a cura di Felice Moretti |
La balena nel Bestiario di Guillaume le Clerc, XIII secolo (ms. 14969, Bibl. Nat. Paris).
Se
chiara ed intensa è la simbologia cristica del pesce fin dai Padri della
Chiesa; se la sua allegoria moralizzante ed edificante non presenta difficoltà
d'interpretazione, meno chiari sono invece i testi che fanno riferimento al
pesce come cibo per gli uomini, soprattutto se si riferiscono a pesci di grossa
taglia come il delfino e la balena che, parentia e
spirantia - cioè mammiferi e provvisti di
polmone - erano considerati cibo "opulento" ed incerto nella
classificazione del pasto quaresimale.
Poco
univoco fu l'atteggiamento degli ordini monastici sulla liceità o meno di
mangiare "pesce grasso" in tempo di Quaresima, in quanto cibo troppo
simile alla carne, e ancora meno lo fu nella chiesa altomedievale.
Una
discriminazione fra pesci leciti ed illeciti, fatta da Gregorio Magno, che
riteneva inutile privarsi della carne di animali terrestri per rimpiazzarla con
la polpa sanguinolenta di pesci di grosse dimensioni, fu ribadita tre secoli più
tardi dal concilio di Tribur (895): la carne dei grossi mammiferi non poteva
rientrare nel cibo quaresimale. Successivamente, con la credenza che il pesce di
qualunque taglia traeva vita dall'acqua e quindi non illecito, la Chiesa
cedette ad una più discreta liberalità del suo consumo, anche in virtù del
fatto che la carne di pesce era meno pericolosa per l'eccitazione delle
passioni e non soggetta a contaminazioni seminali. Se poi consideriamo che nel
corso del secolo XI la carne di balena, secondo
Hildegard di
Bingen, era
considerata
rimedio contro la follia; il suo cuore contro gli svenimenti; il polmone,
bollito in acqua, contro la febbre; il fegato, bruciato sui carboni ardenti,
contro gli spiriti, la illeicità del suo consumo trovava ben pochi spazi.
L'azione terapeutica che producono gli organi della balena sono in sintonia con la simbologia positiva attribuita al cetaceo da Hildegard di Bingen, al contrario del Physiologus che lo identificava con il diavolo. La balena è anzi la sua avversaria per eccellenza. Così recita il Physiologus:
«C'è un mostro nel mare detto balena: ha due nature. La sua prima natura è questa: quando ha fame, apre la bocca, e dalla sua bocca esce ogni profumo di aromi, e lo sentono i pesci piccoli e accorrono a sciami nella sua bocca, ed esso li inghiotte; non mi risulta invece che i pesci grandi e adulti si avvicinino al mostro. Così anche il demonio e gli eretici, con la seduzione e l'inganno, che sembra essere un soave profumo, adescano i piccoli e coloro che non hanno il senno adulto; quelli invece che hanno l'intelletto adulto, sanno di non poterli attrarre... L'altra natura del mostro: esso è di proporzioni enormi, simile a un'isola; ignorandolo, i naviganti legano ad esso le loro navi, come in un'isola, e vi piantano le ancore e gli arpioni; quindi vi fanno fuoco sopra per cuocersi qualcosa: ma non appena esso sente caldo, s'immerge negli abissi marini e vi trascina le navi. Se dunque anche tu, o uomo, ti tieni sospeso alla speranza del demonio, questi ti trascina con sé nella geenna del fuoco».
La trasposizione dalla letteratura
all'iconografia della balena affamata e dalla bocca aperta è di facile
individuazione soprattutto nei doccioni delle cattedrali.
La
prima "natura" della balena è accostata quasi con le stesse parole a
quella della pantera, che nei Bestiari la precede
immediatamente, ma con un
simbolismo rovesciato; positivo nel Physiologus
quello
della pantera, totalmente negativo quello della balena in cui vi traspare
l'allegoria degli increduli che si lasciano trascinare all'inferno ignorando
gli inganni del demonio. È un motivo ricorrente, espresso da sant'Ambrogio come
anche nella leggenda di san Brendano.
Di
duplice natura, la balena acquista caratteristiche piú complesse nel mito di
Giona. Per Bartolomeo Anglico è un mostro benefico che protegge i piccoli
minacciati dalla tempesta o li libera se arenati, sputando acqua sopra di
loro.
La balena in un'incisione del XVI secolo.
