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A volte, a scuola, studiando la storia romana, capita di incontrare nomi di popoli ostili all'Impero, magari citati solo un paio di volte, senza alcuna specificazione. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda il tumultuoso periodo a cavallo tra fine dell'"Alto Impero" e inizio del "Basso Impero", in cui gli avvenimenti si susseguono e solo poche righe vengono dedicate a vicende che, in realtà, occuparono anni interi della vita imperiale. Un esempio in questo senso è dato dalle cosiddette "Guerre Marcomanniche", che impegnarono Marco Aurelio per ben più di dieci anni contro una serie di tribù spesso solo menzionate senza alcuna specificazione ma che meriterebbero approfondimenti ben maggiori.
Innanzitutto, concentriamoci sugli eventi.
Le "Guerre Marcomanniche" (che i Romani definirono "Bellum
Germanicum" [1]
o "Expeditio Germanica") furono una serie di guerre che durarono
più o meno una dozzina di anni (circa dal 166 al 180) e che
impegnarono l'Impero contro Marcomanni, Quadi e altre
popolazioni germaniche residenti su entrambi i lati del Danubio
settentrionale e centrale. Queste guerre, come accennato,
occuparono la maggior parte del regno di Marco Aurelio e proprio
durante esse egli iniziò a scrivere la sue Meditationes
che, infatti, recano, nel primo libro, la notula "fra
i Quadi, presso il fiume Granua" [2]
(il Granua corrisponde all'attuale Hron).
Negli
anni immediatamente successivi al governo di Antonino Pio,
l'Impero cominciò ad essere attaccato da ogni lato. Un guerra
contro i Parti, durata dal 161 al 166, era appena stata vinta,
ma aveva portato con sè una terribile epidemia (la cosiddetta
"Epidemia Antonina") che le truppe, al loro ritorno, avevano
diffuso e che, risultando in circa 20 milioni di morti, indebolì
pesantemente Roma sia dal punto di vista economico che militare.
In quello stesso periodo, nell'Europa centrale, stavano
cominciando i primi movimenti delle "Grandi Migrazioni", con i
Goti che, spostandosi verso occidente, facevano pressione sulle
tribù germaniche stanziate in quelle aree. Tali tribù, a loro
volta, iniziarono ad attaccare le zone settentrionali del limes
imperiale, in particolare verso la Gallia e lungo il Danubio. Nel 162, una prima invasione delle piccole tribù dei Chatti e dei Chauci venne facilmente respinta dalle truppe limitanee ma, verso la fine del 166, un esercito di 6000 Longobardi, Ubii e Lacringi invase la Pannonia. Anche questa invasione venne respinta con relativa facilità dalle forze stanziali (i vessilliferi dellla I Legione "Adiutrix" e la "Ala I Ulpia Contrariorum") ma diede inizio ad una serie di eventi che portarono alla guerra vera e propria. Il governatore militare della Pannonia, Marco Iallio Basso, infatti, diede il via ad una serie di negoziati con 11 tribù [3], in cui fece da mediatore Ballomar, re dei Marcomanni e cliente di Roma: una tregua venne concordata e le tribù si allontanarono dal limes, ma non si riuscì a raggiungere un accordo definitivo. Nello stesso anno, i Vandali e i Sarmati Iazigi invasero la Dacia, uccidendo il suo governatore Calpurnio Proculo e, per contrastarli, l'imperatore decise di spostare la "V Legione Macedonica", veterana delle "Guerre Partiche", verso la Mesia. Con l'epidemia che stava devastando l'Impero, Marco Aurelio non poteva fare molto di più e una spedizione punitiva guidata da lui stesso dovette essere posposta fino al 168. Nella primavera di quell'anno, comunque, Marco Aurelio e Lucio Vero lasciarono Roma e stabilirono il loro quartier generale ad Aquileia, da dove riorganizzarono la difesa dell'Italia e dell'Illirico, costituendo, tra l'altro, due nuove legioni (la II e la III Legione Italica) per poi attraversare le Alpi e raggiungere la Pannonia. Nel frattempo, i Marcomanni e i Vandali Victuari avevano attraversato il Danubio alla ricerca di