è piuttosto indubitabile che la religione islamica si sia
sviluppata inglobando, come ogni altra religione, credenze
precedenti, i cui retaggi, pur in forma fortemente
rimaneggiata, rimangono tuttora evidenti. Purtroppo il
materiale che possediamo non ci permette di formare un
quadro completo e chiaro della religione degli Arabi
pre-islamici: tutto ciò che sappiamo deriva da dichiarazioni
isolate di scrittori greci, da poche iscrizioni greche o
semitiche, da raccolte di componimenti di poeti antichi e da
alcuni aneddoti e tradizioni inserite nella letteratura
islamica più tarda, mentre alcune informazioni possono
essere raccolte anche da allusioni polemiche nel Corano.
Molto credito va, infine, dato a un paio di studiosi
musulmani dei primi secoli che hanno faticosamente raccolto
e tramandato ai posteri, in forma sistematica, le
informazioni in loro possesso sulla mitologia pagana e
rituale. Tra questi studiosi una posizione di assoluto
rilievo deve essere assegnata a Hisham al-Kalbi, comunemente
noto come Ibn al-Kalbi (819-920 d.C.), autore del "Kitab
al-Asnam" ("Il Libro degli Idoli") che rimane, a tutt'oggi,
la nostra fonte principale per la comprensione della
religione araba pre-islamica [1].
- UNA SOCIETA' LAICA E IDOLATRA
Anche
le scarse prove disponibili sono sufficienti per comprendere
che, contrariamente a quanto potremmo pensare oggi, gli
Arabi delle generazioni immediatamente precedenti a Maometto
non dimostravano di avere un forte senso religioso. In
realtà, al contrario, potremmo definire la religiosità
pre-islamica come tiepida, se non, addirittura, indifferente
per gran parte della popolazione.
La conformità alla pratica religiosa sembra, piuttosto,
nascere da una sorta di "inerzia tribale", dettata dal
rispetto per le tradizioni conservatrici più che da una
autentica devozione a una divinità "pagana" [2].
Una storia raccontata sul poeta
arabo Imru 'al-Qays (501-544 d.C.) ben illustra questo
punto. Avendo deciso di vendicare l'assassinio di suo padre
da parte dei Banu Assad, il poeta si fermò al tempio di
Dhual-Khalasah a consultare l'oracolo per mezzo del disegno
tracciato dal lancio di una freccia. Quando per tre volte di
seguito l'arco tracciato dalle frecce da lui scagliate
indicò di abbandonare l'impresa, Imru si gettò sulla statua
di Dhual e lo distrusse esclamando: "Maledetto!
Se fosse stato tuo padre ad essere stato assassinato non
avresti vietato la mia vendetta" [3].
Questa indifferenza di fondo verso la religione non deve,
però, portare a concludere che non esistesse alcuna
religione di sorta. In realtà, sempre più studi concordano
sul fatto che probabilmente la prima forma di religiosità
sviluppata nella penisola araba fosse di stampo
para-monoteista, con l'idea di un potere supremo che
controllasse l'universo, che avesse facoltà di giudizio
sulla vita degli uomini dopo la morte e che avesse schiere
di angeli al suo servizio. Tale credenza è illustrata da
numerosi testi letterari, quali il verso di Nabigha in cui è
scritto:
«Ho
giurato e ciò non lascia più alcun dubbio, perché chi altro
può sostenere l'uomo all'infuori di Dio?»
in cui è piuttosto evidente il
riferimento monoteistico, o il distico di Zahir b. Abi
Salma:
« Le
azioni sono registrate nel rotolo del libro che sarà
presentato in
nel
giorno del giudizio;
la vendetta può
essere presa anche in questo mondo»[4]
che dimostra una chiara fede in
un giudizio ultraterreno post-mortem.
