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BIBLIOTECA. PROPOSTE DI LETTURA SUL MEDIOEVO
pag. 4
Tommaso di CARPEGNA FALCONIERI
Medioevo militante. La politica di oggi alle prese con barbari e crociati
Einaudi, 2011
"«Esperienza Medioevo»; e non
solo per gli amanti delle rievocazioni o dei giochi di ruolo stile Dungeons
and Dragons. A ben guardare, riesce davvero difficile trovare nei nostri
postmodernissimi tempi un periodo più gettonato (e travisato) dell'età di mezzo.
Una fase storica prêt-à-porter per tutti i gusti e le destinazioni, che ha
finito per dilagare in una maniera che ha dell'incredibile nell'immaginario
contemporaneo, come racconta l’interessante volume Medioevo militante,
scritto dallo storico dell’Università di Urbino Tommaso di Carpegna Falconieri.
C’è persino un nome per indicare queste rivisitazioni ad uso e consumo odierno
dell’epoca che si colloca tra la caduta dell’Impero romano e la scoperta
dell'America, ovvero neomedioevo o medievalismo. Si tratta, d’altronde, di una
storia lunga - quasi come l’epoca in oggetto… - poiché il Medioevo è stato
assunto si può dire da subito, e cioè dal Rinascimento, quale pietra di paragone
in negativo per indicare l’opposto di quella modernità di cui gli umanisti e gli
scienziati cinquecenteschi si sentivano portatori, dopo il lungo letargo indotto
dall’evo dell’oscurantismo e della superstizione religiosa; una linea
interpretativa su cui si è configurata la Riforma protestante, e che ha poi
innervato la cultura illuminista e il marxismo. Dall’altra parte, l’un contro
l’altra armato, stava a fronteggiare il filone anti-irrazionalista l’eredità
cattolica, trapassata nell’erudizione italiana e francese, nella letteratura
britannica e, infine, nel romanticismo, con la sua visione del Medioevo a un
tempo apologetica e fiabesca, ritornata prepotentemente sulla scena in virtù di
quella fine delle ideologie sotto ai cui calcinacci è rimasta anche la nozione
di progresso.
Sinistra vs. destra, per semplificare. Ma la cifra politica - pur veritiera e
opportuna - non basta, come dimostra il libro del medievista Falconieri. Perché,
a complicare irresistibilmente il tutto, dall’epoca romantica in avanti (e
specialmente in questa nostra età ipermoderna), ci pensa il sentimento
supremamente prepolitico della nostalgia. Ragion per cui «le dame, i cavalier,
l'arme, gli amori», come li cantava il rinascimentale Ludovico Ariosto, e ancora
i castelli, i draghi e le streghe possono quindi acquisire una valenza politica,
ma anche no. E, a sua volta, quella coloritura (come è avvenuto nella
maggioranza dei casi) si rivela in grado di assumere sfumature conservatrici o
reazionarie, ma persino progressiste, anarchiche o rivoluzionarie, che hanno,
per esempio, permesso di esaltare le rivolte contadine e i movimenti ereticali,
oppure figure come il «poeta ribelle» Cecco Angiolieri, quello «maledetto»
François Villon (la cui Ballata degli impiccati venne declamata da Brassens e De
André) e il vendicatore dei poveri Robin Hood.
In questo immenso giacimento medievalista - per il quale è sospeso il principio
di non contraddizione - Falconieri individua le (quasi innumerevoli) «invenzioni
della tradizione» che sono andate per la maggiore negli ultimi decenni,
partorendo mode o fornendo suggestioni al dibattito culturale e politico. C’è il
Medioevo celtico della religione neopagana della Wicca e dell’universo New Age
(sviluppatosi tra gli Anni Settanta e Ottanta e intriso di millenarismo,
catastrofismo, attese messianiche o apocalittiche), come pure del film
Braveheart. L’antiutopia del Medioevo futuro trasposta in immagini dalla
cinematografia della fantascienza postatomica, da Fuga da New York al ciclo di
Mad Max (protagonista il Gibson che si convertirà alcuni anni dopo al
tradizionalismo cattolico), dal non fortunatissimo Waterworld (con Kevin
Costner) a Doomsday.
C'è il Medioevo identitario (e idealizzato) del rifiuto della Modernità liberale
e capitalistica che, lungo tutto il Novecento, tiene insieme culture e pensatori
di orientamenti alquanto differenti (e, a volte, pure gli esponenti degli
opposti estremismi), da Georges Sorel a Carl Schmitt, dalla «rivoluzione
conservatrice» dei nemici della Repubblica di Weimar ai francofortesi, da Ingmar
Bergman col suo Il settimo sigillo a Pier Paolo Pasolini, da Ezra Pound a Mircea
Eliade, da Tolkien ai neofascisti italiani dei «campi Hobbit» e agli ecologisti
e hippy ugualmente suoi fans, fino a David Taggart, il fondatore di Greenpeace,
che dichiarò di aver tratto ispirazione, per le sue muscolari campagne
ambientaliste, dal cattolicissimo scrittore britannico, la cui malefica Mordor
gli ricordava una Waste Land sfregiata dall'inquinamento. E, suo parente
prossimo, il Medioevo della Tradizione di René Guénon, Julius Evola e della
nuova destra a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Quello della moda e della
musica, dal gothic al dark, dai menestrelli del medieval folk (come i Jethro
Tull, i Chieftains o l'italiano Angelo Branduardi) al fantasy che, sul finire
degli Anni Sessanta, diviene il genere letterario più seguito in Occidente.
Il Medioevo delle nazioni, impugnato duramente come una bandiera dai Paesi
dell’Est Europa dopo il crollo del comunismo e da forze politiche quali la Lega
Nord, che si traduce nel nazionalismo e nella xenofobia delle «piccole patrie»
in odio ai processi di globalizzazione. Ma c’è anche un Medioevo dell’Europa
unita - peraltro non condiviso da tutti i padri costituenti (a causa dello
scontro sulle radici cristiane) - il quale elegge a propri simboli Carlo Magno e
gli imperatori patroni di architetture politiche sovranazionali, come i
viandanti e pellegrini che percorrono le vie devozionali del continente. E mille
altri: da quello, assolutamente postmoderno, di prodotti culturali di
straordinario successo come Il nome della rosa di Umberto Eco - da sempre arguto
(e ironico) esegeta dei secoli bui - o di teorie quali il New Medievalism,
abbondantemente impiegato da una parte del mondo accademico anglosassone per
decodificare le relazioni internazionali, sino alla mostruosa follia
«neotemplare» della strage in Norvegia del terrorista Breivik.
Dunque, uno, nessuno, centomila gli Evi di mezzo, anch’essi oggetto di singolar
tenzone, come in una giostra medievale...".
(Dalla recensione di Massimiliano Pananari, "La Stampa", 25 novembre 2011)