territori fertili ma, secondo la Historia Augusta, il solo avvicinarsi dell'esercito imperiale a Carnuntum fu sufficiente a persuaderli a ritirarsi e a fornire assicurazioni di non belligeranza. A questo punto, i due imperatori tornarono ad Aquileia per acquartierarsi per l'inverno ma, durante il viaggio, nel gennaio 169, Lucio Vero morì [4] e Marco Aurelio dovette far ritorno a Roma per occuparsi dei funerali del fratello. Nell'autunno dello stesso anno, in ogni caso, l'imperatore fu costretto a lasciare nuovamente la capitale imperiale con il cognato Claudio Pompeiano (suo braccio destro lungo tutta la campagna): i Romani avevano raccolto tutte le loro forze e intendevano soggiogare le tribù indipendenti (in particolare quelle sarmatiche) che vivevano tra il Danubio e la Dacia. Mentre, però, le legioni erano impegnate in questa lunga e poco fruttuosa campagna, alcune tribù colsero l'occasione per attraversare il limes e razziare i territori romani: a est i Costoboci guadarono il Danubio, misero a ferro e fuoco la Tracia e discesero lungo i Balcani fino a raggiungere Eleusi (dove, tra l'altro, distrussero il tempio dei famosi Misteri). Intanto, Didio Iuliano, comandante della frontiera renana, ricacciava una nuova invasione dei Chatti e degli Hermunduri, mentre i Chauchi razziavano le coste della Belgica. L'invasione più importante e pericolosa fu, comunque, quella dei Marcomanni a ovest. Il loro capo, Ballomar, aveva formato una grande coalizione di popoli germanici (la "Confederatio Suebica", che veniva creata unendo più tribù alleate in caso di guerra) e aveva attraversato il Danubio, ottenendo una schacciante vittoria contro 20.000 Romani a Carnuntum, per poi guidare gran parte delle sue truppe (mentre coloro che rimanevano razziavano il Norico) verso sud, dove rasero al suolo Opitergium (odierna Oderzo) e misero Aquileia sotto assedio: era la prima volta che forze ostili entravano in Italia dal 101 a.C., quando Gaio Mario aveva sconfitto i Cimbri e i Teutoni e, sebbene l'esercito del prefetto del pretorio Furio Vittorino tentasse di opporre una tenace resistenza, le legoni furono nuovamente vinte e il loro generale ucciso.
Questo disastro forzò Marco Aurelio e rivalutare le sue
priorità: truppe dalle varie frontiere vennero spostate
contro Ballomar sotto il comando di Claudio Pompeiano, un
nuovo comando militare, la Pretura dell'Italia e delle Alpi,
venne creato a difesa delle stade che conducevano in Italia
e tutta la flotta danubiana venne rafforzata. In questo
modo, si riuscì a liberare Aquileia e, per la fine del 171,
gli invasori vennero cacciati dal territorio italico. A
questo punto, le armi lasciarono il passo alla diplomazia e
Roma iniziò a negoziare con alcune tribù in preparazione
di una controffensiva contro gli Suebi: un trattato di pace
venne firmato con i Quadi e gli Iazigi e i Vandali Hasdingi
e i Lacringi divennero alleati dell'Impero. Nel 172,
finalmente, i Romani attraversarono il Danubio e penetrarono
nel territorio marcomannico. In realtà, sappiamo molto poco
degli avvenimenti che seguirono,
ma certamente la campagna fu vittoriosa e portò al
soggiogamento dei Marcomanni e dei loro alleati (in
particolare di Naristi e Cotini), come risulta chiaramente
dall'adozione da parte dell'imperatore dell'appellativo
"Germanicus" e dal conio di sesterzi con l'iscrizione
"Germania Capta".
Nel
173, le armate imperiali si volsero contro i Quadi, che
avevano rotto il trattato e fornito aiuto ai Marcomanni.
L'episodio bellico più famoso di questa campagna fu il
cosiddetto "miracolo della pioggia", poi raffigurato
anche nella Colonna Aureliana: secondo Cassio Dione
Cocceiano, la XII Legione Fulminata stava per essere
sbaragliata da una compaggine di Quadi nettamente
preponderante e stava per arrendersi quando un
improvviso scroscio di pioggia rinfrescò i Romani e una
serie di fulmini sbaraglio i Quadi [5].