Col tempo, comunque, pare che si sviluppasse una concezione
di "delega di poteri" dall'unico dio a personaggi minori o
oggetti sacri, certamente più vicini ai fedeli: è in questo
processo che possiamo leggere il culto di idoli, persone
sante e corpi celesti non come culto politeistico in senso
stretto ma come tributo alla divinità unica da essi
incarnata.
è, altresì, altamente probabile che nello sviluppo di
questa attribuzione di culto semi-politeistico non sia stata
esente una sorta di orgoglio tribale, tale per cui ogni
tribù si sia "ritagliata"
una divinità propria a cui far riferimento, soprattutto nel
momento di dispute bellicose con le altre tribù vicine [5].
Così, ad esempio, la tribù "Kalb Wadd" adorava una divinità
di nome Hudhayl Suwa, la tribù di Madh'hij e il clan dei
Quraysh Yaghuth adoravano il dio Khaywan Ya'uq, il cui
santuario era situato a due giorni di viaggio dalla Mecca, e
la tribù di Himyar venerava con sacrifici il dio Ri'am,
venerato nei templi di Balkha
e di San'a.
La presenza di divinità tribali, in ogni caso, non escludeva
il culto di divinità adorate da più gruppi, fino a diventare
vere e proprie divinità nazionali, la cui origine, comunque,
dovrebbe essere con ogni probabilità ricercata in popoli
stranieri (Nabatei, Sabei, etc.) stabilitisi
provvisoriamente o definitivamente nella penisola araba a
seguito di migrazioni
nomadiche. Il più antico tra questi dei era Manah (o Manat),
una divinità solare il cui tempio principale era stato
eretto in riva al mare nelle vicinanze di Mushallal, tra
Medina e Mecca e che, benché venerato con offerte votive da
tutte le tribù, aveva i suoi fedeli più devoti tra i Banu
Aus e i Khazraj.
Un'altra dea ardentemente venerata dagli Arabi era
conosciuta come al-Lat. Il suo idolo era rappresentato da
una pietra cubica custodita dai Banu Attab Ibn Malik del
Thaqif, che avevano edificato un grande tempio in suo onore,
e il suo culto era presente presso i Quraysh e in quasi
tutte le tribù d'Arabia. Quasi certamente era una dea della
terra e dei suoi frutti e certamente il suo culto fu tra
quelli più difficili da stroncare da parte dell'Islam, tanto
che Maometto dovette inviare al-Mughirah ibn Shu'bah a
distruggere il suo idolo per convertire l'area del Thaqif e,
una volta dato alle fiamme il tempio, questi lasciò un
avviso a perenne monito:
« Non
venite ad adorare al-Lat, Allah l'ha destinata alla
distruzione.
Come si
può essere aiutati da chi che non è vittorioso?
In
verità, una volta appiccato il fuoco, essa non ha
resistito alle fiamme,
né ha
salvato le sue pietre, senza gloria e senza valore.
Pertanto,
quando il Profeta arriverà al tuo posto,
non uno dei suoi
devoti rimarrà al momento della sua partenza» [6].
Una
terza dea venerata dagli Arabi era conosciuta come al-Uzza e
si trattava di una divinità della guerra di origine Sabea,
il cui tempio, costruito nell'area di al-Ghumyayr, nei
pressi della strada della Mecca, era il più grande della
penisola araba ed era considerato un centro oracolare.
è
interessante notare come, in molte leggende, le tre divinità
sopra menzionate, pur avendo origini diverse, venissero
considerate una sorta di triade divina, unita da vincoli
(variabili da racconto a racconto) di parentela. Spesso esse
venivano chiamate "le figlie del Dio" (ancora una volta ad
indicare un monoteismo originale) e in particolare i Quraysh
le adoravano deambulando in senso circolare intorno alla Ka'bah, il tempio in cui era conservata una "pietra divina
discesa dal cielo" (probabilmente un meteorite, ancor oggi
venerato dagli islamici come "pietra nera"), e cantando inni
in loro onore, in una pratica che è stata sincretizzata
dall'Islam e che fa parte tutt'ora del rituale dell'Hajj [7].
