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parte prima
I
catari: un dualismo cristiano
L’eresia
catara è l’eresia medievale per eccellenza. È l’eresia più importante e
diffusa in tutto l’occidente cristiano ed è quella per cui è stata istituita
l’inquisizione, frutto della reazione decisa da parte della Chiesa. Fu un
ricco movimento, non sempre coerente ed uniforme, che attraversò un lungo
spazio di tempo, a cui partecipò un’ampia fascia della società medievale.
Contrariamente a quanto si è scritto, l’eresia catara dei secoli XI-XII non
fu un risveglio dell’antica dottrina della gnosi,
o del manicheismo, ma, pur dualista, rimase sempre nell’ambito del
cristianesimo. La loro interpretazione dualistica niente, o poco, aveva del
dualismo cosmogonico e metafisico dei manichei e della dottrina di Mani
(nei testi catari che sono giunti fino a noi è assente ogni riferimento
a testi o comunque a insegnamenti manichei). Il loro era, piuttosto, un dualismo
antropologico, dovuto ad una interpretazione particolare delle Scritture
neotestamentarie, riferendosi specialmente alle lettere di S.Paolo e al Vangelo
di Matteo, costantemente invocate dagli eretici come vere e proprie auctoritates,
fonti d'ispirazione di tutta la loro dottrina morale e religiosa. Non
a caso i Catari erano soliti chiamarsi Christiani o Boni Christiani (o anche
Boni Homines), accettavano il Nuovo Testamento, e credevano nell'esistenza di
due principi contrapposti, il Bene ed il Male, rappresentati rispettivamente dal
Dio santo e giusto, descritto nel Nuovo Testamento e padre di Cristo, autore di
tutte le cose buone ed eterne, e dal Dio malvagio, o Satana, responsabile delle
cose visibili e transitorie.
Alla base del loro rifiuto ad accettare i sacramenti, la resurrezione dei corpi, la validità dei suffragi,e dei giuramenti, e la facoltà della Chiesa di condannare e punire, era un’esegesi letterale del Nuovo Testamento e delle lettere paoline.Tra i passi maggiormente citati dai catari per suffragare le loro asserzioni e che spesso facevano parte del loro cerimoniale liturgico, citiamo «Nemo potest duobus dominis servire ... non potestis Deo servire et Mammonae» (Mt. VI, 24) e «Non potest arbor bona malos fructus fecere, neque arbor fiala bonos fructus facere» (Mt. VII, 18). Ricordiamo anche la parabola del buon samaritano, nella quale i «latrones» rappresentavano le potenze del male e il buon samaritano ovviamente Cristo. Ma possiamo anche menzionare le lettere di S.Paolo, adottate dai catari per evidenziare il peso opprimente della carne e del mondo terreno: «Scio enim quia non habitat in me, hoc est in carne mea, bonum» (Rom. VII, 18).
A
una precisa ispirazione evangelica e apostolica ci riporta anche la liturgia
catara, soprattutto il rito del consolamentum,
il più importante rito della chiesa catara, e il Pater noster, che costituiva per il cataro la preghiera per eccellenza
e che, nella tradizione catara, troviamo preferita la variante «panem
supersubstantialem» (del Vangelo di Mt. VI, 11) al posto del
classico «panem quotidianum» del rito cattolico. Alla impositio manuum del
rito battesimale del cristianesimo apostolico e tradizione liturgica dei primi
secoli della Chiesa, caduto poi in disuso nei secoli successivi, si ricollega
anche il rituale cataro del consolamentum. I catari che rifiutavano il battesimo d'acqua,
amministrato da sacerdoti, ritenuti inadatti, per la loro indegnità, a
conferire la grazia dello Spirito Santo, si rifacevano alla testimonianza
evangelica relativa al battesimo di Giovanni: «io vi battezzo in acqua a penitenza,
ma colui che verrà dopo di me, più potente di me e al quale non sono degno di
legare i calzari, vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Interpretavano questo battesimo spirituale, o nello Spirito Santo, come
l'autentico ed unico rito d'iniziazione evangelica, celebrato negli Atti
degli Apostoli per mezzo della imposizione delle mani. Anche la condanna
catara del matrimonio e degli atti carnali è desunta da passi noti
neotestamentari e paolini: pensiamo, ad esempio, al testo di S.Paolo nel quale
il matrimonio è sconsigliato, o è considerato come puro «remedium
concupiscentiae», esaltando, per contro, l'ideale della continenza e della
verginità.
Le
cronache di Rodolfo Glabro e di Ruggero di Hoveden e, specialmente, gli atti dei
sinodi di Orléans e di Arras, parlano di un fiorire di movimenti ereticali in
diverse località della Francia, dell'Italia e della Germania nella prima metà
dell'XI secolo. Il cronista Ademaro di Chabannes parla per la prima volta dei «manichei»
di Aquitania che negavano il battesimo e i sacramenti, astenendosi dai riti e
vivendo in castità alla stregua dei monaci. Nel 1025, Gerardo, vescovo di
Cambrai e di Arras (1013-1051) interrogò un gruppo di artigiani di Arras, che
ripudiavano la Sacra Scrittura, ad eccezione dei Vangeli e degli scritti
apostolici, e che manifestavano un disprezzo profondo per le cose del mondo. Non
credevano nella salvezza mediante i sacramenti e propugnavano uno stile di vita
semplice, casto ed austero. Professavano anche una decisa opposizione alla
dottrina
della presenza reale del Cristo nell’eucarestia e negavano anche il culto dei
santi. Negli stessi anni, nel 1022, una decina di chierici della chiesa di Santa
Croce ad Orléans furono accusati di dottrine
manichee.