Alcuni, come Cassio Dione, attribuirono il "miracolo"
all'intervento di alcuni maghi egizi, mentre Tertuliano
alle prghiere dei soldati cristiani. Comunque fossero
andate le cose, i Quadi furono vinti e l'anno seguente i
Romani poterono marciare nuovamente contro gli Iazigi,
ma, pochi mesi dopo, i Quadi deposero il re fantoccio
pro-romano Furtius e installarono, al suo posto, il
bellicoso Ariogaesus, cosicchè Marco Aurelio fu
costretto a ritornare e a esiliare questo nuovo capo ad
Alessandria [6].
Secondo il normale costume romano, i Quadi vinti furono
costretti a fornire ostaggi e contingenti ausiliari per
l'esercito imperiale, mentre guarnigioni residenti
vennero create in tutti i loro territori. Così, per la
fine del 174, la vittoria su Marcomanni e Quadi era
completa e Marco Aurelio potè finalmente occuparsi
delle
popolazioni sarmatiche, che furono vinte in poche
battaglie, concedendo all'imperatore la soddisfazione di
fregiarsi anche del titolo di "Sarmatico" e dandogli la
possibilità di formare due nuove provincie imperiali: la
"Marcomannia" e la "Sarmatia" che, però, durarono ben
poco a causa sella ribellione di Avidio Cassio a oriente
[7]
Ebbe così inizio la cosiddetta "Seconda Guerra Marcomannica". Marco Aurelio marciò verso est con le sue legioni, accompagnate da distaccamenti di ausiliari marcomanni, quadi e naristi, guidate dal procuratore Marco Valerio Massimiano e, dopo aver facilmente sedato la rivolra di Cassio, potè finalmente far ritorno a Roma per la prima volta dopo quasi 8 anni: il 23 dicembre 176, con il figlio Commodo, celebrò un trionfo congiunto per le vittorie germaniche e sarmatiche e, a ricordo, fece erigere la Colonna Aureliana, su imitazione della Colonna Traiana. Il suo riposo, però, si doveva dimostrare di breve durata. Nel 177 i Quadi si ribellarono nuovamente, presto seguiti dai loro vicini e l'imperatore dovette, ancora una volta, muovere verso nord. Arrivato a Carnuntum nell'agosto 178, si dispose immediatamente a sedare la ribellione, attuando una tattica assolutamente identica a quella che già una volta gli aveva assicurato il successo: prima attaccò e sbaragliò i Marcomanni e poi, nel 179, mosse contro i Quadi, contro i quali le truppe guidate da Marco Valerio prevalsero nella decisiva battaglia di Laugaricio, nei pressi dell'odierna Ptuj in Slovenia (per inciso, tale battaglia è quella della scena d'apertura del famoso film "Il Gladiatore" di Ridley Scott). I Quadi vennero ricacciati a ovest nella cosiddetta "Magna Germania", laddove, in seguito, il prefetto Terutenio Paterno ottenne una nuova vittoria contro di essi presso l'odierna Trenčín, in Slovacchia. Ma, il 17 marzo 180, l'imperatore morì a Vindobona (Vienna) e il suo successore Commodo, avendo ben poco interesse nella prosecuzione della guerra, a dispetto dei consigli dei suoi generali, negoziò la pace con Marcomanni e Quadi e tornò a Roma per celebrare il proprio trionfo (22 ottobre 180) e fregiarsi, due anni dopo, del titolo di "Germanicus Maximus". Si sa molto poco delle operazioni che seguirono, ma, sicuramente, già questa serie di scontri aveva mostrato la debolezza dell'Impero contro gli attacchi germanici: è pur vero che metà delle truppe dell'aquila furono stanziate sul limes settentrionale, ma questo non bastò a bloccare il flusso di penetrazione iniziato durante le Guerre Marcomanniche, che culminerà nelle grandi invasioni del IV secolo [8]. Ma chi erano i protagonisti di questa "avanguardia germanica" che aveva osato sfidare il più grande impero del mondo conosciuto?
Abbiamo visto
che le tribù germaniche che penetrarono
oltre il limes romano erano unite in una
sorta di
confederazione,
a formare un gruppo noto come Suebi (o
Svevi). Il signifcato di tale nome,
derivante dal proto-germanico "*swēbaz", era
semplicemente "uomini liberi" e l'insieme
delle tribù che formavano l'unione erano già
note ai Romani dai tempi della campagna di
Cesare contro Ariovisto (circa 58 a.C.). Il
loro nome appare anche nella mitologia
norrena (come "Swabaharjaz" - "Guerriero
Svevo") per indicare i Germani così come
conosciuti dagli Scandinavi [9].
