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La storia ce li ha consegnati come la tribù barbarica più violenta e selvaggia, tanto che il loro nome è diventato appellativo comune per definire chi distrugge indiscriminatamente senza tener conto del valore artistico. In realtà, però, i Vandali non furono più bellicosi e “barbari” di molte altre tribù germaniche e la loro cattiva fama, in gran parte immeritata, è dovuta soprattutto a certa storiografia che, dal 1600 in poi, basandosi sulle descrizioni del “sacco di Roma” del 455 e sul culto imperante della “romanità”, ne volle fare l'epitome della distruttività degli invasori (1). Anzi, se è pur vero che a lungo i Vandali furono uno dei popoli con minori contatti (e conseguentemente con minor possibilità di assorbimento culturale) con l'Impero, è altrettanto vero che, in seguito, proprio l'assunzione di uno stile di vita e di condotta politica romano-bizantino segnò la fine della loro potenza guerriera, in una parabola storica quasi spengleriana di correlazione diretta tra progressiva civilizzazione e progressiva decadenza (2). Per rendersi conto di questo dato, è sufficiente una rapida carrellata su quanto sappiamo del loro processo “evolutivo”.
Come per ogni popolo antico con scarsi contatti esterni e fonti scritte piuttosto tarde, le nostre conoscenze sulle origini dei Vandali sono alquanto frammentarie e sostanzialmente legate a rilevamente archeologici e supposizioni linguistiche. In questo senso, alcuni storici tendono a identificare i Vandali con la cultura di Przeworsk (3) e a collegarli con quella mescolanza di tribù germano-slave chiamata dagli scrittori romani “dei Lugii”: alcuni arrivano addirittura a ritenere che “Lugii” sia il primo appellativo usato dai Vandali per definirsi(4), mentre la maggior parte degli studiosi ritiene che, più semplicemente, i Vandali facessero parte di una larga confederazione tribale “lugia”, unita su basi religiose. Certamente i Vandali sembrano essere accomunati ai Lugii di Przeworsk dall'uso della cremazione, piuttosto raro tra i germani continentali, ma è anche vero che la cremazione era una caratteristica propria di tutte le tribù baltico-pruissiane e che proprio da un passaggio nell'area baltica i Vandali potrebbero aver attinto questa usanza. Jordanes, il grande storico dei Goti, definisce i Vandali come Goti baltici (5), ma le differenze di costumi con le popolazioni proto-gotiche sembrano troppo marcate per azzardare ipotesi di distaccamento da un nucleo federativo principale in area gotico-orientale. Ciò che appare più probabile è quanto possiamo ottenere dallo studio toponomastico: la presenza di aree i cui nomi chiaramente richiamo i Vandali nel mondo scandinavo, in Norvegia (Hallingdal), Svezia (Vendel) e Danimarca (Vendsyssel), tenderebbe a far pensare ad una comune area generativa scandinavo-meridionale per Vandali, Rugi e Burgundi, con un passaggio del Baltico situabile intorno al II secolo a.C. ed uno stanziamento alle foci della Vistola, con una autoidentificazione tribale che inizia in questo periodo e la conseguente comparsa del termine “Wandili” che designerà il popolo poi chiamato dai Romani “Vandali”. Successivamente, nel I secolo a.C., sotto la pressione di Rugi e Burgundi, i Wandili si sarebbero mossi in direzione della Posnania meridionale e qui, sottomessi i celti Boi e ricevuto un apporto di nuovi immigrati, i Silingi dello Seeland, le varie tribù vandaliche si sarebbero effettivamente unite a tribù autoctone e slave (Wendi, Lusati, Polii), dando vita alla lega detta dei “Lugii” (che significa “dei compagni”) (6).
