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MEDIOEVO ERETICALE |
a cura di Andrea Moneti |
John
Wycliffe (o Wyclif o Wicliff)
John Wycliffe nacque tra il 1324 e il
1328 a Hipswell, vicino a Richmond, nella contea inglese dello Yorkshire. Con la
sua aperta critica di alcuni dogmi cattolici e del disordine morale in seno alla
Chiesa, fu, forse, il più importante riformatore religioso prima di Lutero.
Giunse al collegio di Balliol Oxford nel 1345, dove probabilmente conobbe
Guglielmo di Ockham, ma la peste nera fece interrompere i suoi studi dal 1349 al
1353. Divenne Maestro nelle Arti e parroco di Fillingham, e nel 1372 fu nominato
dottore in teologia. A partire dal 1374, scrisse una serie di opere che gli
procurano il favore della Corona. E non è un caso se, nel corso dello stesso
anno, lo troviamo nella commissione inviata da re Edoardo III (1327-1377) a
Bruges per discutere e dirimere alcuni questioni aperte con i rappresentanti di
Papa Gregorio XI (1370-1378). Nel 1377 Wycliffe fu tra i promotori a sostenere
Edoardo III sull’opportunità di cessare le tradizionali sovvenzioni in denaro
alla Chiesa Cattolica, presa di posizione gli causò la convocazione in giudizio
dall’arcivescovo di Londra, davanti al quale si presentò con altri 4 frati
difensori e lo stesso Duca di Lancaster, Giovanni di Gand, figlio quartogenito
del re, e suo sostenitore. A questo periodo appartengono anche i suoi testi De
civili dominio (1374) e De dominio divino (1375), dove affermò la
superiorità del potere regale su quello papale, opere per le quali venne
accusato da Gregorio XI di sostenere gli stessi errori di Marsilio da Padova.
Solo grazie agli appoggi politici importanti di cui poteva disporre, Wycliffe
non venne arrestato.
Nello stesso anno, fondò sul modello del
primo Ordine francescano e dei Valdesi, l’Ordine dei Poveri Predicatori,
poor priests (preti poveri), successivamente soprannominati e meglio noti
come Lollardi (termine che sembra significhi cantori di cantici,
probabilmente mutuato dall’olandese lollen
o dalla locuzione Lollardo che nelle Fiandre e nei Paesi Bassi veniva
impiegato per indicare i Beghini). I primi seguaci o
predicatori, vestiti in maniera umile e con brani della Bibbia tradotta in
inglese dallo stesso Wycliffe, furono alcuni studenti della facoltà di teologia
di Oxford. Tra essi c’erano anche alcuni giovani boemi, venuti in Inghilterra
al seguito della principessa Anna di Boemia, sposa del nuovo regnante Riccardo
II, che tradussero gli scritti di Wycliffe in boemo per diffonderli poi nel loro
paese, con una notevole influenza su Jan Huss, il principale rappresentante
della rivolta riformatrice che coinvolse non solo la Boemia. Nel Marzo del 1378,
Wycliffe fu nuovamente convocato dai vescovi inglesi per essere processato per
eresia, ma anche questa volta riuscì a passare indenne grazie all’autorevole
intervento della regina madre, Giovanna di Kent. Sfruttando la crisi del Papato,
che sfociò nel Grande scisma d’Occidente (1378-1417), Wycliffe diede alla
luce un altri testi rivoluzionari per i suoi tempi: De veritate Sacrae
Scripturae, in cui sosteneva che la Bibbia dovesse essere l’unico
riferimento per la Chiesa, De ecclesia, ovvero la Chiesa veniva
identificata come il luogo dei predestinati alla salvezza, e le sue 33 tesi
sulla povertà di Cristo, in cui la
Chiesa, seguendo l’esempio di Cristo, doveva essere povera e esente da ogni
forma di potere temporale. La sua opera maggiore resta comunque la Trialogus,
quattro libri di dialoghi fra tre interlocutori, dove raccolse i suoi scritti
teologici principali.
Nel 1380 pubblicò il trattato De
Eucharistia, in cui criticava apertamente la dottrina della
transustanziazione, alienandosi i favori del Duca di Lancaster e gli appoggi
politici di cui aveva goduto sino ad allora. Il 17 Maggio 1382, durante il
sinodo dei Blackfriars, l’arcivescovo di Canterbury, William di Courtenay,
condannò eretiche le dottrine sostenute negli scritti di Wycliffe ed epurò i
suoi sostenitori dall’Università di Oxford. Non solo, ma Wycliffe fu da più
parti considerato l’ispiratore ideologico della Rivolta Contadina del 1381,
capitanata da Wat Tyler, e nella repressione che ne seguì molti suoi seguaci e
simpatizzanti subirono dure persecuzioni. Comunque, nonostante la condanna,
Wycliffe non venne arrestato e si ritirò nella parrocchia di Lutterworth, nella
contea del Leicestershire, dove, il 31 Dicembre 1384, ebbe un attacco cardiaco
che gli fu fatale. Nel Concilio di Costanza del 1415 le sue tesi vennero
condannate eretiche e, dietro le pressioni di Papa Martino V (1417-1431), nel
1428, il vescovo di Lincoln fece riesumare il suo corpo per bruciato sul rogo e
spargerne le ceneri nel fiume Swift.