Tra loro solo un prete ed una suora abiurarono, mentre gli altri (tra 10 e 14)
furono bruciati sul rogo il 28 Dicembre dello stesso anno e questa fu la prima
volta che si bruciavano in Occidente degli eretici sul rogo. Quelle giunte a noi
sono testimonianze spesso contraddittorie e confuse e non ci permettono di avere
una idea esatta sulle effettive interpretazioni di questi movimenti. Ma in
qualche modo testimoniano che i primi germi dell’eresia catara stavano già
sorgendo nei primi anni del secolo XI.
Seguendo
questa chiave interpretativa interessanti sono anche le dottrine introdotte
dagli eretici di Monteforte che sono, infatti, tra i primi che mostrino
concezioni religiose tipicamente dualistiche, professando un radicalismo
religioso ed un ascetismo duro e deciso, giungendo perfino alla soppressione dei
moribondi (anticipando in qualche modo la prassi dell’endura
catara). Praticavano la comunione
dei beni, la continenza anche nel matrimonio, l’astensione dal consumo di
cibi animali, e digiuni continui. Avevano anche un’organizzazione di tipo
ecclesiastico distinguendo i maiores dagli altri adepti. Nonostante le
notizie di cui disponiamo siano poco attendibili, Rodolfo Glabro e Landolfo
Seniore ammettono che la setta era comunque numerosa, e tra le sue fila
figuravano alcuni nobili e la stessa contessa del castello di Monforte.
Sono
tutti tratti comuni a quelli dei catari. Oltre alla distinzione fra due sfere di
influenza del dio buono e del dio malo, tendendo ad attribuire tutto ciò che è
carnale a quest’ultimo principio, anche i catari rifiutano il consumo dei cibi
di carne e delle uova, il coito, la gerarchia cattolica, negano la validità dei
sacramenti, delle preghiere per i defunti e non credono nella maternità di
Maria, né nella passione di Cristo. Anche loro dividono i fedeli,
suddividendoli in credenti e perfetti, a seconda se hanno o no ricevuto il
consolamento. È assai probabile, però, che, nella sua fase originaria, il
movimento cataro, oltre ad una reinterpretazione di un humus culturale e
religioso, in ebollizione e preesistente, nella Francia meridionale e
nell’Italia centro-settentrionale, sia stato influenzato, se non derivato, dal
bogomilismo, altro movimento ereticale già fiorente nei Balcani alla fine del
secolo X, per cui vale la pena spendere alcune parole.
Il movimento dei bogomili - il cui nome deriva da Bogomil, un prete portavoce dei contrasti del mondo contadino slavo con lo zar Pietro (927-969) - si rifaceva direttamente agli ideali evangelici, in aperto contrasto con la Chiesa e gli abusi di un sacerdozio degenere. I principali assunti dell'eresia bogomila erano un fervente rigorismo morale, il distacco dai beni materiali e tangibili, il ripudio dei miracoli, che credevano opera diabolica, e, di conseguenza, il culto dei santi e delle reliquie. Non adoravano la croce, perché era stata lo strumento della tortura e della morte del Redentore, e non credevano che Dio Padre fosse l'autore del mondo visibile, a causa delle tante manifestazioni del male. Sostenevano anche che Cristo e gli apostoli non avevano stabilito né la comunione, né la messa e la liturgia, e non prestavano il culto alla Vergine, a cui tanta importanza la Chiesa aveva ed ha tributato; contestavano pure il culto delle immagini. Identificavano il demonio con il «principe di questo mondo» e di tutte le cose del mondo visibile e, come i catari, ripudiavano il battesimo ed avevano come preghiera principale il Pater noster. Queste sovrapposizioni di pensiero e dottrinali vengono sottolineate anche dai controversisti cattolici dei primi del Duecento, in particolare Rainerio Sacconi, che per ben diciassette anni era appartenuto alla setta catara, che, in più di un’occasione, citano la «Ecclesia Burgariae» e la «Ecclesia Drugunthiae». Questa è una chiara testimonianza delle relazioni esistenti tra le sette catare italiane ed occitane e le sette bulgare dei bogomili, movimento ereticale che si era già affermato nei Balcani fin dal X secolo, relazioni probabilmente nate e sviluppatesi attraverso i maggiori contatti con l'Oriente, a seguito delle crociate, e la diaspora in Occidente di alcuni missionari bogomili, espulsi da Bisanzio nel 1143 per decisione dell’imperatore Manuele Comneno. È assai probabile che l’influenza di queste dottrine, mutuate ed arricchite con tematiche proprie dell’Europa occidentale, abbia partorito un sincretismo che è poi divenuto il Catarismo. Non è un caso che il nome stesso del movimento derivi dal greco Kàtharos (= puro).
