, seguendo l'andamento del terreno e con una vista spettacolare sulle Madonie. Su uno sperone roccioso slanciato sul mare, quasi come la prua di una nave circondata da una terrazza da dove si gode un mare incredibilmente trasparente e la vista spazia da Cefalù a Capo d'Orlando, s'innalza la torre del Marchese, costruita all'origine sia per la difesa dal mare e dai pirati sia per proteggere le cosiddette pietre del portizzolo (Scoglio Grande). Dietro il Baglio (oggi Cortile Carettieri) che era l'emporio, il caricatolo dove affluivano i predoni delle Madonie».
http://www.vivimadonie.it/component/k2/item/77-le-chiese-teatro-castello-pollina.html
San Nicola l'Arena (castello San Nicola)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Sopra una bassa scogliera in riva al mare, fu edificato verso la fine del XV sec. dall'architetto Tommaso Ansalone o, secondo il Fazello, per Tommaso Crispo circa un secolo prima. Anch'esso, come quelli vicini di Solanto e Trabia, ebbe lo scopo di proteggere quel tratto di mare dalle aggressioni dei pirati turchi che, in quei tempi, avevano preso di mira le spiagge siciliane più ricche di pesca. Accanto vi si trova infatti ancor oggi la antichissima tonnara della quale sappiamo che sul 1361 apparteneva a Perrono Gioieni il quale, in tale epoca, si ebbe da re Federico III un diritto sulle tonnare del territorio di Palermo. Nel 1509 tali diritti sulla tonnara di S. Nicola pervennero ad Antonino Spadafora. Al tempo che intercorre tra queste due date è attribuita la costruzione del castello, con le sue tre torri delle quali una, al centro, alta ed elegante, contiene tre sale rotonde sovrapposte e terrazza in alto alla quale si giunge per una interessante, strettissima scala ricavata nello spessore del muro. Pervenuto, come si è detto, allo Spadafora il diritto di pesca, è probabile che anche il castello dovette appartenergli e che, insieme, nel 1598 siano passati per linea femminile a Vincenzo Bardi Mastrantonio Bologna la cui figlia Giulia lo avrebbe portato in dote a Giulio Pignatelli (1646 circa). Sul 1657 lo si vuole proprietà di Antonina Ventimiglia Bardi marchesa di Altavilla dalla quale lo ereditò il figlio Giuseppe Bologna (1682). In seguito il castello fu della famiglia Valdina e da questa pervenne ai Mantegna principi di Ganci».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=184
SaNT'ELIA (torre Sant'Elia o del Lanzatore)
«La Torre Sant'Elia o Torre del Lanciatore o Torre del Lanzatore è una torre costiera siciliana che faceva parte del sistema di Torri costiere della Sicilia, sita nel territorio di Santa Flavia nella provincia di Palermo, all'estremo nord della frazione Sant'Elia. Era in corrispondenza visiva con la Torre Zafferano, sul capo omonimo, e con il Castello di Solanto, nell'omonima frazione di Santa Flavia. La torre venne edificata tra il 1553 ed il 1554 su volere del Senato Civico, per la difesa della costa e della tonnara».