E' molto probabile che, comunque, Wandili e Silingi non si integrassero mai completamente, dal momento che risulta certo che, nella zona di più lunga stanzializzazione vandala, corrispondente all'odierna Slesia, nel I secolo d.C., i due gruppi vivessero in modo separato, con i gruppi più puri (i Wandili in senso stretto) che, dalla dinastia regnante, assunsero il nome di Hasdingi. Alleati di Roma nella guerra contro i Daci (inizi del II secolo d.C.), i Vandali, furono costretti dalla migrazione dei Goti e dall’attraversamento della Slesia da parte delle truppe longobarde dirette alla frontiera romana, a penetrare, guidati dai re Raus e Rapt, nell’Impero e a combattere, a fianco dei Marcomanni, contro Marco Aurelio nelle cosiddette "gerre marcomanniche" (167). Una volta sconfitti, i Vandali Harii o Hasdingi furono stanziati nella valle della Tisza superiore e costretti a fornire contingenti militari all’Impero. I Vandali Silingi della Slesia centrale (la parte orientale della "Magna Germania" di Tacito, presero parte, invece, alla metà del III secolo, alla sfortunata scorreria dei Burgundi in territorio romano: battuti dall'imperatore Aureliano sul fiume Lech in Rezia, finirono, come i loro "cugini" a prestare servizio nella cavalleria romana e si stabilirono temporaneamente nella Dacia e nella Pannonia occidentali (7). E' proprio nel lungo periodo di stanziamento in Slesia, comunque, che i Vandali assumono, a contatto con altri popoli germanici e, seppur solo parzialmente, con i Romani quelle caratteristiche che diventeranno più prettamente peculiari del loro popolo.
I
Vandali erano governati da due re (si pensi ad
Ambri e ad Assi, i due sovrani menzionati da
Paolo Diacono nell’episodio dello scontro in
Scoringia con i Longobardi) cui erano affidate
la "politica estera", la direzione della guerra
e la scelta dei capi. I re erano considerati
anche i mediatori tra il popolo e gli dei:
Wotan (Odino), il cui culto Per quanto riguarda l’economia, va ricordato che questi Germani praticavano l’allevamento del bestiame e, in misura minore, l’agricoltura e, dapprima con la mediazione dei celti della Boemia, poi dei Marcomanni e, infine, trattando direttamente con mercanti romani, il commercio dell’ambra. I contatti con i Romani indussero i Vandali, che erano armati di lancia, di giavellotto e di scudi lignei dagli umboni di ferro, ad adottare, al posto della lunga spatha, un’arma che imitava il gladio romano: lo scramasax. All’influsso romano va ascritta anche l’introduzione nella loro società degli schiavi, che, originariamente,erano ignoti ai Vandali come a tutti i Germani orientali (8).
Secondo
il Getica
di Jordanes gli Hasdingi vennero a
conflitto con i Goti verso l'inizio del IV
secolo, mentre il loro territorio cominciava
ad essere già ampiamente penetrato dai
Gepidi. Così, essi si ritrovarono ad essere
circondati "a
est dai Goti, a ovest dai Marcomanni, a nord
dagli Ermanduri e a sud dall'Istro" (9).
Poco prima del 330, il re goto Geberico
attaccò e uccise il re vandalo Visimar. Ai
Vandali non restò che intraprendere una
nuova migrazione che li ricongiunse ai
Silingi in Pannonia, dove Costantino il
Grande garantì loro terre sulla sponda
occidentale del Danubio e dove vissero per
una sessantina d'anni.
All’avvento degli Unni in Europa (375), i Silingi della Slesia ebbero la fortuna di mantenersi indipendenti dai nuovi arrivati. Invece, sotto la pressione unna, gli Hasdingi della Pannonia, unitisi agli Alani sarmatici, passarono in Rezia dove furono accolti, in qualità di "foederati", da Stilicone (10). I detrattori di questo generale "romano" che, com’è noto, era figlio di un ufficiale di cavalleria vandalo dell’imperatore Valente, insinuarono che il passaggio, nel 406, degli svevi Quadi, dei Vandali Hasdingi e, in una fase di poco successiva, di parte dei Silingi (quelli rimasti nella Slesia furono in seguito assorbiti dagli Slavi) in Gallia fosse stato favorito dal "traditore semibarbaro". In realtà, le armate imperiali di Stilicone si trovavano a quel tempo alle prese con i Goti di Radagaiso e, forse, ebbe un peso nel tentativo di assorbimento da parte del grande generale anche il fatto che, in quel periodo, i Vandali accettassero in massa il cristianesimo, seppur, come i Goti prima