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I Celti sono probabilmente il popolo (o meglio
l'insieme di popoli di origine comune) più antico in cui ogni europeo
possa riconoscere la propria origine.
Proviamo
a tracciare una linea evolutiva sulla base delle attuali conoscenze e
delle teorie più diffuse. Secondo un'altra teoria (8), ben più accreditata, tra il 3000 e il 2500 a.C., tre popolazioni indoeuropee: i Kurgan della zona del Volga - alto Mar Caspio, i Transcaucasici del Caucaso e i Nordpontini della zona del Mar Nero, tutte di origine indo-europea, si sarebbero mescolate e avrebbero proceduto ad una migrazione di massa che avrebbe coinvolto l'Anatolia (in cui sarebbero entrati in contatto con gli Ittiti), la Mesopotamia (in cui si sarebbero mescolati agli Arii), la Grecia Micenea e l' Europa centrale (contatto con la cultura di Unetice in Boemia). La coda di questa migrazione orientale ebbe forti contatti con gli Sciti che, attorno all'800 a.C., si diffusero in Mesopotamia (dando luogo alla cultura caldea e in seguito a quella assira), in Anatolia (in cui erano già presenti Frigi, Lidi e Pontini), in Grecia, in Italia (dove, dal 900 a.C., erano presenti gli Etruschi e, ancora prima, i Liguri e gli Italici ) ed in Europa centrale. Dagli Sciti i protocelti mutuarono molte usanze, dall'uso delle tombe a tumulo, all'allevamento del cavallo, ritenuto sacro, dal rito di tagliare e conservare la testa del nemico a protezione della propria capanna, alla suddivisione in classi sociali, ove aristocratico era colui che possedeva più cavalli. Due teorie radicalmente differenti, dunque. Entrambe, però, non danno conto della origine primaria della razza. Una terza ipotesi (9), basata su studi etno-storici e recentemente sviluppata, sembra colmare tale lacuna. Come già altrove accennato (10), alcuni studiosi (11), basandosi sulla presenza di particolari cromosomi (specificamente quelli che provocherebbero il colore rossiccio dei capelli) lungo una sorta di "scia" migratoria da est a ovest, hanno ipotizzato una origine celtica nella zona settentrionale dell'India, un loro passaggio con lunga permanenza, intorno al IV millenio a.C., nell'odierno Afghanistan e una successiva migrazione (forse dovuta a inaridimento del territorio o alla pressione di altre popolazioni) occidentale che avrebbe portato i protocelti a ridosso degli Urali (e ci riagganciamo, qui, alla seconda ipotesi proposta).
Quali che siano state le origini più remote di questo ceppo etnico, fu in Europa centrale, intorno al 700 a.C., nella zona del Salzkammergut (Salisburgo e Carinzia), e fino al 450 a.C., che si sviluppò la prima vera cultura celtica, quella di Hallstatt, resa fiorente dal commercio del sale e basata prevalentemente su due classi sociali legate all'aristocrazia guerriera e al popolo dedito alla pastorizia. La fine della cultura di Hallstatt, dovuta probabilmente a conflitti interni, con nuovi ceti che aspirano al potere e soppiantano la vecchia aristocrazia hallstattiana (12), segna l'inizio della cultura di La Tene (450 - 50 a.C.), sviluppatasi sul lago di Neuchatel e caratterizzata, oltre che da una spettacolare attività artistica, soprattutto dalla nascita di una forte rete di commercio di massa e dalla conseguente nascita di una protoborghesia (13). Dalla zona tra basso Rodano e alto Danubio, a partire già dal 700 circa a.C., principalmente per ragioni demografiche di sovrappopolamento, la loro espansione interessò le isole britanniche (già raggiunte da una prima ondata precedente) e la penisola iberica (Celtiberi) e, successivamente, l'Italia settentrionale