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Unni 2

di Lawrence M.F. Sudbury

     

Cavaliere unnoSe l'origine stessa degli Unni rimane incerta e ammantata da un alone di mistero, di fatto quella unna fu un'epopea di molti popoli asiatici e germanici che, uniti sotto il comando di una nobiltà oligarchica prima e di una inflessibile monarchia poi, riuscirono a tenere in scacco l'occidente per molti anni.
Come andarono le cose? Chi fu il loro re più famoso, quell'Attila "flagello di Dio" che costruì un impero capace di gareggiare con Roma e addirittura mettere in pericolo il dominio delle aquile? E, prima di tutto, come arrivò questo popolo nomade a toccare il centro della civiltà occidentale?
 
  • PRIMA DI ATTILA
Già nell 139 d.C., il geografo Tolomeo, scriveva di un popolo denominato "Chuni" (ΧοÛνοι o Χουνοι) situato tra i Bastarni e i Roxolani, nella zona pontica, all'inizio del II secolo.In realtà, non esiste una totale certezza che tale popolo corrispondesse agli Unni: è possibile che la somiglianza tra i nomi "Chuni" (ΧοιÛοι) e "Hunnoi" (Ουννοι) sia solo una coincidenza visto che i Romani d'oriente non utilizzavano mai  la "Χ gutturale" all'inizio dei nomi. Certamente, però, nel V secolo, lo storico armeno Mosé di Khorene, nella sua "Storia d'Armenia", posiziona gli "Hunni" vicino ai Sarmati e descrive la loro cattura della città di Balkh ("Kush" in armeno) come avvenuta tra i 194 e 214 (il che spiegherebbe perché i Greci chiamarono quella città "Hunuk").
Al di là delle varie possibili teorie "protostoriche", comunque, è lecito affermare che gli Penetrazione unna Unni si affacciarono per la prima volta in Europa nel IV secolo, mostrandosi a nord del Mar Nero, verso il 370, quando, attraversato il fiume Volga, attaccarono gli Alani, che furono soggiogati, e distrussero il regno ostrogoto di re Eramanarich. Giordane ci mette al corrente che , in tale occasione, essi erano condotti da un re di nome Balamber, la cui esistenza è, però, messa seriamente in dubbio dagli storici moderni, che vedono in questa figura semi-mitologica un'invenzione dei Goti che desse conto di chi li aveva sconfitti.

Nel 376 d.C., comunque, alcuni gruppi Unni a nord del Danubio, si rivolsero ai loro vicini Romani, chiedendo di porsi sotto la loro protezione. Si trattava solo di una prima avanguardia, mentre una massa ben più minacciosa, che in quel momento aveva appena oltrepassato gli Urali devastando l'Armenia e penetrando in Siria, si stava avvicinando, una massa che, apparentemente materializzatasi dal nulla, avrebbe terrorizzato l'Impero come nessun altro popolo prima e avrebbe esteso il suo dominio dalle pianure ungheresi alla Gallia e all'Italia settentrionale.
Gli Unni in EuropaSebbene divenissero ben presto una forza di primo piano in Europa, gli Unni, in questa fase, non avevano ancora una unità politica tale da sviluppare una campagna massiccia e seria contro una potenza, seppur in rapida decadenza, come quella romana: in effetti, si trattava più che altro di una confederazione formata da un insieme eterogeneo di popolazioni e tribù, ciascuna con un proprio sovrano. Esisteva solo nominalmente un "re supremo", ma non aveva praticamente mai la forza per imporsi sugli altri monarchi, ragion per cui nella maggior parte dei casi i gruppi tribali agivano separatamente, con obiettivi diversi e senza mai una strategia unitaria.
Verso il 430, Rua divenne re supremo della confederazione e decise di stringere un'alleanza con un "signore della guerra" gallo-romano, Ezio, che aveva vissuto come "ostaggio" presso gli Unni durante l'infanzia. Le motivazioni di Rua erano però ben diverse da quelle di assicurarsi un alleato potente: nel 434 iniziò, infatti, a pianificare una grande invasione dell'Impero d'Oriente ma, proprio quando stava per mettere in pratica il suo piano, morì colpito da un fulmine. Inizialmente i Romani si rallegrarono dell'evento, ma ben presto iniziarono a comprendere che l'invasione era solo rimandata. Alla morte di Rua, infatti, gli succedettero i suoi due nipoti: Attila e Bleda, che svilupparono una sorta di monarchia congiunta, con territori divisi in due parti distinte ma che, insieme, formavano comunque un impero unito (almeno per ora) [1].

