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Come
tanti altri popoli tra fine del mondo antico e inizio del medioevo,
appaiono episodicamente sui libri di storia, appena menzionati, con
quel nome che sembra fatto apposta perché gli studenti del secondo anno
del liceo sbaglino a pronunciarlo, accentando la seconda "a" (Avàri) e
creando strane ed erronee associazioni mentali (magari ritenendoli
particolarmente "tirchi", al punto che il loro eponimo sia stato usato
per antonomasia [1]).
In realtà, però, gli Avari sono stati una grande Nazione, fondamentale
per la storia dell'area est-europea e ancora presente nelle zone
caucasiche, una nazione, come molte tra quelle "barbariche" orientali,
poco studiata e, per molti tratti, piuttosto misteriosa, a partire
dalle sue origini remote.
Chi
erano gli Avari? Da dove venivano? In effetti, purtroppo, la scienza
storica può rispondere a questo quesito solo con dei "forse", con
ipotesi in buona parte condivise solo da alcuni gruppi di studiosi. La
più affascinante tra esse, ricollega l'inizio dell'epopea avara ad un
popolo altrettanto misterioso quanto i suoi presunti discendenti, un
popolo spesso citato dalle cronache orientali ma sconosciuto ai più:
gli Uar. Gli Uar erano la più grande delle tre componenti etniche che
costituivano la confederazione nota in Occidente (intendendo questo
termine come Impero Romano d'Oriente) come "Hephthalites" e in Cina
come "Yanda" e certamente erano l'etnia dominante del Khwarezm (la
regione tra delta dell'Amu Darya e lago d'Aral). Lo storico cinese
Liang ne parla come un popolo dell'Asia orientale e questo,
insieme con la scoperta da parte di J. Marquart di molte somiglianze
tra termini usati dagli Hephthalites in
India
e parole della lingua mongola, ha portato alcuni studiosi a ritenere
che almeno una parte degli Uar fosse di origine proto-mongolica [2]. Di fatto, comunque, l'eterogeneità dei popoli sottomessi alla
dinastia Hepthalita lascia spazio a numerose altre ipotesi, quali
quella di un apparentamento con gli Yuezhi indo-europei specializzati
nel commercio della giada con gli Hua [3] o quella che li vuole come
ramo dei Tiele schierati con gli Xiongnu meridionali nella guerra
intra-etnica contro gli Xiongnu settentrionali, cosa questa che li
legherebbe indissolubilmente alla confederazione unna. Ciò, tra
l'altro, spiegherebbe molte cose, prima tra tutte la migrazione verso
occidente, allorché, si suppone attorno al 460, gli Uar e alcune tribù
unne si posero sotto il dominio di
una delle cinque famiglie Yuezhi (e, così, le due teorie finiscono per
unificarsi) che guidavano l'"Hephthal". Verso la fine del VI secolo,
poi, raggiunti da altre tribù quali Zabender,
Tarnach e Unni Kotzagerek, andarono a formare, secondo quanto studiato
dallo storico delle popolazioni nomadiche András Róna-Tas [4],
venendo a contatto con Persiani indo-europei, il popolo degli Onoguri
(da cui
deriva il nome "Ungheria"), di cui, certamente, gli Avari erano parte e
che, muovendosi verso il Danubio, avrebbero assoggettato un territorio
enorme che, per qualche tempo, avrebbe incluso anche i Bulgari [5].