e i territori dei Balcani, in cui vennero a contatto con l'impero di Alessandro Magno e svolsero attività di mercenari, mentre una parte ritornò verso l'Asia Minore (Galati) (14). Particolarmente interessante è il fatto che la doppia migrazione verso l'odierna Gran Bretagna mostra una nettissima evoluzione di questo popolo tra 900 e 500 a.C.: la prima ondata migratoria fu legata a popoli di lingua gaelica, che, forse partiti dalla Spagna settentrionale, approdarono in Irlanda, Scozia e Isola di Mann e svilupparono una lingua denominata Celtico Q, poiché al posto della lettera k si utilizzava la lettera q; la seconda migrazione fu caratterizzata da popoli britannici, che partiti dal Belgio, in piena età lateniana, dunque nella massima fase dello sviluppo socio-economico, colonizzarono Inghilterra, Galles e Cornovaglia, sviluppando il Celtico P, poiché la k era sostituita da p (ad esempio, cavallo, in indoeuropeo ekuos divenne equos in gaelico e epos in britanno). La mutazione consonantica q-p non fu che una delle differenze tra le popolazioni delle due ondate: le prime vivevano in fortificazioni, le seconde in villaggi ed è probabile che la migrazione dei secondi spinse i primi verso zone più lontane (non a caso il termine "gaelico" deriva dalla parola "gwyddel" che significa "selvaggi" e fu attribuita, nella seconda migrazione, dai Gallesi agli avi degli Irlandesi della prima migrazione) (15). Per quanto riguarda, invece, la penisola italica, una prima mescolanza tra i Celti e gli Etruschi dell’Italia centro-settentrionale, probabilmente del V secolo a.C., è confermata da scavi archeologici di sepolture che fanno pensare a frequenti matrimoni misti fra i due popoli, e soprattutto di oggetti identici a quelli ritrovati in area celtica transalpina. Sono reperti significativi di una contiguità che venne a crearsi già dal primo momento, e forse anche di rapporti non sempre ostili. è difficile definire le caratteristiche delle prime invasioni; l’unica certezza è che i Celti italici mantennero relazioni con quelli d’Oltralpe e che la successiva invasione (IV sec.) fu preparata ed eseguita con la loro collaborazione. I motivi che spinsero i Celti ad occupare l’Italia sono anch’essi oscuri: forse furono attratti dalla fertilità e dal clima mite del Meridione, o, più probabilmente, furono costretti a spostarsi, come detto, a causa della pressione demografica unita alla scarsità di terre coltivabili e ad altri problemi di carattere politico e sociale. Verso l’inizio del IV secolo a. C. i Celti - o Galli, secondo la definizione latina - si stanziarono in Lombardia fino ai confini con il Veneto, in Emilia (Anari e Boi), in Romagna (Lingoni) e nelle Marche (Senoni), regioni praticamente sottratte agli Etruschi e agli Umbri. La presa di Roma (390-386 a. C.) da parte di Brenno (in realtà Brennan, nome del dio della guerra, era assunto da ogni capotribù in battaglia) fu vissuta, secondo le fonti antiche, come un evento traumatico e fu probabilmente per questo che il fiero popolo romano volle giustificare quella sconfitta con la ferocia degli aggressori. Oggi, invece, si tende a considerare l’invasione celtica non come quella di un’orda selvaggia, ma piuttosto di una vasta comunità costretta a lasciare il proprio territorio d’origine per problemi di sopravvivenza. E’ possibile che l'espansione sia poi proseguita verso sud-est senza ulteriori grossi traumi (16). Il IV secolo segna l'apogeo della grandezza delle tribù celtiche, stanziate praticamente ovunque in Europa, come facilmente visibile dando un'occhiata ad una cartina degli stanziamenti del periodo.