Wycliffe, come Marsilio da Padova, era
convinto della superiorità dello Stato sulla Chiesa che doveva, invece,
conservarsi povera e apostolica, senza possedimenti o coinvolgimenti politici,
in maniera simile a quanto andavano a sostenere anche i Francescani della
corrente spirituale. Seguendo uno schema teologico di tipo panteistico,
l’ecclesiologia di Wycliffe è fortemente caratterizzata dalla dottrina della
predestinazione (come già in Agostino). Per lui Dio è tutto e tutto è Dio e
tutto ciò che avviene è necessario. L'unica autorità divina che riconosceva
era quella della Bibbia e, quindi, Dio solo poteva dirsi sovrano e avere il
dominio su tutte le cose. Il re è tale e può esercitare il suo potere solo
grazie all’autorità di Dio, ovvero solo se è in stato di grazia, solo se è
sottomesso a Dio e non in stato di peccato mortale. Anche l’autorità della
Chiesa (accusata da Wycliffe di essere la “Sinagoga di Satana”) derivava
unicamente dalla grazia. E dato che il clero non si era mantenuto nello stato di
grazia, poteva essere privato del diritto dei propri beni da parte del potere
civile per essere ricondotto
all’antico stato di povertà. Nel
De dominio divino Wycliffe sosteneva, quindi, la preminenza
giurisdizionale del potere civile su quello ecclesiastico, e criticò
la pretesa del papato di riscuotere le imposte in Inghilterra, difendendo
il diritto del re di secolarizzare le terre ecclesiastiche e sostenendo che lo
Stato non poteva dipendere dalla Chiesa.
Sostenendo che tutto ciò che avviene è
necessario, per Wycliffe è Dio, Dio solo e non le opere di bene, a predestinare
alcuni al cielo, altri all’inferno. Per Wycliffe la Chiesa non era più conforme alla “legge di Cristo”
contenuta nelle Sacre Scritture e cominciò a propugnare una radicale riforma
della Chiesa. Solo la Chiesa Spirituale, formata da coloro che
erano stati predestinati alla salvezza, quindi invisibile e nota solo a Dio, aveva il diritto di
chiamarsi la “Vera Chiesa”, nella quale tutti erano uguali e il clero doveva dedicarsi soltanto
alla divulgazione del Vangelo e di una vita apostolica.
Riconoscendo la Bibbia come l’unico e autentico messaggio divino e l’unica e
indiscussa autorità morale e politica, Wycliffe la fece tradurre in inglese,
affermando il diritto dei laici di poter accedere ai testi sacri. Negò, quindi,
che nelle Sacre Scritture ci fosse alcun riferimento esplicito all’autorità
papale (che semmai dovrebbe imitarlo vivendo povero, umile, e senza potere
terreno), alla gerarchi ecclesiastica e agli ordini religiosi e monastici,
così come al celibato ecclesiastico e alla dottrina del libero arbitrio.
Contestò anche il dogma della transustanziazione sostenendo che Cristo era sì
presente nell’eucaristia, ma la sostanza del pane e del vino rimaneva sempre
la stessa senza venire trasformati. Ritenne superfluo e inutile anche il
sacramento della cresima. E, pur accettando il concetto del Purgatorio, condannò
la pratica delle indulgenze, delle messe in suffragio dei morti, del culto dei
santi e delle reliquie, come la remissione dei peccati da parte dei sacerdoti e
i pellegrinaggi. Le sue idee ebbero una grandissima influenza su tutti i
riformatori dopo di lui, in particolare su Jan Huss, anticipando molti temi che
poi furono propri della Riforma. Va comunque detto che, rispetto alla Riforma
luterana, Wycliffe si basava sulla
conformità alla “Legge di Cristo”, mentre i riformatori protestanti
ponevano l’accento sulla giustificazione per fede.
Per
fornire un’idea della modernità di Wycliffe e completezza al suo schema
filosofico-teologico, riportiamo un brano significativo del trattato De
Dominio Civili che, in qualche modo, anticipa sensibilmente molti temi,
nuovi e rivoluzionari per il suo tempo, non solo cari alla Riforma, ma anche
moderni:
«L’intero
genere umano nella sua totalità, a eccezione di Cristo, non ha
la potestà
di disporre
in modo
assoluto che
Pietro e
tutta la
sua discendenza possa dominare politicamente in perpetuo sul mondo. Dio
non può dare a nessun uomo, per sé e per i suoi eredi, il dominio civile in
perpetuo. Se c’è Dio i signori temporali possono sottrarre in modo legittimo
e meritorio alla
chiesa che
commette errori
i beni
patrimoniali. Se poi ora la
chiesa sia o no in tale stato non è compito mio il discuterlo ma lo debbono
esaminare i signori temporali e ammesso il caso debbono agire coraggiosamente e
sotto pena di eterna dannazione debbono sottrarle
i suoi
beni temporali. Noi
sappiamo che
non è possibile che il
vicario di Cristo unicamente in forza delle bolle sue o di
quelle poste
con la
volontà e
il consenso
suo e
del suo
collegio possa rendere qualcuno capace o non capace.