Tacito ci dice che l'insieme degli Suebi
comprendeva i Quadi, i Senoni e i
Marcomanni, ma anche, e qui si sbaglia,
tutte le tribù settentrionali e orientali
non sottomesse a Roma e accomunate dalla
particolare usanza di pettinarsi i capelli
con i cosiddetto "nodo svevo" [10].
Inizialmente, la spina dorsale della unione
era data dai Senoni, ma, poco a poco,
Marcomanni, Quadi e, forse, Alamanni e,
molto più difficilmente, anche i Longobardi,
andarono a formare il cuore dell'esercito
svevo. Dopo le "Guerre Marcomanniche", essi si stanziarono in numerosi nuclei che coprivano l'intera zona centro-europea e, in particolare, l'area nord e ovest- renana, dove vissero per quasi 200 anni, ma, quasi certamente a seguito della pressione unna, il 31 dicembre 406, in unione con Vandali e Alani, gli Svevi attraversarono il limes romano a Mainz e invasero la Gallia. Mentre Vandali e Alani si scontravano con i Franchi, alleati dei Romani, per il predominio in Gallia, gli Svevi, guidati da re Hermeric, continuarono a scendere verso sud, fino ad attraversare i Pirenei e a penetrare nella Penisola Iberica, fuori dal controllo di Roma dopo la ribellione di Geronzio e Massimo nel 409 [11].
Dopo aver
attraversato i Paesi Baschi, si stabilirono
nella ex provincia romana della Galizia,
nella Hispania nord-occidentale (più o meno
corrispondente all'odierna Galizia e al
Portogallo settentrionale), giurarono
fedeltà all'imperatore Onorio e vennero
accettati (in realtà un po' gioco-forza)
come "foederati", con un governo
assolutamente
autonomo: così la "Swabia", a partire dal
410, divenne il primo regno indipendente
nato dalle ceneri dell'Impero a coniare una
moneta propria e, forse per le sue
dimensioni ridotte e la sua rilevanza
politica molto relativa, potè durare
indisturbata fino al 585, quando venne
inglobato dall'ondata dei Visigoti. Gli
invasori germanici si stanziarono
soprattutto nelle aree di Braga (Bracara
Augusta), che divenne la loro capitale, di
Porto (Portus Cale), di Lugo (Lucus Augusta)
e di Astorga (Asturica Augusta), mentre una
piccola tribù, i Buri, si stanziarono
nell'area tra i fiumi Cávado e Homem, ancora
oggi conosciuta come "Terras de Bouro".
Ma
come vivevano gli Suebi?
Tra
gli Suebi, la popolazione probabilmente
più influente e numerosa era quella dei
Marcomanni, i primi Germani menzionati
da Cesare come facenti parte
dell'esercito di Ariovisto. Il loro
luogo base d'insediamento era
posizionato tra il Reno, il Meno ed il
Danubio superiore, nella zona
precedentemente occupata dagli Elvezi, e
ivi risiedettero fino alla fine del I
secolo a.C.. Probabilmente il loro nome
derivava dall'antico germanico
"Mark-Man" ("Uomo di Confine"), ad
indicare la loro posizione
particolarmente spostata verso il limes
rispetto alle altre tribù sveve.