Unni e Avari, dunque, e non appare per nulla casuale che, infatti, gli
storici bizantini Menandro
Protettore (il primo che ci racconta che gli Avari parlassero una
lingua praticamente uguale a quella degli Unni) e Teofilatto Simocatta [6] citino gli Unni come una componente importante dell'elite dominante Hephthalita, arrivando addirittura a identificare
gli Unni stanziali dell'area dell'odierno Kazakistan come i "veri"
Avari d'Oriente, contrapposti a gruppi minoritari e mescolati a nuclei
sciti di "pseudo-Avari" che si stabilirono in Pannonia. La ragione di
ciò rimane ancora piuttosto oscura: una possibile spiegazione potrebbe
essere che, quando all'inizio del VI secolo la confederazione Hephthalita
venne conquistata dall'Impero Göktürk, un insieme di clan, in parte
Uar, in parte unni e in parte sciti, intendendo sottrarsi al
giogo
Göktürk, fuggisse e migrasse verso le regioni del Caucaso
settentrionale e che i loro nuovi vicini credessero di avere a che fare
con gli Avari, fino a che i nuovi arrivati non stabilirono un
contatto diplomatico con i Bizantini e, dopo una prima fase, i Göktürk
convinsero questi ultimi del fatto che coloro che offrivano loro
alleanza non fossero gli Avari veri, ma sono dei fuoriusciti che
usurpavano un nome tanto prestigioso [7].
E' molto probabile che, in ogni caso, la distinzione non avesse molto senso e che avesse ragione Walter Pohl affermando nel 1998: "Se gli Avari siano mai stati un gruppo etnico distinto, la distinzione non sembra essere sopravvissuto ai secoli in Europa. Essere un 'Avaro' sembra aver significato, piuttosto, far parte dello stato avaro (in modo simile a come essere 'romano' aveva cessato di avere un significato etnico). Quello che è certo è che nel momento in cui sono arrivati in Europa, gli Avari erano un gruppo di genti polietniche" [8]
I nuovi arrivati furono ritenuti i diretti discendenti degli Unni, tanto il loro aspetto ricordava quello della gente di Attila. Per quanto fosse presente tra gli Avari il tipo antropico europide, nella maggior parte di loro erano evidenti i caratteri mongolidi: bassa statura (in media 165 cm. i maschi e 155 le femmine, con un successivo aumento di 6-8 cm.), carnagione giallastra, volto piatto, occhi scuri e a mandorla, capelli neri - che però, diversamente dagli Unni, gli Avari raccoglievano in due trecce ricadenti sulle spalle. Emanavano una puzza tremenda, perché non si lavavano mai. Indossavano mantelli di pelliccia o cappe di cuoio; e di cuoio avevano le corazze, gli stivali, le selle. Usavano staffe di ferro, che furono i primi a introdurre in Europa. Maestri nel tiro con l’arco, nel combattimento ravvicinato adopravano una spada ricurva. Al termine della battaglia, il loro khan (khâqân) raccoglieva in un sacco gli orecchi dei nemici uccisi, mentre i prigionieri di rango erano impalati con una tecnica raffinata. Donne e bambini venivano portati via. Abitavano in tende simili alle yurte mongole, adornate con nastri multicolori, code di cavallo, corna di bufalo, teschi umani. Insomma, c'era di che far inorridire i raffinati bizantini ma questi "popoli primitivi", in cambio di una discreta quantità d'oro, si offrivano di sottomettere a nome dei bizantini alcune "genti indisciplinate" dell'interno, cosa che, in effetti, puntalmente fecero, sconfiggendo e integrando varie tribù nomadi (Bulgari kutriguri e utiguri, Sabiri, Antii, ecc.). Verso il 562 praticamente tutte le steppe dell'Ucraina e il bacino inferiore del Danubio erano nelle loro mani e stavano diventando un pericolo per l'Impero, che, con Giustiniano I, decise di farli allontanare dai propri confini: gli Avari si mossero quindi verso nord, in quella che è l'odierna Polonia, fino alle sponde del Baltico, ma non riuscirono ad espandersi verso ovest, in Germania, sia per l'opposizione dei Franchi che per le dure condizioni in cui versava l'Europa occidentale. In cerca di terre più fertili e più