Non è possibile scomunicare un uomo salvo che non si sia prima e
principalmente scomunicato da se stesso. Nessuno è scomunicato sospeso o punito
con altre censure a suo danno, se non per ciò che riguarda Dio. La maledizione
o la
scomunica non
colpisce in
modo generale,
ma soltanto quando è portata
contro un avversario della legge di Cristo. Non c’è una testimonianza data da
Cristo ai suoi discepoli della potestà di scomunicare i sudditi,
particolarmente a motivo della negazione dei beni temporali ma piuttosto il
contrario. I discepoli di Cristo non hanno
la potestà di
esigere con
la forza
i beni
temporali per mezzo di
censure. Non è possibile secondo l’assoluta potenza di Dio che se il papa o
un altro ha la pretesa di sciogliere o di legare in un modo qualsiasi per questo
stesso egli sciolga o leghi. Dobbiamo credere
che solo
allora egli
scioglie o
lega quando
si conforma
alla legge di Cristo. Questo deve essere cattolicamente creduto:
qualsiasi sacerdote ordinato nel modo dovuto ha la potestà di conferire in
maniera adeguata qualsiasi sacramento e di conseguenza di assolvere da qualsiasi
peccato qualsiasi pentito. Ai re è lecito sottrarre i beni
temporali agli
ecclesiastici qualora
questi ne
facciano abitualmente un
cattivo uso. Sia che i signori secolari o i santi papi o il Capo della chiesa,
che è Cristo, abbiano dotato la chiesa di beni di fortuna o di grazia e abbiano
scomunicato coloro che le hanno sottratto i suoi beni temporali è lecito
tuttavia in forza di una condizione implicita
in seguito
a una
mancanza adeguata
spogliarla dei
beni temporali. Un ecclesiastico fosse anche il pontefice romano può
essere rimproverato e anche accusato in modo legittimo dai sudditi e dai laici».
Come abbiamo visto il termine Lollardi
venne dato ai seguaci di Wycliffe e occupò la scena inglese tra la fine del XIV
secolo e il XV secolo. È probabile che l’origine del nome sia da ricercare
dall’olandese lollen, cantare, anche se, comunque, durante gli anni di
Wycliffe, il termine Lollardo era già impiegato nel nord della Francia, nelle
Fiandre e nei Paesi Bassi per indicare gli appartenenti ai movimenti dei Begardi
o dei Fratelli del Libero Spirito. Dopo la morte di Wycliffe, avvenuta nel 1384,
John Purvey, il suo segretario, divenne il leader del movimento, appoggiato
anche da numerosi esponenti della nobiltà in contrasto con re Riccardo II
(1377- deposto 1399). Dopo la deposizione di Riccardo da parte di Enrico di
Lancaster (figlio di Giovanni di Gand, Duca di Lancaster, e protettore di
Wycliffe), divenuto re Enrico IV (1399-1413), la situazione per i Lollardi
peggiorò radicalmente. Infatti Enrico, per ingraziarsi la Chiesa, dette inizio
ad una forte repressione contro il movimento, contraddistinta dall’editto del
1401 De comburendo haeretico (la prima legge contro gli eretici emanata
in Inghilterra dal potere civile), che permetteva ai vescovi di arrestare,
torturare e consegnare al braccio secolare gli eretici. Tra i primi a farne le
spese fu lo stesso John Purvey che, proprio nel 1401, venne arrestato e tenuto
in carcere per un anno, fino a quando, davanti all’arcivescovo di Canterbury,
Thomas Arundel (1353-1414), non ripudiò le sue idee (comunque, già nel 1403,
tornò ad essere un lollardo, finché non fu arrestato definitivamente nel 1421;
da quel momento non si hanno più notizie di lui, ma si suppone egli sia morto
in carcere). Nel 1408 lo stesso arcivescovo di Canterbury, Thomas Arundel,
stabilì, in un sinodo a Oxford, le regole (o costituzioni) per poter
predicare in pubblico, tradurre le Sacre Scritture e insegnare teologia nelle
scuole.
Nel 1414, un anno prima della postuma
condanna di Wycliffe per eresia pronunciata nel Concilio di Costanza, i Lollardi,
guidati da Sir John Oldcastle, arrivarono ad organizzare addirittura
un’insurrezione armata per rapire il re Enrico V (1413-1422). Il tentativo
fallì e lo stesso Oldcastle venne imprigionato e processato per eresia l’anno
precedente, riuscendo, però, a fuggire dalla famigerata Torre di Londra. Dopo
questi fatti la repressione si fece ancora più dura e 44 lollardi furono messi
a morte; lo stesso Oldcastle sfuggito alla cattura per 3 anni, nel 1417 fu
impiccato su una forca sotto la quale bruciava un fuoco lento. I Lollardi furono
protagonisti di un nuovo tentativo di insurrezione, organizzato da William
Perkins, però, represso nel sangue, nel 1431. La persecuzione contro di loro
proseguì fino all’avvento della Chiesa Anglicana nel 1534; successivamente
furono assorbiti nel protestantesimo inglese.
