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Il dominio gotico in Europa centrale giunse ad una rapida e drammatica conclusione quando, verso il 278, l'imperatore Aureliano si scontrò con un esercito d'incursione e lo sbaragliò, uccidendo anche il re goto Cannabaudo. Questo evento distrusse il fragile equilibrio di potere dell'Europa orientale. L'occupazione da parte dei Gepidi di alcune zone precedentemente disabitate portò ad una divaricazione tra il ramo gotico dei Tervingi, ad ovest del Dniester, e quello dei Greutungi, ad est del Mar D'Azov. Mentre i Tervingi consolidarono il loro dominio tra Dniester e Danubio e divennero noti ai Romani con il nome di Visigoti (dal tardo latino "Visigothi", "i buoni Goti" o "i nobili Goti"), i Greutungi, o Ostrogoti (dal tardo latino "Ostrogothae", "Goti orientali") si stanziarono in una vasta area ad est del Dniester, sulle rive del Mar Nero (odierna Ucraina occidentale e Bielorussia), ma furono presto conquistati dagli Unni nella loro calata verso l'Europa dalle steppe asiatiche (seconda metà del IV secolo) (1).
Dal momento della loro conquista da parte degli Unni fino alla morte di Attila, circa un secolo più tardi, si sa ben poco degli Ostrogoti. La sola cosa certa è che gran parte di essi rimase vassalla fedele dei dominatori mongolici. In questo periodo si stanziarono nella zona a sud di Vienna e formarono un contingente significativo nell'esercito di Attila, tanto che, nella battaglia di Châlons nel 451 si trovarono a dover fronteggiare i loro "cugini" Visigoti che facevano parte, come alleati, dell'esercito del patrizio romane Ezio. Gli Unni vennero sconfitti, ma non fu che dopo la morte di Attila, due anni dopo, che l'impero unno collassò (2). Nella inevitabile redistribuzione del potere, gli Ostrogoti si ritrovarono in possesso della Pannonia (un'area che oggi include l'Ungheria occidentale, la Croazia settentrionale, la Slovenia e l'Austria orientale) come "foederati" di Roma. Si unirono a loro altri Ostrogoti che, nel periodo unno, avevano trovato rifugio all'interno dell'Impero. Ma, con vicini ostili da ogni parte e una crescente dipendenza dagli aiuti dai nuovi padroni di Costantinopoli, il futuro non appariva per nulla roseo (3).
Tutto questo doveva mutare grazie ad un uomo: Teodorico il Grande, un personaggio capace di cambiare la storia del suo popolo, che divenne re nel 474. Da ragazzo, Teodorico era stato inviato come ostaggio a Costantinopoli e vi era stato educato per dieci anni, apprendendo greco e latino e sviluppando una enorme ammirazione per l'antica civiltà che lo circondava, pur non perdendo le proprie profonde radici tribali. Dando prova di grandi capacità di leadership sia politica che militare, Teodorico (figlio del re Thiudimir), condusse il suo popolo fuori dai poco promettenti territori in cui si era insediato e lo condusse in Moesia, molto vicino proprio a Costantinopoli. Dopo vari periodi di alternanza tra alleanza e belligeranza con Zeno, imperatore di Bisanzio, la presenza degli Ostrogoti ai confini cominciò a preoccupare l'Impero d'Oriente a tal punto (soprattutto quando divenne evidente che Teodorico desiderava ritagliarsi un regno stabile per la sua gente) che l'imperatore non scoraggiò minimamente il condottiero quando questi espresse l'idea di invadere l'Italia, ed anzi, proclamò che tale invasione avveniva sotto il consenso imperiale (4). La moltitudine che Teodorico guidò verso l'Italia doveva ammontare a circa 100.000 unità (più che di una invasione si potrebbe tranquillamente parlare di una vera migrazione di massa) e, probabilmente, per l'80% non era composta da guerrieri. Molti non erano neppure Ostrogoti, dal momento che certamente molti Rugi e Romani ingrossavano le file dell'esercito invasore (5). L'Impero d'Occidente era già caduto a quel tempo e l'Italia era in mano ad un ex-generale delle legioni di origine forse scira (gli Sciri erano una piccola tribù proveniente dalla Polonia e stanziata, sotto gli Unni, nei Carpazi) o, più probabilmente, mista sciro-romana: Odoacre. La lotta tra Teodorico e Odoacre durò dal 498 al 493 e terminò solo quando Teodorico uccise il suo nemico a tradimento durante un banchetto che avrebbe dovuto sancire la fine delle ostilità. A dispetto dell'approvazione imperiale all'invasione, comunque, Teodorico non venne riconosciuto come re d'Italia dal nuovo imperatore di Bisanzio Anastasio, cosicché egli ottenne il potere di un imperatore d'occidente senza averne il titolo e fu costretto a nominare un "console romano" che legittimasse, almeno formalmente, la sua autorità. Per altro, comunque, Romani e Ostrogoti convissero sempre in modo piuttosto pacifico, con la cultura romana che progressivamente influenzava sempre più quella germanica (6).
