 Metà
circa dell'Europa, più o meno corrispondente all'ex blocco
orientale, ha, con la sola eccezione di Romania e Ungheria, la
caratteristica di essere etnicamente riconducibile ad un solo
nucleo, quello slavo. Eppure, lo studio delle origini di questa
etnia così fondamentale per la storia europea presenta ancora
moltissimi lati oscuri, legati, soprattutto, alla mancanza di
elementi documentali certi.
Di base, lo studio delle origini proto-slave, che risulta,
ovviamente, essere uno dei temi storiografici più importanti
della storiografia dell'Europa orientale, può avvenire solo
atttraverso un incrocio dei risultati di più discipline
(linguistica, etimologia, onomastica, etnologia, archeologia,
antropologia, storia e folklore) ma le vie preferenziali non
possono che risultare quella storico-archeologica e quella
linguistica [ 1]:
solo attraverso esse è possibile tentare di gettare maggior luce
su periodi riguardo i quali il buio è pressochè totale.
La
prima menzione che possiamo ritenere legata agli Slavi la
troviamo nella Storia Naturale
di Plinio il Vecchio, nel I secolo: trattando di un commerciante
romano inviato da patroni di giochi circensi nella regione
baltica in cerca di ambra, egli fa, infatti, riferimento alle
tribù che vivono lungo il fiume Vistola accanto ai Sarmati e ad
altri popoli della regione e, in questo quadro, nomina i "Wend",
o Veneti, dicendoci, così di un gruppo slavo stanziato nel cuore
dell'Europa. Un'altra fonte notevole di questo stesso periodo è
Tacito, che fa un riferimento paritetico e, sebbene descriva i
Veneti un po' più nel dettaglio, non sa decidersi se includerli
tra i Germani o i Sarmati, propendendo, comunque, per il loro
nome, per la prima soluzione.
Nel
II secolo è l'astronomo e geografo greco Tolomeo, nella sua
Guida alla Geografia, a
parlarci del centro slavo di Calisia (Kalisz), al tempo
probabilmente un importante insediamento sulla via dell'ambra
che collega l'Adriatico con la costa Baltica e il cui percorso è
stato ricostruito dagli archeologi grazie al rinvenimento di
aree ricche di oggetti di provenienza romana, come brocche di
bronzo, secchi, pentole e padelle, bicchieri di vetro, monete
d'argento e statuette.
Fonti successive, del periodo durante e dopo la migrazione di
massa slava, comprendono Giordane, storico Goto del VI secolo
famoso per la sua opera Getica,
un cronista anonimo dello stesso periodo, noto come 'il Geografo
bavarese' e alcuni cronisti bizantini come Procopio e Costantino
Porfirogenito, che, però, ci forniscono poco più che
fugaci
accenni. Più legato allo studio delle origini della Polonia e
della storia polacca, ma anch'esso, di conseguenza, capace di
fornirci preziose informazioni sui proto-Slavi, è il lavoro di
Ibrahim Ibn Jakub, uno scriba ebreo moresco spagnolo del X
secolo. La prima cronaca completamente incentrata sugli Slavi è
quella riguardante il re polacco Boleslao III Krzywousty scritta
da un monaco benedettino francese, conosciuto come "Gallus
Anonymus", nel XII secolo, mentre di circa 100 anni seguente è
il primo testo scritto da uno slavo, Wincenty Kadlubek, Vescovo
di Cracovia (1150 - 1223 d.C.), particolarmente importante
perché relativo alle migrazioni di massa e basato fortemente
sulla epica popolare polacca, ceca e russa.
Tutti questi testimoni oculari hanno una cosa in comune: hanno
pensato agli Slavi come un popolo separato, differenziato dagli
altri popoli d'Europa in termini di lingua, cultura, aspetto
fisico, atteggiamento e temperamento [2].