I
Lollardi, fedeli al solco anticlericale di Wycliffe, predicavano che la salvezza
non si otteneva dalle opere di fede pubblica ma esclusivamente dall’osservanza
delle leggi di Dio. Diffusero la Bibbia presso le popolazioni rurali e furono
apertamente ostili al primato del papa sull’intera chiesa e al primato della
chiesa di Roma. Negavano, come il fondatore del movimento, la venerazione dei
santi ed erano contrari alla vendita delle indulgenze, alle reliquie e ai
sacramenti. Inoltre respinsero con decisione il celibato del clero. Pur
condannando la pena di morte, non escludevano l’uso della forza contro le
istituzioni. È indubbio che le prediche itineranti dei Lollardi contro la
ricchezza e la condotta morale della chiesa inglese, ancora più radicali di
quelle del loro fondatore Wycliffe, accoglindo sentimenti antinobiliari e
antimonarchici, ebbero una profonda influenza nella rivolta dei contadini del
1381, capeggiata da John Ball, un sacerdote di origine contadina, e da Wat Tyler.
Lo
stesso Wycliffe nel suo trattao De Civili Dominio, scritto nel 1374, affermava:
«Primamente tutte le buone cose di Dio dovrebbero essere in comune. La
riprova di ciò è la seguente: ogni uomo sia in istato di grazia e egli è in
stato di grazia egli è padrone del mondo e di tutto quanto esso contiene, perciò
ogni uomo dovrebbe essere padrone del mondo intero. Ma a causa della moltitudine
degli uomini questo non avverrà fino a che tutti loro non mettano ogni cosa in
comune». Prima della rivolta del 1381, scoppiata, nelle contee dell’Essex
e del Kent, in occasione delle nuove tasse straordinarie che re Riccardo II
(1377-1399) aveva imposto per riprendere la guerra contro la Francia, John Ball
predicava alle folle che lo stavano ad ascoltare che
«finchè i beni non
siano in comune e vi siano villani e nobili, noi non saremo tutti uno e lo
stesso». Con queste parole, i contadini vennero invitati a insorgere
contro i feudatari, i ricchi mercanti e i funzionari del re e ad abbandonare i
feudi e il servaggio, per migliorare la loro sorte su questa terra. La stessa
richiesta venne fatta anche ai più bassi strati della popolazione dei salariati
urbani, per coinvolgerli nella rivolta.
La violenza scoppiò e vennero devastate e depredate tenute nobiliari e monasteri; numerosi documenti che riguardavano le corvées, le obbligazioni dei lavoratori, vennero distrutti e molti feudatari furono costretti a diminuire i tributi. L’insurrezione si estese anche a Londra dove, con l’appoggio dei ceti meno abbienti, vennero aperte le prigioni, occupate e incendiate le case dei consiglieri reali e di alcuni ricchi mercanti. Forti delle loro iniziative militari, gli insorti presentarono al re Riccardo II le loro richieste in due programmi: il Programma di Mile-End, da un borgo vicino a Londra, con cui si reclamava l’abolizione del servaggio, l’introduzione del libero commercio in tutta l’Inghilterra e l’amnistia per i ribelli; e il Programma di Smithfield (altro sobborgo presso le mura della città) promosso da Tyler e Ball, più radicale, che prevedeva la confisca dei possedimenti vescovili e dei monasteri, la ripartizione delle terre tra i contadini, la soppressione di tutti i privilegi feudali, l’uguaglianza dei ceti e l’abolizione delle corvées. Il re accettò le condizioni meno dure del primo programma. Durante le trattative fece uccidere a tradimento Tyler dal sindaco di Londra e, temendo l’estendersi della rivolta, fece ogni sorta di promesse ai contadini. Quindi ordinò ai cavalieri di tutte le contee di inseguire e di perseguire duramente i contadini, appoggiati anche dagli artigiani e dai ceti urbani e rurali più agiati, che vedevano con apprensione e sospetto questa ribellione e l’instabilità politica e sociale che ne derivava (numerosissime furono le impiccagioni in tutto il regno).