di loro, nella sua forma ariana (mentre Stilicone professava il cattolicesimo ortodosso) (11). In ogni caso, l’Impero tentò di contrastare l’avanzata dei Vandali in Gallia per mezzo dei suoi fedeli alleati Franchi, i quali massacrarono 20.000 Hasdingi e uccisero il loro re Godigisel. Fu il figlio di Godigisel, Gunderic, a sconfiggere, con l'aiuto sostanziale della cavalleria alana, i Franchi, a passare il Reno gelato nei pressi di Magonza (31 dicembre 406) e a condurre l’avanzata di Hasdingi, Silingi, Svevi e Alani alla volta di Treviri, Reims, Tournai, Amiens, Parigi e, verso sud, in direzione di Tours e di Bordeaux. Il caos disseminato dai Vandali, che saccheggiarono terribilmente tutte le regioni in cui passarono, permise agli Alamanni e ai Burgundi, insediati tra il Taunus e il Neckar, di penetrare a loro volta in Gallia e di impadronirsene (12). Gunderic, comunque, era poco interessato ad uno stanziamento in un'area così piena di popolazioni potenzialmente ostili e puntò decisamente verso sud. Superati i presidi dei Pirenei (13 ottobre 409), avventatamente affidati dai Romani a truppe barbare (gli Honoriaci) propense più al saccheggio delle regioni che erano stati chiamati a difendere che al combattimento, i Vandali conquistarono l’intera penisola iberica ad eccezione della Tarraconense. L'Impero non potè fare altro che riconoscere gli invasori come "foederati": gli Hasdingi si stanziarono allora nella Galizia orientale, gli Svevi in quella occidentale, i Silingi nella Betica mentre gli Alani, che numericamente erano i più importanti, presero possesso della Lusitania e della Spagna Cartaginese. Roma tentò però a più riprese di riconquistare le sue antiche province servendosi dei Visigoti: il re dei Silingi Fredbal, vinto dal visigoto Wallia, fu quindi inviato come prigioniero alla corte imperiale di Ravenna e anche il re degli Alani Addac fu sconfitto e ucciso in battaglia (426). La rinnovata alleanza tra gli Hasdingi e gli Alani permise tuttavia a Gunderic di debellare gli Svevi, alleatisi nel frattempo con l’Impero e miracolosamente salvati dall’armata romana del comes Asterio, che li condusse in Settimania (successivamente loro area di stanziamento), e di sconfiggere il generale romano Castino (13). Alla morte di Gunderic, gli successe il fratellastro Genseric, che assunse su di sè il titolo congiunto di "Re dei Vandali e degli Alani" e che, nel 428, con la presa di Siviglia, portò a termine la conquista della penisola iberica (in cui il dominio vandalo è ancora oggi ricordato dal nome della "V-Andalusia") (14).
La
scarse risorse della Spagna meridionale,
però, sembraroni insufficienti a
Genserico per sfamare il suo popolo ed
egli decise di imbarcare nel 429 a Iulia
Traducta i suoi 80.000 sudditi (50 mila
dei quali erano Vandali) alla volta
dell’Africa.
Sbarcati in Africa, i Vandali avanzarono quindi in direzione di Hippo Regius, dove si scontrarono con il governatore romano Bonifacio (430) e dove, in seguito, il re Genseric fissò la sua residenza. La conquista vandala dell'Africa settentrionale va vista soprattutto come una manovra strategica: l'idea era quella di fare dell'area una base da cui razziare il Mediterraneo a partire da stanziamenti nell'odierna Tunisia e Algeria nord-orientale, ma gran parte della responsabilità della facile conquista barbarica di quella che, un tempo, era la più ricca provincia agricola dell'Impero, va imputata alle macchinazioni politiche esistenti nella corte di Ravenna. In quel periodo l'Impero era sotto il dominio di Valeniniano III, l'imperatore bambino salito al trono a soloi otto anni e, soprattutto, di sua madre Galla Placidia . Il generale Flavio Ezio, in lotta per ottenere il potere effettivo su quanto rimaneva della potenza di Roma, convinse l'"imperatrice madre" che Bonifacio stava complottando per uccidere lei e suo figlio e proclamarsi imperatore. Come prova, il generale chiese all'imperatrice di inviare a Bonifacio una lettera contenente un'invito a presentarsi a corte, dicendosi certo che egli avrebbe rifiutato. Allo stesso tempo, Ezio inviò a Bonifacio un dispaccio in cui lo ammoniva a non presentarsi a Ravenna perchè si stava complottando per ucciderlo. Il governatore, leggendo la lettera dell'imperatrice e credendo alla