E' una storia semplice quella dei rapporti
tra Germani e Roma che ci viene insegnata a scuola. Forse troppo
semplice.
Nel
IV secolo la maggior parte dei Germani vivevano ad est del Reno e a
nord del Danubio: a est, appena sopra il Mar Nero si erano stanziati
gli Ostrogoti e i Visigoti, mentre ad est, nella zona renana, il
territorio era diviso tra Vandali, Longobardi, Alemanni, Burgundi e
Franchi. Per secoli tutte queste popolazioni semi-nomadiche avevano
esercitato una forte pressione sulle frontiere imperiali: già nel 105
a.C. i "guerrieri dalle bionde chiome" avevano sbaragliato l'esercito di
Roma, per poi essere vinti da Mario quattro anni dopo. Giulio Cesare
aveva dovuto combattere contro le loro mire sulla Gallia e, dall'inizio
del periodo imperiale e lungo l'arco di tutto l'alto impero, da Augusto
a Marco Aurelio, i Germani erano stati il grande problema delle legioni,
che avevano subito, in alcuni momenti, anche pesantissime sconfitte (ad
esempio, nella battaglia della Foresta di Teutoburg del 9 d.C.)
Dal 300 in poi, comunque, la situazione
appariva molto meno conflittuale ed anzi, ad alcune tribù venne permesso
di insediarsi nelle terre vuote all'interno del limes: per molti versi,
in questo momento storico una assimilazione dei Germani all'interno
dell'Impero sarebbe stata certamente possibile (1).
Ma
qualcosa
di imprevedibile accadde.
In Asia, dalla metà del IV secolo, una tribu
mongolica nomadica, gli Unni, aveva cominciato una lunga migrazione
verso ovest e, attraversato il Volga, avevano conquistato il territorio
ostrogoto. Temendo che gli Unni avrebbero occupato anche la loro area
asservendoli, i Visigoti avevano implorato Roma di essere accolti
all'interno del limes e gli ufficiali romani si erano mostrati
sostanzialmente d'accordo, promettendo terre per l'insediamento se i
"barbari" si fossero presentati disarmati. Ma l'accordo non funzionò da
entrambe le parti : numerose
bande
visigote rifiutarono di consegnare le armi e le terre assegnate da Roma
si dimostrarono ben presto insufficienti e improduttive. Il risultato fu
che i Visigoti iniziarono ben presto a saccheggiare gli insediamenti
romani. Quando l'imperatore Valente tentò di ricacciarli, guidando un
grande esercito contro di loro, con grande sorpresa di tutto l'Impero e,
molto probabilmente, anche dei Germani, le forze imperiali vennero
letteralmente annientate nella battaglia di Adrianopoli del 378: da quel
momento, praticamente Roma non ebbe più difese (2).
Marciando verso sud-est agli ordini di Alarico, i Visigoti raggiunsero
Roma nel 410 e la devastarono, saccheggiandola per giorni interi.
Vedendo l'impotenza imperiale nei confronti dei Visigoti, altre tribù,
segnatamente i Franchi, i Vandali e i Burgundi, si mossero ad occupare
vaste aree imperiali e, con la breve parentesi della coalizione
romano-germanica che vinse Attila a Chalons nel 451, la sorte di
Roma
fu segnata. Nel frattempo, il potere degli imperatori era arrivato ad
un punto così basso che, in realtà, essi risultavano essere nè più ne
meno che pupazzi nelle mani delle legioni e, di fatto, gran parte delle
legioni erano formate da Germani (3).
Così fu fin troppo semplice per Odoacre, un comandante dell'esercito
imperiale, deporre l'ultimo imperatore nel 476 e diventare il signore di
Roma.
Ma la domanda che ci dobbiamo porre è se
possiamo davvero parlare, come proprio di certa tradizione
storiografica, di una vera e propria "caduta di Roma" nel 476. In
realtà, in senso stretto, non vi fu nessuna "caduta" vera e propria (4).
Faremmo piuttosto meglio a parlare della fase conclusiva di un lento e
graduale processo di decadenza, segnato da imperatori sempre più deboli,
burocrati sempre più corrotti e indipendenti e un esercito che di
romano aveva ormai solo le insegne (5).
O forse, è l'idea stessa che nel 476 si potesse ancora parlare di un
Impero Romano ad essere sbagliata. Da 330 Costantino aveva spostato la
sua capitale a Bisanzio e dalla fine del IV secolo l'Imperium risultava
permanentemente diviso in due. Sebbene la concezione ufficiale fosse
quella di "due parti che formano una unità", ciò era vero solo
teoricamente: in realtà, nel 476 l'Impero d'Occidente non esisteva che
sulla carta, con la Britannia invasa dagli Anglo-Sassoni, la Spagna in
mano ai Visigoti, il Nord Africa controllato dai Vandali e la Gallia
settentrionale conquistata dai Franchi (6).