L’eresia catara conobbe una maggiore diffusione nella Francia meridionale, nelle Fiandre e nell'Italia centro-settentrionale, allora le zone più vive dal punto di vista culturale ed economico, aree socio-economiche dove si avvertiva con maggiore sensibilità la discrepanza tra i testi evangelici e l’atteggiamento, spesso immorale e simoniaco, della gerarchia ecclesiastica. La liturgia e la ritualità catara rendevano i fedeli partecipi, anche se con livelli e modalità differenziate, soddisfacendo proprio quella domanda di adesione laica che, soprattutto a partire dal XII secolo, si diffuse un po’ in tutta la società medievale. Era il 1143 quando Evervino di Steinfeld scrisse a San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) per informare sulla presenza nella Renania, a Colonia, di eretici, che accettavano solo il Padre Nostro come preghiera e si rifiutavano di frequentare le chiese e ricevere i sacramenti, eccetto una particolare forma di comunione. Evervino, riferendosi a loro, parla pure di un episcopus e del battesimo degli adepti per imposizione delle mani. Non passarono che pochi anni quando lo stesso Bernardo si recò nella Francia meridionale, invitato dal legato pontificio cardinale Alberico di Ostia, rendendosi conto in prima persona del grado di diffusione raggiunto dal catarismo in tutta l’Occitania (i catari furono detti anche albigesi per il nome della città di Albi, dove la loro presenza era massiccia).
Come
abbiamo accennato, il catarismo si diffuse soprattutto nelle regioni
economicamente più attive e socialmente e culturalmente più vivaci dell'Europa
occidentale del secolo XII, quali il Mezzogiorno, la Spagna orientale,
l'Italia centro-settentrionale, la Borgogna e la Renania. Si trattava di
società in rapido sviluppo che conoscevano un complesso fervore creativo. Il
catarismo riuscì ad inserirsi in questo contesto dinamico, offrendo un'alternativa
religiosa a quella domanda di partecipazione laica che, già a partire dal XI
secolo, spontaneamente spingeva gruppi ed individui alla ricerca di una propria
identità religioso-culturale. Non a caso tra i credenti e i perfetti catari
troviamo sarti, fabbri, conciatori, mugnai, tavernieri, osti, conciatori,
pellicciai, tessitori, venditori ambulanti, e artigiani in genere, ma anche
appartenenti all’alta borghesia cittadina come proprietari di beni di terreni
e immobili in città, mercanti, imprenditori e banchieri. Tra i catari molte
furono anche le donne. In un periodo e in aree in cui le forze politiche e
sociali, vecchie e nuove, erano in aperto contrasto con i centri di potere
ecclesiastici e monastici al fine di eroderne il potere e prestigio, i catari,
che non possedevano chiese o sedi, né tanto meno vasti patrimoni fondiari e
diritti signorili, come i feudatari ecclesiastici, sia vescovili che monastici,
e svincolati da interessi e proprietà materiali, conobbero un consenso non
indifferente.
Particolarmente
recettiva ad accogliere la dottrina catara si dimostrò la Linguadoca dove intorno ai «buoni cristiani», come amavano
definirsi, si creò un’estesa rete di solidarietà. Questa regione dal punto
di vista politico, linguistico e culturale, era profondamente diversa dal resto
della Francia. Parlava la lingua d'Oc e non l'Oil, come nel resto del paese;
aveva saputo sviluppare la lirica dei trovatori (molti dei quali, come, ad
esempio, Guglielmo Figueira, furono catari); forte era la tolleranza verso gli
ebrei e i pensatori in genere (eterodossi e non). Testimonianza significativa
della rilevanza che il movimento aveva saputo assumere nel corso del XII secolo,
è il concilio cataro di a Saint Felix de Caraman, una località della Francia
meridionale nei pressi di Tolosa, nel 1167, dove si diedero appuntamento i
maggiori esponenti dell'eresia catara, alla luce del sole e in aperta sfida alla
Chiesa, rendendo così palese l’esistenza di un'organizzazione strutturalmente
definita. Lo stesso abate Enrico di Marcy, parlando di Tolosa, dipinge un quadro
a tinte fosche e arriva a sostenere che, stando le cose com’erano, nella
regione non vi sarebbe stato più un cattolico nel giro di tre anni. Anche i
maggiorenti erano o simpatizzavano per i catari: Ruggero II Trencavel, uno dei
maggiori signori dell’area, risulta fortemente compromesso con tutta la sua
famiglia; sua moglie Adelaide mantiene addirittura a corte Bernardo Raymond,
consacrato a St Felix vescovo cataro di Tolosa, e Raimondo di Barniac, uno dei
saggi cui era stato affidato il compito, sempre nello stesso concilio, di
definire i confini dell'istituenda diocesi catara di Carcassonne. Ma la cosa che
ancora più sorprende è che, grazie ad un salvacondotto, troviamo
Bernardo e Raimondo a Tolosa, dove dibatterono pubblicamente con Enrico di Marcy,
sostenendo apertamente la loro posizione dogmatica, per ritornarsene incolumi e
senza restrizione alcuna alla corte di Adelaide.
