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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI ASCOLI PICENO
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
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Acquasanta Terme (Castel di Luco)
GRAVISSIMI DANNI dai sismi di fine ottobre 2016
«Discosta alcune centinaia di metri ad oriente dell'antichissimo agglomerato di Paggese, la struttura fortificata di Castel di Luco costituisce l'elemento architettonico di valenza storica più caratteristico del territorio acquasantano. Eretta sfruttando la naturale difendibilità del luogo, seguendo il bordo dell'altura in travertino che la ospita, la sua muratura perimetrale ha finito per risultare in una struttura chiusa quasi circolare, che, proprio per tale particolarità, si impone allo sguardo di chiunque abbia a transitare nella sottostante Via Salaria tra Ascoli ed i valichi dell'Appennino. Il Colucci (storico marchigiano del '700) nel suo Delle Antichità Picene riteneva che il luogo in cui poi sarebbe sorto il castello venisse ritenuto sacro nell'antichità e utilizzato per celebrazioni rituali. Il nome Luco deriverebbe da lucus, luogo della luce. Il luogo, se da una parte, proprio per il suo nome (al pari di quello di Paggese - dal latino pagus, villaggio) costituisce un deciso richiamo ai primi tempi dell'antichità, dall'altra, proprio per la sua particolare preminenza, è tale da suggerire che anche la successiva nascita di strutture fortificate in quel sito potrebbe essere ricondotta ben indietro nel tempo. Il castello trova probabilmente le sue prime origini nella riorganizzazione militare-territoriale che caratterizza l'Italia in epoca bizantina (che portò alla creazione di nuovi presidi castrensi, e determinò una vera e propria "rivoluzione" delle distrettuazioni municipali romane). In tale contesto storico si inserisce e si spiega, infatti, quell'occupazione dei vicini siti di Cagnano e di Forcella da parte di gruppi di Ostrogoti, che ivi lasceranno significative testimonianze archeologiche. Per le sue caratteristiche quell'altura rocciosa era quanto di meglio si potesse scegliere per edificare una fortificazione a controllo della Via Salaria, tanto più in un momento storico in cui la sua antica sacralità doveva risultare ormai superata, conseguentemente alla evangelizzazione della regione in atto da tempo. Si può ragionevolmente ipotizzare che il luogo dovesse essere stato occupato e reso maggiormente difendibile di quanto non lo fosse per natura, ben prima che venisse realizzata la struttura castellana che ancora oggi vi si può ammirare, e che nelle sue diverse fasi di edificazione viene ascritta da alcuni ai secoli XIV-XV, mentre altri autorevoli autori ne datano la costruzione al '200, e forse anche più indietro.
Nello scorrere del tempo, Castel di Luco ha mantenuto tutti i caratteri che possono contraddistinguere la residenza fortificata di una antica dinastia: ad un tempo abitazione e "strumento bellico", centro di potere giurisdizionale e centro di raccolta della produzione agricola delle proprietà; infine, in caso di particolari situazioni di pericolo, luogo di rifugio dei coloni addetti alla conduzione dei campi ed al pascolo degli animali. E sebbene non si sia in grado di stabilire quali potessero essere i poteri giurisdizionali dei castellani di Luco allora, e nei tempi che precedono l'affermarsi del Comune Ascolano, con tutta probabilità Castel di Luco deve aver svolto anche una sorta di ruolo di "corte di giustizia". La prima progettazione del manufatto con tutta probabilità si proponeva dare vita ad un castello-recinto, in cui trovassero dimora il signore, gli armati ed i famigli e rifugio la popolazione rurale del feudo, in caso di comune pericolo. Nel tempo le accresciute necessità residenziali della famigli signorile determinarono un ampliamento delle strutture abitative, con conseguente restringimento degli spazi liberi e sopraelevazione della cortina esterna, contemporaneamente ad uno sviluppo di quel borgo che, concentrico al castello, cinge la base del roccione, costituendo oggi parte integrante del suo aspetto