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di Paolo Sanguin


La sicura genealogia dei da Romano inizia dalla fine dell'XI secolo col nome di Ezelo. Vassallo probabilmente dell'impero, Ezelo contava beni propri ad Onara e a Romano, le sedi originarie della stirpe, e molti altri possessi sparsi nei territori dei comitati di Treviso, Vicenza, Feltre; era presente anche a Bassano ma è solo un secolo dopo che è attestata la giurisdizione dei da Romano sull'intero centro. Sappiamo anche che Ezolo era imparentato con i Camposampiero. Fino all'inizio del XIII secolo, il settore d'espansione dei da Romano rimase compreso fra Brenta e Piave, dalla fascia di alta pianura fino ai monti del Cadore; il patrimonio si era irrobustito nel tempo, grazie ai feudi tenuti da vescovi e da enti ecclesiastici veneti ma anche dal vescovo bavarese di Frisinga (castello di Godego). 

La storia di Ezzelino III comincia nel 1233, quando suo padre Ezzelino II il Monaco divise il patrimonio tra i figli, Ezzelino, appunto, e Alberico. Subito Ezzelino si mise in evidenza, intervenendo nei conflitti che opponevano Padova e Treviso contro il vescovo di Feltre e Belluno. Ma il suo raggio d'azione superava di gran lunga l'area di tradizionale influenza della casata. Appoggiò la signoria su Ferrara di Salinguerra Torelli contro gli Estensi; interferì nelle lotte di parte che agitavano il comune di Verona, prendendo posizione contro la dinastia comitale dei San Bonifacio.

La meta più importante era in realtà Verona. Ma la penetrazione di Ezzelino nella città dell'Adige era contrastata dalla Lega Lombarda; infatti i Comuni dell'alta Italia che si erano alleati contro l'imperatore Federico II subivano l'influenza degli Estensi e dei San Bonifacio avversi al da Romano. Pertanto Ezzelino giunse all'intesa con l'imperatore (1232) e nel 1236 conseguì il controllo di Verona. Poi prese Vicenza e anche Padova (1237), mentre Treviso era in mano al fratello Alberico; nel 1241 acquistò Trento. Davanti alla volontà di dominio assoluto di Ezzelino, signori e aristocrazia urbana tentarono. di resistere, ma il Signore rispose sempre con violenza decisa.

L'affermazione della sua precoce idea politica di dare unità alla Marca tuttavia fu temporanea. Contro di lui infatti si coalizzarono gli sconfitti e gli esuli, e anche Venezia, che temeva la barriera di un forte stato nella pianura; gli fu contraria pure la chiesa romana, che giudicava disubbidienza ed eresia il comportamento spregiudicato di Ezzelino. Papa Innocenzo IV lo scomunicò (1254) bandendo una crociata e incitando i vescovi e le città di Lombardia, Emilia e Marca Trevigiana. Non per questo il da Romano modificò la sua linea; anzi, dopo la morte di Federico II (1250) egli accentuò il carattere personale del suo potere e mise in opera un progetto di espansione anche in Lombardia, giovandosi dell'alleanza del signore di Cremona, Oberto Pelavicino, Buoso di Doara e riconciliandosi con il fratello che ancora governava Treviso. Quindi assalì Padova, che resistete, ma entrò a Brescia che macchiò di sangue e ne divenne padrone assoluto.

A questo punto, il Pelavicino e Buoso di Doara lo abbandonarono unendosi alla lega dei crociati, l’undici giugno del 1259. Ma Ezzelino assale il castello di Priola, vicino Vicenza, e fa mutilare quanti vi s’erano rifugiati. Quindi marcia verso Milano! I milanesi, condotti da Martino della Torre, cercano d’aggirarlo, ma questi attraversa l’Oglio e l’Adda ed attacca Monza. Respinto, attacca il castello di Trezzo, s’impossessa di Cassano. Ferito ad un piede, fugge verso Bergamo, dove finalmente viene vinto e catturato.