- BETILI,
DEI DELLA NATURA E UOMINI SACRI
I
Quraysh, comunque, veneravano numerosi idoli
diversi, rappresentati da pietre grezze (betili) o
scolpite, dentro e intorno alla Ka'bah. La divinità
più importante era Hubal, una divinità lunare di
origine mesopotamica rappresentata dalla statua in
agata rossa di un uomo con una mano spezzata posta
all'interno della Ka'bah.
Si trattava di una divinità oracolare che dava
responsi attraverso indovini (Kahin)
che divinavano attraverso bastoncini sacri con
parole incise. Tale pratica divinatoria era
particolarmente utilizzata in caso di dubbio sulla
legittimità di un bambino (se, dopo aver gettato i
bastoncini, quello recante la parola "mulsaq",
"straniero" risultava in cima al mucchietto il
bambino veniva esposto)ma venivano dati responsi
anche sul matrimonio, la morte o il successo o
fallimento di un percorso carovaniero che si
intendeva compiere. I meccani erano particolarmente
devoti a Hubal, tanto che il Profeta dovette più
volte scagliarsi contro i suoi seguaci, ma anche
altri dei quali Usaf e Na'ilah trovavano posto
all'interno del recinto della Ka'ba e venivano
venerati congiuntamente presso la fontana sacra [8].
Ibn al-Kalbi scrive: «Gli
arabi erano appassionatamente devoti agli idoli e li
veneravano con fervore. Alcunidi
loro erigevano templi nei quli svolgere i loro
culti, mentre altri adottavano la venerazione
domestica di idoli. Chi fosse privo di mezzi per
costruirsi un tempio o per farsi scolpire un idolo
da adorare, poteva posizionare un sasso sacro
[betile] di fronte alla propria casa o a qualsiasi
tempio a scelta e adorarlo camminandogli intorno
come avrebbe camminato intorno alla Ka'bah. [...] Erano
così profondamente convinti nell'adorazione di tali
pietre che quando qualcuno di loro aveva intenzione
di partire per un viaggio il suo ultimo atto prima
di dire addio alla casa era quello di toccare
l'idolo con la speranza che ciò fosse di buon
auspicio per il viaggio stesso e quando tornavano a
casa il primo atto che compivano era toccare di
nuovo il sasso con riverenza in segno di gratitudine
per il ritorno felice». [9]
Tali
betili oggetto di venerazione prendevano in nome di
"ansab" e quando essi assomigliavano anche vagamente
a qualche forma di vita, assumevano uno speciale
potere e venivano definiti "Asnam": in ogni caso, la
ritualità cultuale includeva sempre un atto di
circoambulazione intorno ad essi chiamato "dawr".
Nonostante tali culti domestici fossero molto
comuni, tutti gli Arabi erano convinti della
superiorità del culto svolto alla Ka'bah e chiunque
potesse permetterselo era solito effettuare almeno
un pellegrinaggio alla Mecca per compiere il "dawr"
intorno alla "pietra nera" e per compiere azioni
rituali che tutt'ora la religione islamica prescrive
in ossequio a tradizioni che vengono fatte risalire
al tempo di Ibrahim e Isma'il, quali la veglia
("al-Wukuf") in occasione delle festività di 'Arafah
e al-Muzdalifah, il sacrificio di cammelle e
l'acclamazione a voce alta del nome del Signore [10].
La
storia della pre-islamica mette in luce il fatto che
gli Arabi, oltre al culto degli idoli, adorassero
anche i corpi celesti, gli alberi e gli eroi morti
delle loro tribù.
