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Se i Celti hanno, per molti versi, dato forma al primo nucleo di cultura europeo degno di questo nome, quando parliamo di popolazioni barbariche il primo nome che quasi certamente ci viene in mente è quello dei Germani. Tutta la storiografia latina, da Cesare a Tacito e Svetonio, ci parla di loro e, normalmente, pur non nascondendo una certa stima per la loro forze ed il loro coraggio, nessun autore usa un tono davvero elogiativo per quelli che, in qualche modo, erano i nemici per eccellenza dell'Impero (anche se questi “nemici”, in realtà, diventeranno gli ultimi difensori del “Limes Imperii”). Come sempre accade, una versione piuttosto acritica e popolarizzata di descrizioni già di per sé volutamente parziali, ha fatto sì che nell'immaginario comune i Germani diventassero guerrieri feroci, rozzi, ignoranti e sanguinari: sostanzialmente, appunto, il classico paradigma del barbaro. Ma chi erano realmente i Germani? Da dove venivano? Perché un popolo considerato, in fin dei conti, rozzo e arretrato divenne il pericolo fatale per il più grande impero del mondo antico? Proviamo a seguire le tracce della loro evoluzione per cercare di trovare risposta a questi quesiti. Sostanzialmente, i Germani erano genti di ceppo indoeuropeo, originarie del nord Europa (o almeno certamente stanziali in aree baltico-scandinave in un periodo molto antico del loro percorso migratorio da oriente) e identificate dall'utilizzo di lingue derivanti da una origine unica, definita “Germanico Comune”, diversificatasi solo durante l'età del ferro (1). Il termine Germani, con cui oggi conosciamo questo insieme di nazioni diverse unite da una origine comune, è ovviamente latino, ma è alquanto difficile comprendere da quale etimologia derivi. Di per sé “germanus” può significare “parente”, “simile” o “autentico”. Strabone ci dice che i Romani definirono così quelli che ritenevano essere gli “autentici Galli” ma sembra più probabile che il termine derivi dal fatto che i Germani erano visti come “simili”, “apparentati” ai Galli stessi. Certamente, comunque, il termine doveva essere molto antico, visto che lo troviamo già in una iscrizione dei Fasti Capitolini datata 222 a.C. (“DE GALLEIS INSUBRIBUS ET GERM.”) e, successivamente, in uno scritto di Poseidonio del 80 a.C., ma è solo con Cesare che diventa di uso consuetudinario, perdendo l'accezione originale per divenire connotativo di un popolo che, di per sé, neppure aveva un endonimo auto-designativo. I Germani, infatti, chiamavano tutti coloro che sentivano come diversi da loro “walha” (da cui oggi Welsh – Gallese; Walloon – Vallone, ecc.) ma definivano sé stessi unicamente come “ þiuda”, gente (2). Anche la divisione di queste "genti" in Germani Occidentali (da cui poi Visigoti), Germani Orientali (da cui Ostrogoti) e Germani Settentrionali (da cui, in epoca ancora successiva, Normanni) è solo una classificazione linguistica moderna: i Greci dividevano tutti i barbari settentrionali unicamente in Celti e Sciti e solo a partire dal I e II secolo alcuni etnografi (Tacito, Plinio il Vecchio, Tolomeo, Strabone) cominciano a classificare questo gruppo fondamentalmente indistinto in nazioni e tribù (Strabone ne censirà 40 e Tolomeo addirittura 69) sulla base di dialetti e usanze proprie, innestate, comunque, su un substrato culturale comune (3). Alcuni di quegli stessi nomi individuati dagli etnografi per indicare popolazioni stanziali tra Oder e Vistola (Goti, Vandali) riappariranno nel III secolo per indicare popolazioni situate tra basso Danubio e Carpazi, ma è solo nel V secolo che una sorta di mappa dei Germani e dei loro stanziamenti si comincia a delineare compiutamente, con i Goti in Gallia, Iberia e Italia, i Vandali in Africa, i Gepiti lungo il Danubio e, più a est Rugi, Sciri, Burgundi e molti altri (tra cui, piuttosto curiosamente, sono inclusi gli Alani, una popolazione in realtà iranica, quasi sempre però ritenuta germanica dalla storiografia romana).