E si tratta di un elemento di estrema importanza, che contrasta
fortemente con un forte filone di studi di slavistica, nato con
Johann Christoph de Jordanes e il suo
De Slavicis Originibus
del 1745, che vorrebbe gli Slavi non come una popolazione
etnicamente a sé stante ma come un insieme di gruppi separati,
uniti unicamente da occupazioni agricole più che bellicose e da
moti di migrazione comuni, provenienti da almeno quattro aree
differenti:
- area della Lusazia (cultura lusaziana - II millannio a.C.);
- area di Milograd (cultura di Milograd - dal 700 a.C. al 100
d.C.);
- area di Chernoles (cultura di Chernoles - dal 750 al 200
a.C.);
- area danubiana (ipotesi Trubachyov) [3].
Contro
questa teoria si è da sempre scagliata la scuola unitarista,
tipicamente presente nell'Europa orientale, che sostiene la
necessità che l'antichità del popolo slavo, parte della grande
famiglia indo-europea, come nucleo identificato sia, di fatto,
ben precedente alle sue prime menzioni in fonti storiche [4]
e che esista un'area primaria autoctona per il suo sviluppo.
Recenti studi [5]
tendono ad identificare tale area proto-slava come compresa in
una mezzaluna che va dalla Polonia sud-occidentale all'Ucraina
nord-orientale, con centro nell'odierna Republica Slovacca,
detta "Culla Slava", in cui gli scavi archeologici hanno dato
riscontro sull'esistenza, intorno al 1.500 a.C., di una cultura
omogenea che presenta numerosi legami con quella degli Slavi
posteriori. Mancano, però, ancora le ultime certezze legate agli
studi genetici: sebbene sia possibile definire una "tipologia
slava", non esistono certezze scientifiche sulla possibilità di
individuare un aplogruppo comune per tutti i popoli slavi
odierni (probabilmente a causa del loro mescolamento con le
tribù circonvicine) e, di conseguenza, di confrontarlo
scientificamente con quello rinvenuto negli scavi della "Culla".
Anche a causa di ciò è utile, in ogni caso differenziare lo
sviluppo successivo, da questo primo proto-nucleo, in tre rami
separati, coincidenti con le macro-suddivisioni slave attuali:
slavi orientali, slavi orientali e slavi meridionali, ma tutti,
comunque, legati al nucleo originario primario.
- IL CONTRIBUTO
DELLA LINGUISTICA
Anche
la linguistica parrebbe confermare la possibilità di
definire un gruppo coeso e fortemente identificato
rispetto ai popoli circostanti: non appare casuale che
la parola "slavo" o "slowianin" derivi dal termine slavo
per parola, "Slowo" (con il significato di "coloro che
hanno il dominio sulla parola", "che sanno parlare") e
che il termine autoidentificativo per la denominazione
di tutti i popoli slavi fosse "slovjeni' o "slaveni",
con ciò intendendo "coloro che (tra loro) si capiscono",
in contrapposizione con il termine identificativo per i
popoli germanici, denominati "Nijemcima", cioè "i muti",
"gli incomprensibili". Se è vero che, come sottolineato
da Herder [6],
la lingua è "il fattore
determinante nella formazione di un tipo particolare
cultura e visione del mondo", abbiamo, nello
sviluppo di un idioma autoctono slavo, una ulteriore
riprova di una origine comune di tutti gli Slavi
europei.
Ma
è possibile andare anche oltre: gli studi
paleo-linguistici hanno ampiamente dimostrato che tutti
gli Slavi parlavano, un tempo, un idioma assolutamente
indifferenziato (le migrazioni e le separazioni
territoriali porteranno solo in seguito alle attuali
differenziazioni) definibile "proto-slavo", la cui
analisi risulta particolarmente utile per definire
l'area originaria del proto-nucleo slavo: il botanico
polacco J. Rostafinski, ad esempio, proprio analizzando
il proto-slavo, ha potuto sostenere che la patria
originaria degli Slavi dovesse essere priva di faggi,
larici e alberi di tasso dal momento che in tutte le
lingue slave i termini relativi a quegli alberi sono
presi a prestito da parole straniere di origine
germanica e che, sulla base della distribuzione di tali
alberi, fosse possibile individuare la patria ancestrale
degli Slavi nelle paludi lungo il fiume Pripet, appunto
in quella che abbiamo definito la "Culla Slava" [7].