Quando, finalmente, nel 497, Anastasio si decise a riconoscere il suo regno, Teodorico governò l'Italia come "Re dei Goti e dei Romani" fino alla sua morte, nel 526 e, come Odoacre prima di lui, fu abbastanza saggio da utilizzare le pre-esistenti istituzioni romane: i Goti occuparono 1/3 delle terre e delle case e riservarono per sé ogni compito militare, mentre i Romani tennero tutto il resto e si dedicarono a tutte le altre occupazioni pacifiche. La legge gotica si applicava ai Goti e quella romana ai Romani, i matrimoni misti erano proibiti e, nonostante Teodorico fosse un ariano, egli dimostrò grande tolleranza verso la religione cattolica e persino quella ebraica, affermando che "La religione è qualcosa su cui non possiamo comandare e nessuno può essere forzato ad abbracciare una fede contro il suo volere" (7). Il re, inoltre, dimostrò grande interesse per la cultura romana: fece restaurare monumenti ormai in rovina in tutta Italia (ad esempio il Colosseo a Roma), ma fu soprattutto nella capitale, Ravenna, che egli dimostrò la grandezza della civiltà ottenibile dalla fusione delle capacità germaniche e romane (8). Ravenna era stata scelta come capitale dell'Impero d'Occidente per il suo grande porto e perché era protetta da grandi paludi. Era una città fatta di isolotti, canali, ponti e strade selciate che si affacciava sulle lagune del Mare Adriatico. Qui Teodorico trovò che gli artisti latini avevano portato ad un altissimo grado di perfezione una delle forme artistiche più complesse, quella del mosaico: a Ravenna, gli artisti avevano iniziato ad utilizzare prodotti nuovi, quali cubetti di vetro ricoperti da sottili foglie d'oro e poi di nuovo da una pellicola di vetro, ossidi di metalli diversi per produrre variazioni di colori, madreperla, marmo giallo e alabastro, creando effetti stupefacenti che ancora oggi possiamo ammirare. L'edificio che più di ogni altro convinse Teodorico ad utilizzare il mosaico per le sue chiese e i suoi palazzi fu il piccolo Mausoleo di Galla Placidia, probabilmente tomba della sorella di un imperatore che aveva sposato un principe visigoto: sebbene l'architettura fosse molto semplice, a forma di croce fatta di mattoni vivi e con piccole finestre, i suoi mosaici erano la migliore presentazione possibile per l'arte che era la gloria di Ravenna e che sarebbe stata , più tardi, quella di Costantinopoli. Teodorico chiamò i migliori artisti del mosaico per decorare, tra i molti monumenti di cui finanziò la costruzione, una delle più belle basiliche d'Europa, Sant' Apollinare Nuovo, che, a tutt'oggi, rimane forse la più grande attestazione del gusto, del mecenatismo e della grandezza si un re che, di fronte alle grandi scene mosaicate di questa splendida costruzione, è ben difficile reputare anche solo