Nel frattempo, gli Ostrogoti , liberatisi dagli Unni, si erano insediati
a sud e a ovest del Danubio e, nel 471, avevano eletto Teodorico loro
re. Questi stava muovendo verso l'Impero d'Oriente e l'imperatore non
esitò un istante a suggerirgli, sempre a riprova di quanto la presunta
unità dei due rami dell'impero (per altro di lingua e cultura
completamente diverse) fosse solo una pia illusione, a suggerirgli di
invadere l'Italia, cosa che Teodorico fece nel 493, stabilendo la sua
capitale a Ravenna.
 A
questo punto, la risposta ad una seconda domanda diventa prioritaria:
possiamo davvero dire che i Germani furono la causa prima del collasso
finale dell'Impero d'Occidente o non dovremmo piuttosto parlare delle
"invasioni barbariche" come di una conseguenza della situazione creatasi
in precedenza?
Gli storici specializzati in storia
tardo-imperiale hanno a lungo lavorato sotto l'ombra di due opere
monumentali:
Declino e Caduta dell'Impero Romano (7)
di Edward Gibbon (1787) e
Storia Socio-Economica
dell'Impero Romano (8)
di M.I. Rostovtzeff (1926). Nonostante l'intellettuale illuminista e lo
storico marxista abbiano approcci molto differenti, privilegiando il
primo spiegazioni morali e culturali del declino imperiale ed
enfatizzando il secondo i fattori economico-sociali, entrambi arrivano a
conclusioni, seppur parziali, che tenderebbero a sottolineare come
l'approccio che vede le invasioni come conseguenza sia certamente da
privilegiare. Una sorta di "summa" delle due visioni (sotto alcuni
aspetti complementari), viene da Peter Heather (9)
che elenca e, successivamente, spiega dettagliatamente i vari
aspetti che portarono l'Impero d'Occidente ad essere una entità statale
solo di nome ben prima della rottura del limes.
Sostanzialmente, l'Impero
non aveva alcuna possibilità di difendersi da qualunque genere di
invasione perchè non esisteva più, crollato com'era per effetto della
propria elefantiasi e della progressiva e dilagante anarchia. Le
comunicazioni erano pressoché inesistenti, le risorse scarse, l'apparato
militare completamente disgregato, il sistema educativo allo sbando e le
strutture legali e governative, che a lungo avevano formato il collante
del grande corpo imperiale, si erano trasformate in centri autonomi di
comando, spesso in contrasto tra loro. Paradossalmente, persino la
diffusione del cristianesimo, sottraendo le migliori menti di Roma dal
"cursus honorum" classico, per farne vescovi e abati, aveva contribuito
ad indebolire un sistema civile ormai unicamente autoreferenziale (10).
A tutto ciò non era estraneo l'impressionante
decremento demografico (si parla di un -20% tra il 250 e il 400), dovuto
a epidemie di peste bubbonica, che aveva distrutto i mercati, ridotto
notevolmente il volume dei commerci, quasi annullato gli scambi
internazionali e, conseguentemente, indebolito le relazioni tra le varie
parti di un Impero che si era accartocciato su se stesso, riducendosi
vivere su una serie di economie locali di sussistenza legate alle
produzioni agricole rurali (in crescita più o meno ovunque, con le sole
eccezioni di Gallia e Italia) (11).
Conseguentemente, anche l'aspetto e la funzione delle città erano
cambiate sostanzialmente: le élites locali si erano rifugiate nelle
"villae", spesso basate su un sistema economico autarchico, ed erano
state sostituite nel governo urbano da burocrati nominati da Roma (e, in
molti casi, è difficile persino capire quale dei due elementi, tra la
fuga dlle élites in campagna e l'arrivo di prefetti dall'esterno, fosse
causa e quale effetto), il cui compito diveniva pressoché unicamente
quello di raccogliere tasse non più utilizzate a livello locale, con una
ovvia decadenza delle strutture periferiche.
In
questo quadro, l'apparizione dei Goti ai confini interni dell'Impero non
fu vissuta come una tragedia, ma, soprattutto nel primo periodo di
Valente, quasi come una benedizione: Roma, non avendo più, se non solo
nominalmente, un vero e proprio cursus honorum, non aveva più un
esercito, neppure quello formato dai provinciali che aveva difeso
l'impero negli ultimi tre secoli e che, comunque, si era consumato in
guerre civili senza fine. La presenza di "Foederati" nelle aree di
confine significava essenzialmente due cose: la possibilità di difesa
del limes, per lo più, in una prima fase, contrapponendo Germani
occidentali, da molto tempo più stanziali e legati all'agricoltura, a
Germani orientali, ancora fortemente legati ad una economia nomadica, e
la possibilità di avere guerrieri in armi senza dover sborsare gli
enormi salari che, in precedenza, con la crescita esponenziale del
numero delle legioni, avevano risucchiato una altissima percentuale
delle risorse imperiali. Si trattava, però, di una situazione a dir poco
incerta, con i "mercenari" germani sempre in bilico tra fedeltà alla
parola data e fedeltà al proprio gruppo etnico. Tutto precipitò quando
alcuni burocrati locali pensarono di poter approfittare della
situazione, vessando le tribù visigote appena stanziate sul limes
orientale: il risultato fu Adrianopoli, con da una parte i Visigoti e
dall'altro un esercito composto per circa 2/3 da popolazioni germaniche
e comandato da ufficiali germanici. E con Adrianopoli, si ebbe l'inizio
della fine (12).
