a cura di Felice Moretti |
La mitica conoscenza della fauna medievale affondava le radici in antiche teogonie, in leggende popolari, in antiche cronache monastiche, in interpretazioni dotte mediate dalla cultura tardo-antica. Entrate nell’orizzonte cristiano durante i primi tentativi di organizzazione teologica del cristianesimo, esse dettero origine alla elaborazione di regesti naturalistici il cui esempio ed il principale fu la Naturalis Historia di Plinio. Grazie alla sua propensione incontrollata per l'immaginario e il favoloso, i lontani posteri hanno potuto fare la prima conoscenza di quella fauna mostruosa che popolò i bestiari e le enciclopedie medievali.
Importati dall’India non solo da Plinio ma anche da Solino e Pomponio Mela, questi animali in bilico fra il reale e il favoloso, si incrociarono nei monasteri europei di Cluny, Fulda, Reichenau, San Gallo, Montecassino, S. Vincenzo al Volturno con altri mostri, diavoli e draghi partoriti dalle penne d'oca di monaci solitari, dando origine ad una fauna più fantastica e mostruosa alla cui reale esistenza finivano per credere essi stessi. Né a questi monaci nutriti di cultura classica difettava le spigliata fantasia nella mitica conoscenza della geografia, di terre abitate da popoli e animali dalle strane fattezze, sorvolate a cavallo di draghi o
grifoni o percorse sul dorso di ippocentauri prestati loro da Macrobio o Marziano Capella. Fu così che essi dettero inizio con due millenni di anticipo alla esplorazione dello spazio e di nuovi continenti, strappando il primato a Marco Polo o a Giovanni da Pian del Carpine. Furono così scoperte nuove isole e nuove montagne come quella su cui sorgeva l’Albero Secco e dove sgorgava la Fontana di Vita, minutamente descritta in un codice della Biblioteca Nazionale di Parigi (Nouv. Acq. Lat. 658, XII sec.). Ma nel linguaggio di quegli esploratori dell’immaginario fantastico il drago, il grifo alato, il centauro erano anche temi, allegorie mutuati dalla Bibbia, la inesauribile fonte della letteratura cristiana che fornì all’artifex romanico draghi e serpenti presi in prestito dall’Apocalisse di Giovanni, in cui il drago è il diavolo, è Satana: Drago ille magnus, serpens ambiguus, qui vocatur diabolus et Satanas (Gen., 12.9). E ancora nell’VIII secolo Giovanni Damasceno descriveva i demoni come draghi volanti per l’aria.Per Isidoro di Siviglia, il drago «è il più grande di tutti gli animali».
è una bestia sotterranea ed aerea che ama lasciare le caverne in cui si nasconde per volare nell’aria; la sua forza risiede non nella bocca o nei denti ma nella coda con cui può stritolare il suo avversario per eccellenza, l’elefante. Per Rabano Mauro il «drago è il diavolo, è Satana, e draghi sono i suoi adepti» (De Universo, VIII, 3, in PL, III, coll. 229-30).Nei manoscritti miniati lo si vede appollaiato sul tetto di una casa o nascosto dietro una porta di un uomo malvagio. La sua figura è orripilante: con una o più teste, col corpo squamoso che lo rende invulnerabile, con una coda micidiale in cui racchiude tutta la sua forza, con ali di pipistrello che, a partire dal XII secolo, diventano di moda nell’intero Occidente.
I diavoli e i draghi sono concepiti come esseri che abitano dirupi scoscesi e si librano nelle caverne. Nell’affresco giottesco, nella chiesa superiore di Assisi, i demoni-draghi scacciati dalla città di Arezzo da frate Silvestro, per ordine di San Francesco, salgono come tenebre al di sopra della città. E il Lucifero Trifonte di Dante spiega le stesse membrane.
A sinistra, Giotto: San Francesco scaccia i draghi da Arezzo (Assisi, Basilica Superiore, 1296). A destra, Paolo Uccello, dalla leggenda aurea di Jacopo da Varagine: il santo cavaliere uccide il drago che tiene prigioniera la figlia di un re.
Il drago con ali di pipistrello diventa sempre più frequente nella iconografia fra XII e XIII secolo. è la bestia che si batte ora sotto la lancia di San Michele e di San Giorgio, e che nell’età medievale fu uno degli accessori indispensabili dell’agiografia in cui l’apostolato trionfante dei santi che estirpavano l’idolatria fu simbolizzata dalla vittoria sul drago.
