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Si
è altrove (1)
scritto che la cultura celtica mantenne le proprie connotazioni e
portò a compimento le proprie linee evolutive unicamente nelle
Isole Britanniche.
Probabilmente
l'invasione romana della Britannia fu storicamente l'evento più
importante mai vissuto dall'isola, non tanto perché la presenza di
Roma fu particolarmente rilevante dal punto di vista cronologico,
etnico o dell'intensità d'insediamento, quanto perché essa
influenzò indelebilmente il susseguente sviluppo culturale
delle popolazioni residenti da praticamente ogni punto di vista:
lingua, sistema di pensiero, architettura urbanistica,
amministrazione e religione si svilupparono, anche sotto altre
dominazioni successive, sulla base del seme gettato da Roma nei 400
anni del suo pur vacillante “imperium” albionico. Soprattutto,
fu l'esempio della gloria di Roma che perdurò nell'animo britannico
addirittura fino a tutto il periodo vittoriano (2). Eppure,
nonostante gli esiti seguenti, le ragioni di base che portarono
all'arrivo delle legioni imperiali sull'isola furono, come spesso
accade, tutt'altro che autorevoli. Sostanzialmente, l'invasione
della Britannia faceva comodo alle carriere politiche di due uomini:
Giulio Cesare e Commio, re degli Atrebati. L'avventurismo
militare di Cesare, in ogni caso, fece da apripista al secondo
grande tentativo di sfruttamento della Britannia, questa volta da
parte dell'imperatore Claudio. Anche in questo caso, le ragioni
dell'invasione avevano carattere strettamente personale: Claudio era
da pochissimo diventato imperatore con un colpo di stato e, avendo
bisogno di consolidare il proprio potere ammantandolo di prestigio
militare, colse la palla al balzo quando Verica, successore di
Commio, si rivolse a lui lamentandosi che il nuovo re dei
Catuvellani Carataco gli aveva sottratto il trono. Furono, comunque, necessari altri trent'anni per conquistare il resto dell'isola (con l'esclusione delle Highlands scozzesi, che non furono mai occupate) e i rimanenti 350 anni di occupazione per mantenerla all'interno dell'impero, contrastando la guerriglia locale, le frequenti invasioni di Piti e Scoti dal nord (contro le quali Adriano fece costruire il famoso Vallo che da lui prende nome e, successivamente, Antonino fece erigere il suo poco più a settentrione) e i costanti tentativi (poi riusciti) di sbarco di popolazioni germanico-scandinave (5).
Il
sistema delle province romane si basava essenzialmente su due
fattori: il culto imperiale e la raccolta delle tasse. Per il resto,
Roma aveva ben poco interesse su come cittadini, alleati e popoli
sottomessi vivessero. Di fatto, in Britannia, tra l'altro, di veri
romani ne arrivarono ben pochi. I soldati delle legioni stanziali
erano per lo più Batavi, Traci, Mauritani e Sarmati: dopo 25 anni
di servizio “coloniale” veniva loro garantita la cittadinanza
imperiale e un pezzo di terra da coltivare. Fu anche per questa
ragione che la convivenza tra questi neo-romano-britanni e la
popolazione locale fu, sostanzialmente, meno difficile di quanto
spesso si immagini (anche se mai totalmente pacifica): la resistenza
locale si concentrava sulle legioni ben più che su questi
ex-legionari divenuti coloni di una terra dove, per la scarsa densità
abitativa, sembrava esserci posto per tutti. Ad ogni buon conto, i
neo-coloni svilupparono, come naturale, la tendenza ad edificare le
proprie dimore nei pressi dei forti in cui avevano servito e fu
essenzialmente per questo che le città sorsero soprattutto in zone
militari come Colchester (da Colonia Castri, cioè “colonia
dell'accampamento”) o Chester (da Castrum, cioè
“accampamento”)(6). L'unico grande
problema di Roma in Britannia aveva avuto luogo già molti anni
prima, attorno al 60 d.C., con la famosa “rivolta di Boudica”,
un evento storico che è interessante analizzare, più che per la
sua entità (davvero modesta nell'ottica imperiale), perché
permette di capire meglio quali fossero i termini del dominio romano
nelle province albioniche. Una idea piuttosto comune è che la Britannia fosse per Roma una provincia di scarsa importanza e di nessun profitto. In realtà le cose non stanno esattamente così: indipendentemente dal fatto che, quando intorno al 360 Giuliano utilizzò gli approvvigionamenti britannici per sfamare la Germania, la provincia insulare non risultò poi così poco redditizia, di fatto fu proprio la sua perifericità (con le sue tre legioni stanziali) a renderla importante come terreno di prova per futuri grandi politici e imperatori. Così fu per Vespasiano, per Agricola (che, a detta di Tacito, non conquistò la Scozia solo perché fermato dagli ordini imperiali dell'invidioso Domiziano) (10), in parte per Adriano, per Settimio Severo e, soprattutto, per Costantino il Grande, la cui storia “britannica” è emblematica: non a caso, quando suo padre Costanzo Cloro morì a York, fu in Britannia che il nuovo imperatore fu acclamato e fu con le truppe britanniche che, scendendo in Italia, conquistò il potere (11). Ma la Britannia era anche molto lontana da Roma e difficile da difendere in un momento in cui tutto l'impero stava franando. Fu per questo che, quando nel 410 d.C. le “civitates” britanniche inviarono una lettera all'imperatore Onorio chiedendogli aiuto contro le orde di Sassoni che stavano invadendo l'isola, questi rispose con una lunga missiva il cui senso era, in parole povere, “arrangiatevi”. I romano-britanni si erano sempre "arrangiati", ad esempio nel 259, contro il cosiddetto Impero gallico o nel 184 contro Carausio, ma questa volta il nemico era troppo forte e il rifiuto imperiale segnò la fine dell'influenza romana sull'isola e l'alba di un nuovo periodo storico (12).