teoria del complotto, chiese aiuto a Genseric, promettendo ai Vandali terre in Nord Africa in cambio della loro protezione. Quando il complotto venne scoperto, ormai era troppo tardi per fermare l'invasione vandala: il 28 agosto 430 Hippo capitolava dopo tre mesi di assedio (15). Ippona divenne la capitale provvisoria del "Regno di Vandali e degli Alani" di cui, nel 435, Ravenna non potè far altro che riconoscere formalmente l'esistenza, a patto che Genseric non tentasse di allargare ulteriormente i suoi possedimenti. Il re vandalo, però, aveva altre mire e, nel 439, attaccò e conquistò Cartagine, facendone la sua nuova capitale. La città venne saccheggiata senza colpo ferire, mentre gran parte della popolazione, incredibilmente, si radunava all'ippodromo a guardare un programma di corse di bighe (16). In pochi anni, Genseric fece del suo nuovo possedimento, la cui capitale definitiva venne posta a Saldae, uno dei regni più importanti del Mediterraneo, inglobando anche Sicilia, Sardegna, Corsica e Isole Baleari. Nei 39 anni seguenti, il re, grazie ad una grande flotta, potè razziare a piacimento le coste dell'Impero d'occidente e dell'Impero d'Oriente, ma, dopo la morte di Attila, i Romani tentarono, finalmente, di riprendere possesso del "granaio dell'Impero". Nel tentativo di inglobare il regno vandalico, Valentiniano III arrivò addirittura ad offrire la mano di sua figlia al figlio di Genseric, ma, ancora una volta, la politica di corte si intromise a mutare il corso degli eventi. Mentre le trattative nuziali erano in corso, Petronio Massimo uccise Valentiniano ed usurpò il titolo imperiale. Ben presto tra Ravenna e Saldae si arrivò ai ferri corti e, nel 455, una lettera dell'ex-imperatrice Licinia Eudoxia, in cui implorava il re vandalo di salvarla, portò all'attacco della flotta africana alle coste del Lazio e alla facile conquista vandala di Roma (17). Il cronista Prospero d'Aquitania ci informa che il 2 giugno 455 papa Leone Magno andò incontro a Genseric davanti alle mura della città, per implorarlo di evitare spargimenti di sangue e incendi e di limitarsi a depredare la città dei suoi possedimenti e che il re, mosso a pietà, accettò (18). L'episodio è, quantomeno, dubbio: a parte che che episodi sanguinosi furono certamente presenti, appare più probabile che Genseric non volesse inimicarsi troppo la popolazione latina che sognava, un giorno, di governare e che, comunque, i re vandalo spogliò a tal punto la città che l'Urbe non potè mai più tornare al suo antico splendore. A questo punto, il Regno Vandalo era abbastanza forte per incrociare le armi con l'Impero d'Oriente. Nel 468, una enorme flotta inviata contro Cartagine venne distrutta e, approfittando della momentanea debolezza imperiale, i Vandali tentarono di invadere il Peloponneso, ma furono ricacciati con gravi perdite dai Manioti nella battaglia di Kenipolis. Si narra che, ritirandosi, i Vandali rapissero 500 abitanti di Zacinto e li smembrassero per lanciare i pezzi fuori dalle loro navi in rotte per Cartagine, ma, in realtà, questo episodio sembra essere più frutto dell'atterrita fantasia di cronisti contemporanei che rispondere a realtà (19). Nel 476, comunque, si giunse alla firma di una "pace perpetua" tra Costantinopoli e Cartagine e le relazioni tra i due stati apparvero normalizzarsi. A questo punto, i problemi maggiori per i Vandali risultarono essere quelli riguardanti la politica religiosa interna: le differenze tra i germani ariani e i loro sudditi cattolici e donatisti risultarono sempre essere una fonte di tensione per lo stato africano. Già dalla calata di Genseric, i vescovi cattolici vennero esiliati e molti preti cacciati dai loro incarichi e espropriati delle loro proprietà, ma Genseric era troppo intelligente per inimicarsi la maggior parte del popolo. Così, ad esempio, egli tentò di difendere i cattolici dagli assalti di fanatici ariani tra il 454 e il 457, non si oppose all'elezione popolare del cattolico Deogratias a vescovo di Cartagine e non perseguito il vescovo Vittore che, nel 476-477 gli inviò una lunga e durissima confutazione dell'arianesimo. Lo stesso, purtroppo, non si può dire dei suoi successori che, con la sola eccezione di Ilderico, perseguitarono aspramente i "Trinitari", con