e del suo fascino. L'elemento bellico oggi più evidente - la torre a scarpa in conci ben squadrati e munita di cordone antiscalata e di archibugiere - fu aggiunta al complesso nel XVI secolo, quando il "guscio" del castello non fu più in grado di fungere da valido elemento militare (nel momento in cui era la polvere da sparo a farla ormai da padrone) visto che ormai la difesa territoriale poteva essere affidata solo alle strutture bastionate. Alla naturale protezione offerta dal sito, il castello, che forse presentava anche una coronatura di merli, aggiungeva lungo il suo perimetro un notevolissimo numero di gattoni in travertino (mensole che sporgendo a strapiombo dalla muratura allacciavano ballatoi e bertesche lignee, permettendo di spiare il nemico e di combatterlo stando al coperto) Di molti, ormai spezzati, si notano le tracce, mentre diversi sono quelli conservatisi del tutto, come ad esempio quelli che tuttora vediamo sostenere un piccolo balcone a sinistra della porta d'ingresso, risultato di rimaneggiamenti edilizi dei secoli meno lontani. Né va dimenticata la funzione difensiva della torricina di rinfianco alzata a sud-est (sebbene in tempi successivi al recinto) esternamente alla cortina, proprio dove questa presenta un andamento meno curvilineo, e dove la roccia è meno scoscesa. Ma l'incanto di Castel di Luco non risiede soltanto nelle sue "qualità militari". è tutto l'insieme dei suoi caratteri che lo rende fascinoso e degno di una attenta visita, tanto più ora che la famiglia Amici, succeduta agli antichi Ciucci, lo ha reso fruibile al pubblico, curandone la conservazione, e rispettandone gli antichi caratteri e l'enorme potere suggestivo».
http://www.incastro.marche.it/incastro/acquasanta/castello.STM
«La rocca fu costruita dalla famiglia Acquaviva verso il 1300, ma dell'impianto originario restano poche tracce. Nel 1447 la fortezza primitiva subì corposi guasti dai fermani, che detenevano in Acquaviva fondamentali interessi strategici. Venne ricostruita nel 1474 da Giovan Francesco Azzolino, e i lavori furono diretti dall'architetto fiorentino Baccio Pontelli. Un ulteriore restauro generale si deve a Giuseppe Sacconi e fu compiuto alla fine del XIX secolo. Ricerche svolte a partire dal 2004 hanno permesso di ricostruire l'immagine originaria della fortezza trecentesca. Nel Medioevo essa presentava mastio ottagonale e cinta muraria di notevole elevazione con merlatura ghibellina. Nella transizione all'età moderna, in seguito all'introduzione delle armi da fuoco, la fortezza fu consolidata grazie all'ispessimento di muri e torrioni, all'aggiunta di una scarpa triangolare e al rafforzamento esterno del mastio che assunse forma cilindrica. A difesa attiva vennero create cannoniere e archibugiere, oltre alle varie pusterle e gallerie di ronda. La rocca odierna presenta due ordini murari: il primo, verticale, sostiene i camminamenti di ronda e si proietta a sbalzo verso l'esterno con gli archetti della difesa piombante; il secondo, fortemente scarpato per il rimbalzo dei proiettili, contiene all'interno percorsi casamattati con bocche da fuoco per il tiro delle armi leggere. La fortezza, che si suppone fosse circondata da un fossato, ingloba una vasta corte centrale servita da un pozzo. La pianta è quadrilaterale irregolare, culminante a ogni vertice in un torrione. Le torri hanno mole e consistenza diversa in relazione all'orografia del terreno e al rischio di attacchi esterni. Questa conformazione, vista dall'alto, richiama immediatamente il simbolo di una balestra pronta a scoccare una freccia verso est, in direzione del mare. Da quella direzione infatti proveniva il pericolo maggiore. Le torri principali est (mastio) e ovest recano il baricentro lungo l'asse di simmetria della rocca, sezionando la corte in due triangoli fra loro assai simili, i cui restanti lati coincidono con le mura perimetrali. Il mastio cilindrico è alto 22 m. Il torrione maggiore situato dalla parte opposta è dotato di bocche da fuoco, mentre gli altri due erano destinati all'artiglieria leggera. L'interno della Rocca d'Acquaviva ospita una mostra di armi antiche».