La lingua proto-slava era probabilmente ancora
comune a tutti gli Slavi alla fine dell'VIII secolo
d.C., periodo dopo il quale le contaminazioni alloctone
si fecero più evidenti, rendendo impossibile per gli
Slavi di zone differenti una comunicazione senza intoppi
come nel periodo precedente.
- LE GRANDI MIGRAZIONI DI MASSA
Tali
contaminazione derivavano più che altro dalle grandi
distanze che si erano venute a creare tra nuclei
differenti a causa delle accennate grandi migrazioni.
Durante gli anni tra il 1.500 a.C. e il 100 d.C. avevano
avuto luogo già alcune prime migrazioni minori, che,
però, risultavano comunque interne all'area della
"Culla" ed erano dovute essenzialmente all'ambiente
ostile delle paludi di Pripet, che costringeva gli Slavi
a migrare in tutte le direzioni per linee concentriche.
Gli studi archeologici [8]
ci mostrano i proto-Slavi come contadini nomadi che
praticavano primitive forme di agricoltura e come
cacciatori che inseguivano branchi di prede per mesi:
proprio questo dato fa pensare che la loro migrazione in
questa fase non fosse legata ad uno stile di conquista
violenta di nuove zone da parte di guerrieri , ma ad una
colonizzazione pacifica da parte di contadini che si
muovevano con tende per gruppi familiari.
Particolarmente
interessante è lo studio di Lubor Niederle [9],
che teorizza una correlazione diretta tra clima e
morfologia dell'area primaria e forme di civiltà
sviluppate: dato che le condizioni naturali delle paludi
di Pripet erano sfavorevoli, gli Slavi avrebbero creato
forme di organizzazione sociale basate sulla
cooperazione tra famiglie numerose ("zadruga"),
sull'uguaglianza sociale e sulla democrazia, cosa questa
che avrebbe limitato i tentativi di centralizzazione
economica o politica di potere. Il risutato di questo
sistema egualitario, oltre che del clima rigido delle
paludi, sarebbe stato un basso livello di civiltà
rispetto agli altri popoli proto-europei, visibile anche
nelle semplicissime (per quanto profondissime) forme di
culto religioso, unicamente legate ai cicli della natura
e che prevedevano sacrifici rituali per favorire l a
fertilità del suolo (probabilmente risultanti da una
influenza gota),
ma
che non andarono mai a formare una costruzione
mitologica compiuta, se
non in relazione ad un
culto solare (o del fulmine) di chiara derivazione
iranica. Allo stesso modo, l'incapacità di
organizzazione politica gerarchica, negata dallo stile
cooperativo della società, li portò ad essere dominati
in successione dagli Sciti, dai Sarmati, dai Goti, dagli
Unni, e dagli Avari, con i quali condivisero in parte
l'espansione verso ovest, quasi sempre dopo essere stati
ridotti in stato di schiavitù [10].
Ciò
risulta particolarmente evidente dagli scavi compiuti in
quello che può essere considerato il maggior
insediamento primario della "Culla", il borgo
fortificato di Biskupi, sorto intorno al 450 a.C.
nell'area raggiunta nel VII-VI secolo a.C. dalla cultura
protoslava originaria delle regioni della Lusazia, della
Slesia e della Wielkopolska. E' da questa zona che partì
il primo raggio migratorio a lunga distanza slavo,
quello legato ai Veneti che, probabilmente in un periodo
di particolare crisi alimentale, nel I secolo a.C., si
impegnarono in una lunga marcia verso sud, superando i
valichi alpini e stabilendosi nella fertile area padana.