 
  • ATTILA
Giovane Attila La prima cosa che apparve subito chiara nella mente di Attila fu la necessità di forzare l'ormai militarmente indebolito Impero Romano d'Oriente a riconoscere la superiorità dei suoi Unni. Ottenne ciò con il "Trattato di Margus", che i Romani furono costretti a firmare e che includeva notevoli diritti mercantili a favore del popolo unno, un'alleanza militare per la difesa dei confini, il ritorno di numerosi fuggiaschi unni (che avevano cercato rifugio presso i Romani dopo essersi inimicati, in forme diverse, il re), e, soprattutto, un tributo di 700 chili d'oro che dovevano essere pagati ogni anno.
Con il confine meridionale garantito, Attila diede inizio ad una vasta campagna ad est, grazie alla quale soggiogò numerose tribù e tornò a casa come un trionfatore, ma quando si rese conto che i Romani non gli inviava alcun tributo promesso e, anzi, continuavano ad accogliere fuggiaschi dai suoi territori, s'infuriò terribilmente. Inoltre, il Vescovo romano di Margus aveva addirittura osato attraversare il Danubio e depredare le tombe reali unne dei tesori sepolcrali: la guerra era inevitabile e Attila e le sue truppe si riversarono come un fiume in piena nei territori dell'Impero Romano d'Oriente. L'esercito romano era troppo debole per riuscire ad organizzare una difesa e Attila poté organizzare una campagna vincente pressoché su tutta la linea, con numerose città, tra cui Margus, Singidunum (Belgrado), e Viminacium che vennero occupate, saccheggiate e distrutte.
Dopo una breve tregua nel 441, la guerra riprese nel 443, quando ancora i Romani si rifiutarono di inviare tributi agli Unni. Attila, penetrato da sud-ovest, dopo aver saccheggiato città importanti come Sardica, Filippopoli e Arcadiopolis, raggiunse Costantinopoli e sconfisse l'esercito imperiale alla periferia della città. Tuttavia, le difese di Costantinopoli erano più forti del previsto e, invece che sprecare stupidamente le sue forze cercano di una breccia nelle mura urbane, Attila scelse di continuare il suo cammino di distruzione altrove, fino a quando l'imperatore romano Teodosio, dopo la vittoria unna a Chersoneso, che sbaragliò completamente l'esercito di Costantinopoli, fu costretto a cedere e dichiararsi tributario dell'Impero unno: secondo l'accordo di pace, i Romani dovettero immediatamente pagare 6.000 libbre d'oro, oltre a un tributo annuo di altre 2100 libbre e il rilascio immediato di tutti i fuggitivi e i prigionieri unni. Questa pace, infamante per i Romani, fu chiamata "pace di Anatolio" (dal nome del mediatore della trattativa) e venne firmata nell'autunno 443: Attila e i suoi Unni poterono, così, ritornare a nord del Danubio, vittoriosi e con una quantità enorme di bottino [2].
Unni La vittoria contro i Romani d'oriente era, però, solo l'inizio dell'ascesa di Attila. Circa nel 445, suo fratello Bleda morì, dandogli il controllo indiscusso su tutti gli Unni: si è spesso detto che Attila abbia assassinato suo fratello, ma non vi è alcuna prova reale in tal senso e, anzi, dopo la sua morte Bleda fu onorato con un funerale maestoso e con tre giorni di festeggiamenti a cui parteciparono tutti i nobili dell'Impero. Secondo lo storico romano Prisco, la notte dopo la festa, Attila ebbe un sogno: vide un vecchio che scendeva dal cielo e gli consegnava la leggendaria spada degli dei (chiamata dai Romani  "la Spada di Marte"), con la quale egli volava come il vento e soggiogava tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Il mattino successivo, parve che la profezia si compisse: un pastore aveva scoperto la Spada di Marte e l'arma sacra venne portata ad Attila [3]. Naturalmente, si tratta di una leggenda, ma se almeno la parte riguardante la consegna della spada da parte del pastore è realmente accaduta, possiamo vedere in ciò una riprova che il potere di Attila presso il suo popolo doveva essere cresciuto a dismisura: dal momento della morte di suo fratello, doveva essere riuscito ad assumere il controllo totale degli Unni, una posizione che nessun sovrano precedente aveva mai raggiunto.