Non abbiamo più, quindi, a che fare con un movimento spontaneo, ma con una struttura di tipo ecclesiale, dotata di una propria gerarchia e liturgia, in grado di soddisfare esigenze spirituali e religiose di vasta portata. Il movimento nella Francia meridionale, già nella seconda metà del XII secolo, era strutturato in quattro chiese: Agen, Tolosa, Albi e Carcassonne. A capo di ogni chiesa era collocato il vescovo, assistito nelle sue funzioni da un «figlio maggiore» e un «figlio minore». In caso di morte del vescovo, il figlio minore provvedeva alla consacrazione vescovile del figlio maggiore e questi, a sua volta, consacrava il nuovo figlio minore eletto dalla comunità. Accanto al vescovo e ai due figli minore e maggiore, in ordine gerarchico, c’erano i diaconi, che svolgevano funzioni similari a quelle di un sacerdote o di un parroco in ambito cattolico, ed infine i «perfetti», il cuore del movimento, accompagnati da un alone di santità e di ammirazione tra i seguaci.
Il
concilio di St Felix, dove addirittura si parla della presenza di un «papa»
cataro, Niceta della chiesa di Dragovitza, proveniente dai Balcani o da Bisanzio,
non fu altro che la punta di un iceberg di ben più ampie dimensioni. Questo non
spiega soltanto il largo consenso ottenuto dal catarismo presso larga parte
della popolazione e a tutti i livelli sociali, ma anche il timore che colpì la
Chiesa cattolica (non a caso nel Basso Medioevo il cataro divenne l’eretico
per eccellenza). Fu proprio la penetrazione del catarismo che spinse Innocenzo
III (1198-1216) a bandire la crociata contro i catari nel Mezzogiorno di
Francia nel 1208, trasformatasi poi in una vera e propria guerra di conquista da
parte dei signori e nobili della Francia del Nord, e che si protrasse per oltre
un ventennio, fino alla pace di Parigi del 1229, tra violenze e stragi sommarie
che sconvolsero la stessa civiltà occitana. Le chiese catare del Sud francese
furono decapitate e la repressione antiereticale portò all'istituzione
dell'inquisizione, affidata ai frati Predicatori. I perfetti sopravvissuti
trovarono rifugio nella clandestinità o nell'esilio, soprattutto nella pianura
padana o nella regione dei Pirenei.
Assieme
alla Francia meridionale, l'altra area geografica dove si diffuse in maniera
significativa il catarismo fu l'Italia settentrionale e centrale, in particolare
l’area lombardo-veneta (nella metà del Duecento il frate Raniero Sacconi, lui
stesso ex-cataro, afferma che fossero erano circa 2.500 i “perfetti”,
coloro, cioè, che avevano ricevuto il sacramento del consolamentum e che
conducevano un'esistenza ascetica e spirituale). Tra le cause che ne favorirono
la diffusione, oltre ai motivi economico-sociali introdotti in precedenza e alla
presenza di esuli fuggiti alla repressione scatenata dopo la crociata albigese,
dobbiamo annoverare anche il lungo contrasto tra i Comuni e il Barbarossa, che
dette vita alla Lega Lombarda, che coinvolse direttamente il Papato.
Rispetto
al movimento francese, il catarismo italiano si caratterizzò per la sua
frammentazione e per i contrasti interni che portarono, in breve tempo, a ben
sei chiese, separate le une dalle altre e ognuna con una propria gerarchia e
specificità dottrinali:
ü
la chiesa
di Desenzano (sul Lago di Garda) l’unica che praticava un dualismo di tipo
assoluto e i cui adepti si chiamavano albanensi, dal nome del primo vescovo Albano
ü
la chiesa
di Concorrezzo (vicino a Monza), la maggiore in Italia e i cui membri si
chiamavano garattisti, dal nome del loro primo vescovo Garatto
ü
la chiesa
di Bagnolo San Vito (vicino a Mantova), i cui fedeli venivano chiamati
bagnolensi
ü
la chiesa
di Vicenza o della Marca di Treviso
ü
la chiesa
di Firenze, fondata da Pietro (Lombardo) di Firenze,
di cui fece parte il famoso condottiero ghibellino Farinata degli Uberti, nominato nell'Inferno
di Dante
ü
la chiesa
di Spoleto e Orvieto
La
chiesa di Concorezzo era quella numericamente più consistente con un numero di
perfetti, più di mille e cinquecento, ed era presente in quasi tutta la
Lombardia; per importanza seguiva poi la chiesa di Desenzano, con circa
cinquecento perfetti e adepti soprattutto in Verona e in molte città padane,
poi quella di Mantova con duecento, diffusa anche a Brescia e in Romagna. Le
chiese di Vicenza, di Firenze e della valle di Spoleto dovevano, invece,
raggiungere
il centinaio di perfetti ciascuna.
Il
catarismo in Italia ebbe un destino diverso rispetto a quello francese,
nonostante l’instaurazione dell’inquisizione e l’attività repressiva
della Chiesa. Questo essenzialmente per due ragioni principali: la prima è
l'appoggio, in funzione antipapale, che spesso le fazioni ghibelline seppero
accordare ai catari, almeno fino alla battaglia di Benevento del 1266 che, con
la sconfitta di Manfredi e del partito ghibellino, sancì l’egemonia angioina,
facendo, così, mancare appoggi politici e di potere goduti fino a quel momento.