omicidi, esilii ed espropriazioni di ogni genere (20). Genseric morì vecchissimo il 25 gennaio 477 e, secondo le leggi di successione da lui stesso promulgate, venne rimpiazzato da suo figlio maggiore Unnerico, un fanatico ariano che, tra 477 e 484, dopo un primo periodo di tolleranza dei cattolici (per paura di ritorsioni di Costantinopoli), si diede ad azioni terribili contro cattolici e manichei. I massacri cessarono con il suo cugino e successore Guntamundo (484-496), troppo impegnato nel vano tentativo di difendere la Sicilia dall'occupazione Ostrogota e di contenere i Mori che premevano ai confini del regno per dare troppo peso alle questioni religiose, ma ripresero con Trasamundo (496-523), forse il più fanatico tra i regnanti vandali. L'ascesa al trono di Ilderico (523-530) segnò la fine delle persecuzioni: dopo un suo "editto di tolleranza" i sinodi africani ricominciarono ad essere tenuti regolarmente. Purtroppo, però, Ilderico era completamente disinteressato alle questioni politiche e lasciò il governo al cugino Oamero. quando questi subì una pesantissima sconfitta da parte dei Mori, il partito ariano, guidato da un altro cugino, Gelimero, prese il sopravvento: Gelimero usurpò il trono e, nel 533, Ilderico venne assassinato in prigione. Quest'episodio segnò, in qualche modo, il declino definitivo dei Vandali: l'imperatore bizantino Giustiniano I reagì all'uccisione di Ilderico dichiarando guerra ai Vandali e inviando in Africa il suo miglior generale, Belisario. Questi, approfittando del fatto che la flotta vandala era impegnata a tentare di domare una ribellione in Sardegna, sbarcò prontamente sulla costa tunisina e marciò direttamente su Cartagine. Gelimero e Belisario si scontrarono nella tarda estate 533 nella battaglia di Ad Decimum (a 16 chilometri da Cartagine) e i Vandali vennero sconfitti (anche il fratello ed il nipote di Gelimero furono uccisi) e Cartagine presa. Il 15 dicembre 533, la battaglia di Tricamarum, a circa 30 chilometri da Cartagine, marcò la fine del regno vandalo: un'altro fratello di Gelimero perì negli scontri , Ippona venne conquistata e al re non restò che arrendersi. L'Africa settentrionale divenne una provincia bizantine, da cui tutti i Vandali vennero espulsi: alcuni furono fatti schiavi, altri fuggirono nei regni ostrogoti e visigoti, molte donne sposarono soldati bizantini e i migliori guerrieri vennero incorporati in cinque regimenti di cavalleria, noti con il nome di "Vandali Iustiniani". Glelimero venne trattato con onore: gli furono concesse terre in Galatia e gli venne offerto il titolo di patrizio (che egli rifiutò per non abiurare la fede ariana), ma il regno vandalo era finito per sempre (21).
NOTE:
(1) G.M.
Berndt, Konflikt und Anpassung: Studien zu
Migration und Ethnogenese der Vandalen
(Historische Studien 489), Husum 2007, pp.
37 ss.
(2) A.M. Parker , Preface to "Vandals", BOA 1999, pp. 4-5. (3) J. Andrzejowski, Nadkole 2: A cemetery of the Przeworsk culture in eastern Poland (Monumenta archaeologica barbarica), Secesja 1998, passim. (4) M.Hadas, Preface to "Complete Works of Tacitus", McGraw-Hill 1964, p. 7. (5) Jordanes, Getica, II. (6) N.Davies, Europe: a History, Harper Perennial 1998, pp. 88 ss. (7) J.B. Bury, Invasion of Europe by the Barbarians, W. W. Norton & Company 2000, pp. 167 ss. (8) L.Schmidt, Histoire des Vandales, Payot 1953 (orig. 1902), passim. (9) Jordanes, Getica, II. (10) J.B. Bury, op. cit., pp. 174 ss. (11) T.Janssen, Stilicho, Tectum-Verlag 2004, pp. 273-274. (12) T.J. Craughwell, How the Barbarian Invasions Shaped the Modern World: The Vikings, Vandals, Huns, Mongols, Goths, and Tartars who Razed the Old World and Formed the New, Fair Winds Press 2008, pp. 211 ss. (13) S.Astley Dunham, History of Spain and Portugal, I, Adamant Media Corporation 2002, pp. 106-111. (14) In realtà, questa teoria toponomastica, che ha retto per secoli, ora è ampiamente discussa. (15) A. H. Merrills, Vandals, Romans and Berbers: New Perspectives on Late Antique North Africa, Ashgate Publishing 2004, pp. 91 ss. (16) Ivi, pp. 112-113.
(17)
B. Ward-Perkins,
The Fall of
Rome and the End of Civilization,
Oxford University Press 2006, pp. 189-194.
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©2008 Lawrence M.F. Sudbury