Il Sole (Shams), inteso
come principio femminile, era onorato da diverse
tribù arabe con santuari e idoli in tutto il Paese e
una posizione particolare era riservata al culto
della Luna, vista come principio maschile (da cui,
per altro, deriva l'utilizzo odierno della mezzaluna
come simbolo islamico), ma anche altri corpi celesti
venivano adorati in aree specifiche e, tra essi,
particolarmente comuni erano i culti di Sirio
(al-Sh'ira), Aldebaran e dei pianeti Mercurio
(Utarid), Venere (al-Zuhra) Giove (al-Mushtri) e
Saturno (Zuhal) (a cui il tempio della Mecca era
dedicato). Ciò non significa che gli Arabi avessero
un culto particolarmente incentrato sugli astri: in
realtà, molte divinità erano rappresentate con forme
animali, quali il cavallo Ya'uq, dio degli Hamdan
edei
Morad e
Nasr, l'avvoltoio venerato dagli Himyariti e altre
divinità erano semplicemente personificazioni di
idee astratte. In particolare, è da notare che gli
Arabi credevano nell'esistenza di alcuni poteri
soprannaturali capaci di plasmare il loro destino e,
tra essi, particolare importanza era data al "dio
del tempo" (Dahr,
Zaman), visto come portatore di dolori e avversità,
contro il quale il Corano si scaglia violentemente
nella Sura XLV.
Un retaggio della
filosofia pre-islamica ancora fortemente presente
nella cultura araba è il concetto di ineluttabilità
del destino che nessuna azione umana può cambiare:
tale idea deriva dal culto meccano di Maniyah
(appunto il destino), derivato da una costruzione
teologica tale per cui era credenza diffusa che Dio,
dopo aver creato la vita, si fosse ritirato nella
posizione di uno spettatore silenzioso, lasciando il
governo del mondo al tempo e al destino [11].
In
linea generale, un grande rispetto, quasi ai limiti
della idolatria, veniva tributato ai sacerdoti, in
particolare a quelli addetti alla cura dei templi e
dei santuari. Il sacerdote era visto come guardiano
del tempio (Sadin) e proprietario del recinto sacro.
Di norma questo privilegio apparteneva a un clan
specifico della tribù, il cui capo era il sacerdote
vero e proprio, ma ogni membro della tribù, estratto
a sorte, poteva svolgere funzioni sacerdotali, che,
oltre alla guardia del luogo sacro, includevano la
costruzione degli idoli, la cura del tesoro formato
dai doni votivi dei fedeli e, in alcuni casi, la
consulenza su questioni giuridiche importanti in
qualità di intermediari tra mortali e dei.
Questa ultima funzione era, però, di norma affidata
a una gilda di veggenti, i Kahin, i cui membri
affermavano di hanno ricevuto la loro conoscenza
esoterica dallo spirito divino: chiunque poteva
consultarli in cambio di offerte di cibo e animali
posti ai loro piedi e ciascuno di essi era in
contatto con uno spirito della natura (Jinn).
Proprio la credenza in
tali entità e il loro culto, oltre al culto del dio
del male (Shayatin), era una caratteristica
piuttosto peculiare della religione arabica. I Jinn,
adorati da tutte le tribù e ad ogni livello sociale,
differivano dagli dei non tanto per la loro natura,
quanto nel loro rapporto con l'uomo: gli dei erano,
nel complesso, benigni, mentre i Jinn,
personificazioni fantastiche delle paure derivanti
dalla vita nel deserto e dal contatto con animali
selvatici, erano spesso ostili.
Infine, forme di
religiosità piuttosto frequenti, soprattutto a nord
della Penisola arabica, erano derivate dal contatto
con altre culture e paiono poco inserite nel quadro
della religiosità autoctona: tra esse è possibile
ricordare il culto dei morti (di probabile origine
egiziana) e la credenza, probabilmente venuta da
oriente, nella reincarnazione, così come la ricerca
di vaticini nel volo degli uccelli (Zajr), forse
derivata da contatti con popolazioni mediterranee e
il culto del fuoco, particolarmente presente nella
tribù dei Tamim, di chiara origine persiana [12].
La penetrazione di culti stranieri nella Penisola
araba non deve, però, essere sovrastimata, così come
non deve esserlo la presenza di gruppi israeliti e
cristiani.