Jan Huss nacque nel 1369 a Husinec, nella
Boemia meridionale. Orfano di padre quando egli era ancora giovane, fu mandato
dalla madre a studiare all’Università di Praga, dove studiò teologia e
filosofia e conobbe Stanislao Znojmo. Nel 1393 conseguì il titolo di
Baccelliere in Arti, nel 1396 la laurea e nel 1400 fu ordinato sacerdote, per
poi diventare decano dell’università di Praga due anni dopo. Nello stesso
periodo si avvicinò alla comunità religiosa della Cappella di Betlemme
(o Nuova Gerusalemme), fondata nel 1391, per un auspicato ritorno alla
Chiesa originale di Cristo e degli Apostoli, da Mathis di Janow, e Conrad
Waldhouser. In quegli anni Huss fu fortemente influenzato dagli scritti di John
Wycliffe, tradotti in ceco da un gruppo di studenti boemi della facoltà di
teologia di Oxford, che si erano recati in Inghilterra al seguito della
principessa Anna di Boemia, promessa sposa a re Riccardo II d'Inghilterra
(1377-1399). Nonostante la condanna nel 1403 dell’Università di Praga come
eretiche delle 45 tesi contenute negli scritti di Wycliffe, Huss tradusse
ugualmente il Trialogus del teologo inglese in boemo e lo fece circolare.
Sebbene fossero note le sue idee prossime
all’eterodossia, fino al 1408, Huss poté godere della protezione
dell’arcivescovo di Praga, Zbynek (o Sbinko) von Hasenburg, quando in quello
stesso anno, l’alto prelato ricevette una lettera di Papa Gregorio XII
(1406-1415), che si scriveva preoccupato del diffondersi delle idee di Wycliffe
in Boemia e, soprattutto, della possibilità che il re Venceslao IV (1378-1419)
potesse mostrare simpatie verso di esse. La situazione si complicò
ulteriormente nel 1409 quando lo stesso re decise di favorire la componente ceca
dell’Università di Praga, permettendo ad essa di avere, nelle assemblee, tre
voti, concedendo, invece, alle altre nazionalità presenti in Boemia un solo
voto ciascuna (causando un esodo massiccio dei docenti e degli studenti di
origine tedesca, si parla di quasi 20.000 persone, che lasciarono Praga per
emigrare a Lipsia o in altre zone comunque più affini). Inoltre re Venceslao
proibì ogni contatto tra il clero locale e la Chiesa di Roma per impedire a
Gregorio XII di intervenire nella questione; il papa reagì con l’interdizione
di Praga attraverso l’arcivescovo Zbynek. Intervennero nella questione anche
gli antipapi Benedetto XIII, Alessandro V e il suo successore Giovanni XXIII,
allora in lotta per il seggio pontificio (ricordiamo che siamo in pieno Scisma
d’Occidente): in una bolla del dicembre 1409 l’antipapa Alessandro V proibì
la predicazione in Boemia al di fuori dei luoghi consacrati e la diffusione
degli scritti di Wycliffe.
Contro
questa decisione Huss, forte dell’appoggio del re, si appellò, inviando al
successore di Alessandro, l’antipapa Giovanni XXIII, i suoi compagni Stanislao
di Znojmo e Stefano di Pàlec, ma l’arcivescovo di Praga Zbynek, oramai in
aperto contrasto con lui, lo bandì nel 1410. Nel 1411, però, l’altro prelato
venne assassinato, forse per mano dello stesso re Venceslao. L’anno successivo
Huss, assieme a Girolamo di Praga, attaccò duramente Giovanni XXIII,
accusandolo di vendere le indulgenze per finanziare la sua lotta personale
contro papa Gregorio XII. Giovanni XXIII reagì scomunicando il predicatore
ceco. La bolla papale di scomunica fu bruciata in piazza durante una
manifestazione popolare a Praga. Durante questa manifestazione, però, tre
seguaci di Huss furono arrestati e decapitati per ordine del re, contrariato con
lo stesso Huss perché l’intervento del predicatore boemo colpì anche gli
interessi di Venceslao, che desiderava usufruire delle entrate derivate dalla
stessa vendita delle indulgenze.
Avversato da più parti e con un ordine
papale di cattura sulla testa, nel 1412 Huss decise di lasciare Praga per
rifugiarsi nelle campagne della Boemia meridionale, dove cominciò a predicare
fra i contadini e scrisse alcune delle sue opere più importanti, come Interpretazione
del credo, dei dieci comandamenti e della preghiera del Signore e Della
simonia, in ceco e De ecclesia in latino. Rientrato a Praga nel 1414,
fu invitato dal re di Germania Sigismondo di Lussemburgo a partecipare al
Concilio di Costanza del 1415, munito di un salvacondotto, per chiarire le sue
idee. Prima di partire Huss, forse, intuendo la fine, comunque consapevole del
pericolo a cui andava incontro, si congedò dai suoi collaboratori più stretti
raccomandando loro di pregare per lui «affinché, se la morte era
inevitabile, la sopportasse con fermezza, e se gli fosse dato di tornare,
potesse farlo con onore e senza tradire la verità».