Come poté accadere, dunque, che un insieme
di popolazioni così vasto e, come vedremo meglio nella seconda
parte di questa breve ricognizione, così socialmente strutturato
sia sul piano delle relazioni interne che delle questioni
politico-economiche internazionali, potesse essere sconfitto da un
popolo molto più piccolo come quello romano? In secondo luogo (ma forse si potrebbe più
propriamente parlare di un semplice corollario della ragione sopra
accennata), forse proprio i punti di forza di quello che è oggi il
fascino peculiare dell'antico mondo celtico, la sua spiritualità e
la sua individualità sfrenata, furono gli elementi che portarono al
suo tramonto quando questo mondo entrò in contatto con la
disincantata civiltà romana, che viveva agli opposti concettuali:
alla spiritualità opponeva la prammatica praticità e
all'individualismo, l'arma più distruttrice e dominatrice mai
creata: il servizio militare con ferrea disciplina. L'
individualismo guerriero venne meno al confronto con la fredda e
calcolata strategia militare, nonostante i Celti fossero più
numerosi dei romani e impugnassero armi spaventosamente più
micidiali. «Se vuoi sapere come i
Romani hanno conquistato il mondo conosciuto,» afferma il
grande scrittore fantasy ed esperto di strategie militari David
Gemmell (19), «la
risposta è il gladio, la corta spada che usavano. Una lama di 18
pollici con cui effettui affondi è diversa da una spada di tre
piedi con cui fai dei fendenti - questo significa che puoi stare
spalla a spalla su un muro, dove una lama calata di taglio ti
manterrebbe a sei piedi in ogni direzione dai tuoi compagni. Non
importa quanto i Celti superassero in numero i Romani, al momento
del contatto erano tre a uno per i Romani». Note:
(1) Caio Giulio Cesare, De
Bello Gallico, passim..
(2) Strabone, Geografia, libri III, IV, VI , VII.
(6) Ad esempio, J. Layard, I Celti - alle radici di un inconscio europeo, Xenia, Milano 1995, pp. 28-42. (7) Ad esempio, L. Melis, Shardana - I Popoli del Mare, CDE, Cagliari 2002, passim e L. Sudbury, Hanebu. I Popoli Perduti che Crearono il Mediterraneo, in Hera, dicembre 2007. (8) P. Berresford Ellis, The Celts, Carroll & Graf, Manchester 2003, passim. (9) Ad esempio, B. Cunliffe, The Ancient Celts, Penguin, London 2000, pp. 36-48. (10) L. Sudbury, BarBar o «della genericità», www.storiamedievale.net, gennaio 2008. (11) Tra gli altri, B. McEvoy, M. Richards, P. Forster, D. G. Bradley, The Longue Durée of Genetic Ancestry: Multiple Genetic Marker Systems and Celtic Origins on the Atlantic Facade of Europe, in The American Journal of Human Genetics, ottobre 2004. (12) B. Cunliffe, The Oxford Illustrated Prehistory of Europe, Oxford O.U.P, 1994, pp. 250-254. (13) J.Collis, The Celts: Origins, Myths, Invention, Tempus, London 2003, passim. (14) P. Berresford Ellis, The Celts cit., pp. 112-141. (15) J. Carey, J.T. Koch, The Celtic Heroic Age: Literary Sources for Ancient Celtic Europe & Early Ireland & Wales, David Brown Book Company, Cardiff 2003, pp. 81. (16) J. De Galibier, L'epopea dei Celti. Storia e Mistero, Keltia, Aosta 1998, passim e www.celticanapoletana.org. (17) Un'ampia sintesi è rinvenibile in J. Carey, J.T. Koch, The Celtic Heroic Age: Literary Sources for Ancient Celtic Europe & Early Ireland & Wales cit., passim. (18) C.Nicolet, Rome et la Conquête du Monde Méditerranéen, tomo I, PUF, Parigi 2001, pp. 409 ss. e www.signainferre.it. (19) Citato in F. Truppi, La
riscoperta di una civiltà, in www.celticworld.it. |
©2008 Lawrence M.F. Sudbury