Seguire il cammino degli spostamenti dei Germani in Europa non è impresa semplice, soprattutto per quanto riguarda il periodo precedente al loro contatto con Roma. Si è detto che la loro origine prima (almeno per quanto riguarda le nostre conoscenze) è situabile nella zona baltica occidentale. Questa nozione ci è fornita essenzialmente dalla genetica storica che ha individuato nei resti di guerrieri germanici un gene (tecnicamente l'Aplogruppo I1a) presente oggi unicamente negli abitanti della Scandinavia meridionale e nella Danimarca settentrionale (4). L'area così delineata, chiamata area della Cultura dell'Età del Bronzo Settentrionale, ha, comunque, fornito riprove storico-archeologiche di un intenso insediamento umano risalente al periodo compreso tra 1700 a.C. e 600 a.C. , facendo pensare che proprio in questo ampio lasso di tempo si sia compiuta, sulla base dell'individuazione di un sistema espressivo-comunicativo coeso e distinto, la diversificazione tra Proto-Indoeuropei e Proto-Germanici. Sempre a questo periodo dovrebbero risalire le prime migrazioni di massa da questa zona di (para-)origine. Le cause vanno cercate probabilmente nell'incontro con alcune culture nomadiche preistoriche (Hügelgräber, Urnfield, La Tene) e, soprattutto, in un progressivo peggioramento della situazione climatica peri-baltica che, inizialmente tra 850 e 760 a.C. e poi più sostanzialmente dopo il 650 a.C., avrebbe spinto i proto-Germani verso le coste della Germania Orientale, verso la Vistola e, in misura minore, verso sud ovest. Si tratta di migrazioni di fondamentale importanza non solo perché determinano il sistema culturale solo semi-stanziale che caratterizzerà tutta la storia germanica, ma anche perché permetteranno l'incontro dei proto-Germani con la cultura di Hallstatt (in espansione verso nord), sviluppando una intersezione culturale germano-celtica che permeterà ai germani di entrare nell'età del ferro (5). Di fatto, comunque, già intorno al 700 a.C. l'area germanica comprendeva un vasto arco che andava dall'odierna costa olandese alla Vistola, in una situazione che, per circa 400 anni, avrebbe visto una parziale stanzializzazione delle popolazioni germaniche. Cosa accadde poi, intorno al 300 a.C., per portare i Germani a sviluppare un nuovo assetto nomadico? In realtà nulla più che un normale processo storico-demografico: trovandosi in una situazione territoriale più favorevole i Germani cominciarono a moltiplicarsi, determinando un incremento demografico notevole e, conseguentemente, un progressivo impoverimento di terre sempre più estensivamente ed intensivamente coltivate. Fu, dunque, una probabile crisi alimentare che spinse i Germani verso sud, cosicché, intorno al 250 a.C. possiamo individuare già almeno cinque diversi gruppi di ri-stanziamento (corrispondenti, ovviamente, a cinque differenziazioni linguistiche successive): Nord-Germani nella Scandinavia meridionale, Nord-Germani marittimi lungo il Mare del Nord, Germano-Renani tra Reno e Wesser, Germani-Elbici, lungo l'Elba e Germano-Orientali tra Oder e Vistola. A questo punto, i contatti tra Germani e Celti diventano fittissimi (probabilmente con una sorta di protettorato celtico sui territori germanici, almeno ad occidente, anche se la situazione è tutt'altro che chiara), tanto che non è affatto infrequente rinvenire sepolture in cui siano presenti oggetti di fattura sia celtica che germanica. Questa sorta di mescolamento (che, comunque, non fu mai totale), fa sì che sia difficile stabilire in che misura i primi Germani che troviamo nella storiografia latina siano effettivamente Germani o Celti o, forse, una mescolanza delle due popolazioni (6). In effetti, la tradizionale divisione territoriale romana tra le due popolazioni, con un confine intercorrente lungo il Reno, è solo funzionale alla politica di Roma, ma appare tutt'altro che precisa, alla luce sia dei ritrovamenti archeologici, sia di imprecisioni storiografiche di notevole portata. Quando, ad esempio, Cesare parla di Eburoni come di una popolazione germanica compie un errore marchiano, dal momento che gli Eburoni, sia per il nome stesso, sia per i ritrovamenti archeologici successivi, erano chiaramente Celti, né sembra in alcun modo probabile che, come afferma Tacito, essi avessero subito una determinante penetrazione Batava. Questi elementi rendono estremamente complesso determinare quale fosse l'effettiva area di stanziamento germanica al momento del contatto con Roma, anche se possiamo con sicurezza affermare che, verso il 100 a.C l'intera area sub-baltica poteva essere considerata completamente germanizzata (7). Questo discorso sulla storiografia latina ci porta al grande capitolo dell'incontro-scontro tra Germani e Romani, che affronteremo nella seconda parte di questa ricerca. Prima di affrontarlo, però, è il caso di dare una rapida scorsa al sistema culturale germanico al momento dell'incontro con le legioni di Roma.