Dopo essere stati sconfitti da Druso nel 9 a.C., si spostarono verso est, nell'odierna Boemia e Moravia, da cui scacciarono i Galli Boi. E' qui che, sotto il re Maroboduo, assunsero una posizione di particolare rilievo all'interno degli Suebi e riuscirono a creare un regno egemonico che si estendeva fino all'Ungheria, ma che, dopo essere scampato al pericolo delle legioni di Roma (Tiberio si fermo a pochi chilometri dai loro avamposti), venne sgretolato dall'invasione dei Cherusci di Arminio verso il 18. A seguito di tale sconfitta, il re fu cacciato (chiese asilo a Tiberio, che glielo accordò, mandandolo a vivere a Ravenna) e sostituito da Catualda che, però, nel 20, venne sconfitto dagli Ermunduri e finì anch'egli in esilio nella Gallia Narbonense, lasciando il trono al filo-romano Vannio. Questi riuscì ad unificare il suo popolo con i Quadi e regnò fino al 50 a.C., quando venne cacciato (su istigazione degli Ermunduri e dei Lugi e con il loro aiuto) dai suoi nipoti Vangio e Sidone. Questi si spartirono il regno, dividendo nuovamente Quadi e Marcomanni, ma mantennero assoluta lealtà verso Roma, mentre a Vannio fu concesso dall'imperatore Claudio di spostare la sua corte in Pannonia. Solo sotto Domiziano cominciarono i problemi con l'Impero: non avendo fornito, in qualità di "clientes" il necessario aiuto alle legioni impegnate nella "Guerra Dacica", Marcomanni, Quadi e Iazigi furono attaccati da Roma, La guerra si protrasse dall'89 al 97, fino a che Traiano rinegoziò una pace incerta, che fu rotta da scontri sporadici nel periodo di Adriano, tra 136 e 136. Erano i prodromi delle "Guerre Marcomanniche" che, come visto, impegnarono a lungo Roma, segnando, in pratica, la fine della Pax Romana e dando inizio alle invasioni barbariche. Dall'inizio delle guerre in poi, la storia dei Marcomanni confluirà in quella dell'intera "Federazione Suebica" [14].
La
seconda grande tribù "sveva", quasi
sempre citata in unione con i
Marcomanni, è quella dei Quadi. In
realtà, di loro non si conosce
molto: compaiono nella storia romana
solo quando vengono sconfitti da
Druso e si stanziano, ovviamente con
i Marcomanni, presso il fiume
Morava. Nel I secolo d.C., durante
l'imperium di Tiberio, divennero "clientes"
di Roma e, probabilmente, fu loro
assegnata una zona più orientale,
corrispondente
all'odierna Slovacchia, dove
risultano residenti ai tempi di
Tacito [15].
Sempre da Tacito sappiamo che i loro contingenti furono molto importanti per Vespasiano nella conquista del trono imperiale contro Vitellio e che, come compenso, essi ricevettero dall'imperatore non solo il loro riconoscimento e appoggio politico-militare da parte di Roma, ma anche un aiuto in denaro ed armi. Da questo momento in poi, le loro vicende si mescolano con quelle dei "cugini" Marcomanni fino almeno al III secolo, periodo in cui riemersero brevemente come tribù singola quando vennero attaccati da Caracalla (nel 214) per non aver inviato le truppe ausiliarie come richiesto dal trattato che li rendeva "foederati" e il loro re Gabiomaro venne giustiziato. Un nuovo scontro si ebbe nel 374 con le truppe di Valentiniano I per uno sconfinamento sul Danubio, ma, in pratica, dal IV secolo in poi, di fatto, i Quadi come tribù singola non esistevano più, uniti com'erano a formare il nucleo portante degli Suebi, dei quali condivisero le vicende fino al VI secolo [16]. NOTE:
(1)
AA.VV.,
Historia Augusta, "Marcus
Aurelius", XII.92.
(2) M.Aurelius, Meditationes, I. (3) Cassius Dio, Historia Romana, LXXII. (4) AA.VV., Historia Augusta, "Lucius Verus", IX.7-11. (5) Cassius Dio, op. cit.. (6) Ivi. (7) AA.VV., Historia Augusta, "Marcus Aurelius", XXIV.5. (8) D.S. Potter, The Roman Empire at Bay: AD 180-395, Routledge 2004, p. 12. (9) M. Todd, The Early Germans, Wiley-Blackwell 2004, pp. 71-72. (10) P.C. Tacitus, De Origine et Situ Germanorum, XXIX. (11) J. B. Bury, Invasion of Europe by the Barbarians, W. W. Norton & Company 2000, pp. 41-46. (12) M. Busk, The History of Spain And Portugal from Bc 1000 to Ad 1814, Kessinger Publishing 2005, pp. 87-93. (13) M. Speidel, Ancient Germanic Warriors: Warrior Styles from Trajan's Column to Icelandic Sagas, Routledge 2004, pp. 81-123 e passim. (14) D.S. Potter, op. cit., pp. 93-94. (15) P.C. Tacitus, op. cit. (16) D.S. Potter, op. cit., p. 95. |
©2009 Lawrence M.F. Sudbury