Dai manufatti rinvenuti nell'area veneta è possiblile
comprendere come, comunque, questo "Gruppo Wend",
probabilmente non considerato pericoloso dagli
autoctoni, si fondesse completamente, nell'arco di un
paio di secoli (cioè in un periodo relativamente breve)
con la popolazione locale, assumendone le
caratteristiche culturali (ad esempio l'alfabeto di
origine etrusca), differenziandosi nettamente dal nucleo
originario e raffinando le proprie competenze in materia
di fusione di oggetti metallici a differenza degli
"Slavi stanziali" che erano fermi allo sfruttamento del
patrimonio ligneo sia per la costruzione di utensili
agricoli che di mezzi di trasporto.
Quello
dei Veneti, comunque, rimase un caso piuttosto isolato.
Anzi, proprio la stanzialità (o meglio il cortissimo
raggio nomadico) dei proto-Slavi potrebbe far pensare a
loro come al "ramo più puro" degli Indoeuropei, toccati
solo marginalmente da contatti con predoni sciti (che
distrussero Biskupin nel 400 a.C.), ma sostanzialmente
chiusi nella loro patria ancestrale per quasi 2000 anni,
anche per la loro totale permeabilità alle invasioni
staniere che non li portò a "venir spinti" verso
sud-ovest (e che, probabilmente, portò a ritardi di
sviluppo sociale a causa del loro isolamento) [11].
Chi rimase in questa situazione più lungo (anzi, in
realtà, non ne uscì mai) furono gli odierni Slovacchi,
la cui dislocazione è situata praticamente al centro
della Culla Slava: la prova evidente di ciò si ha dagli
studi folkloristici che mostrano come non esista, in
Slovacchia, alcuna saga relativa a spostamenti fuori
dalla zona d'origine, al contrario di quanto rinvenibile
nella "mitologia nazionale" polacca, ceca o russa [12].
Una ulteriore prova è data dalla linguistica: la
facilità di comprensione da parte dei madrelingua
slovacchi di qualunque altra lingua slava può essere
ritenuta prova del fatto che lo slovacco sia rimasto più
prossimo al substrato linguistico comune protoslavo.
Probabilmente,
invece, il gruppo che si mostrò propenso al movimento fu
quello croato: ancora una volta è il retaggio
folkloristico che ci parla di "cinque fratelli
slavi e due sorelle che portarono i Croati dalla zona
intorno a Cracovia, in Polonia, nei Balcani" nel VII
secolo, fatto questo che presenta riscontri storici dal
momento che sia gli scavi archeologici che le cronache
medioevali permettono di sapere che il primo regno di
Croazia, la cosiddetta "Croazia Bianca", non era situata
in Dalmazia, ma tra Polonia, Boemia e Slovacchia (non è
un caso che il primo santo patrono della Polonia, San
Wojciech o 'Wojciech degli Slavi' fosse un croato
bianco) [13].
 In
realtà gli Slavi emersero dall'oscurità proprio con
l'inizio delle loro migrazioni, tra V e VI secolo: tali
migrazioni, inizialmente, ebbero un carattere
assolutamente pacifico, con un movimento verso le terre
abbandonate dalle tribù germaniche in fuga dagli Unni e
dai loro alleati. A grandi gruppi gli Slavi lasciarono
la "Culla", in cui le condizioni di vita si erano
ulteriormente deteriorate a causa del progressivo
impoverimento agricolo dell'area, e si mossero verso
ovest nell'area tra l'Oder e la linea Elba-Saale, verso
sud in Boemia, Moravia, in gran parte dell'odierna
Austria, verso la pianura pannonica ed i Balcani e verso
nord lungo il corso settentrionale del fiume Dnieper.
Certamente, intorno al VI secolo gli Slavi apparvero ai
confini bizantini in gran numero e, a questo punto, la
loro penetrazione si fece meno pacifica, con scontri che
assicurarono loro persino alcune zone del Peloponneso e
dell'Asia Minore.