http://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Acquaviva_Picena
«Passaggio coperto che corre lungo le mura quattrocentesche di Acquaviva, prende il nome dai trabucchi, tipiche armi d'assedio medievali che secondo la tradizione venivano lì custoditi. Vi si accede da una scalinata che parte da via Marziale e scende fino al primo ambiente coperto, ricavato all'interno di una torre di guardia che difendeva il perimetro delle difese civiche, visibili dal finestrone. Mano a mano che si prosegue, gli ambienti con le volte a crociera si allargano, intervallati da arcate che accompagnano fino all'uscita su un incantevole terrazzo con giardino».
http://www.habitualtourist.com/trabucco
Arquata del Tronto (porta di Sant'Agata)
località in gran parte rasa al suolo dai sismi di fine ottobre 2016
«Durante il Medioevo la cittadella di Arquata era circondata da due fasce murarie: la prima correva intorno al castello (e ancora oggi il versante Nord della stessa è assai ben conservato) mentre della seconda, che si sviluppava intorno all’abitato, è rimasta solamente la porta principale di accesso: Porta Sant’Agata. La costruzione si eleva in direzione della Salaria e del paese di Spelonca. Risulta essere ben conservata e si compone di due soli corpi di fabbrica di semplice architettura, con altezze diverse, realizzati in conci irregolari di pietra arenaria locale. Gli unici conci regolari presenti sono quelli che compongono l'arco a tutto sesto della costruzione più bassa. Nelle sue immediate vicinanze, nascoste tra la vegetazione si osservano i resti delle mura che circondavano Arquata. Posizionati sulla facciata esterna della porta, rispetto al borgo, si evidenziano due stemmi del XVI secolo. Quello alloggiato sopra l'arco, verso il lato sinistro, si presenta a forma di scudo e nel suo campo si vede raffigurata un'aquila fissante un sole movente dal cantone sinistro dello scudo stesso. Questo simbolo appartenne alla famiglia norcina dei Quarantotto. L'altro stemma, sempre inciso su pietra, propone un cassero merlato alla ghibellina, con torre centrale ed un sinistrocherio che esce dalla base della torre ed impugna una spada alta in palo. Questo probabilmente appartenne alla famiglia norcina dei Passerini».
http://www.arquatadeltronto.com/it/arquata-e-dintorni-mainmenu-28/arquata
GRAVISSIMI DANNI dai sismi di fine ottobre 2016
«Il Castello della Rocca sorge su uno sperone roccioso situato poco più a nord dell'abitato. La caratteristica di Arquata, di essere storicamente zona di confine fa sì che attorno al sec. XI-XII si desse inizio alla fortificazione del colle e quindi alla realizzazione del castello. Giovanna II di Napoli vi avrebbe soggiornato dal 1420 al 1435, dopo essere stata incoronata regina dal pontefice Martino V. La tradizione vuole che il fantasma della sovrana si aggiri ancora oggi fra gli spalti del maniero. L'insieme delle strutture edilizie che forma la Rocca, ha subito nel corso degli anni una serie di modifiche e di ampliamenti funzionali. L'attuale castello è il frutto di continui rimaneggiamenti protrattisi fino a tutto il XV secolo. Fu restaurato negli anni '20 e poi ha subito, più di recente, nuovi interventi. Il primo elemento edificato sul colle fu probabilmente il torrione, di pianta esagonale - scarpato e coronato da caditoie e merli - alto circa 12 metri e situato allo spigolo sud-est. Collegata al torrione esagonale doveva esserci la cinta muraria (in parte tuttora esistente), che sviluppandosi verso nord per circa 70 m. chiudeva l'unico lato scoperto del colle, il percorso che collegava il torrione al paese era situato - come lo è attualmente - sul lato orientale del promontorio. Tra il XIV e il XV sec. si realizzò la torre nord, a base quadrata di 7x7 m. con una altezza di 24 metri. La torre, elemento imponente nella fortificazione, si raccordava verso sud con il torrione esagonale mediante una doppia cinta muraria - dotata di apparato aggettante, con piombatoi, e il cammino di ronda sostenuto da archetti - che delimitava un grande spazio interno di forma rettangolare delle dimensioni di m. 21x24. All'interno di questo piazzale vi dovevano essere diverse costruzioni che consentivano a decine di persone di poter abitare per mesi la Rocca. Nel corso di tutto il sec. XV Arquata e la sua Rocca, furono protagoniste di furibonde lotte tra ascolani e i norcini per il possesso del comune, che rimarrà comunque legato a Norcia fino al 1554, quando con le nomine papali dei pretori e dei castellani tramontò definitivamente ogni autonomia locale. L'ultimo corpo di fabbrica che si realizza nella Rocca, è un torrione circolare del diametro di 10 metri, situato nello spigolo sud-ovest, con ampia scarpatura, ulteriormente difeso da una controscarpa speronata. Questo torrione, che raggiungeva un'altezza di 12 m., era al suo interno completamente costipato di terra e accoglieva a livello della merlatura nell'ampio terrazzamento, pezzi di artiglieria. Del torrione circolare oggi rimangono solamente alcune murature di fondazione, riportate alla luce dai recenti lavori di restauro».