adatte alla pastorizia, dunque, gli Avari richiesero a Costantinopoli la concessione delle aree a sud del fiume Danubio (nella odierna Bulgaria), ma se le videro negare dai Bizantini, che usarono i loro contatti con il Göktürks come una minaccia contro l'aggressione barbarica: fu per questo che essi rivolsero la loro attenzione verso la pianura dei Carpazi e le difese naturali che essa offriva [9]. Tuttavia, il bacino dei Carpazi era stato già occupato dai Gepidi e, nel 567, gli Avari dovettero firmare un'alleanza con i Longobardi, nemici giurati dei Gepidi, e con essi riuscirono a distruggere e occupare gran parte del regno di questi ultimi, per poi "persuadere" i nuovi alleati longobardi a muoversi verso il nord Italia, in una invasione che segnò l'ultimo movimento di massa germanico nel periodo di migrazione. A questo punto Bisanzio doveva affrontare più direttamente la questione avara e, continuando nella sua politica di spingere le tribù barbariche le une contro le altri, i Bizantini riuscirono a convincere gli Avari ad attaccare gli Sclaveni in Scizia Minore, raccontando di come la loro terra fosse ricca di bottino e non fosse mai stata conquistata prima [10]. Dopo una campagna devastante contro gli Sclaveni, gli Avari tornarono a stabilirsi in Pannonia, ma non prima di aver imposto il loro protettorato a molte aree in precedenza bizantine (sebbene, appunto, occupate dagli Sclaveni) e ora considerarte parte del loro khanato (fondato verso il 580 da re Bayan) che, alle soglie del 600, si estendeva dall'odierna Austira fino alle steppe del Ponto e aveva il suo centro nella ricca città di Sirmio (catturata nel 582). In realtà, inizialmente non è completamente corretto parlare di un vero e proprio protettorato: in cambio di enormi elargizioni in oro gli Avari si erano impegnati a fornire una certa quantità di mercenari all'esercito imperiale. Di fatto, però, quando Bisanzio si era rifiutato di aumentare, come richiesto dal successore di Bayan, Bayan II, la quantità dei tributi, gli Avari non fecero altro che procedere alla cattura delle città di Singidunum e Viminacium, imponendo il loro volere. Gli anni '90 del VI secolo furono caratterizzati da uno stato di guerra permanente tra Avari e Bizantini che, sotto la guida dell'imperatore Maurizio, riuscirono, all'inizio del VII secolo, ad ottenere anche qualche vittoria: in particolare, nel 602, sembrava che Bisanzio stesse per avere la meglio, ma una ribellione dell'esercito imperiale (al quale Maurizio aveva rifiutato il ritorno a casa durante l'inverno come di norma) prima e, soprattutto, l'invasione persiana dell'Impero poi, diedero mano libera agli Avari in tutta l'area balcanica, tanto da portarli ad un tentativo abortito d'invasione del nord Italia nel 610 e da permettere loro di imporre tributi in oro e in natura a Bisanzio per la cifra record di 200.000 solidi poco prima di 626 [11]. Il 626 segna un momento cruciale per la storia avara, l'inizio del declino: l'appoggio al fallito tentativo sassanide di assedio a Costantinopoli fa perdere di prestigio all'elite guerriera e numerosi "clienti" slavi si ribellano al loro dominio. Nel 630 Samo assume il potere sui territori a nord e ad ovest del khanato, diventando "Re dei Venedi" e, all'incirca nello stesso periodo, il gran khan Kubrat del clan Dulo conduce una rivolta che pone fine all'autorità degli Avari sopra la Pianura Pannonica, creando ciò che i Bizantini chiamarono "Antica Grande Bulgaria". Infine, una guerra civile, forse dovuta ad una lotta di successione in Onoguria tra l'alleanza Avari - Bulgari kutriguri e Bulgari utiguri, nel 631-632, vide la disfatta dei kutriguri e l'inglobamento degli Avari nella "Patria Onoguria". Dopo la sottomissione ai Bulgari, gran parte degli Avari (ad eccezione di un piccolo gruppo che emigrò verso nord lungo il Volga), chiusi nell'area transilvanica e ucraina occidentale, venne assimilata dai Cazari [12]. E' più o meno a questo periodo che risalgono gran parte dei resti archeologici avari in nostro possesso. Sebbene il bacino dei Carpazi fosse il centro dil potere degli Avari, la maggioranza di tali resti sono stati rinvenuti a sud-est della zona carpatica, suggerendo un forte grado di presenza nell'area balcanica, fino alla Macedonia settentrionale. Gli scavi mostrano una società altamente strutturata e gerarchizzata, ricca di complesse interazioni con altri gruppi "barbarici", in cui il khan (o, più correttamente, khagan) era la figura preminente, circondata da una minoranza aristocratico-nomadica, così come dimostrato dal numero piuttosto limitato di sepolture particolarmente ricche, nelle quali, oltre a quantità notevoli di monete d'oro, sono stati rinvenuti interessanti "simboli di rango", quali cinture decorate, armi, staffe simili a quelle trovate in Asia centrale e cavalli. L'esercito avaro era, però, composto da numerosi altri gruppi (Slavi, Bulgara, Gepidi, ecc.) che si offrivano come mercenari per piccole ricompense e appare evidente che esistesse un vasto strato sociale di clientes semi-indipendenti, formato prevalentemente Slavi, e di appartenenti a tribù alleate (come i Bulgari kutriguri o gli Slavi ardagasti) con facoltà di condurre offensive autonome in terra bizantina. E' quasi certo che inizialmente gli Avari e i loro sudditi vivessero separatamente, tranne che per un certo numero di donne slave e germaniche sposate a uomini avari, ma che, a partire dalla metà del VI secolo, i popoli germanici e slavi si siano inseriti nell'ordine sociale e nella cultura avara, a loro volta chiaramente influenzati dai costumi persiano-bizantino: gli studiosi hanno, infatti, identificato una fusione che dà luogo ad una "cultura avaro-slava" caratterizzata da ornamenti come orecchini a forma di mezza luna, fibbie in stile bizantino e braccialetti di perline con estremità a forma di corno. Su questa base, Paul Fouracre nota, "appare nel settimo secolo una cultura materiale mista slava e avara, frutto di rapporti pacifici e armoniosi tra guerrieri avari e contadini slavi. Si ritiene possibile che almeno alcuni dei leader delle tribù slave abbiano addirittura potuto far parte della aristocrazia avara" [13] Con il 670, i Cazari avevano frantumato l'unità della confederazione onoguro-bulgara, portando gli Utiguri a lasciare l'Ucraina per migrare verso ovest: è verso il 677 che gli "Ungari" (cioè gli Onoguri) si affermano decisamente in Pannonia, dando vita al cosiddetto periodo di mezzo avaro-bulgaro (670-720 dC), in cui un gruppo di Onoguri, guidati da khan Kuber, dopo aver sconfitto gli Avari a Sirmio, si trasferì a sud e si stabilì nella regione dell'odierna Macedonia, mentre un altro gruppo di Onoguri utiguri bulgari, guidati da khan Asparukh si era già stabilito in modo permanente nei Balcani (679-681). Anche se l'impero avaro era sceso a metà della sua dimensione originale, in questa fase aveva consolidato il suo dominio sulle parti centrali del bacino medio-danubiano ed esteso la sua sfera di influenza occidentale sul bacino viennese, con lo sviluppo di nuovi centri e il rafforzamento della base di potere degli Avari, sebbene la maggior parte dei Balcani fosse ora era nelle mani delle tribù slave, su cui né gli Avari né i Bizantini erano in grado di riaffermare il controllo [14]. Agli inizi dell'ottavo secolo, una nuova cultura archeologica appare nel bacino dei Carpazi: la cosiddetta "cultura del grifone e del viticcio": anche se alcuni studiosi hanno tentato di attribuire tale evento all'arrivo di nuovi coloni, non vi è alcuna prova di una nuova ondata di immigrazione dalle steppe dopo 700 d.C. e appare più verosimile la teoria degli archeologi ungheresi Laszlo Makkai e András Móczy, che parlano di una evoluzione interna della cultura avara, risultante dalla integrazione dei Bulgari emigrati rispetto alla precedente generazione [15].