Santa Flavia (castello di Solanto)
«A circa 1,5 Km dal centro abitato di Santa Flavia, sorge la borgata marinara di Solanto, che ha ereditato il nome dalla vicina cittadella fenicia di Soluto. Il villaggio, costituito da un piccolo nucleo di abitazioni, ruota attorno al Castello e al Palazzo Reale, e deve la sua origine all’attività della tonnara, ormai non più attiva. Il Castello, edificato nel XII sec., all’epoca di Re Ruggero al preciso scopo di difendere l’attigua tonnara, era costituito da un torrione centrale quadrangolare e da un complesso di bastioni ancorati ad una ripida scogliera. Nel XVIII sec. non rimaneva che un rudere, e solo nel secolo scorso si procedeva al restauro dell’antica rocca attorno a cui veniva costruita l’attuale palazzina in stile gotico dei Principi di San Vincenzo. Francesco Carlo D’Amico, nelle sue Osservazioni Pratiche Intorno la pesca, corso e cammino de tonni del 1816, elenca i diversi passaggi di proprietà della tonnara di Solanto, annessa al Castello, essa fu concessa con suo castello, feudo, torre, terre boschi, ed erbaggi dal serenissimo re Martino nel 1392 a Francesco Casasaggia il figlio del suddetto Francesco lo vendette a Corano Spadafora avendone questi presa l’investitura il 28 luglio 1416. Fu poi questa tonnara, e feudo in potere di Corrado Agliata avendola acquistata in dote da Margherita Spadafora e posseduta col feudo per molto tempo dalla suddetta famiglia. Come ricorda anche il Villabianca, "l’investitura del feudo e Baronia di Solanto, col suo Castello e tonnara" passa nel giugno 1749 a Critoforo Filangeri principe di Santa Flavia, che l’ottiene dalla moglie Antonina Joppolo e Grugno, figlia di Baldassare, principe di Sant’Elia e barone di Solanto. Il castello di Solanto è inoltre legato alla singolare vicenda che vede protagonista nel lontano 1410 la regina Bianca di Navarra, che vi si rifugiò nel tentativo di sottrarsi alle insidie del vecchio ribelle Bernardo Chabrera, Gran giustiziere del regno. Accanto al castello si trova il Palazzo reale, edificato agli inizi del XVI sec. inglobando una originaria torre medioevale, esso svolgeva la duplice funzione di caricatore di grano e centro di tonnara. Successivamente il palazzo reale fu venduto a Giuseppe Amato principe di Galati, che ne fece la propria dimora estiva. Alla fine del 1700, Ferdinando IV esule in Sicilia, vi soggiornò periodicamente».
http://www.comune.santaflavia.pa.it/index.php?option=com_content&task=view&id=29&Itemid=35
Sciara (castello Notarbartolo)
«...Oltre la cittadina di Brucato, che sorgeva sull'altopiano, distrutta nel XIV, è probabile che nel feudo esistessero altri piccoli borghi, di cui in qualche caso è documentata la presenza. Ma la storia del paese inizia ufficialmente il 13 Novembre del 1671 quando il re di Spagna Carlo II investe ufficialmente Filippo Notarbartolo Cipolla del titolo di primo principe di Sciara, concedendogli di popolare il territorio. Anche se, al tempo della signoria del barone Vincenzo Pilo, intorno al XVI secolo, sembra esistesse già un centro abitato con una chiesa, lungo una trazzera a fondovalle del fiume Torto. Dopo aver preso possesso della proprietà, i Notarbartolo costituirono il castello, tipico esempio di residenza seicentesca, sorto, come sempre più spesso accadeva, non tanto per scopi difensivi quanto come dimora della famiglia aristocratica. A partire dal 1823, con l'investitura a sindaco di Nicasio Saso, il paese comincia ad affrancarsi dalla condizione di soggezione feudale, anche se per uscirne definitivamente dovrà ancora attendere una quarantina d'anni, fino al 1860 quando, anche a Sciara, i contadini occuparono le terre feudali, cacciarono alcuni gabellotti e si divisero i terreni. ...».
http://www.comune.sciara.pa.it/index.php?option=com_content&view=article&id=89&Itemid=78
Sciara (resti del castello di Brucato)