lontanamente "barbaro" così come noi oggi intendiamo questo termine (9).Forse Bisanzio avrebbe dovuto imparare ad apprezzare la presenza ai suoi confini occidentali di uno stato così stabile e relativamente amichevole. Forse avrebbe dovuto ignorare l'arianismo "eretico" dei Goti e accettare la loro sovranità, senza recriminare ulteriormente rivendicando l'Italia come parte del suo Impero, ma il problema era che l'unità tra Romani e Goti poteva essere mantenuta solo da un monarca della statura di Teodorico. Un anno dopo la sua morte, nel 527, Giustiniano fu investito della porpora imperiale e immediatamente dichiarò di essere intenzionato a ristabilire il potere "romano" sull'occidente e ad imporre l'ortodossia religiosa ai conquistatori barbari: così, nel 534, con la scusa che la devastazione dell'Italia era diventata intollerabile, egli comandò al generale Bellisario di riconquistare la penisola. Con Bellisario, Giustiniano aveva a sua disposizione il più grande generale del suo tempo ma, nonostante ciò, la "guerra di riconquista" doveva durare, con alti e bassi, fino al 552 quando, prima Bellisario e in seguito l'altro grande generale di Giustinaino, l'eunuco Narses, riuscirono a piegare la resistenza dell'ultimo importante re ostrogoto, Totila. Totila venne ucciso nella battaglia di Taginae, ma i Goti non si arresero immediatamente. Dopo aver proclamato Teia, uno dei generali di Totila, nuovo re, tentarono di costruire un'alleanza con i Franchi, che, nel frattempo, erano dilagati in Italia settentrionale, ma, sebbene il re franco Teodebaldo si mostrasse ben felice di accettare i ricchi doni di teia, egli, all'atto pratico, non intervenne mai in aiuto dei Goti. Nella valle del Draco (odierna Sarno), Teia organizzò la sua ultima difesa: pur combattendo eroicamente venne ucciso e la sua testa venne esposta su di un palo ma i Goti continuarono a combattere fino al giorno seguente, quando, finalmente, si dovettero arrendere. Fu loro permesso di allontanarsi sani e salvi, con tutte le loro proprietà, a patto che lasciassero il territorio italiano e si impegnassero a non muovere mai più guerra all'Impero (10). Così, nel 555, i Bizantini posero termine al dominio gotico in Italia e il trono di Ravenna passò agli esarchi (governatori di Bisanzio), che tentarono di reinstaurare il potere imperiale. In realtà, però, ciò che Giustiniano aveva realmente ottenuto era solo di aver rimosso un regno barbarico stabile per sostituirlo con un vuoto di potere in cui si inserì una popolazione ben più ostile e pericolosa, quella longobarda. Gli Ostrogoti furono gradualmente assorbiti da altre tribù (Alani, Vandali, Franchi, Burgundi), che avevano creato nuovi regni all'interno dei vecchi domini imperiali e non riuscirono mai più a sviluppare un proprio stato.