Gli
Ebrei erano fuggiti in gran numero in Arabia dopo la
distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei
Romani e avevano fatto proseliti all'interno di
diverse tribù, quelle dei Kinanah, degli al Harith
Ibn Ka'bah, e dei Kindah in particolare, ma, in
linea generale, l'Israelitismo non si diffuse mai
capilarmente, pur essendo ben conosciuto almeno dal
I secolo a.C. L'importanza attribuita all'Ebraismo da
molti studiosi deriva, più che dal numero dei
convertiti, dalla potenza economica e sociale
assunta dagli Ebrei immigrati, che, nel giro di un
paio di secoli, presero possesso di numerose città e
fortezze e, con Qarib Abu Assad, re dello Yemen,
arrivarono a imporre la loro religione a tutti gli
Himyariti. Proprio la loro potenza economica mise
gli Ebrei a contatto con i Meccani e ciò,
certamente, spiega le pesantissime influenze torahiche all'interno della predicazione di
Maometto.
Per
quanto riguarda il Cristianesimo, è incerto il
periodo in cui esso fu introdotto per la prima volta
nella Penisola araba, ma è molto probabile che le
persecuzioni e i disordini che avevano avuto luogo
nella Chiesa d'Oriente subito dopo l'inizio del III
secolo avessero obbligato grande numero di Cristiani
a cercare rifugio in quell'area. Inizialmente la
nuova fede ottenne qualche successo, in particolare
all'interno delle tribù Ghassan, Rabi'a, Tagh'ab,
Bahra, Tunukh, Tay e Khud'a e tra gli abitanti di
Najran e di Hira, ma
non riuscì mai ad avere una presa tale da sostituire
l'idolatria.
La ragione di ciò va ricercata soprattutto nella
strutturazione anacoretica che il Cristianesimo
assunse in Arabia, con eremiti che, pur avendo fama
di santità, non erano interessati tanto alla
predicazione e all'evangelizzazione, quanto alla
ricerca personale, e, soprattutto, alle divisioni
interne al Cristianesimo tipiche di quel periodo
storico, con appartenenti a scuole teologiche
diverse che si combattevano a suon di dichiarazioni
dogmatiche, fornendo, all'esterno una immagine molto
frantumata del messaggio evangelico.
Di fatto, comunque, la presenza di comunità
israelite e cristiane aprì la strada allo sviluppo
(o alla ripresa) di una mentalità monoteistica che,
in qualche modo, trovò il suo compimento in una
predicazione in sé non particolarmente originale ma fortemente etnicamente orientata come quella di
Maometto, che seppe unire radici bibliche a
elementi tradizionali della cultura araba
reinterpretati in chiave nuova [13].
(1) Ibn al-Kalbi, Kitab
al-Asnam, Irwad Islamic Press
1993, passim.
(2) M. Sicker, The
Pre-Islamic Middle East, Praeger
2000, pp. 26 ss.
(3) S. Pinckney
Stetkevych, The
Mute Immortals Speak: Pre-Islamic Poetry
and the Poetics of Ritual,
Cornell University Press 2011, pp.
47-48.
(4) Ivi,
pp. 106 e 119.
(5) Ibn Warraq, Koranic
Sources: Pre-islamic, Christian, and
Qumranian Influences, Prometheus
Books 2011, pp. 33 ss., passim.
(6) S.
Pinckney Stetkevych, Citato,
p. 81.
(7) M.
Sicker, cit.,
passim.
(8) Ivi.
(9) Ibn
al-Kalbi, cit.,
p.37.
(10) Ibn
Warraq, cit.,
passim.
(11) R.G. Hoyland, Arabia
and the Arabs: From the Bronze Age to
the Coming of Islam, Routledge
2001, passim.
(12) Ivi.
(13) J.S. Trimingham, Christianity
Among the Arabs in Pre-Islamic Times,
Longman Group 1978, passim.
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