ANTONIO
PINELLI
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La
«Nuova Cronica» di
Giovanni Villani
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Torna
con le illustrazioni
dell'epoca il bestseller
medievale
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Il bestseller nasce con Gutenberg, e ciò non soltanto perché la
Bibbia realizzata da quel geniale tipografo con il suo rivoluzionario metodo di stampa a caratteri mobili fu
il primo libro a registrare un clamoroso successo di vendite, ma anche perché, da allora, l'apprezzamento di una pubblicazione da parte del pubblico è misurato dalla quantità di copie che se ne vendono. Si badi bene: non dal numero delle copie prodotte, ma da quelle effettivamente vendute.
Prima di Gutenberg, invece, le cose andavano diversamente, in quanto non bastava la
semplice speranza che a qualcuno pungesse vaghezza di leggere un testo, per mettere in moto il lungo e dispendioso lavoro degli
amanuensi. In altre parole, mentre per ogni copia a stampa di un libro c'è un lettore potenziale, ma non necessariamente un lettore «reale», per ogni codice manoscritto di un testo c'è sempre un lettore in carne ed ossa: il suo committente. Il quale, di norma, è solo il primo di una foltissima schiera di altri fruitori. Da questa circostanza scaturisce un corollario difficilmente confutabile: nell'era pregutenberghiana il successo di un libro è misurato, in modo quasi matematico, dal numero di copie che ne sono state prodotte.
Della
Nuova Cronica, che i fiorentino Giovanni Villani compose nell'arco di un'intera vita, per interromperne bruscamente la stesura nel 1348 quando fu ghermito dalla peste, sono state rinvenute finora ben 111 copie manoscritte. S tratta dunque di uno dei massimi successi della cronachistica europea, tanto da figurare in quella hit parade dei testi tardo-antichi e medievali, che vede ai primi posti i codici manoscritti di autori universalmente: diffusi, come Valerio Massimo, Flavio Giuseppe o il Venerabile Beda, ma che assegna comunque il decimo gradino a Villani, sebbene la sua opera fosse rivolta ad un pubblico
eminentemente locale (ma è ben vero che allora Firenze era, sul piano culturale, la città più vivace dell'intera cristianità).
Villani esercitò la mercatura ma fu anche molto presente sulla scena politica cittadina spesso ricoprendo ruoli pubblici di rilievo.
Come lui stesse ci fa sapere, concepì l'idea di scrivere la
Nuova Cronica durante il suo pellegrinaggio a Roma nell'anno giubilare 1300. La constatazione del drammatico contrasto tra la malinconica decadenza dell'Urbe e il sue glorioso passato, di cui erano testimonianza le eroiche gesta rievocate dagli antichi scrittori e la grandiosità delle rovine spinse Villani a redigere une cronaca che, facendo perno su Firenze, da una parte ne testimoniasse la prepotente ascese economica e politica, ma dall'altra mettesse in guardia i Fiorentini dal ripetere quegli errori che avevano determinato il declino di Roma. Dietro il cronista Villani, insomma, spunta il Villani patriota e politico, la cui fiducia che l'analisi del passato renda capaci di indirizzare il presente e progettare il futuro non è incrinata da una visione unilateralmente provvidenzialistica, perché temperata dal libero arbitrio, ed è corroborata dalla scelta di non scrivere in latino, ma in «piano volgare, acciò che gli laici siccome gli alletterati ne possano trarre frutto e diletto».
Dei 111 codici della
Nuova cronica, solo uno è illustrato. Ma con le sue 253 vignette a disegno acquarellato, cui si aggiungono le pagine
d'apertura dei primi dieci libri, sontuosamente miniate a tempera,
l'apparato illustrativo di questo prezioso codice è talmente ricco da costituire uno dei più straordinari giacimenti di immagini profane di tutto il nostro Medioevo. Stupisce che questa miniera fosse rimasta finora praticamente inesplorata e va pertanto salutato come un vero e proprio evento
editoria - le questo magnifico volume, curato da Chiara Frugoni per la casa editrice Le Lettere, che mette finalmente a disposizione di tutti, «laici e alletterati» (ad un prezzo, tutto sommato, molto contenuto), l'intero apparato illustrativo di questo codice, con le sue incantevoli vignette dai colori teneri e squillanti, ciascuna corredata dai una puntuale scheda esplicativa, compilata dai medesimi specialisti che firmano anche gli utilissimi saggi introduttivi
(Il Villani illustrato. Firenze e l'Italia medievale nelle 253 immagini del ms. Chigiano L VIII. 296 della Biblioteca
Vaticana, pagg. 263, oltre 300 tavole a colori).
Saggi e schede che, senza nulla togliere alla freschezza narrativa delle scenette, ci aiutano a decifrare i messaggi di un linguaggio, che pur nella sua stringata semplificazione basata su un repertorio di
consolidate convenzioni visive (ad es.: uno o due alberi valgono per un'intera foresta, due o tre armati davanti ad una città murata sono un esercito di assedianti), lascia trapelare perfino commenti etico-politici alle vicende illustrate, a patto che se ne conosca il codice capace di tramutare i segni in espliciti significati.
Così come la conoscenza dell'araldica aiuta a capire quali siano le forze in campo in una battaglia (e le vignette sono tutto un garrire di vessilli e di insegne, che
dichiarano in modo inequivocabile l'appartenenza di ciascun personaggio a questo o a quel clan, a questa o a quella «nazione»), così è
necessario sapere – che so? - che chi
stringe un patto con la mano sinistra si ripromette di tradirlo, oppure che il ricorso ad una scure, anziché ad una più nobile spada, qualifica un assassino anche sul piano sociale.
Così come furono tre gli amanuensi che vergarono il codice, gli autori dell'apparato illustrativo furono tre diversi pittori, ma tutti coordinati e guidati dall'esperto miniatore Pacino da Buonaguida. Resta invece nell'ombra chi fu l'advisor, ovvero il consulente iconografico, figura essenziale nel determinare la scelta delle scene da illustrare e la relativa iconografia. Con ogni probabilità è dovuta al suo venir meno la brusca interruzione subita dal lavoro degli illustratori, che infatti si arresta prima che inizi l'Undecimo libro. Forte è la tentazione di identificare
proprio nel Villani questo misterioso supervisore e di imputare al rovinoso fallimento della compagnia Bonaccorsi, che lo travolse nel '45, la causa della rinuncia a proseguire in un progetto così dispendioso. Ma i pro e i contro tale ipotesi si fronteggiano, senza prevalere in modo netto gli uni sugli altri: la strada della ricerca, per fortuna, è ancora lastricata di
ghiotti enigmi da risolvere.
Antonio
Pinelli
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