Sballottata
fra simbologie contrastanti dal Physiologus
e
dai Bestiari, talvolta sembra che alla balena sia stata negata anche una
collocazione certa nella iconografia se talune rappresentazioni la raffigurano
persino con due zampe e finanche in Islanda dove è familiare.
Piú
reali invece sono le balene di Alberto Magno che ne distingue due sottospecie:
una che «habet os ad sugendum sicut murena (et hoc habet carnem meliorem)» e
l'altra che «habet dentes magnos ad masticandum (et non habet carnem minus
bonam)», la prima vegetariana, l'altra carnivora.
Pur
in questa distinzione, che farebbe ridere gli ittiologi moderni, è evidente
in Alberto Magno una originalità di studio ed osservazione dell'ittiofauna
come di tutto il mondo animale; e le descrizioni anatomiche raggiungono un
buon livello specie se riferite all'ittiofauna dell'Occidente cristiano
effettivamente osservabile.
È
evidente che la scienza del tempo di Alberto Magno è
superiore in qualità e quantità a quella dei secoli XI e XII. Egli
eccelle soprattutto nella trattazione degli animali, delle piante e dei
minerali, ed è pronto a contrastare anche i principii dei filosofi, le
concezioni di autori cristiani: quelli dei secoli immediatamente precedenti al
suo, come Hildegard di
Bingen, che assegnava ai pesci un posto di tutto
rispetto nella simbologia religiosa. La visione di Hildegard, nella
trattazione della balena, era infatti ancorata al Physiologus
e ai vari Bestiari. Conosciuta sotto il nome di cete,
questa specie marina che incontriamo nel Genesi, assume le sembianze di un mostro di vaste proporzioni con
l'appellativo di aspidochelone.
Se le acquisizioni dei secoli XII e XIII sul mondo dei pesci e sulla loro anatomia erano limitate; se le risposte ai problemi etologici della specie erano improntate su elementi di pura fantasia ed immaginazione non poggianti nemmeno sulle Scritture, quasi prive di una chiave di conoscenza del regno dei pesci, questo regno rimaneva e rimane ancora chiuso dal suo elemento, il mare, alla sua compiuta conoscenza. Nonostante gli sforzi della scienza e dell'intelligenza a penetrare il mare e nonostante i progressi nella conoscenza del suo habitat, resta pur sempre spaventoso il suo infinito.
«Nel mare e solo nel mare - scrive U. Galimberti -, non dietro la siepe dell'ermo colle, appare quanto è spaventoso l'infinito, e
con l'infinito quanto è spaventosa la libertà sognata prima che l'ultima
catena ci sciogliesse dalla terra, ora che non esiste più terra alcuna, ma
solo il più assetato degli elementi, il più affamato, il più pauroso, il più
misterioso, il mare. Allontanandolo dal proprio cuore, perché metafora
dell'instabile e dell'inquietante, gli uomini delle stabilità plurali, gli
occidentali, hanno fatto del mare la pozzanghera della terra dividendo le onde
in acque territoriali per delimitare anche sull'instabile le loro proprietà,
cioè i segni delle loro divisioni, l'odio cieco dei loro cuori esangui, e per
questo cattivi. E così il mare ha smesso di offrire terre sconosciute al
navigante che incoraggiava il suo cuore, perché il compito che gli uomini gli
hanno assegnato è quello di delimitare terre nemiche. Ulisse non avrebbe mai
sospettato che la forza del mare "immensa nei suoi flutti" potesse essere
superata dalla violenza dei cuori invincibili negli odi».
Da leggere:
M. A. Grignani, Navigatio Sancti Brendani,
Milano 1975.
A. Graf,
Miti, leggende e superstizioni del
Medioevo, Milano 1984.
R. Delort, La balena: realtà e mito nel
Medioevo, in L. Battaglia (a cura di), Lo
specchio oscuro. Gli animali nell’immaginario degli uomini, Torino 1993.
L. Morini (a cura di), Bestiari medievali,
Torino 1996.
F. Moretti, Specchio del mondo. I ‘bestiari fantastici’ delle cattedrali, Fasano 1996 (da cui è tratta la prima immagine di questa pagina).
F. Maspero
- A. Granata, Bestiario medievale,
Casale Monferrato 1999.
F. Zambon, L’alfabeto simbolico degli
animali, Milano-Trento 2001.
M. P. Ciccarese (a cura di), Animali simbolici,
Bologna 2002
©2003 Felice Moretti