La seconda ragione è che nell’Italia centro-settentrionale quasi tutte le
città conoscevano una situazione politica dinamica e frammentata. Erano
governate da regimi comunali e avevano raggiunto una maggiore autonomia
giurisdizionale rispetto alle città occitane. I «buoni cristiani» non
accumulavano patrimoni fondiari, né pretendevano di esercitare diritti
signorili, né intervenivano nella vita pubblica. Non c'era ragione, quindi, di
preoccuparsi della loro presenza, né di adeguarsi alle disposizioni delle
gerarchie ecclesiastiche. Solo in un secondo momento, le gerarchie
ecclesiastiche riuscirono a fare inasprire le normative contro i dissidenti
religiosi, inaugurando un processo di vera e propria criminalizzazione degli
eterodossi, come pure di tutti coloro che in vario modo li favorissero,
obbligando, di fatto, le autorità comunali ad accettare i contenuti della nuova
strategia antiereticale.
Il
momento decisivo fu il moto dell' Alleluia, che intorno al 1233 vide per la
prima volta impegnati i membri i nuovi ordini mendicanti, domenicani e
francescani, in una vasta e vivace campagna moralizzatrice e pacificatrice. Condannando
duramente il lusso, invitando a superare le discordie e le lotte intestine che
laceravano le città comunali, riuscirono a portare avanti una predicazione
estremamente efficace, che venne accolta da larga parte della popolazione,
ottenendo il consenso necessario per dar vita ad una lotta senza quartiere
contro eretici ed eresie. Gli ordini mendicanti si adoperarono in tutti i modi
possibili per tradurre i loro messaggi in norme antiereticali da inserire negli
statuti comunali. In molti casi arrivarono a minacciare le autorità comunali,
che si mostravano restie ad accogliere tali provvedimenti, di scomunica e
interdetto, determinando l’interruzione delle celebrazioni liturgiche e
dell’amministrazione dei sacramenti in quelle città e borghi che non
accettavano il nuovo corso degli eventi. Iniziò allora il declino del catarismo
anche in Italia che raggiunse l’apice nel 1276 quando venne espugnata la rocca
di Sirmione, dove si erano asserragliati i vescovi delle chiese di Desenzano e
Bagnolo San Vito e con loro numerosi perfetti italiani e occitani. Tutti furono
arrestati e portati a Verona, e nell’Arena di quella città 174 perfetti
trovarono la morte sul rogo nel 1278.
Come
abbiamo visto, i catari erano dei cristiani che interpretavano il Nuovo
Testamento secondo un schema di tipo dualistico, ma distinto da quello dei
manichei, con i quali vennero spesso accomunati dai inquisitori cattolici.
Credevano nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male,
impersonificati, rispettivamente, dal Dio santo e giusto, definito nel Nuovo
Testamento, e dal Dio nemico, o Satana. Sostenevano che il Male conducesse una
continua ed incessante lotta contro il Bene per contendergli la vittoria.
Secondo la dottrina catara il mondo materiale non era stato creato da Dio, ma
era interamente opera di Satana e non era altro che una sua manifestazione.
Anche l’origine del corpo umano era considerata diabolica, in quanto creatura
di carne. Ma la vita, intesa come anima o spirito, era opera di Dio.
Reinterpretando
la Genesi, i catari sostenevano che Satana indusse Adamo ed Eva a quell’unione
carnale che avrebbe sancito il loro imprigionamento nella materia. Da quel
momento in poi, attraverso la procreazione, lo Spirito si sarebbe moltiplicato e
suddiviso all’infinito per opera del Demonio che, pur essendo incapace di
creare, sapeva essere un grande seduttore di anime. Una volta catturate, le
avrebbe poi portate prigioniere sulla Terra, introducendole nella Materia, per
principio loro estranea, causa di sofferenza per le anime perché separate dal
Dio Buono, con il quale vivevano in beatitudine e a cui anelano di ritornare. I
catari proponevano, pertanto, un distacco dal mondo terreno e dai suoi valori
per proporre l’attenzione verso un mondo celeste e luminoso di ben altro
valore. Il mezzo per cui le anime potevano essere liberate e ritornare alla loro
dimensione spirituale, fuori dal tempo, era la conoscenza, la consapevolezza
della loro natura.
La
maggior parte delle sette catare credevano nella trasmigrazione delle anime da
un corpo all’altro, in una sequela di nascite e di morte, con diversi gradi di
perfezione. Chi avesse condotto una vita onesta, sarebbe stato ricompensato
reincarnandosi in un corpo più favorevole al suo progresso spirituale, fino
alla definitiva liberazione. Chi, invece, trascorreva la sua vita nel crimine,
si sarebbe degradato, reincarnandosi perfino in un animale. Perché le anime
potessero tornare al Dio Buono, che
non poteva avere nessun contatto con la Materia, creata dal Principe del Male,
Dio inviò un Messia, un Mediatore, Gesù, che secondo i Catari, era anche il più
perfetto degli Angeli. Gesù scese nel mondo impuro della Materia, senza
incarnarsi, però, perché non aveva corpo. La sua fu solo apparenza, una
visione. Secondo l’interpretazione catara del Nuovo Testamento, Gesù,
infatti, non ha potuto soffrire e trovare la morte sulla croce perché il suo
corpo, che non era fatto di materia, non poteva provare dolore, né morire né
risuscitare (aderendo, così, al concetto docetista
della mera apparenza della nascita, sofferenza e morte di Cristo sulla terra).