Giunto
a Costanza, accompagnato dal suo amico fraterno Girolamo di Praga, nonostante il
salvacondotto, Huss fu arrestato e minacciato di morte se non avesse rinnegato
le sue idee ritenute eretiche. Huss mantenne con coraggio le sue posizioni e
dichiarò che avrebbe ritrattato solo se si fosse dimostrato che le sue idee
erano in contrasto con le Sacre Scritture. Ovviamente il Concilio che non
desiderava altro che la ritrattazione delle sue proposizioni lo condannò per
eresia e lo fece bruciare sul rogo il 6 Luglio 1415 e gettare le sue ceneri nel
fiume Reno. Stessa sorte toccò a Girolamo di Praga, l’anno successivo, il 30
maggio 1416, che, riuscito a fuggire ma nuovamente catturato, confermò la sua
fede nelle dottrine di Huss e quindi condannato al rogo come eretico relapso
(o recidivo). La condanna al rogo di Huss, da parte di Sigismondo, si rivelò,
però, un clamoroso errore politico, che elevò la figura di Huss a quella di un
martire, scatenando una guerra, la cosiddetta “guerra hussita”, che
durò dal 1419 fino alla pace di Jihlava del 1436.
Le
idee fondanti e principali del pensiero religioso e riformista di Huss,
riassunte nei
Quattro articoli di Praga del 1419, si
possono sintetizzare in quattro posizioni principali: nella povertà apostolica
del clero, nella libertà di predicazione, nella attiva partecipazione dei laici
nelle funzioni religiose e calice ai laici e nella severa disciplina
ecclesiastica per i chierici. Huss fu fortemente influenzato
dalla dottrina di Wycliffe, in particolare per quanto riguardava il tema della
predestinazione (anche se non
accettò la sua definizione della chiesa come complesso dei predestinati)
e il rifiuto della supremazia del papato, affermando che quando le leggi
ecclesiastiche e pontificie contravvenivano alla Legge di Dio, era dovere di
ogni buon cristiano ignorarle. Sappiamo che ebbe contatti anche con le comunità
valdesi presenti all’epoca in Boemia e, probabilmente per questo, predicò
contro le indulgenze, i pellegrinaggi, l’intercessione dei santi e la
venerazione delle reliquie.
Tra
le sue riforme ci fu anche il cosiddetto utraquismo (termine che deriva
dal latino sub utraque specie), ovvero
la Comunione offerta ai fedeli sia sotto la forma del pane che del vino,
fedelmente ripresa dal Vangelo di Giovanni (VI,54): «Chi si ciba della mia
carne e beve il mio sangue ha vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo
giorno». Non era una novità poiché fino al XII secolo la Chiesa aveva
praticato la Comunione sotto ambedue le forme e, inoltre, ai tempi di Huss, le
Chiese orientali avevano continuato a farlo. Solo successivamente, dal XII
secolo in poi, era stata ristretta al solo officiante per il rischio che
qualcuno potesse versare, in maniera sacrilega, per terra il Sangue di Cristo.
Questa rito fu condannato dal Concilio di Costanza (1414-1417), ma, dopo le
guerre ussite, nel Concilio di Basilea (1431-1439) fu permesso ai boemi di
comunicarsi con ambedue le forme.
I
movimenti hussita e taborita
La riforma radicale della Chiesa proposta
da Jan Huss, che, come Wycliffe, riteneva che la “Vera Chiesa” fosse quella
fondata sulla fede e costituita da un corpo mistico di eletti, unita alla
rivendicazione del diritto-dovere da parte dei sudditi di disobbedire alle
autorità civili e religiose che si trovavano in stato di peccato, lontano, cioè,
dallo stato di grazia, anche per la forte diffusione del valdesianesimo, erano
popolari in tutta la Boemia. Va aggiunto anche che in tutto il paese forte era
l’insofferenza nei confronti della popolazione di origine germanica e questo
perché, nonostante la maggioranza degli abitanti fosse slava, le aristocrazie
che dominavano in molte città boeme erano soprattutto tedesche, provocando non
pochi risentimenti tra i borghesi, gli artigiani e i contadini. Nel 1415, non
appena giunse la notizia della condanna al rogo di Jan Hus e di Girolamo da
Praga, in tutto il paese ci furono forti rimostranze. Ben 452 nobili boemi e
moravi, simpatizzanti del riformatore boemo, inviarono una lettera di protesta
per l’accusa di eresia formulata contro Huss e la sua esecuzione e concessero
ai loro sudditi di celebrare il sacramento della comunione con il pane e il vino
(proprio quello che il Concilio di Costanza aveva contestato). Per
differenziarsi i seguaci di Huss, numerosi soprattutto a Praga, dove aveva predicato
e insegnato nella sua università, adottarono il calice come simbolo del loro
movimento riformatore, inteso come il segno caratteristico della presenza del
sangue di Cristo sulla terra.
