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Probabilmente
grazie
sia all'arco temporale della sua esistenza che all'enorme estensione
del suo insediamento, la civiltà scita ci ha lasciato numerosissime
vestigia che ci hanno aiutato a comprendere come, pur nella sua estrema
differenza rispetto alla cultura classica greca, si trattasse di una
società piuttosto complessa e notevolmente più avanzata di quanto si
potrebbe pensare semplicemente leggendo i resoconti degli storici greci
(i quali, ovviamente, spesso descrivevano gli Sciti vedendoli come
nemici).
E', dunque, necessario prima di tutto analizzare quali siano i lasciti archeologici sciti in grado di fornirci prove documentali sul loro sistema di vita e, in seguito, comprendere che cosa tali fonti ci possano dire riguardo ad una delle civiltà più misteriose e affascinanti del mondo antico.
In
linea generale, i resti archeologici più importanti degli Sciti sono
dati dalle tombe a tumulo dette Kurgan (che vanno da semplici esempi di
tumulazione agli elaborati "kurgan reali" contenenti la
cosiddetta la "triade scita" di armi, finimenti per
cavalli
cavalli, e statuette di animali in metalli preziosi ), nelle quali
sono stati trovati oro, seta, resti di sacrifici di
animali e, in alcune località, anche tracce di presunti sacrifici
umani. Nella maggioranza dei casi, tra l'altro, l'utilizzo di
tecniche di mummificazione e la presenza del permafrost hanno aiutato
nella
conservazione di alcuni resti, con il risultato di poter avere oggi una
idea piuttosto chiara della struttura fisica e dello stile di vita
delgi antichi Sciti [1].
Se è, dunque, vero che anche alcuni resti urbani fortificati nel nord del Ponto possono essere utili alla comprensione di questa civiltà, è proprio dai kurgan, in particolare dai più importanti, rinvenuti ad Arzhan, a Tuva e a Steblev che deriva la nostra conoscenza su questo popolo e la periodizzazione che gli archeologi hanno attribuito ai suoi stadi evolutivi, schematizzabili come segue: 1 ° periodo - periodo "pre-scita" e iniziale epoca scita, dal IX alla metà del VII secolo aC ; 2 ° periodo - inizio dell'epoca scita classica, dal VII secolo aC al VI secolo; 3 ° periodo - epoca classica scita, dal V al IV secolo aC Nell'arco di tempo che va dall'VIII al II secolo aC, comunque, si registra chiaramente una scissione di due rami sciti in due distinte aree di insediamento: la più antica nella zona dello Sayan-Altai, in Asia centrale, e il più recente nella zona a nord del Ponto in Europa orientale . E' nella prima di tali aree che troviamo i kurgan (tal turco "kurhan", "castello") più imponenti (alcuni di più di 20 metri di altezza), che punteggiano le steppe dell'Ucraina e della Russia meridionale, estendendosi in grandi catene per molti chilometri lungo le creste montuose e i bacini idrici, e che forniscono la maggior parte dei resti archeologici di valore connessi con gli Sciti. Che punteggiano le steppe dell'Ucraina e della Russia meridionale, che si estende in grandi catene per molti chilometri lungo le creste e bacini idrici [2]. Proprio in queste stesse zone è possibile rinvenire una quantità impressionante di "tamgas" (elaborati marchi che identificano il possesso individuale), che le tribù e i clan hanno lasciato dietro di sé come importanti marcatori etnologico tipici di una società pastorale con pascoli comuni e che consentono oggi la ricostruzione dei movimenti e dei legami familiari di una società i cui documenti scritti non sono sopravvissuti. Oltre a individuare le proprietà, infatti, i tamgas segnavano anche la partecipazione dei membri del clan in azioni collettive (trattati, cerimonie religiose, fraternizzazione, funzioni pubbliche), e servivano come simboli di autorità per il conio delle monete e, dal momento che le loro forme sono rimaste invariate per circa 2000 