«Ubicato nel comune di Sciara, monte Castellaccio, alle pendici est del monte San Calogero si raggiunge da Palermo, A 19 per Messina, uscita Buonfornello per Sciara, strada privata della cava Lambertini. L'area castrale del monte Castellaccio occupa la zona nord occidentale dell'altopiano. Il castello si presenta come un edificio di forma rettangolare (15x10 m), delimitato da mura di diverso spessore, caratterizzate dall'uso di pietrame legato con malta molto dura e foderate da pietre squadrate. La facciata nord presenta tre nicchie, di un metro di profondità, coperte da archi a tutto sesto. Al centro del muro ovest, si trova una porta di 1,20 m di larghezza attraverso la quale si penetra nell'edificio. L'interno era composto da una stanza voltata, in parte scavata nella roccia, e sicuramente da una aula al piano superiore scomparso. Notizie storiche: 970, Bùrqàd (Brucato) è annoverato fra i mudùn (città) siciliani. 1150 ca.,"alta fortezza [hisn], dotata di masserie, mulini, vasti campi coltivati ed anche un mercato. 1310, casale Brucati. 1335, assedio di Brucato da parte dell'armata angioina che si traduce con un insuccesso contro la fortezza {Brucati arcem}. 1338 (mag. 15), nuovo assedio che si conclude con la caduta di Brucato. 1338 (ott. 7), l'armata siciliana, condotta da Giovanni Chiaramonte, assale Brucato e ottiene la capitolazione: li genti di lo dicto Roberto, li quali la dicta terra et castello guardavano, non potendo resistiri a li Siciliani, divinniro ad pactu cum li Siciliani, et la terra predicta cum lu castello restituiro a li Siciliani. 1355 ca., fortellicium Brucati cum gente ibi habitante qui est archiepiscopatus Panormi (si tratta però, forse, di un nuovo insediamento fortificato sorto lontano dalla sede primitiva, verso la costa, oggi case Brucato). 1438, turris (quasi certamente si tratta del nuovo complesso già ricordato). 1558, rovine del castello e dell'abitato. L'altura del monte Castellaccio (434 m) è una vera fortezza naturale che si appoggia ad ovest al monte San Calogero. Dalla sommità, si domina tutto il sottostante sito di Mura Pregne, occupato fin dalla protostoria da un insediamento indigeno e quindi punico-greco. Il monte Castellacelo, invece, è occupato solo a partire dal XIII secolo da un abitato annidato attorno ad un castello e chiuso da una cinta muraria. L'insediamento normanno potrebbe essere stato impiantato al centro del sito di Mura Pregne, dove un sondaggio archeologico ha restituito frammenti di ceramica normanna, mentre la Burqad musulmana occupava probabilmente un'area non indagata dall'equipe di J.-M. Pesez. Il sito, riscoperto grazie allo scavo archeologico organizzato dall'Ecole Francaise de Rome e diretto da J.-M. Pesez, dal 1972 al 1975, si trova ora in completo abbandono. Proprietà attuale: privata».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=144 (tutte le indicazioni bibliografiche sono nella pagina di quel sito)
TERMINI IMERESE (resti del castello)
«Le origini del castello di Termini risalgono a quasi mille anni fa. Il primo indizio è costituito da un’epigrafe araba che si fa risalire agli ultimi decenni del novecento e che era incastrata in un muro contiguo alla porta meridionale del castello. L’iscrizione, oggi conservata nel museo civico, accenna alla costruzione di un edificio “per ordine di Giaw”. Le informazioni sulla sua effettiva consistenza rimasero generiche fino al 1500, cioè fino a quando militari, geografi e disegnatori cominciarono a raffigurare la città e il suo paesaggio nelle carte topografiche, vedute prospettiche, visioni assonometriche. Nel 1578 il castello già si componeva di diversi corpi di fabbrica e di possenti torrioni che si ergevano dalla rupe e si sviluppavano fino al piano inclinato sul mare. Alla fine del XVII secolo, ai piedi della possente mole della costruzione militare, sul versante meridionale, si estendeva il caseggiato di Terravecchia, poi scomparso. Nei primi decenni del ‘700 il castello estende gli spalti meridionali sull’antico quartiere di “Terravecchia” ed amplia i corpi di fabbrica centrali. Sui terrazzamenti che digradano ad oriente, permangono, invece, ampi spazi liberi per favorire il movimento delle truppe e per assicurare la via di fuga verso il mare. Il castello venne distrutto quasi totalmente nel 1860 per mano dei Borboni. Delle antiche strutture restano, oggi, soltanto alcuni brevi tratti della cinta muraria ed una grande cisterna di raccolta dell’acqua posta sulla sommità e inglobata nell’attuale costruzione degli anni ’50. Questa, con rampe e terrazzamenti, consente l’accesso al punto più elevato della rupe e costituisce un eccezionale punto panoramico sul paesaggio del golfo di Termini».
