Maestro di Isacco, Assisi.
Tra gli affreschi che decorano le pareti della Basilica Superiore di San Francesco in Assisi due dipinti destano ancora qualche incertezza di paternità: il caso del Maestro di Isacco. Nella chiesa di San Francesco ad Assisi sono visibili vari cicli di
affreschi che ne decorano completamente le pareti. Gli autori di
questa grandiosa opera pittorica furono diversi: maestranze
d’Oltralpe, Torriti, Cimabue e il giovane Giotto, che portò a
compimento l’opera più prestigiosa con le “Storie di San
Francesco”. I due riquadri raffiguranti le “Storie di Isacco”
tratte dall’Antico Testamento sono dipinte sulla parete destra della
terza campata con la “Benedizione di Giacobbe” e “Isacco
respinge Esaù”. I due affreschi sono quasi unanimemente attribuiti
al celebre pittore fiorentino, anche se con riserva da alcuni critici
d’arte. Le “Storie di Isacco” ci mostrano qualcosa che fino a quel momento
nella storia della pittura italiana non si era mai visto; per dirlo
con le parole di Angiola Maria Romanini “con le Storie di Isacco la
pittura occidentale recupera lo spazio abitabile, perduto con la fine
dell’arte classica”. Infatti ciò che distingue le due scene
dipinte dall’anonimo artista è il modo che ha di rendere lo spazio
di un interno in cui la tridimensionalità dell’impianto
architettonico sostituisce la bidimensionalità, caratteristica della
pittura della fine del Duecento. Il problema che ha fatto scrivere fiumi di parole alla storia della
critica d’arte riguarda la paternità dei due dipinti. Chi è
l’autore delle “Storie di Isacco”? Arnolfo di Cambio, scultore
particolarmente attivo nella seconda metà del secolo, Giotto,
l’autore delle innovative “Storie di San Francesco”, o qualche
altro maestro che non rimase indifferente ai modi di scolpire di
Arnolfo? Nella “Benedizione di Giacobbe” Isacco, cieco, è sdraiato su un
letto, sorretto da una serva che si scorge dietro la sua figura,
mentre di fronte a lui sta Giacobbe che, aiutato dalla madre, sta per
ingannare il padre e ricevere da lui la benedizione di primogenitura.
In fondo alla stanza, Rebecca, solleva la tenda che circonda la stanza
e osserva la scena. Isacco e Giacobbe hanno il capo sovrastato da
un’aureola che li identifica immediatamente all’occhio
dell’osservatore come personaggi divini. Nel racconto biblico manca
la figura della serva che risulta essere un’invenzione
dell’artista. Il modo di raffigurare Rebecca segue il modello romano
di S. Maria Maggiore, in cui una donna ha le stesse fattezze di quella
che compare nell’episodio assisiate, nonché lo stesso sguardo. Uno
sguardo profetico, di chi sa come andranno a finire le cose.
All’artista non devono essere state sconosciute le sculture prodotte
dai maestri d’Oltralpe, infatti il volto della Rebecca può essere
accostato al volto della “Santa Elisabetta” della Cattedrale di
Bamberga e alla “Santa Elisabetta” scolpita in una delle statue
della Cattedrale di Reims. Rebecca ricorda anche i modelli delle
matrone romane, quindi per questo motivo, e non solo, si suppone che
l’autore dei due affreschi abbia soggiornato a Roma. L’antichità
classica viene qui riproposta e interpretata in modo del tutto nuovo,
viene riletta con gli occhi di un contemporaneo. Nel riquadro con “Isacco respinge Esaù” i personaggi si muovono
come in un fotogramma: al centro della scena c’è la serva con la
brocca in mano che assiste attonita alla scena in cui Isacco respinge
il figlio Esaù, la donna, con gli occhi assorti, è vista come un
testimone neutro dell’accaduto. Nell’angolo destro Giacobbe scappa
seguito dalla madre Rebecca. Mai prima di Assisi si era vista
rappresentata di spalle una figura femminile. A testimonianza del fatto che il Maestro di Isacco si sia recato a Roma
e abbia studiato le opere dell’antichità c’è la balaustra che si
vede in primo piano: questo tipo di rappresentazioni sono tipiche del
mondo classico. Angiola Maria Romanini ha sempre sostenuto la teoria che il Maestro di
Isacco fosse da identificare con la figura di Arnolfo di Cambio, perché,
secondo lei, è impossibile che Giotto sia riuscito ad ottenere un così
grande risultato artistico rappresentando il vero “spazio
abitabile” all’inizio della sua carriera. Ma non si basa solo su
questo. Alcune figure delle “Storie di Isacco” sembrano blocchi
solidi dipinti sull’intonaco e il modo di trattare i panneggi è
molto simile a quello di alcune sculture di Arnolfo. Inoltre sosteneva
che il ciclo delle “Storie di San Francesco” non rispecchiasse da
subito i magnifici risultati delle composizioni delle “Storie di
Isacco” e che Giotto avrebbe appreso solo in un secondo momento le
idee compositive del Maestro di Isacco. La mancanza di fonti documentarie che attestino la produzione pittorica
di Arnolfo è l’unico ostacolo che non permette alla Romanini di
attribuire con sicurezza le storie del Maestro di Isacco ad Arnolfo. Così come
Testi da consultare:
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