anni all'interno di gruppi etnici affini, passando, dopo il declino di alcuni clan famosi, ad altri clan omologhi, il loro utilizzo (in particolare quello di tamgas originari del Turkestan occidentale e della Mongolia rinvenuti nell'area del Bosforo) ha permesso agli studiosi di definire con precisione genealogie e rotte migratorie che, dalle pianure centrali e dalle zone del Ponto, rimandano a terre anche molto lontane, quali il Chorasm, il Kang-Ku, la Battriana e la Sogdiana [3]. Resta, comunque, il fatto che la fonte in assoluto più importante in nostro possesso è data da una serie di kurgan della prima Età del Bronzo scoperti a Pazyryk, nel distretto Ulagan della Repubblica dell'Altai, a sud di Novosibirsk, che sono stati la vera chiave che ha permesso una più profonda conoscenza degli Sciti: si tratta di cinque tumuli di grandi dimensioni e di numerosi tumuli più piccoli, scoperti tra il 1925 e il 1949 e formati da camere di tronchi di larice coperte da grandi massi e pietre. Tra essi, particolarmente importante è quello aperto nel 1947 dall'archeologo russo Sergei Rudenko, forse il più grande studioso di queste sepolture, in cui sono stati rinvenuti il famoso "Tappeto di Pazyryk", il più antico tappeto orientale in lana giunto fino ai nostri giorni, e un carro funebre del V secolo aC in perfetto stato di conservazione. Lo stesso Rudenko non solo ha fornito dimostrazioni definitive della fioritura di una civiltà scita nell'area tra VII e III secolo aC, ma ha anche provato che tale civiltà non è autoctona o mescolata a tribù nomadiche altaiche , ma si è conservata "pura" lungo tutto il corso della sua storia. Recente, poi, un'altra scoperta di grandissima importanza è avvenuta a Belsk vicino a Poltava (Ucraina): qui gli archeologi guidati da Boris Shramko hanno scoperto una "grande" città, con un'area tale (circa quaranta chilometri) da renderla probabilmente il più grande insediamento urbano del suo tempo e hanno ipotizzato che potesse trattarsi di Gelonus, la capitale della Scizia già menzionata da Erodoto. La sua posizione al margine settentrionale della steppa ucraina avrebbe consentito il controllo strategico del commercio sulla rotta Nord-Sud e, a giudicare dai reperti datati intorno al V e IV secolo aC, essa doveva abbondare di botteghe artigiane e di ceramiche importate dalla Grecia. Infine, un ultimo sito di estrema importanza è quello trovato nel 1968 a Tillia Tepe (letteralmente "la collina d'oro"), nel nord dell'Afghanistan (ex Bactriana), vicino a Shebergan, e consistente nelle tombe di cinque donne e di un uomo estremamente ricco, la cui morte è databile attorno al I secolo aC. Tale scoperta ha fruttato migliaia di pezzi di alta gioielleria, di norma formati da combinazioni di oro, turchese e lapislazzuli. Ciò che più conta è che tali manufatti dimostrano un elevato grado di sincretismo culturale, con grandi influssi ellenistici sia in campo culturale culturale che artistico, evidenti in molte forme e raffigurazioni umane (addirittura con scritte in greco) e attribuibili all 'esistenza dell' impero seleucide e greco-regno battriano nella stessa zona fino a quando circa 140 aC e alla sopravvivenza del regno indo-greco nel sub-continente indiano nord-occidentale fino all'inizio della nostra era. Per altro, non solo gli Sciti subirono chiare influenze occidentali, ma certamente fecero da tramite perchè queste influenze, indirettamente, arrivassero fino alla Cina: l'influenza del "design" scita è chiaramente rintracciabile dall'VIII secolo aC nelle aree di confine (con i tipici animali d'oro e l'utilizzo di cinture a placche dorate) della Cina settentrionale e, più tardi, addirittura nella Cina centrale, con la cosiddetta "Civiltà di Dian Yunnan" e, seppure in forma molto mediata, nei gioielli e nelle corone coreane e giapponesi di epoca Kofun [4].