http://www.terminidamuri.it/it/itinerari-guidati/itinerario-delle-torri-e-dei-castelli.html
TERMINI IMERESE (torre di via Roma, torre dei Saccari, torre Battilamano)
«Torre medievale e Via Roma: Realizzata dopo il 1860 rappresenta uno dei primi esempi di decorazione urbana relativa ad un asse viario. La scalinata monumentale collega la parte bassa della città con la parte alta; vi si può osservare il Collegio dei Gesuiti e la Torre medievale. ... Torre dei Saccari e chiesa di Sant’Orsola: Fondata intorno al XV-XVII secolo. Il sito sarebbe stato interessato dalle strutture difensive della città già in epoca ellenistico-romana, successivamente utilizzate dagli arabi. Tali strutture sarebbero entrate a far parte dell’attuale complesso religioso e, in particolare, del suo campanile. Il complesso deve il suo aspetto attuale ai lavori ultimati a metà del XVIII secolo. Il campanile si erge a fianco dell’abside nelle forme di una possente torre a base quadrangolare che anticamente veniva chiamata Torre dei Saccari (di evidente origine araba, Saqqarah = rocca). Nella parte sommitale, all’altezza della copertura, sono visibili dei “pennacchi” che forse raccordavano la struttura ad una copertura a cupoletta, tipica dell’architettura arabo-normanna. All’interno tela di notevoli dimensioni con “San Benedetto che resuscita un confratello” di Mattia Preti, quadro raffigurante la “Madonna del Rosario” di Tommaso Pollace del 1782». La torre Battilamano, oggi diruta, databile XVIII secolo, si trova in contrada Buonfornello.
http://www.terminidamuri.it/it/itinerari-guidati/itinerario-delle-torri-e-dei-castelli.html
Terrasini (castello dei principi La Grua)
«Terrasini fu terra feudale dei La Grua-Talamanca, principi di Carini che hanno lasciato il segno del loro dominio, oltre nello stemma comunale, nel castello settecentesco, oggi residenza municipale, edificio assai rimaneggiato che conserva le antiche vestigia nelle sale interne del piano terra; altro edificio costruito dai La Grua è palazzo Cataldi, sede della prestigiosa biblioteca Comunale "Claudio Catalfio"».
http://www.palermoweb.com/Terrasini
Terrasini (castello di Gazzara)
«In contrada Bagliuso, sotto l'imponente catena montuosa che sovrasta la città, si trovano il seicentesco castello di Gazzara, appartenuto alla potente baronia locale e la caratteristica senia, espressione della cultura materiale contadina, è uno strumento utilizzato per l'irrigazione dei campi, usato sin dal periodo arabo. È una costruzione circolare in pietra tufica, all'interno della quale vi sono diversi meccanismi per l'irrigazione messi in funzione dalla forza degli animali da tiro (buoi o cavalli) che giravano aggiogati intorno alla costruzione».
http://www.sicilie.it/sicilia/Terrasini
TRABIA (castello Lanza Branciforte)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Le sue origini sono molto antiche poiché ad esso pare si riferisca Edrisi nella sua descrizione della Sicilia, fatta in lingua araba nel 1153, parlando di un'amena rocca chiamata "della Trabia", parola che significava magione. Da un privilegio di re Federico III d'Aragona si apprende come, al suo tempo, vi fosse un molino della regia curia dato in concessione a tale Bertino Cipolla ed alla sua morte ceduto dallo stesso re, a Lombardo De Campo. Nel 1408 circa divenne proprietà di Guglielmo Tricotta e poi di Bernardo Tricotta che, per testamento, lo lasciò al convento del Carmine di Palermo. II convento lo cedette a Leonardo Bartolomeo il 21 agosto 1441 e l'atto fu poi confermato da re Alfonso con privilegio del 15 dicembre 1445. Il Bartolomeo, protonotaro del regno, avendo come unica erede la nipote Eloisia, decise di darla in moglie a Blasco Lanza, assicurandogli la successione della Trabia, del palazzo di Palermo e di tutti gli altri suoi beni. Con l'avvenuto matrimonio il Lanza divenne quindi "di Trabia" e da allora la rocca fu proprietà di tale famiglia. ... Nel 1601 re Filippo II di Sicilia, concesse ad Ottavio il titolo di principe sul feudo e castello della Trabia con ordine di primogenitura ed in seguito Ottavio II, principe di Trabia, migliorò le condizioni del paese allargandone i confini (1633). Un secolo e mezzo dopo, il principe di Trabia, Pietro Lanza, nel 1784 trasformò il castello in operoso stabilimento poiché all'industria del tonno aggiunse quella del panno, dei biscotti, dell'olio di "nozzolo" e della colla. L'austera residenza venne così riempita dal fragore di simili imprese, certamente nobili ma tanto in contrasto con la poesia del luogo, finché questa prosaica parentesi ebbe termine con la morte del principe Pietro nel 1811. Il castello venne poi abitato dai suoi proprietari soltanto al tempo della tonnara ed altro principe Pietro nel 1835 istituì fra le sue mura una "società filodrammatica" che vi durò alcuni anni. Suggestivo e pittoresco sull'alta costa rocciosa, il castello conserva anche, intatta, una antica torre, un tempo adibita a carcere, che si innalza solitaria al centro del cortile interno. Tuttora proprietà della stessa famiglia, la ricca e ospitale dimora è stata recentemente restaurata, con appassionata cura, dal principe Raimondo Lanza di Trabia».