Si è già detto di un substrato linguistico comune tra tutte le tribù e nazioni. Purtroppo, non esistendo tra i Germani alcuna tradizione scritta fino al V secolo, non possiamo in alcun modo oggi delineare il percorso di differenziazione di tale ceppo comune e possiamo solo affermare con certezza che già appunto nel V secolo tale differenziazione era tale da non permettere alcun interscambio comunicativo tra gruppi linguistici differenti. E' altamente probabile che un processo analogo sia avvenuto anche per quanto riguarda gli aspetti sociali, culturali e religiosi, che da alcune fonti letterarie più tarde come il Beowulf o la Saga Volsunga, sappiamo aver mantenuto, comunque, elementi di base comuni nella maggior parte delle tribù (8). Cercando di trarre i minimi comun denominatori dai dati storici in nostro possesso, possiamo dire che la struttura sociale fondamentale della società germanica fosse data dalla Sippe, una sorta di unione di famiglie legate da vincoli parentali, che costituiva una unità politico-economica e militare totalmente autosufficiente. Ben più labile era, invece il concetto di tribù, o gau: solo in caso di necessità essa si riconosceva come unità, al comando di una assemblea dei vari capi-sippe. Questo elemento ci introduce nel vasto argomento della struttura politica germanica. I concetti base per ogni uomo libero erano quelli di libertà individuale e, per quanto possa apparirci strano oggi, di democrazia (9). Ciò portava a forme di “controllo statale” tanto leggere da risultare pressoché inesistenti e ad una sostanziale collegialità di ogni decisione: il governo di una tribù era affidato all'assemblea dei liberi (allthing), che esprimeva le decisioni del popolo e che solo in caso di guerra eleggeva a maggioranza un capopopolo, la cui autorità era, almeno fino al periodo immediatamente precedente ai regni romano-barbarici, solo temporanea e, comunque, mai disgiunta dalla concezione di “primus inter pares”. Naturalmente non è il caso di enfatizzare all'eccesso questa “democrazia” germanica: gli uomini liberi, i soli con il diritto di possedere armi, erano comunque una minoranza quasi oligarchica, al di sotto dalla quale si ponevano gli haldii, uomini semiliberi il cui status era molto prossimo a quello dei servi della gleba, e gli schiavi, numerosissimi e quasi sempre prigionieri di guerra o civili catturati durante le razzie. Va però notato che all'interno di quasi tutti i gruppi tribali vigeva l'istituto del "comitatus", cioè l'abitudine di aggregare i giovani di più bassa estrazione sociale a quelli delle famiglie più importanti, facendoli diventare compagni inseparabili in pace e in guerra (in un modello di fedeltà personale che, in periodo alto-medioevale, allo svilupparsi di figure reali all'interno dei vari popoli germanici, arrivò ad influenzare numerose istituzioni statali, divenendone anzi una delle caratteristiche salienti) (10). All'alba del periodo imperiale, comunque, i germani vivevano in piccole comunità formate da costruzioni lignee molto semplici, anche se non mancavano aree fortificate (i cosiddetti burga, da cui poi il suffisso -burg tedesco e -bury inglese per indicare i villaggi). La proprietà privata della terra era totalmente sconosciuta e le terre venivano spartite tra i clan, che provvedevano, a loro volta, a suddividere la loro quote tra le varie famiglie che che li componevano. L'agricoltura del resto era molto primitiva e tendente allo sfruttamento immediato del terreno strappato alla foresta. Così come il sistema socio-politico, anche le abitudini erano molto semplici: i Germani, benché alcune tribù più evolute producessero anche abiti di lana, vestivano in