Uno storico così descrive la sua fine: «Condotto nella tenda di Buoso di Doara, cupo, minaccioso, ristretto in sé stesso, metteva spavento nei circostanti coll’immobilità dello sguardo inclinato, uno sguardo feroce, in un più feroce silenzio. Vedendolo in tanta miseria, gli mandarono medici perché ne prendessero cura. Ma egli strappa furiosamente le bende delle piaghe e dopo undici giorni di orribile agonia, trasportato a Soncino, ivi rende lo spirito ed ivi le esecrate ceneri hanno in terra riposo». Era il 27 settembre del 1259. Così volle morire colla stessa feroce ostinazione con cui aveva in un sol giorno fatto trucidare diecimila padovani.

Ezzelino III da Romano

La notizia della morte di Ezzelino III da Romano si diffonde rapidamente per la Marca Trevigiana sul finire del settembre 1259, e raggiunge in breve anche il fratello Alberico. Questi, pur avverso a Ezzelino, preso atto dell'immediato capovolgimento delta situazione politica, decide di rinchiudersi, con la moglie Margarita, i sei figli maschi e le due femmine, nella fortezza dei da Romano, in quel di San Zenone degli Ezzelini, dove, armato di tutto punto, attende l'evolversi degli eventi. 

Ma nulla accade per qualche mese. Cosicché, nell'inverno del 1260, Alberico riprende le sue scorrerie nelle pianure circostanti, irritando i vari potentati, che non esitano a replicare, assediando il castello. Una situazione senza sbocchi che, il 24 agosto, induce alcuni mercenari del da Romano ad arrendersi agli assedianti, capeggiati dal. marchese d'Este. Gli eventi precipitano e, due giorni dopo, l'intera famiglia, net frattempo rifugiatasi nel torrione che sovrastava il maniero sperando di poter resistere ancora, viene arrestata. Ricevuti i conforti religiosi, i figli maschi sono dapprima decapitati e poi martoriati; le tre donne vengono bruciate vive e Alberico, legato a un. cavallo, trascinato attorno al castello fino a essere «talmente infranto che più non si discernea». Così fu stroncata la dinastia dei da Romano perché Ezzelino, sebbene si fosse sposato quattro volte, non aveva lasciato figli. 

Dice di lui Salimbene: «Hic plus quam diabolus timebatur…. Nec Nero in crudelitatibus simils ei, nec Domizianus, nec Decius, nec Dioclezianus, qui, fuerunt maximis in tyrannis». 

La madre di Ezzelino, che si reputava una maga, aveva predetto al figlio che la sua fortuna sarebbe venuta meno in «Axanum». Cosicché Ezzelino si tenne sempre lontano da Bassano Veneto. Ma quando nel settembre del 1259 si trovò a mal partito, saputo che si trovava vicino Cassano, esclamò: «Heu Caxan Axan Baxan! Hoc lethum michi, Fatale dixit mater; hic finem fore!».

Le cronache descrivono Ezzelino da Romano come piccolo, sprezzante, lo sguardo terribile, mentre la storia lo ha bollato col titolo di "feroce"; le leggende popolari lo raffigurano come l’Anticristo, anche se, appunto, leggendarie sono molte delle nefandezze attribuitegli.

Nel 1237 lo troviamo nella battaglia di Cortenuova, a fianco dell’imperatore. Terrificante all’aspetto, impetuoso in battaglia, crudele e violento coi nemici, la sua presenza sul campo contribuì non poco a moltiplicare il coraggio e l’entusiasmo dei soldati.

Non bisogna comunque dimenticare che egli era un uomo del suo tempo. Un tempo in cui la violenza era arma politica, diplomatica e giudiziaria e che se si fosse reso colpevole solo della metà delle scelleratezze e dei crimini che gli vennero attribuiti, non sarebbe stato sufficiente a riscattarlo neanche il castigo inflittogli da Dante nel XII Canto dell'Inferno: l'immersione nel sangue bollente del Flegetonte.

   

  

©2004 Paolo Sanguin. Testo già apparso nel sito Medioevo.interfree.it, qui ripubblicato con il consenso dell'autore.

    


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