Sulle basi di tali scoperte,
oltre che degli studi etno-storici compiti nella seconda metà del XX
secolo sulle popolazioni nomadiche della bassa Siberia sulla base delle
descrizioni degli antichi storiografi, siamo in grado
oggi di avere una idea abbastanza precisa sulla cultura scita.
Innanzitutto, la lingua degli sciti, con i suoi vari dialetti, faceva parte della famiglia indoeuropea.. I nomi personali riportati nei testi letterari contemporanei greci e nelle epigrafi suggeriscono che essa, così come il dialetto dei Sarmati, appartenesse al ramo nord-orientale dell'Iranico, sebbene una teoria alternativa suggerisca che almeno alcune tribù scite, come i Meoti (Sindi), parlassero dialetti indo-ariani [5]. Dal punto di vista sociale gli Sciti vivevano in tribù confederate, con una forma politica di associazione volontaria il cui fine era la regolamentazione dell'utilizzo dei pascoli e l'organizzazione di forme di difesa comune contro gli sconfinamenti delle popolazioni nomadico-pastorali vicine. Mentre la produttività dell'allevamento di animali domestici superava di gran lunga quella riscontrabile nelle società agricole che circondavano le tribù scite, una economia unicamente pastorale rendeva necessario o sviluppo di alleanze con proprio con tali popolazioni agricole sedentarie, con le quali si creava una sorta di rapporto simbiotico fondato sullo scambio di prodotti agricoli in cambio di prodotti zootecnici e di protezione militare [6]. Una leggenda riportata da Erodoto narra che alla base dell'intero popolo scita vi fossero tre fratelli, il più giovane dei quali, sulla base di segni divini, fu scelto come re [7]. Ciò, molto probabilmente, corrisponde alla divisione degli Sciti in tre macro-gruppi distinti, Auchatai, Transpiani e Paralatai (o, significativamente, "Sciti Reali", essendo il gruppo dominante), che, uniti, formavano il popolo degli Scolotoi ("coloro che viaggiano"), in seguito dagli Elleni definiti, appunto "Sciti". Sempre secondo leggende interne al popolo, il processo di sviluppo di tutti e tre i gruppi sarebbe avvenuto all'incirca in un arco di mille anni, dal primo re Targitaos al passaggio di Dareios (l'imperatore persiano Dario I, che attaccò i clan scitici verso il 512 aC). Particolarmente significativo per noi è soprattutto la presenza di un nucleo dominante, quello degli Sciti Reali, o, secondo altre fonti, dei "Dahae Reali", che avrebbe assoggettato gli altri due: i kurgan di cui si è parlato in precedenza, in effetti, potrebbero appartenere unicamente a quest'ultimo nucleo, dimostrando l'esistenza effettiva di una potente élite reale di cui tutti i popoli circonvicini (compresi gli Sciti degli altri clan) sarebbero stati tributari [8]. Secondo il grande studioso Georges Dumézil, comunque, la divisione in tre gruppi non dovrebbe essere spiegata in termini di clan, ma, piuttosto, in termini di tripartizione di classi sociali, con i guerrieri che hanno la preminenza du i sacerdoti e sui contadini e formano, come tipico delle prime società indo-europee, lo strato più alto nella gerarchia socio-politica. Quale che sia l'interpretazione più corretta, resta il fatto che gli Sciti fossero governati da una élites guerriera nota in tutta l'Asia per la sua abilità nell'uso dell'arco e, per questo, spesso richiesta dagli imperi mediorientali al cui servizio mercenario i guerrieri sciti si ponevano saltuariamente, facendo del mestiere della guerra una fonte di reddito di notevole importanza. Non sembra che vi fosse alcuna differenziazione in questo senso tra uomini e donne: i kurgan di Pazyryk, in particolare un kurgan ritrovato nel 1990 in cui sono stati trovati corpi sia maschili che femminili, mostrano come sia maschi che femmine si vestissero in guerra allo stesso modo e avessero