Prima di risalire in cielo per tornare alla sua vera essenza, insegnò agli
Apostoli la via della salvezza lasciando alla Chiesa in Terra lo Spirito Santo a
conforto delle anime esiliate. Il Demonio, però, era riuscito a sopprimere e a
sostituire la chiesa di Cristo con un’altra falsa chiesa, quella cattolica,
così legata al mondo terreno.
L’autentica
chiesa cristiana, quella che possedeva lo Spirito Santo, era ovviamente quella
catara, mentre la Chiesa di Roma era la Bestia, la prostituta di Babilonia. Per
questo i catari sostenevano che chiunque obbedisse alla Chiesa romana non poteva
salvarsi. Confutavano anche i sacramenti del battesimo e della comunione poiché,
essendo l’acqua del battesimo e il pane dell’ostia fatti di materia impura,
non potevano avere in sé lo Spirito Santo. La Croce anziché venerata doveva
essere odiata, perché strumento di umiliazione del Cristo. I catari non davano
alcuna importanza alle immagini e alle reliquie che la Chiesa cattolica
considerava sacre e negavano anche che la Vergine Maria fosse stata la madre di
Gesù in quanto, non avendo mai avuto un corpo, non poteva nascere (per i catari
ella fu un Angelo che aveva assunto le fattezze di una donna).
Dualismo
assoluto, dualismo mitigato
Il
movimento cataro, a seconda dell’interpretazione accettata della creazione del
mondo e del peccato originale, si divisero in due filoni: quello del dualismo
assoluto e quello del dualismo mitigato.
La
corrente del dualismo assoluto sosteneva l’esistenza di due principi assoluti
ed in antitesi: il Dio buono aveva creato solo esseri spirituali, invisibili e
puri, mentre il Dio malvagio era il responsabile della materia e del mondo
visibile e causa del male, sia fisico che morale. Il Dio malvagio si era
introdotto nel mondo celeste e aveva sedotto le anime portandole con sé sulla
terra. Per trattenerle le ha imprigionate nei corpi e ingannate con la sensualità
eil Dio buono aveva acconsentito che ciò avvenisse affinché le anime colpevoli
fossero punite del loro errore. La terra era dunque un luogo di penitenza e le
anime, in virtù della loro originale natura, potevano tornare in cielo solo
dopo un periodo di purificazione. Per abbreviare questo periodo, il Dio buono
inviò sulla terra suo figlio Gesù, la sua creatura più perfetta e la sua
forma corporea, sotto la quale apparve agli uomini, non fu reale. La liberazione
delle anime era solo possibile attraverso il rito cataro. Alla morte le anime
non purificate entravano in altri corpi e continuavano questa migrazione da un
corpo ad un altro fino a quando non avessero raggiunta la piena conoscenza e
consapevolezza.
La
corrente del dualismo mitigato riconduceva tutti gli esseri viventi ad un solo
Dio, principio assoluto e creatore unico, e la coesistenza tra il Bene e il Male
sulla Terra veniva spiegata attraverso una mitologia. Originariamente Dio aveva
due figli, Satanael e Gesù; il primo, che era il primogenito, era stato
investito del governo del cielo e del potere creatore. Ma l’orgoglio lo rovinò:
aspirando a spodestare il padre coinvolse altri Spiriti nella rivolta, venendo,
però, sconfitto. Dio lo cacciò dal cielo e, confinato nel mondo terreno, egli
creò l’uomo e la donna. Dio, mosso dalla pietà e dall’amore creativo,
dette un’anima alla creatura umana togliendo a Satanael la facoltà creatrice,
lasciandogli, però, il governo della Terra. Successivamente inviò il suo
secondo figlio, Gesù, sotto l’apparenza d’un corpo umano per compiere e
portare a termine la sua opera redentrice. Questo secondo schema ammetteva
quindi un unico principio di tutte le cose create, visibili e non, e sosteneva
il ritorno di tutti gli esseri spirituali, Satanael compreso, nel seno di Dio,
padre di tutti.
Indipendentemente
dalla corrente a cui appartenevano, i catari ritenevano, comunque, peccaminoso
l’amore verso le creature e le cose materiali, essendo la creazione opera del
principe del male e del mondo visibile. Era, dunque, condannata l’inclinazione
sensuale e la bramosia di beni materiali, come il possesso della ricchezza e la
guerra. Era proibita l’uccisione degli animali, che potevano essere delle
persone un tempo umane che non avevano finito la loro metempsicosi, ed il
consumo di latte e carne (era lecito, però, nutrirsi di pesce). Anche il
matrimonio era considerato peccaminoso poiché serviva solo ad aumentare il
numero degli schiavi di Satana. La santità, o perfezione, catara poteva essere
raggiunta solo col celibato ed era frequente vedere degli sposi separarsi di
comune accordo per votarsi interamente alla purificazione delle loro anime.
Per
comprendere il significato della rappresentazione catara dell'Evangelo, sia che
appartenesse alla corrente dualista radicale o a quella moderata, dobbiamo
sempre ricordare che alla base c’era la visione negativa del mondo quotidiano.