Con ogni probabilità, furono proprio le necessità
imposte dai lunghi spostamenti a portare gli Slavi a
dotarsi dei primi rudimenti di organizzazione statale,
con gruppi tribali ognuna guidato da un principe e con
una forza di difesa e a differenziarsi in classi sociali
[14]. Sicuramente fu proprio questo elemento a portare
allo sviluppo dei primi stati slavi in Europa centrale
(come quello descritto dal mercante franco Samo, che, in
ogni caso, probabilmente non sopravvisse al suo
fondatore, il
 Regno
di Carantania, il Principato di Nitra e il Principato di
Moravia) che, da un nucleo omogeneo, furono in seguito
separati dall'espanione magiara e dalla germanizzazione
dell'Austria.
Con la formazione di questi nuovi stati, si ebbe un
movimento di slavizzazione delle popolazioni
pre-esistenti, che risultò particolarmente forte a sud
(con l'inglobamento di Traci e Illiri) e a est (con
Variaghi scandinavi e Finni) e
 di
mescolamento che portò allo sviluppo di caratteristiche
nazionali distinte.
In ogni caso, le nazioni slave continuarono a rimanere
piuttosto omogenee al proprio interno e poco permeabili
a contatti con altri popoli: quando Carlo Magno fu
incoronato imperatore nell'anno 800 d.C., sapeva meno
sulla superficie delle terre in cui abitavano i Slavi di
qualsiasi altra parte del continente europeo e il suo
dominio finiva lungo un confine più o meno equivalente a
quello della recentemente defunta "cortina di ferro".
Solo con l'assunzione del Cristianesimo, contemporaneo
al consolidato del loro dominio, i popoli slavi
cominciarono a prendere parte attiva nella storia e
nella politica europea, finendo per svolgervi un ruolo
cruciale di baluardo per l'intera cristianità contro le
invasioni mussulmane [15].
(1) V.V. Sedov,
Slavs in
Antiquity, Archeological Fund 1994,
pp. 8-23.
((2) F. Curta,
The Making
of the Slavs, Cambridge U.P. 2001,
pp. 14 ss.
(3) Così, ad esempio, in P. Geary,
The Myth of
Nations: The Medieval Origins of Europe,
Princeton U.P. 2003, pp. 116 ss.
(4) A partire dal primo
esponente della corrente, P. J. Safarik,
autore, nel 1795 di una monumentale
History of
Slovakia
(5) F. Curta,
citato,
passim.
(6) J.G: Herder,
Treatise on
the Origin of Language, Konigsberg
1772..
(7) Z. Golab,
The Origins of the Slavs: A Linguist's View,
Slavica Pub. 1992, pp. 46-69
(8) S. Plokhy,
The Origins
of the Slavic Nations, Hucherman
2007, passim.
(9) L. Niederle,
Slavic
Antiquities, Hepzel 1928, passim.
(10) I. Vukchevich,
Rex
Germanorum, Populos Sclavorum: An Inquiry
Into the Origin and Early History of the
Serbs/Slavs of Sarmatia, Germania, and
Illyria, University Center Press
2001, pp. 38 ss.
(11) A. Bell-Fialkoff,
The Role of
Migration in the History of the Eurasian
Steppe: Sedentary Civilization vs. 'Barbarian'
and Nomad, Palgrave Macmillan 2000,
pp. 151-183.
(12) P.M. Barford,
The Early
Slavs : Culture and Society in Early
Medieval Eastern Europe, Cornell U.
P. 2001, pp. 83 ss.
(13) D. N. Winland,
We Are Now
a Nation: Croats Between 'Home' and 'Homeland',
University of Toronto Press 2007, pp.
11-12.
(14) F. Curta,
citato,
pp. 108 ss.
(15) F. Dvornik, The Slavs
in European History and Civilization,
Rutgers University Press 1962, pp. 41-112,
passim.
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