L'anno 447 vide un'altra campagna unna contro l'Impero Romano d'Oriente: Attila portò i suoi uomini a sud e devastò i Balcani, per volgersi poi a ovest, verso la Tracia, nella quale, secondo una cronaca gallica, distrusse non meno di 70 città, compresa la molto popolata Marcianopoli. Non abbiamo informazioni sull'effetto che questo attacco ebbe sull'Impero, tuttavia è evidente che poco dopo la guerra la disonorevolissima "Seconda Pace di Anatolio", che includeva un cospicuo aumento del tributo da versare agli Unni e  l'evacuazione totale di Romani da un lembo di terra della sezione di territorio a sud del Danubio dovette essere accettata da Costantinopoli [4].
Ne seguì pace temporanea, ma, ben presto, le controversie tra Unni e Romani riemersero ancora una volta: nel 449 Attila spedì un'ambasciata a Costantinopoli per risolvere alcune questioni territoriali con i Romani ma, mentre era a Costantinopoli, il comandante unno Edeco venne avvicinato da alcuni membri della corte imperiale che gli offrirono grandi ricchezze e titoli se si fosse unito ad un complotto per assassinare Attila. Edeco acconsentì e chiese 50 libbre d'oro, che gli sarebbero dovute essere consegnate non alla prima visita degli ambasciatori romani da Attila ma in un incontro successivo, da un interprete chiamato Bigilas.
Udienza di AttilaGli Unni e gli ambasciatori romani lasciarono Costantinopoli insieme e si diressero al campo di Attila per la seconda fase del negoziato. Al loro arrivo, però, Edeco svelò la trama omicida ad Attila, che, tuttavia, decise di non affrontare immediatamente la questione e trattò gli ambasciatori romani nel modo più normale possibile, cosicché la negoziazione si svolse come al solito. Dopo che i Romani avevano lasciato il campo unno senza essersi resi conto che il complotto era stato scoperto, Bigilas giunse con le 50 libbre d'oro per Edeco e venne immediatamente arrestato e incatenato. Il denaro venne rimandato a Costantinopoli con un messaggio di scherno per l'imperatore Teodosio, il quale, ormai totalmente imbarazzato e rendendosi conto della fedeltà che Attila riusciva a suscitare nel suo popolo, decise di dar luogo ad una trattativa seria e definitiva con un nemico tanto pericoloso, trattativa che portò alla "Terza pace di Anatolio", ovviamente ancora più pesante per Costantinopoli della seconda [5]. La domanda a questo punto è: perché Attila, pur così superiore militarmente, cercò la pace piuttosto che la guerra? Probabilmente la risposta sta in parte nel fatto che Costantinopoli fosse troppo difficile da attaccare, ma soprattutto nell'interesse degli Unni molto più per i tributi (che fungevano soprattutto da simbolo di superiorità) che per l'acquisizione di nuovi territori che, stante la non eccessiva quantità numerica del popolo, sarebbero risultati inutili e di difficile controllo.
Mentre erano in corso le guerre contro  l'Impero Romano d'Oriente, gli Unni erano in Unni in Galliabuoni rapporti con l'Impero Romano d'Occidente: tale relazione era dovuta soprattutto alla presenza in Occidente di Ezio, come visto un amico di lunga data degli Unni fin da quando lo zio di Attila, Rua, era al potere. Tuttavia, il rapporto tra le due potenze stava cominciando a deteriorarsi. Nel 450, Attila decise che avrebbe portato l'Occidente a sottomettersi, agendo in modo molto simile a come aveva fatto in Oriente: pensava di intraprendere entro pochi anni una campagna che avrebbe distrutto i Visigoti in Gallia, per poi, da quella posizione, conquistare la restante parte dell'Impero d'Occidente. Poco dopo aver preso tale decisione, però, gli giunse notizia da Costantinopoli che l'imperatore Teodosio era morto e che e il tributo annuale dall'Impero d'Oriente sarebbe terminato sotto il suo successore, Marciano. Questo cambiamento portava una variazione dei piani: Attila decise di invadere l'Occidente senza esitazioni e, una volta conquistato quel ramo dell'Impero, di sottomettere definitivamente l'Oriente invadendolo da ovest.
Qualche tempo dopo, Attila ricevette un messaggio dalla sorella dell'imperatore d'occidente, Onoria, che gli chiedeva di prenderla in moglie: il re unno si rese immediatamente conto di quanto questa fosse una ghiotta opportunità e immediatamente inviò una richiesta in tal senso a Valentiniano, fratello di Onoria. Valentiniano riufiutò nettamente. Nello stesso periodo, la Confederanzone dei Franchi era scossa da una guerra civile tra due fratelli in lotta per la successione: uno dei fratelli inviò un appello d'aiuto ad Attila, mentre l'altro si rivolse a  Ezio e ai Romani. Con Onoria "tenuta in ostaggio" dall'imperatore occidentale e la guerra civile dei Franchi, una invasione di Attila era giustificata e il re partì per la Gallia nel 451 [6].