in egual misura un corredo di armi comprendente punte di freccia e asce [9]. Dal punto di vista culturale, una delle questioni più dibattute riguarda la capacità scrittoria. Per quanto ne sapevamo fino a qualche anno fa, gli Sciti non sembravano avere alcun sistema di scrittura, tanto che, fino a recenti sviluppi archeologici, la maggior parte delle nostre informazioni su di loro veniva dai Greci, ma la scoperta del "tesoro di. Ziwiye", una sepoltura piena di manufatti d'oro, d'argento e d'avorio trovata vicino alla città di Sakiz, a sud del Lago di Urmia, e databile tra il 680 e 625 aC, ha aperto nuove prospettive: un piatto d'argento, infatti, porta alcune iscrizioni che, benché non ancora decifrate, con ogni probabilità rappresentano una forma di scrittura scitica [10]. Erodoto descrive l'aspetto e gli usi di questo popolo in dettaglio: il loro costume consisteva in pantaloni di pelle imbottita e trapuntata infilati negli stivali, in tuniche aperte, berretti di pelo di forma conica e cappotti di pelliccia; segni distintivi erano placche d'oro cucite sulle giubbe e sulle cinture per gli uomini e sugli scialli (unico capo che distingueva maschi e femmine) per le donne; tutti cavalcavano senza staffe o selle, solo con un panno sul dorso dei cavalli e sapevano creare veleni di vario genere in cui intingere le punte delle loro frecce; infine, certamente facevano largo uso di cannabis, sia per tessere vestiti che per purificarsi aspirandone il fumo (l'archeologia ha, tra l'altro, confermato l'uso di cannabis nei riti funebri) [11].
Le credenze religiose
degli Sciti erano di tipo pre-zoroastriano. Al primo
posto
nel loro pantheon vi era Tabiti, poi sostituito da
Atar, il dio del
fuoco del pantheon delle tribù iraniane, e da Agni, il dio del fuoco
degli
Indo-Ariani. Il culto scita dimostra una fase religiosa più arcaica
rispetto ai sistemi zoroastriani e indù: il
menzionato utilizzo della canapa per
indurre la divinazione e la trance negli indovini, ad esempio, era una
caratteristica
tipica delle società tribali magistiche arcaiche, che si viene poi
perdendo nelle formalizzazioni classiche [12] .
Forse la forma artistica per cui gli Sciti sono più famosi è la gioelleria, in cui emerge particolarmente la capacità sincretica di questo popolo. I primi gioelli in nostro possesso tendono alla raffigurazione realistica della realtà circostante, con particolare interesse per figure umane maschili, sempre rappresentate con lunghe barbe e capelli, ma, in seguito ai contatti con artigiani nelle colonie greche lungo le coste settentrionali del Mar Nero, le rappresentazioni si fanno via via più stilizzate, con chiarissimi influssi dall'arte pittorica e ceramistica ellenica. Resta, comunque, in tutto il periodo storico di sviluppo della civiltà scita un gusto molto sviluppato per l'elaborazione personale di gioielli, armi e ornamenti per cavallo, in cui progressivamente si fondono motivi tipicamente asiatici, con raffigurazione di animali selvaggi (grifoni alati che attaccano cavalli, combattimenti con cervi, caprioli e aquile, etc.), con motivi di origine greca e legati alla vita quotidiana e alla cura di animali domestici. Naturalmente, più ci si spinge a oriente e più tale influenza greca si va attenuando, fino al caso estremo del ritrovamento del cosiddetto "kurgan Barrow", una sepoltura reale rinvenuta nel 2001 vicino a Kyzyl, capitale della repubblica siberiana di Tuva , in cui le 44 libbre d'oro scoperte addosso ad una coppia di defunti non mostra traccia di influenza greca, quanto, piuttosto, uno stile molto massiccio e strettamente naturalistico. [13] NOTE:
(1)
E.Reeder, M.Treister, Scythian Gold, Harry N. Abrams 1999, pp. 12 ss.
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©2009 Lawrence M.F. Sudbury