Ma,
in questo quadro, cosa stava accadendo ai popoli germanici?
Probabilmente, la chiave di volta per comprendere a fondo il
periodo delle invasioni sta in una sorta di "teoria dei vasi
comunicanti": il mondo romano ed il mondo germanico erano a
stretto contatto e mentre il primo stava perdendo le proprie
connotazioni di fondo, il secondo assorbiva dalla cultura di
Roma tratti che lo stavano rendendo sempre più forte e coeso.
Questo dato è soprattutto evidente
dal punto di vista socio-economico. Mentre nell'impero la
complessità sociale si stava via via semplificando in poche
classi definite (che si cristallizzeranno nell'alto medioevo
nella classica triade "bellatores-oratores-laboratores") a
seguito di una chiusura economica sempre più tendente
all'autoarchia e di una ruralizzazione dell'intero impianto
sociale, entrambe dovute ad un sistema comunicativo instabile a
causa del persistente clima di insicurezza sociale, le tribù
germaniche, prima quelle occidentali, poi quelle orientali,
stavano vivendo una fase espansiva non solo demograficamente,
come per lungo tempo si è teso a sottolineare forse con troppa
enfasi, ma anche e soprattutto proprio dal punto di vista di una
sempre crescente complessità
socio-economica.
Come sottolinea Heather, l'incontro-scontro con Roma aveva
portato sempre maggiori cambiamenti nella struttura, di base
piuttosto lineare, delle tribù, a partire dalla diffusione, già
attestata nel I secolo, della monetazione romana in praticamente
tutte le comunità delle zone retico-alpine e della Bassa Renania
prima e sempre più a nord in seguito (13).
Il primo corollario di questa nuova situazione fu lo sviluppo
sempre più consistente di produzioni locali atte al commercio
con l'impero, ma il secondo corollario, ben più importante in
prospettiva storica, fu uno sempre più stretto contatto ta i
vari nuclei abitativi e le varie tribù, che portò, a partire dal
III secolo alla costituzione di alleanze e confederazioni via
via più estese e, di conseguenza, alla formazione di eserciti
sempre più vasti e strutturati. Tra l'altro, la crescita delle
ricchezze personali di alcuni leader portò alla nascita di una
classe dirigente capace di mantenere il controllo su gruppi
estesi, cosa non possibile precedentemente sulla base della
forte connotazione democratica tipicamente germanica (14).
Se
da un lato questo progressivo processo di amalgama sociale e
allineamento militare avrebbo potuto, nelle sue fasi conclusive,
portare allo sviluppo di una unica società bilanciata tra
Romani e Germani occidentali, è significativo che, per una
casualità storica, la pressione unna venisse esercitata in forma
primaria sui Germani orientali, che, avendo iniziato un tale
processo più tardi, si trovavano ancora in una fase transitoria
e incompiuta, tale da permettere un rafforzamento delle
strutture interne ma da non dare luogo ad un senso di indifferenziazione
(o di timore reverenziale) verso Roma (15).
Molto probabilmente, un tale processo
si compì, in termini culturali, solo in seguito, dopo la presa
del potere a Roma (o meglio a Ravenna), con un assorbimento
della cultura dei popoli conquistati che venne, nel corso del
tempo, mescolata a connotazioni tipicamente "barbariche", non in
un meccanismo di sostituzione, ma di lenta mutazione e
omogeneizzazione che diede luogo a quello che oggi possiamo
definire alto-medioevo romano-barbarico (16).
(1) J.B. Bury, The
Invasion of Europe by Barbarians, Lewis Books, Londra e New
York 2000, pp. 146 ss.
(2) S. Fischer-Fabian, I Germani, Garzanti,
Milano 1985, pp. 106 ss.
(3) Ivi, pp. 87-90.
(4) Jordanes, The Origins and Deeds of the Goths,
Dodo, Sydney, 2007,
passim.
(5) E. Lamberth,
The making of Germanic Culture, Ashworth, Londra 2006, pp. 99
ss.
(6) J.B. Bury,
cit., pp. 182 .
(7) E. Gibbon, The
Decline and Fall of the Roman Empire, Phoenix Press, New York
2005.
(8) M.I. Rostovtzeff,
The Social and Economic History of the Roman Empire,
Biblo-Moser
, Moscow 1926.
(9) P. Heather, The
Goths, Wiley-Blackwell , Londra 1998, passim.
(10) Ivi, pp.
194 ss.
(11) S. Fischer-Fabian cit., passim.
(12) L. Clayton, A
Military History of the Roman Empire, Penguin, Londra 1997,
p. 233.
(13) P. Heather, cit.,
pp. 96 ss.
(14) I.M. Ferris, Enemies of Rome: Barbarians
through Roman Eyes, Gloucestershire, Paths 2000, pp. 118 ss.
(15) H. Wolfram, History of the Goths,
University of California Press, Berkeley 1988, p. 2 11.
(16) O. Hermann, The Germanic Culture,
Avalon, New York 1993, pp. 98 ss.
|