Moneta raffigurante Attila L'esercito di Attila dilagò in tutta la Germania, provocando panico e distruzione, mentre Ezio, assegnato dall'Imperatore a risolvere la "questione unna", si vide costretto a stringere un'alleanza con l'uomo che odiava di più, il re visigoto Teodorico. D'altra parte non vi era scelta per entrambi: né Ezio né Teodorico avrebbero potuto sconfiggere Attila da soli. Il 7 aprile Attila raggiunse e saccheggiò la città franca di Metz, per poi trasferirsi a Orleans, ma, improvvisamente, Ezio e l'esercito di Teodorico apparvero all'orizzonte. Attila, allora, decise di ritirarsi verso i Campi Catalaunici, il sito che divenne famoso per la leggendaria battaglia tra i vecchi amici Attila ed Ezio.
Lo schieramento di Attila comprendeva i suoi guerrieri unni al centro e gli Ostrogoti e altre tribù germaniche ai fianchi. Sul fronte opposto vi era l'esercito Ezio, con i suoi "Romani" (in realtà i Romani erano pochissimi, essendo quasi tutti gli appartenenti alle legioni mercenari di altra etnia), al  fianco sinistro, gli Alani al centro, e i Visigoti di Teodorico alla destra (come è facile notare, dunque, più che di una battaglia tra Romani e Unni si trattò di una sorta di conflitto internazionale).  La battaglia entrò ben presto in una situazione di stallo, tanto che entrambe le parti rinunciarono ben presto ai loro assetti iniziali. L'evento decisivo ebbe luogo durante il secondo giorno di combattimenti, quando i Visigoti, scoperto che il loro re Teodorico era stato ucciso, si diedero ad una sorta di frenesia bellica quasi suicida che li portò a circondare il campo di Attila. Ormai, era chiaro che Ezio e i Visigoti avevano avuto il sopravvento, tuttavia, Ezio si rese conto che era saggio non distruggere gli Unni: farlo avrebbe significato l'ascesa al potere di altri "barbari", vale a dire i Visigoti, che aveva sempre odiato e, per questo, ordinò a tutte le sue truppe di cessare l'attacco e permise ad Attila di ritirarsi liberamente [7].
Impero unno alla sua massima espansioneLa sconfitta in Gallia significava per Attila la sconfitta e, a rendere la situazione peggiore, la questione con l'Impero Romano d'Oriente era sempre più problematica, tanto da indurlo, in primo tempo, a progettare una invasione dei territori di Costantinopoli.  Improvvisamente, però, il re unno cambiò idea e, assemblato rapidamente un esercito, invece di attaccare i Romani d'Oriente, attraversò le Alpi, e apparve improvvisamente nel Nord Italia. I Romani furono completamente colti di sorpresa e risultarono indifesi, tanto che Attila poté tranquillamente prendere d'assalto le mura di Aquileia, Vicetia, Verona, Brixia, Bergomum e Milano, massacrando la popolazione e riducendo le città a terra bruciata.
I Romani si affrettarono a cercare di stipulare una pace e inviarono un'ambasciata con i loro diplomatici più qualificati, tra cui Papa Leone, al campo di Attila. Nessuno è certo di come sia andato il negoziato, ma, di fatto, dopo l'incontro gli Unni si ritirarono dall'Italia: la vera ragione di ciò fu, probabilmente, un'epidemia scoppiata all'interno del campo unno, che impediva all'esercito di continuare a combattere, ma, a lungo, resistette l'idea di un intervento divino miracoloso attuato tramite il Papa [8].
Attila, dunque, ritornò nella pianura ungherese, ma il re unno non aveva certo perso il suo vigore: dal momento che l'Impero Romano d'Oriente aveva da tempo cessato di rendergli tributi, decise di annientare Costantinopoli una volta per tutte ma, poco prima dell'inizio delle ostilità, in occasione della sua prima notte di nozze con una ennesima moglie (la germanica Ildico), l'uomo che più di ogni altro era stato sul punto di far crollare entrambi gli Imperi Romani, morì per una grave epistassi. Si dice che i suoi guerrieri più nobili, entrati nella tenda del morto, estrassero i loro coltelli e si tagliassero tutti un dito, affermando che «la morte del più grande di tutti i guerrieri non deve essere pianta con lacrime di donne, ma con il sangue dei guerrieri» [9].
 