Sulla spinta non solo di sentimenti
antiecclesiastici, ma anche dall’obiettivo di secolarizzare i beni della
Chiesa, cominciarono le violenze contro i conventi e i sacerdoti, che
dilagarono un po’ in tutta la Boemia e Moravia: i primi tumulti scoppiarono a
Pilsen nel 1417. La situazione, comunque, rimase abbastanza tranquilla in tutta
le regione perché il re Venceslao IV non intraprese nessuna azione particolare
contro gli Hussiti. Nelle zone più calde e controllate dai riformatori venne
messa al bando la venerazione della Madonna, si predicò contro la credenza del
purgatorio e le processioni; venne ammessa come preghiera solo il Pater
noster e il rituale liturgico veniva celebrato senza canti né musica in
sedi prive di immagini sacre. Tra i vari predicatori che apparvero sulla scena
il più importante fu Jakoubek di Stribo, successore di Huss alla Cappella di
Betlemme, autore nel 1420 dei Quattro articoli di Praga, il manifesto del
credo hussita in cui si sosteneva la libertà di predicazione della Parola di
Dio in volgare, la comunione eucaristica sia con il calice contenente il vino e
il pane, l’espropriazione dei beni ecclesiastici (da destinare a fini
caritativi) e la povertà evangelica per il clero, e, infine, la pubblica
condanna per i peccati commessi da membri del clero.
All’inizio gli aderenti al movimento hussita vennero designati con il termine utraquista (per indicare coloro che praticavano la comunione eucaristica sub utraque specie, sotto le due specie) ma, più tardi, con la nascita di varie correnti, gli Utraquisti rappresentavano soltanto una parte del movimento, quella moderata, legata alla nobiltà e all’università di Praga. Ma particolarmente importante fu la corrente dei Taboriti, gli Hussiti più radicali, così chiamati dal Monte Tabor, una collina vicino alla città di Serimovo Ústí, nella Boemia meridionale. Questi erano convinti che la salvezza ultraterrena sarebbe stata raggiunta solo dai fedeli che si fossero rifugiati in cinque città riformate, scelte da Dio quando sarebbe finito il regno dell’Anticristo e dove Cristo sarebbe ridisceso per regnare sugli eletti. Sulla base di questa visione apocalittica, le differenze sociali dovevano essere annullate, così come le servitù feudali, e, inoltre, tutti avevano la stessa dignità di figli e sacerdoti di Dio. Altre correnti, ma di minore importanza, furono quelle degli Horebiti, dal Monte Horeb, o Sinai, da dove Mosè discese portando le tavole della legge, e degli Adamiti o Piccardi, fondati dal predicatore Martin Huska.
Nel 1419, re Venceslao mutò opinione e
si avvicinò alle posizioni di Sigismondo, suo fratello e imperatore di
Germania, e a quelle di papa Martino V, cominciarono i primi scontri.
L’occasione fu dato dalla decisione del re di imporre le dimissioni di tutti i
consiglieri hussiti della “nuova città di Praga”. A Tabor, il 22 luglio
dello stesso anno, Jan Troznowski, detto Zizka, rappresentante della piccola
nobiltà terriera, davanti a quarantamila persone, lanciò un appello alla
rivolta, in vista della fine del mondo ritenuta imminente. Questa folla in armi,
il 30 luglio 1419, prese d’assalto il municipio di Praga occupandolo e
defenestrarono i sette magistrati che re Venceslao IV aveva scelto per
sostituire i consiglieri hussiti (appena un mese dopo re Venceslao morì) e che
trovarono un’orrenda morte. Sigismondo di Lussemburgo, re di Germania dal
1410, approfittando della morte di Venceslao,
si proclamò re di Boemia e, forte di una bolla che il nuovo papa Martino V
(1417-1431), di fronte alla gravità della situazione, aveva emesso scomunicando
tutti gli Hussiti e indicendo perfino una crociata contro di loro, invase la
regione nel Marzo del 1420. Preoccupati della piega che stavano prendendo gli
eventi, gran parte della nobiltà e dei patriziati urbani cèchi e moravi
aderirono all’esercito imperiale. Ma la crociata si trasformò in un vero e
proprio disastro per gli imperiali. Il 14 luglio 1420, a Vitkov, conobbero la
prima di una lunga e incredibile serie di sconfitte militari per opera degli
Hussiti, che, sotto il comando di Zizka, che mostrò doti di un ottimo stratega,
oltre ai Taboriti, includevano nelle loro fila anche molti rappresentanti della
piccola nobiltà terriera e cavalieri.
Nella primavera del 1420 i ribelli
taboriti trasformarono Tabor, che prima era una sorta di accampamento, in una
città-fortezza. Alcuni di loro arrivarono a bruciare simbolicamente le loro
dimore personali prima di insediarvisi. Tra le decine di predicatori che si
agitavano in questa improvvisata comunità, emerse la figura del moravo Martin Hùska,
che arrivò a fare abolire la proprietà privata, per distribuire le risorse
secondo i bisogni, e fece proclamare l’uguaglianza sociale fra tutti gli
aderenti, abolendo quasi del tutto la differenza fra preti e laici. Sulla spinta
di questo slancio religioso e sociale, vennero respinti anche i sacramenti, la
credenza nel purgatorio, i pellegrinaggi e le preghiere ai santi, per
contestare anche i “diritti” feudatari, le corvées e le decime
ecclesiastiche. Ma il radicalismo acceso e il fanatismo di Martin Huska,
oltretutto protagonista di profanazioni religiose, rischiava di far sfuggire di
mano la situazione. Per impedirlo, nella primavera del 1421, Huska fu arrestato,
torturato e bruciato sul rogo assieme ad altri 75 Adamiti, i suoi
seguaci. Nell’ottobre dello stesso anno, un’armata inviata da Zizka isolò e
annientò gli ultimi fanatici che avevano scelto come loro ultima roccaforte
un’isola sul fiume Nezàrka.