I Visigoti apparvero immediatamente più ricettivi degli Ostrogoti riguardo allo stile di vita romano e ben presto svilupparono un certo gusto per il lusso e le comodità imperiali. Molti di loro vennero reclutati nell'esercito bizantino e alcuni ottennero addirittura incarichi nel governo di Costantinopoli. Di conseguenza, quando la calata degli Unni inglobò gli Ostrogoti, l'imperatore Valente di Costantinopoli permise volentieri ai Visigoti di spostarsi, nel 376, all'interno dei confini imperiali perché difendessero le frontiera danubiana. Purtroppo, il trattamento riservato dai funzionari imperiali alla orgogliosa popolazione germanica fu vergognoso: i Romani vedevano i Visigoti come poco più che schiavi e li lasciarono a soffrire la fame in una zona senza possibilità di sostentamento. "[i Romani] . . . misero tasse esorbitanti su tutto ciò che poteva essere utile ai barbari affamati. Anche i cibi più umili venivano venduti loro a prezzi esagerati e i mercati erano pieni solo di carne di cane e di animali morti di malattia" (11). Oltraggiati da questo trattamento, i Visigoti si rivoltarono contro l'imperatore Valente che, nel 378, venne sconfitto con buona parte dell'esercito imperiale nel massacro della battaglia di Adrianopoli, la peggiore disfatta mai subita da un esercito romano, da cui l'Impero non riuscì mai a risollevarsi completamente. In realtà, però, i Visigoti guadagnarono ben poco da questa vittoria e, nel 382, quando il nuovo imperatore Teodosio I riuscì a placarli, firmarono un trattato con i Romani, secondo il quale si sarebbero stabiliti in Tracia e in Moesia (Balcani meridionali) e, in cambio di questa concessione di territori, che rimanevano soggetti all'Impero ma che erano esentati da ogni tassazione, avrebbero fornito guerrieri (comandati da ufficiali goti) all'esercito imperiale. Da quel momento in poi, molti Visigoti si stabilirono effettivamente nell'odierna Bulgaria, trasformandosi in agricoltori (noti con il nome di Moeso-Goti), divenendo parte importante dell'Impero di Bisanzio, ma, politicamente, le relazioni tra Costantinopoli e i Visigoti cominciarono a deteriorarsi fortemente già alla morte di Teodosio I, nel 395, quando l'impero venne nuovamente diviso tra i suoi due figli, Arcadio ad est (395-408) e Onorio (395-423) a ovest (12).Nell'ultima decade del IV secolo, un avventuriero di nome Alarico prese sempre più potere tra i Visigoti, venendo riconosciuto, infine, come capo indiscusso del suo popolo. Il suo programma era molto chiaro: voleva trovare un territorio indipendente in cui la sua gente potesse stabilirsi per sempre. Reso furioso dalle durissime condizioni del servizio militare imposto ai Visigoti, Alarico, nel 395, guidò le sue truppe direttamente contro Costantinopoli, ma venne persuaso dai messi imperiali a rivolgere la sua armata contro la Grecia, arrivando a conquistare anche Atene. A questo punto, Alarico, dopo essersi proclamato re dei Visigoti, si mosse verso l'Illirico (odierni paesi dell'ex-Yugoslavia) e, da lì, scelse come obiettivo addirittura l'Italia. In Italia, Onorio viveva a Ravenna completamente separato dal popolo e nel lusso e lasciò il suo reggente, il generale vandalo Stilicone, ad occuparsi dell'invasione di Alarico, che si concretizzò nel 403. La rivalità tra questi due "mercenari" germanici doveva diventare quasi leggendaria. Stilicono utilizzò ogni sorta di strategia, inclusa la corruzione, per tenere i Visigoti lontani da Roma ma, dopo che il generale vandalo venne ingiustamente condannato a morte per tradimento, Alarico ebbe la possibilità di mettere la Città Eterna sotto assedio e, nel 410, di catturarla e saccheggiarla (13). Erano ottocento anni che nessuno violava le mura di Roma e San Girolamo scrisse: "Il mondo sta cadendo in rovina. Sì, ma, ci si vergogna a dirlo, i nostri peccati ancora vivono rigogliosi. La celebre città, la capitale dell'Impero Romano viene ingoiata da un tremendo fuoco e non vi è luogo della terra dove i Romani non siano in esilio" (14). Fortunatamente, Girolamo esagerava. In effetti, ben pochi vennero uccisi e solo le case dei nobili vennero saccheggiate. Il foro venne dato alle fiamme ma le chiese non furono toccate e Alarico organizzò persino una processione a San Pietro per presentare doni e tesori al Papa. Alarico morì poco dopo il "Sacco di Roma", dopo breve malattia ma, alla sua morte, i Visigoti non avevano ancora ottenuto una terra loro (15).
Il nuovo re Ataulfo, decise allora di muovere il suo popolo verso ovest, attraverso Genova e Marsiglia e poi, oltrepassati i Pirenei, in Spagna. Lungo tutto il percorso i Visigoti vennero utilizzati dagli imperatori d'Occidente come "clienti" contro una gran varietà di nemici barbari, inclusi gli Svevi, nella cui sconfitta ebbero una parte di rilievo. Dal 415 al 418, sotto il re successivo, Wallia, i Visigoti estesero il loro dominio su gran parte della Spagna settentrionale e della Gallia meridionale, ponendo la loro capitale a Tolosa. A Wallia successe il figlio di Alarico, Teodorico I, che morì combattendo come alleato di Roma contro gli Unni nella già menzionata battaglia di Châlons.