I modelli noti furono quelli di San Giorgio e San Michele che trionfavano sui draghi differenti in nome di tutti i cavalieri che sconfiggevano le dimensioni immense della dannazione collettiva e, nello stesso tempo, favorivano l'ascesa sociale dell'aristocrazia militare.
La diffusione del tema iconografico di San Michele e il drago nella nostra penisola, in epoca altomedievale, costituisce una ricca documentazione non solo storica, agiografica o liturgica legata all’Apparitio, ma anche una sintassi che ci avvia ad una delle chiavi di interpretazione, cioè quella di riaffermare e raffigurare nella lotta fra Dio e Satana quel principio dualistico, radicalizzatosi nella mentalità medievale, del bene e del male, della vita e della morte.
Il drago trafitto dalla lancia di San Michele è una creazione tutta garganica. Dal Gargano, il tema iconografico di San Michele cavaliere col drago si diffonde in tutta la penisola e poi in Francia e assume il massimo rilievo ufficiale nell’impero carolingio che accolse l’immagine dell’Arcangelo come sintesi della potenza imperiale, al sicuro sotto le sue ali protettive.
L'arcangelo Michele in una miniatura del XV secolo
A questa celebrazione aulica e popolare del vittorioso condottiero delle schiere angeliche fece riscontro il tema, non meno ideologicamente utilizzabile, del suo avversario tenace, Satana, raffigurato sotto forma di drago. Ed è sempre al santuario garganico che bisogna fare riferimento. In esso sono infatti conservate alcune lastre scolpite che raffigurano l’arcangelo Michele in atto di trafiggere il drago; l’arcangelo Michele che uccide il drago con l'asta tenuta nella mano destra mentre con l'altra regge una bilancia con cui pesa le anime; infine l’arcangelo che trafigge un drago con un’asta tenuta con le due mani. Le prime due vengono datate all’VIII e IX secolo e sono ritenute i primi esempi del tema iconografico dell’angelo che uccide il drago.
Il drago, come il
coccodrillo e il serpente, è una presenza ambigua nel bestiario medievale. Nemico di Dio è tuttavia dotato al tempo stesso di una saggezza profonda, custode di segreti ancestrali, potenzialità ancestrale, che avvolge nelle sue spire l’intero cosmo. Lo stesso oceano è raffigurato dagli antichi geografi come un enorme serpente circolare.Se l’iconografia medievale lascia la porta aperta alla paura nella semplice visione della bestia, d’altra parte poi, un corredo di favole e miti teratologici relativi al drago neutralizzano la sua carica per così dire eversiva. Così, nella Lettera del Prete Gianni leggiamo di draghi portati a spasso da principi indiani nelle feste nuziali e nei banchetti, di draghi cavalcati da guardiani con tanto di morso e sella che ispirano simpatia. Dall’India e dall’Oriente, terra di draghi, questi sono volati in Occidente accoppiandosi con quelli che già da tempo bazzicavano in numerose città, dando origine a storie diverse di draghi diversi.
Da leggere:
J. Le Goff, Cultura ecclesiastica e cultura folklorica nel Medioevo: San Marcello di Parigi e il drago, in Ricerche storiche ed economiche in memoria di C. Barbagallo, Napoli 1970, vol. II.
F. Cardini, Il drago, in «Abstracta», 9, 1986.
A. Petrucci, Origine e diffusione del culto di San Michele nell’Italia medievale, in Millénaire monastique du Mont-Saint Michel, III, Culte de Saint Michel et pèlerinages au Mont-Saint Michel, Paris 1971.
A. Ciattini e A. Sermasi, S. Michele e il suo antagonista: quando la realtà si configura come drago, in «Uomo e Cultura», XXIII-XXIV, 1979.
G. Otranto, Il ‘Liber de apparitione’ e il culto di San Michele sul Gargano nella documentazione liturgica altomedievale, in «Vetera Christianorum», 18, 1981.
F. Moretti, Specchio del mondo. I ‘Bestiari fantastici’ delle cattedrali. La cattedrale di Bitonto, pref. di F. Cardini, ed. Schena, Fasano 1995.
F. Moretti,
Fra diavoli e draghi: mirabilia del bestiario medievale, in Il Gargano tra medioevo ed età moderna, S. Marco in Lamis 1995.
©2002
Felice Moretti