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MARCO BRANDO

  

28 LUGLIO 1943

 

Bari ricorda i morti di via Dell'Arca

 

  

   

«In seguito ai luttuosi fatti di Bari, i feriti sono ancora piantonati... Sono in carcere... Tutto ciò ha prodotto e produce penosissima impressione nella cittadinanza, perché la dimostrazione fatta all'avvento del nuovo Governo aveva carattere, non solo pacifico, ma anche di entusiastico consenso per l'opera del Re e del Maresciallo. Un fatale equivoco, provocato dai fascisti, trasse la truppa a sparare sulla folla; perché aggravare l'equivoco infierendo sulle vittime?».

Il testo di questa lettera inedita giunse nell'agosto 1943 al Capo del Governo Pietro Badoglio, allora ancora a Roma. Fu firmata dal filosofo Guido De Ruggiero (Napoli 1888 - Roma 1948). E si riferisce alla strage del 28 luglio precedente in via Dell'Arca, a Bari. Quel giorno di 63 anni fa, diffusasi la notizia che sarebbero stati liberati i detenuti politici dopo l'arresto di Mussolini, un gruppo di giovani si mosse per accoglierli davanti al carcere barese. Si formò un corteo di circa duecento persone, tra cui molti studenti, che si fermò davanti alla sede della Federazione fascista, presidiata dall'esercito, per chiedere la rimozione dei simboli del regime.

Improvvisamente partì il fuoco contro i manifestanti: alla fine si contarono ufficialmente venti morti e trentotto feriti.

La lettera di De Ruggiero è stata trovata nell'Archivio di Stato di Roma da un giovane studioso canosino, Francesco Morra: laureatosi in Scienze politiche all'università La Sapienza di Roma, è reduce da un master in Storia e storiografia multimediale all'università Roma Tre. «La lettera - afferma Morra - era ancora graffettata a quella dell'allora ministro delle Corporazioni Leopoldo Piccardi. E il ministro l'aveva girata, appunto, a Badoglio».

Perché il filosofo l'aveva sottoscritta? A Bari lo aveva portato il lavoro di diffusione del movimento liberalsocialista, nella direzione già tracciata da Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli. Il gruppo barese, guidato da Tommaso Fiore, fu stroncato dagli arresti nel '42. Dopo la caduta di Mussolini, da tutta Italia erano giunti gli aiuti per gli amici rinchiusi nel carcere di Bari: così, con De Ruggiero, arrivarono Guido Calogero e Adolfo Omodeo, per incontrare Tommaso Fiore, Franco e Peppino Laterza, Pasquale Calvario, Michele Cifarelli, Michele Spinelli, i fratelli Antonio e Franco Sorrentino. Di certo, la strage di via dell'Arca fu trauma terribile per chi sperava nella fine della dittatura. «Il numero vero delle vittime non è stato mai definitivamente accertato», ricorda Vito Antonio Leuzzi, direttore dell'Ipsaic, nell'introduzione a Memoria di una strage, pubblicato tempo fa a Bari dalle Edizioni dal Sud, curato da Giulio Esposito e dallo stesso Leuzzi.

Il ministro delle Corporazioni, il 14 agosto 1943, girò così a Badoglio la lettera del filosofo, redatta su carta intestata della Laterza e datata Roma. Il ministro scrisse: «Unisco un promemoria del prof. De Ruggiero sulla situazione di Bari». Quest'ultima iniziava così: «In seguito ai luttuosi fatti di Bari, i feriti sono ancora piantonati; come il De Sechis, redattore capo della "Gazzetta del Mezzogiorno", sono in carcere, tutti deferiti al Tribunale Militare».

In effetti la "Gazzetta", l'unico quotidiano che non sospese le pubblicazioni durante la guerra, neppure per un giorno, era stata accusata di aver scatenato la manifestazione. E l'editoriale sotto accusa era firmato da Luigi de Secly, allora redattore capo del giornale, vicino a Benedetto Croce.

Aggiunse De Ruggiero: «L'autorità civile ha implicitamente riconosciuto l'errore, rimovendo il prefetto e inviando un ispettore per un'inchiesta: il Comando del Corpo d'Armata vi persiste, trincerandosi dietro la giustificazione formale del divieto di ogni dimostrazione di piazza. Ma si trattava di una dimostrazione di giubilo nei primissimi giorni dell'instaurazione del nuovo Governo; il che è stato consentito e incoraggiato in altre città. Perché soltanto Bari deve scontar così duramente la sua innocente manifestazione di giubilo?».

Una domanda che vale ancora oggi.

   

Marco Brando

 

 

da "Corriere della Sera-Corriere del Mezzogiorno" del 28/07/2006

 

  

 

 

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