Dopo
questo episodio, i Visigoti vennero
stanziati in Aquitania come
"foederati" di Roma e, gradualmente,
resero questa regione il loro regno,
espandendolo sempre più verso sud
(ad esempio, la Catalonia deriva il
proprio nome dal termine
"Gotalonia", cioè area dei Goti).
L'amministrazione provinciale romana
venne sempre mantenuta e molti
ufficiali romani continuarono a
prestare servizio sotto i nuovi
sovrani barbarici. Il regno fu, comunque, sempre scosso da problemi interni ed esterni. la sovranità era formalmente elettiva e molto spesso i potenti nobili visigoti finivano per fronteggiarsi nel tentativo di fondare una dinastia regnante. Per quanto riguarda i pericoli dall'esterno, i Bizantini e i Franchi minacciavano continuamente i confini. Per tentare di instillare maggior lealtà nei suoi sudditi romani e cristiani, Alarico II, nel 506, arrivò addirittura ad emanare quella che oggi definiremmo una sorta di costituzione, nota con il nome di "Breviario di Alarico", ma, l'anno successivo, il re venne ucciso nella disastrosa battaglia di Vouillé, in cui i Franchi di re Clovis I quasi decimarono l'esercito visigoto. A seguito di questa sconfitta, gran parte della Provenza venne separata dal dominio gotico e il regno visigoto si ridusse unicamente alla zona spagnola. Nonostante i tentativi di una lunga serie di re di mantenere il regno unito, il potere visigoto declinò progressivamente. L'ultimo re goto di Spagna, Roderico, fu sconfitto e probabilmente ucciso dai Mori nella battaglia di Rio Barbante, nel 711. Nel 713 la Spagna era già quasi tutta in mano ai musulmani, mentre i Visigoti venivano confinati al solo regno cristiano indipendente delle Asturie (16), ultimo territorio in mano ad un popolo che aveva fatto della capacità di assorbimento di culture più raffinate della propria e della tolleranza sociale, politica e religiosa il suo punto di maggior forza.
NOTE:
(1) H.Wolfram,
T.J. Dunlap,
History of
the Goths, University of California
Press, Berkley 1990, pp. 142 ss.
(2) N. Fields, The Hun: Scourge of God AD 375-565, Osprey Publishing, Edlin 2006, p. 61. (3) T.S. Burns, A History of the Ostrogoths, Indiana University Press, Gary 1991, pp. 36 ss. (4) T. Hodgkin, Theodoric the Goth the Barbarian Champion of Civilisation, G.P. Putnam's Sons, London 1891, passim. (5) T.S. Burns, cit., p. 53. (6) T. Hodgkin, cit., p.87. (7) Citato in S. Barnish, F. Marazzi, The Ostrogoths from the Migration Period to the Sixth Century: An Ethnographic Perspective, Boydell Press, Rochester 2007, p. 361. (8) T. Hodgkin, cit., p. 137. (9) P. Verzone, The Art of Europe: the Dark Ages from Theodoric to Charlemagne, Crown Publisher, London 1968, pp. 31-46. (10) Chris Wickham, Early Medieval Italy, Palgrave Macmillan, Bristol 1968, pp. 64-81. (11) E. Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, Phoenix Press, New York 2005, p. 241. (12) A.Ferrreiro, The Visigoths: Studies in Culture and Society, Brill Academic Publishers, Boston 1998, passim. (13) Ivi. (14) Eusebio Hieronymus, Sermones, II, 23. (15) A.Ferreiro, cit., pp. 207-209. (16) R. Collins, Visigothic Spain 409 - 711, Wiley-Blackwell, York 2006, passim.
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©2008 Lawrence M.F. Sudbury