Solo così possiamo comprendere la durezza di alcuni riti e il rigorismo
ascetico di molte delle sue regole, come l'astensione, già menzionata, dai cibi
carnei, abolendo dalla dieta non solo la carne, ma anche uova, latte e derivati,
e la pratica del digiuno a pane e acqua, che veniva attuata per tre quaresime
all'anno (prima di Natale, di Pasqua e dopo Pentecoste) e tre giorni alla
settimana. Il rito cataro per eccellenza era quello del Consolamentum
(indicato nelle fonti medievali anche con il termine di Baptismum spirituale),
un rito complesso fatto con l’imposizione delle mani, che permetteva al
semplice fedele di diventare un “perfetto”. In pratica era una cerimonia che
racchiudeva in sé il valore dei sacramenti cristiani del battesimo, della
cresima, del sacerdozio ed estrema unzione. Per poter ricevere il consolamentum,
il fedele doveva superare un lungo periodo di iniziazione e solo dopo aver dato
prova della sua reale ed intima vocazione con digiuni, veglie e preghiera.
Il
giorno della cerimonia veniva introdotto in una casa di fedeli, vestito con una
lunga tonaca nera a simboleggiare il distacco dal mondo, mentre tutto intorno
c’erano ceri accesi che rappresentavano le fiamme dello Spirito Santo. Il
perfetto che officiava la cerimonia spiegava al neofita i doni della religione e
gli obblighi morali e spirituali ai quali si sottometteva. Dopo aver recitato il
Pater Noster, la più importante, ed in pratica, l’unica vera preghiera
riconosciuta dai catari, il futuro perfetto abiurava la fede cattolica. Dopo
essersi inginocchiato tre volte, chiedeva di essere accolto nella nuova chiesa,
promettendo di non mangiare carne, uova e altri alimenti di origine animale, di
astenersi dagli atti sessuali, di non mentire né giurare e di non rinnegare la
fede per paura della morte. Confessava pubblicamente i suoi peccati e ne
chiedeva perdono. Ricevuta l’assoluzione, il perfetto officiante gli poneva
sulla testa il Vangelo (la traditio orationis sanctae) e, insieme ai suoi assistenti, imponeva le mani su di
lui pregando Dio di inviargli lo Spirito Santo. Poi recitava nuovamente il Pater
Noster e gli dava il bacio della pace, imitato poi dai suoi assistenti. A sua
volta il nuovo “consolato” baciava il fedele più vicino tra quelli che
assistevano alla cerimonia e questo bacio si trasmetteva tra tutti i presenti
(se il nuovo perfetto era una donna, l’officiante le toccava una spalla con il
Vangelo e il gomito con il gomito). Da quel momento in poi era un perfetto: il
vescovo locale gli assegnava un compagno, scelto tra gli altri perfetti, e come
tale doveva lasciare tutti i suoi beni alla comunità per darsi alla vita
errante, alla predicazione e alle opere di carità.
Il
consolamentum era riservato ad un ristretto numero di eletti, mentre al
resto dei credenti veniva generalmente impartito soltanto in punto di morte. Era comunque un sacramento “instabile”, mai definitivo, che
poteva venire compromesso dal minimo peccato. Da qui non solo la necessità di
rinnovarlo ogni qualvolta la presenza di più perfetti lo consentisse, ma anche
lo stretto legame con altri due riti: quelli del martirium e dell’endura,
entrambi generalmente riservati a coloro che erano in punto di morte. Il
primo consisteva nel soffocamento del morente, l'altro nel digiuno totale fino
alla morte per inedia. Entrambe le pratiche erano motivate dal fatto che solo
nel dolore e nella morte poteva esserci la liberazione compiuta, perfetta ed
immediata, dal male, e dalla paura che un'eventuale guarigione potesse
trascinare il fedele nuovamente al peccato. Accanto a queste veniva praticata
anche la salutatio, o
abbraccio, che credenti e perfetti si scambiavano incontrandosi, spesso
accompagnata dal melioramentum,
un vero e proprio omaggio che il credente rivolgeva con un inchino al
perfetto. Al rituale cataro appartenevano anche l’Aparelhament, una
confessione pubblica dei propri peccati, e la Caretas, un bacio rituale
di pace.
Per
quanto riguarda la recita del Padre Nostro, in pratica, l’unica preghiera
accettata dai catari (tranne alcune invocazioni minori), questa conteneva alcune
significative correzioni del testo. In particolare al “dacci oggi il nostro
pane quotidiano” si sostituiva l'espressione “dacci oggi il nostro pane
soprasostanziale”, con la quale s'intendeva non tanto rievocare l'Ultima Cena
o procedere alla consacrazione del pane stesso, ma invocare sui presenti lo
Spirito Santo. I perfetti avevano l'obbligo di recitarlo più volte al giorno,
abitualmente in serie da sei (sezena), da otto (sembla) o sedici (dobla).
Le
preghiere catare che andiamo a presentare (da Scrittori
anticonformisti nel Medioevo, di René Nelli), conservate nei registri
dell'Inquisizione, non si differenziano, nella sostanza, dalle preghiere
cattoliche ortodosse, ma dal linguaggio impiegato è possibile desumere alcuni
termini strettamente connessi al rituale cataro.