http://www.siciliasud.it/galleria-176-luoghi.html
Ustica (fortezza della Falconiera, ruderi del castello saraceno)
«Recenti scavi effettuati hanno portato alla luce due insediamenti: uno preistorico vicino ai Faraglioni databile al 1200-1500 a.C. - che è tra gli insediamenti umani nell'isola quello più importante - e che presenta resti di capanne, la cui disposizione fa intravedere un vero e proprio centro urbano e l'altro in località "Castello Saraceno", dove situati sulla Rocca della Falconiera vi sono resti di un antico insediamento abitato sin dal III sec. A.C.. Ustica, terra aspra e ricca di storia, punto strategico per i traffici ed i commerci, vide susseguirsi nei secoli varie dominazioni come quelle dei Fenici, dei Greci, dei Romani dei normanni e degli spagnoli. In seguito fu la base delle scorrerie saracene che l'usavano per nascondere le loro navi e quindi attaccare di sorpresa i naviganti. Ferdinando IV, re delle due Sicilie, fece innalzare una serie di fortificazioni intorno all'isola per consentire ai coloni una maggiore protezione. Furono costruite le cisterne per l'acqua piovana e case che andarono poi a costituire, intorno alla Cala Santa Maria il centro abitato principale. Il fortino chiamato Rivellino di San Giuseppe fu costruito dai Borboni come avamposto della fortezza della Falconiera nel 1804. Fu abitato dal Comandante Di Bartolo, poi dai tedeschi nell'ultima guerra e, dopo un periodo di abbandono, venne restaurato. In cima alla Rocca troviamo un fabbricato appartenente alla fortificazione borbonica del 1763 e una torretta di avvistamento, innalzato su antiche abitazioni scavate nel tufo abitate principalmente dalla civiltà romana. Tale fabbricato è la "fortezza della Falconiera" che ospitava i soldati borbonici a difesa».
http://www.sicilianelcuore.net/ustica/ustica.html
Ustica (torre dello Spalmatore)
«Simile a quella di Santa Maria, costruita parimente dai Borboni con la colonizzazione dell’isola, per difesa contro l’arroganza dei pirati algerini. Detta torre, adibita per i soldati di difesa, in seguito ospitò la caserma dei Carabinieri per il servizio della Colonia del confino, ed anche per abitazione privata. Restaurata nel 1996 ospita il centro didattico della Area Marina Protetta, dove vengono effettuate proiezioni di diapositive e filmati. Attualmente però è chiusa in attesa di una collocazione».
http://www.ampustica.it/contenuti.aspx?cat=3&id=125
«Costruita dai Borboni nel 1763, contro le incursioni dei pirati. Inizialmente ospitò militari. Quando i pirati, scoraggiati dalla difesa esistente, abbandonarono le incursioni e la torre smantellò i suoi armamenti, ospitò famiglie di autorità e, al momento del bisogno, diventò carcere. Cessato anche il bisogno di un carcere in Ustica (1965) rimase abbandonata. Nel 1972 è stata restaurata e destinata ad ospitare il museo archeologico e la pinacoteca locale. È contemporanea a quella dello Spalmatore, ambedue di costruzione solida piramidale tronca, con diversi ambienti e cisterna. Ambedue avevano il ponte levatoio che fu sostituito, in questa di Santa Maria, da una scala. Nel 1939 vi è stata collocata una croce che guarda il paese e ricorda il lavoro apostolico dei Cappuccini all’inizio della colonizzazione ed alla nuova ripresa, voluta dai superiori della Diocesi. Oggi, sede del Museo Archeologico, ospita i reperti rinvenuti al villaggio preistorico presso i Faraglioni e nelle tombe di età ellenistico-romana di Capo Falconiera, così come tantissimi reperti di archeologia marina trovati nell’isola».
http://www.ampustica.it/contenuti.aspx?cat=3&id=124
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