linea di massima solo un gonnellino di pelle animale o pantaloni (pur abitando in regioni molto fredde, infatti, i Germani avevano l'abitudine di non portare molti indumenti, a parte pelli tanto piccole da lasciare scoperte gran parte del loro corpo), mentre solo i capi potevano indossare una tunica sagomata con le maniche lunghe (11). Se il sistema di vita dei Germani era fondamentalmente molto lineare, non così era il loro sistema di pensiero, espresso sostanzialmente nella loro filosofia religiosa. Oggi per noi è molto difficile riuscire a ricostruire tale pensiero, sia per l'estrema esiguità delle fonti scritte (comunque molto tarde), sia per la loro difficoltà di interpretazione (sia per quanto riguarda le rune che i poemi), per cui la nostra conoscenza si basa quasi unicamente sulla successiva eredità culturale vichinga. E', comunque, immediatamente riconoscibile una derivazione molto precisa dal nucleo indo-europeo da cui i Germani si staccarono: Asi e Vani, le due grandi “famiglie divine”, ricordano da vicino gli Asura e i Deva indoiranici, mentre le Norme, le filatrici del destino umano, ricordano le Parche/Moire greco-romane. Curiosamente, proprio per questa radice comune, le divinità germaniche sono altamente assimilabili a quelle romane: Odino-Wotan, in quanto divinità che presiede al passaggio tra vita e morte e divinità della conoscenza, è, ad esempio, assimilabile a Hermes/Mercurio, mentre Thor è simile a Ares/Marte (12). Questi culti antichissimi, comunque, si erano andati fondendo con altri elementi autoctoni delle varie aree di passaggio delle tribù o con altri elementi ancora più antichi: numerosi aspetti dei Vani sono ascrivibili al culto della Terra/Madre e della fecondità ed è innegabile che le popolazioni germaniche adorassero in prevalenza alcuni elementi naturali, soprattutto alberi e boschi. In questo senso si può leggere la presenza nell'Edda, una raccolta poetica in lingua norrena del XIII secolo, dove però si trovano ancora molti elementi del mondo pagano antico, la figura dello Yggdrasil, l'albero sacro per eccellenza: la sospensione a questo frassino sacro faceva parte, secondo il poema, dell'iniziazione di Odino per acquisire il potere di leggere le rune e, tra l'altro, la similitudine tra albero sacro e Croce di Gesù fu usata dai missionari cristiani tra l'VIII e X secolo per convertire i popoli germanici in Europa centro-settentrionale. Anche un altro elemento della religiosità germanica, forse il più interessante e significativo di un sistema di pensiero tutt'altro che rozzo e semplicistico, si prestò grandemente alla conversione alla nuova religione del “Cristo bianco” per la sua somiglianza con l'Apocalisse di Giovanni : il Ragnarök, cioè quella apocalissi finale in cui, quasi a segnalare filosoficamente l'ineluttabilità della caducità di ogni cosa, gli Asi, in una battaglia campale, sarebbero caduti e tutto il mondo sarebbe stato inghiottito dal lupo Fenrir. Forse proprio queste analogie possono spiegare le ragioni della conversione, in definitiva piuttosto rapida, al cristianesimo di una popolazione che, fino a quel momento, come frutto estremo del concetto egualitario che la caratterizzava, non aveva mai avuto alcuna casta sacerdotale (anche se esistevano sciamani dotati di particolari poteri che permettevano loro di mediare tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti, intesi sia come entità divine che demoniache), né effigi religiose, né santuari, né luoghi sacri costruiti dall'uomo (13).
NOTE:
(1) O. Sturfrintz,
The Indo-European Heritage, Allister, Bristol 2004, pp. 81
ss.
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©2008 Lawrence M.F. Sudbury