Tale autoidentificazione rimase, però, nel Caucaso, in cui una dinastia avara aveva formato, già dal VI secolo, il "Sarir", uno stato cristiano situato nell'odierno Daghestan. Durante le guerre contro i Cazari, nel VII secolo, gli Avari del Sarir si schierarono con i nemici e questo, probabilmente, preservò la loro integrità. Sebbene a fine VIII secolo il Sarir subisse una parziale eclissi dopo che gli Arabi avevano preso il sopravvento nella regione, esso, trasformatosi in stato islamico, riuscì a riaffermare la sua influenza sull'area nel IX secolo, sia fronteggiando una Cazaria ormai indebolita che conducendo una politica amichevole verso gli stati confinanti cristiani di Georgia e Alania. Agli inizi del XII secolo il Sarir si disintegrò, per essere, comunque, sostituito da un "Khanato degli Avari" a maggioranza musulmana, poco toccato dalle invasioni mongole e capace di stabilire rapporti di alleanza con l'Orda d'Oro. Barcamenandosi politicamente con le etnie via via emergenti nel Caucaso, il khanato riuscì a sopravvivere fino al XVIII secolo, avendo la possibilità, a tratti (in particolare durante il regno di Umma Khan, tra 1774-1801), di arrivare ad imporre tributi agli stati vicini, compresi Shirvan e Georgia. Nel 1803 il khanato si sottomise volontariamente alla autorità russe, ma l'amministrazione di queste ultime, caratterizzata da una pesante tassazione e dall'occupazione militare dell'area, deluse la popolazione, che si schierò con l'Imamato del Daghestan, guidato da Ghazi Mohammed (1828-1832), Gamzat-bek (1832-1834) e Shamil (1834-1859), di stampo mussulmano radicale. Le guerre caucasiche infuriarono fino al 1864, quando il Khanato Avaro fu abolito e sostituito da un distretto russo: una parte degli Avari rifiutò di collaborare con l'impero russo prima e con l'Unione Sovietica poi e diedero luogo ad una forte migrazione verso la Turchia, dove i discendenti di questo antico popolo vivono ancora oggi [16].
NOTE:
(1) In realtà, secondo T. Bolelli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Vallardi 2006, il termine "avàro" deririva da una crasi dei termini latini "avidus + aeris" ("avido di denaro").
(2) K. Enoki, "The Liang shih-kung-t'u on the origin and migration of the Huá or Ephthalites" Journal of the Oriental Society of Australia, VII:1-2 (Decembre 1970), pp. 37-45. (3) M. Grignaschi, 'La Chute De L'Empire Hephthalite Dans Les Sources Byzantines et Perses et Le Probleme Des Avar,' Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae, Tomus XXVIII Akademiai Kiado, Budapest (1980). (4) A. Róna-Tas, Hungarians & Europe in the Early Middle Ages: An Introduction to Early Hungarian History, Central European University Press 1999, pp. 109-123. (5) Ivi, pp. 168 ss. (6) Menandros Protiktor, Historiae, VI secolo e Teofilattes Simocattes, Historiae, VII secolo. (7) K. Czeglèdy, Az Etimològia Elmélete és Mòdszere, Benko 1976, pp. 82-89. (8) W. Pohl, Strategies of Distinction: The Construction of Ethnic Communities, Brill 1998, pp. 98-99. (9) L. Makkai, A. Mócsy, History of Transylvania, Volume I, Columbia University Press 2001. (10) F. Curta, The Making of the Slavs, Cambridge U.P. 2001, pp. 66-68. (11) L.M. Surhone, M.T. Timpledon, S.F. Marseken, Xionites: Bactria, Kushan Empire, European Avars, Uar, Hunni, Betascript Publishing 2010, p. 37 . (12) F. Curta, R. Kovalev, The Other Europe in the Middle Ages: Avars, Bulgars, Khazars and Cumans (East Central and Eastern Europe in the Middle Ages, 450-1450), Brill 2007, pp. 294 ss. (13) P. Fouracre, The New Cambridge Medieval History, Cambridge U.P. 2004, p. 274. (14) F. Curta, R. Kovalev, Citato, pp. 319 ss. (15) Ivi. (16) J. Minahan, One Europe, Many Nations: A Historical Dictionary of European National Groups, Greenwood 2000, pp. 86-87. |
©2010 Lawrence M.F. Sudbury