  • CIO' CHE RIMASE
Attila La morte di Attila lasciò subito presagire la fine dell'Impero unno. Il re aveva da tempo organizzato la sua successione in favore del figlio maggiore, ma questi non aveva certo il carisma e l'abilità del padre per tenere insieme un regno così vasto: gli altri figli di Attila da subito contestarono la sua autorità e, approfittando della situazione, molti degli ex sudditi di Attila si ribellarono al gioco unno, sconfiggendo, in coalizione, i loro dominatori. L'Impero si può considerare finito nel 469, con la morte del figlio Orrore unnodi Attila Denghizik, l'ultimo dei re unni, mentre gran parte del popolo si ritirò in Scizia, dove si mescolò con la popolazione locale.
L'effetto del passaggio unno in Europa occidentale non fu, in fin dei conti, maggiore di quello di qualunque invasione barbarica, con  il trasferimento dei Goti verso ovest e la fondazione di Venezia da parte di coloro che erano fuggiti dalle truppe di Attila nel Nord Italia, ma senza nessun reale cambiamento nell'assetto socio-politico. Il fatto è che gli Unni giunsero in un momento di totale sbandamento di Roma e forse per questo vennero ricordati come i maggiori contributori del crollo dell'Impero d'Occidente (cosa che, in fondo, non furono: ben altre e più profonde erano le cause del disastro!) In Europa orientale, tuttavia, gli Unni ebbero un effetto diverso: in Paesi come l'Ungheria, Attila fu considerato un eroe e un simbolo di potere, coraggio e nobiltà, tanto che la dinastia ungherese Arpad arrivò persino a sostenere di discendere direttamente da lui [10].
Se Attila fu un barbaro crudele o un uomo di valore e di coraggio può risultare, comunque, ormai solo un discorso di punti di vista, ma, nell'immaginario popolare,  comunque, forse più per la loro "esoticità" e per frutto della leggenda che si costruì intorno a loro che per un reale giudizio storico, gli Unni saranno  sempre ricordati come "i feroci barbari" per eccellenza.

  
 



NOTE:
(1)  E. A. Thompson, The Huns, Wiley-Blackwell 1999, pp. 96 ss.
(2)  N. Fields, C. Hook, The Hun: Scourge of God AD 375-565, Osprey Publishing 2006, pp. 63 ss.

(3)  J. Man, Attila: The Barbarian King Who Challenged Rome, St. Martin's Griffin 2009, pp. 91-97.
(4)  N. Fields, C. Hook, citato,  pp .116 ss.

(5)  D. Nicolle, A. McBride, Attila The Hun , Osprey Publishing 2000, pp. 42-43.
(6)  C. Kelly, The End of Empire: Attila the Hun and the Fall of Rome, W. W. Norton & Company 2009, pp. 201 ss.
(7)  Ivi.
(8)  J. Man, Citato, pp. 293 ss.

(9)  D. Nicolle, A. McBride, citato , Osprey Publishing 2000, p. 63.
(10)  E. A. Thompson, Citato,  pp. 314 ss.
 
      

    

©2010 Lawrence M.F. Sudbury

    


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