Va comunque detto che già qualche mese
dopo la proclamazione dei Quattro Articoli di Praga, il movimento hussita
cominciò a presentare le prime crepe, soprattutto tra i mercanti e le gilde
artigiane praghesi e i contadini millenaristi taboriti che, solo dopo vari
tentativi andati a vuoto per imporre a Praga il regime instaurato a Tabor e
molti contrasti, abbandonarono dalla città. Tuttavia, nonostante i forti
contrasti interni al movimento hussita, Praga e le altre città regie non
fecero mai causa comune con Sigismondo, assicurando in questo modo un appoggio
indiretto, ma prezioso, ai ripetuti successi militari della rivolta boema. Alla
fine del 1421 un nuovo e più potente esercito “crociato” invase la Boemia,
le truppe di Zizka (divenuto, nel frattempo, completamente cieco) ebbero la
meglio a Kuttenberg, nel Gennaio 1422. L’anno successivo ci furono altre
vittorie. Questo fu possibile perché Zizka, oltre a creare un’efficiente
cavalleria, introdusse nuove strategie militari sui campi di battaglia, in
particolare la disposizione dei carri, opportunamente trasformati per sistemarci
i pezzi d’artiglieria, che aveva la doppia funzione di proteggere i fanti e di
passare con rapidità al contrattacco trasportando le truppe.
Nell’ottobre del 1424 Zizka contrasse
la peste durante una spedizione militare in Moravia. Dopo la sua morte, Andreas
Prokop (o Procopius) (1380-1434), detto anche il Grande o lo Sbarbato, gli
successe nella guida militare del movimento, che si mostrò altrettanto abile
dal punto di vista militare. Non si limitò a sconfiggere ripetutamente i
crociati, a Aussig (1426) e a Mies (1427), ma effettuò incursioni militari
vittoriose invadendo vaste aree della Slesia, Sassonia, Austria, Turingia e
Baviera arrivando fino a Norimberga. Nonostante ciò, Martino V organizzò
un’ulteriore crociata, la quinta, forte di 130.000 uomini, al comando del
principe Federico di Brandeburgo. E anche questa volta arrivò l’ennesima
disfatta dei crociati a Taus, nella Boemia occidentale, il 14 Agosto 1431.
Queste numerose e prolungate campagne militari ebbero, però, l’effetto di
isolare economicamente il paese con il risultato che i ceti urbani alienarono il
loro sostegno verso il movimento taborita. Per questo motivo, a partire dal
1433, prima a Basilea e poi a Praga, vennero intavolate delle trattative con gli
emissari pontifici per giungere a un compromesso con la Chiesa. I contrasti
all’interno del movimento hussita, tra l’ala moderata, alleata delle forze
cattoliche, e quella più radicale dei Taboriti, si fecero insanabili.
Per giungere ad una soluzione pacifica
del conflitto, durante il concilio di Basilea, vennero redatte le Compactata,
una serie di deroghe dottrinali, che si rifacevano ai Quattro Articoli di
Praga. I Taboriti non accettarono questo compromesso e la situazione sfociò
in una guerra civile, che portò alla sanguinosa battaglia di Lipany, il 30
maggio del 1434, in cui vennero sconfitte le truppe taborite e trovò la morte
anche il loro capo Procopio, con 10.000 dei suoi. Nella dieta di di Jihlava, in
Moravia, il 5 luglio del 1436, venne stipulata la pace definitiva tra i
riformatori hussiti della corrente degli utraquisti e i legati cattolici del
Concilio di Basilea, accettando reciprocamente i Compactata. In base
agli accordi venne quindi formata la Chiesa Cattolica boema con a capo
l’arcivescovo Jan Rokyzana. Ovviamente la lotta interna non cessò del tutto e
in contrasti si protrassero nei due decenni successivi. Ma la reazione cattolica,
soprattutto per l’opera evangelizzatrice dei predicatori francescani, riuscì
a ridurre rapidamente l’influenza del movimento hussita, relegandolo a un
ruolo sempre più marginale. Nel 1457, su iniziativa dei Taboriti superstiti, si
staccò una costola dal movimento hussita per formare un nuovo movimento, quello
dell’Unitas Fratrum (o Fratelli Boemi), che, dieci anni dopo, si
fuse con i valdesi, divenendo l’Unione dei Fratelli Boemi-Moravi,
ancora oggi esistente come chiesa evangelica indipendente.
©2005 Andrea Moneti