In effetti, il termine “Anglo-Sassone” è relativamente moderno e si riferisce a quei gruppi di coloni che, provenienti dalla Sassonia e dalla penisola dell'Anglia nell'odierno Schleswig-Holstein, si insediarono in Britannia, progressivamente abbandonata dalle legioni romane, all'inizio del V secolo. Non erano gli unici popoli di ceppo germanico che si stavano muovendo verso l'isola: Iuti e Frisoni stavano facendo la stessa cosa, ma Angli e Sassoni assunsero da subito la supremazia e iniziarono una progressiva opera di erosione della cultura romana presente, ad esempio sostituendo gli edifici in pietra con le loro case in legno e utilizzando la loro lingua (che divenne poi la base per il moderno inglese) nell'amministrazione (portarono con sé anche la loro religione, ma essa, dopo l'arrivo di Sant'Agostino nel 597 venne quasi immediatamente abbandonata), instaurando un dominio che durò per più di 600 anni, fino all'invasione normanna del 1066 (13). Spesso, basandosi sulle tradizioni orali dei poemi epici celti e sassoni (14), si ritiene che l'invasione anglosassone sia stata terribilmente cruenta, ma le testimonianze archeologiche ci parlano di un quadro molto più pacifico. Sebbene i signori delle diverse aree lottassero effettivamente per il controllo territoriale, a livello rurale appare piuttosto chiaro che gli insediamenti sassoni si allocarono in zone marginali nei pressi di precedenti insediamenti romano-celtici e che i due gruppi impararono molto presto a convivere senza grandi problemi. A livello cittadino, in ogni caso, vi fu una decadenza, ma tale decadenza era già iniziata ben prima della lettera di Onorio e dell'invasione sassone, verso la fine del IV secolo, quando l'aristocrazia urbana, sia per evitare responsabilità civiche che per risparmiare sulle folli spese di manutenzione dei grandi palazzi pubblici, si era gradualmente andata ruralizzando. D'altra parte, la zecca imperiale aveva smesso di inviare sesterzi verso il 370 e, con la mancanza di monete e la conseguente decadenza artigianale, le città avevano sempre più perso la loro ragion d'essere. Naturalmente, l'abbandono delle città fu un processo lento e disomogeneo: in alcune città, soprattutto quelle costruite attorno ad antiche abbazie (St. Albans, Lincoln, Londra), si tentò di mantenere uno stile di vita romano lungo almeno tutto il V secolo, ma in gran parte dei centri si provvedette ad un largo riutilizzo delle aree amministrative per usi più consoni allo stile di vita germanico (ad esempio, molte terme divennero depositi di legname) (15). In
definitiva, l'effetto più importante dell'invasione sassone
fu solo una grande paura iniziale da parte dei
britanno-romani, che si affrettarono a rioccupare e restaurare
antichi forti di Roma, temendo saccheggi e massacri che, con
tutta probabilità, non vi furono: praticamente nessuna area
mostra reperti archeologici relativi a incendi e devastazioni
e le prove effettuate sul DNA degli abitanti delle zone più
direttamente occupate
dai Sassoni mostrano una tale mescolanza di elementi di
origine celtica e germanica da far pensare che la vita
quotidiana dei più continuò assolutamente immutata, mentre
solo la nobiltà lottò, semplicemente per mantenere i
propri privilegi .
NOTE:
(1)
L.Sudbury, I
Celti: padri d'Occidente, www.storiamedievale.net,
febbraio 2008.
(2) P. Salway, Roman Britain, Oxford Paperbacks, Oxford 2000, pp. 8-21. (3) J.Cannon, The Oxford Companion to British History, OUP, Oxford 2001, pp. 28-37. (4) P. Salway, Roman Britain, citato, passim. (5) Ivi , pp. 284 ss. (6) J. Balck, A History of the British Isles, Palgrave Macmillan, Londra 2003, pp. 126 ss. (7) A.K Bowman, Life and Letters on the Roman Frontier, British Museum Press, London 1998, p. 89. (8) R. Hutton, The Pagan Religions of the Ancient British Isles: Their Nature and Legacy, Wiley-Blackwell, Birmingham, 1993, pp. 311 ss. (9) G. Webster, Boudica: The British Revolt Against Rome AD 60, Routledge, Londra, 2000, passim. (10) P.C. Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae. (11) R. Michael, K.e O. Frey, The Complete Chronicle of the Emperors of Rome, Thalamus Publishing, N.Y. 2005, passim. (12) P. Salway, Roman Britain, citato, pp. 336 ss. (13) J.Campbell, E.John, P.Wormald, The Anglo-Saxons, Penguin, Londra 1991, passim. (14) In particolare il Beowulf. (15) B.Sykes, Saxons, Vikings, and Celts: The Genetic Roots of Britain and Ireland, Norton, Londra 2007, passim. (16) Anche se non è chiara la reale esistenza di un Arthur (anche se un certo Artorus pare essere realmente esistito) è confermato che popolazioni native celtiche si unirono al fine di arrestare l`espansione occidentale degli anglo-sassoni, cosa che in effetti si protrasse per quasi cento anni. |
©2008 Lawrence M.F. Sudbury