1)
Pater cataro
Padre
nostro, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Dacci ogni giorno il
nostro pane quotidiano. Sia fatta la tua volontà in cielo come in terra.
Perdona a noi i nostri peccati come noi perdoniamo a coloro che ci devono. E
non indurci in tentazione.
Padre
Nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno e sia
fatta la tua volontà in cielo come in terra. Dacci oggi il nostro pane
(quello) che è al di sopra di ogni cosa. E perdona a noi (rimetti a noi) i
nostri debiti, come noi perdoniamo (rimettiamo) ai nostri debitori. E non
indurci in tentazione, ma liberaci dal Malvagio.
La
preghiera catara che si leggerà ora, e che risale al secolo XIV (Contea di Foix),
appartenente alla linea dualistica radicale, pone con risalto l’esistenza di
due “principi”: il Dio dreyturier,
il Padre Santo, e il Dio straniero (il deus extraneus della Bibbia). I
dualisti radicali rifiutavano il libero arbitrio, ritenendo che Dio non potesse
avere in sé né la volontà né la potenza di fare il Male. Il libero arbitrio
era stato inventato da Satana per
indurre gli angeli a pensare che la possibilità (illusoria) di fare il Bene e
il Male fosse superiore al semplice potere di fare unicamente il Bene. I
catari, sia dualisti radicali che moderati, erano anche dei docetisti e secondo
loro Cristo sarebbe venuto sulla terra solo in apparenza (o in un corpo
spirituale): non sarebbe perciò nato dalla carne, ma avrebbe soltanto
attraversato il corpo della Vergine Maria. Si osserverà infine che la caduta
degli angeli è qui attribuita alla tentazione di lussuria - il Diavolo propone
loro delle donne «che ameranno molto» - e a quella di orgoglio.
2)
Preghiera catara
Padre santo, Dio giusto
degli spiriti buoni
[1],
che non ti sei mai ingannato né mai hai mentito o errato, né hai esitato per
paura della morte da assumere! nel mondo del dio straniero - perché noi non siamo
del mondo né il mondo è nostro - concedi a noi di conoscere ciò che tu
conosci e di amare ciò che tu ami.
Farisei ingannatori, che state alla porta del Regno e impedite di entrare a coloro che lo vorrebbero, mentre voi non volete [2].
Per
questo prego il Padre santo degli spiriti buoni, che ha il potere di salvare
le anime, e fa germogliare e fiorire per merito degli spiriti buoni, e per
causa dei buoni dà vita ai malvagi e lo farà finché ci saranno dei buoni al
mondo.
E lo farà fino a quando
non vi sarà più (in questo mondo) nessuno dei miei «piccoli» che
appartengono ai sette regni
[3]
e che sono caduti dal paradiso, da
dove Lucifero li ha tratti con il falso pretesto che Dio non prometteva loro
altro che il bene; mentre il diavolo nella sua grande falsità prometteva loro
sia il Male che il Bene.
E
disse che avrebbe dato loro donne che avrebbero amato moltissimo e avrebbe
dato signoria agli uni sugli altri, e disse che vi sarebbero stati fra loro re
e conti e imperatori, e che con un uccello ne avrebbero catturato un altro e con
una bestia un'altra
Tutti
coloro che si fossero sottomessi a lui sarebbero discesi e avrebbero avuto il
potere di fare il Male e il Bene come Dio in alto: per loro dunque sarebbe stato
molto meglio essere in basso e fare il Male e il Bene che non essere in alto
dove Dio non concedeva loro che il Bene
[5].
E
così salirono su un cielo di vetro, e quanti vi salirono caddero e furono
perduti.
Poi Dio discese dal cielo con dodici apostoli e si adombrò in santa Maria [6].
[Da
René NELLI, Spiritualité de l’hérésie: le
catharisme, Privat 1953].
NOTE
1
“Dio giusto dei buoni spiriti” è una frase che troviamo documentata nella
religiosità popolare della Francia meridionale fino al secolo scorso; il
concetto di estraneità del “buon cristiano” da questo mondo, governato (e
creato) da Satana, ricorda il vangelo di Giovanni
(15:19): “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché
invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi
odia”.
2 Cfr. Matteo 23:13 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci.
3 Cfr. Visione di Isaia: i sette cieli inferiori. Gli angeli dei sette cieli, sedotti da Satana e da lui imprigionati nel mondo materiale; ovvero i “perfetti” in attesa di tornare alla presenza di Dio.
4 È la gerarchia feudale, per sua natura maligna, a essere qui condannata.
5 Evidentemente Dio non ha il potere di fare il Male. Ricevendo la possibilità (illusoria) di fare il Male, gli angeli credono di essere liberi di fare soltanto il Bene se lo desiderano. In questo consiste la trappola satanica. In realtà, la libertà di fare il Male è essa stessa il Male. Sesso, potere e violenza sono per i catari i peggiori peccati.
6 Gesù Cristo e i dodici apostoli sono entità celesti inviate da Dio per salvare le anime; secondo la tradizione catara non Gesù Cristo non era della stessa natura di Dio.
©2005 Andrea Moneti