http://www.arquatadeltronto.com/it/il-patrimonio-artistico-mainmenu-44/rocca-medioevale-mainmenu-27
Arquata del Tronto (torre civica)
GRAVISSIMI DANNI dai sismi di fine ottobre 2016
«La torre civica, che si trova in Piazza Umberto I ad Arquata del Tronto, è datata XVI secolo. Originariamente il campanile era a vela, e agli inizi del secolo scorso sono stati aggiunti i restanti tre lati a protezione della campana».
http://www.impressioniarquatane.it/portfolio/torre-civica-di-arquata-del-tronto
Ascoli Piceno (forte Malatesta)
«Edificata nei pressi delle sponde del torrente Castellano e del ponte di Cecco, passo obbligato per chi accedeva in città dalla zona est, è un’opera fortificata di difesa urbana della città, ricostruita sui resti di precedenti architetture. Infatti tale area ha ospitato come prima costruzione un impianto termale di epoca romana; il termarium, detto “Terme del Lago”, era alimentato da una conduttura ricoperta da “opus reticulatum”, ancora visibile, che convogliava fin qui l’acqua salmacina proveniente dalla sorgente di Castel Trosino. Altre notizie riguardanti gli edifici sorti su questo luogo narrano di opere difensive allestite nella zona del vicino ponte di Cecco realizzate dai Piceni, utili per rafforzare l’ingresso alla città dopo l’avvenuta disfatta, del 91 a.C., ai danni degli ascolani inflitta da Gneo Pompeo Strabone. Il forte, in seguito alla distruzione per opera dei Longobardi, venne riparato per poi essere nuovamente raso al suolo nel 1242. Galeotto Malatesta, condottiero delle milizie ascolane nella guerra vinta contro Fermo, nel 1349, divenuto per riconoscenza Signore di Ascoli la ricostruì, intenzionato ad abitarvi e a difendersi dalla ostilità degli ascolani che mal sopportavano la sua tirannia. In questo edificio fece rinchiudere, nel maggio 1349, il vescovo Isacco Bindi che, a seguito di spietate esecuzioni poste in essere dagli ufficiali malatestiani, aveva denunciato le angherie ed i soprusi di Galeotto alla popolazione. Di questa fortificazione è possibile identificare, oggi, la torre quadrangolare di levante. Le cronache locali dell’anno 1353 narrano la cacciata di Malatesta dalla città avvenuta con un gran tumulto di popolo che si sollevò contro la sua prepotenza, distruggendo il forte. Nel 1376 la costruzione subì nuovi ed ingenti danni a causa della sommossa contro Blasco Garcia Albornoz, che governava la città a posto dello zio Cardinale. Dal 1533 al 1536, il Forte venne ceduto alle ex Clarisse del Monastero di Santa Maria delle Donne. L’attuale rocca rappresenta la definitiva sistemazione operata da Antonio da Sangallo il Giovane, che la progettò a pianta stellata di forma irregolare ed elevò tra il 1540 e il 1543 su incarico di papa paolo III Farnese. Lo scopo fu quello di inglobare e riunire i resti delle antiche preesistenti costruzioni e della chiesa di Santa Maria del Lago che, sconsacrata, fu trasformata in mastio e suddivisa in tre livelli, dando vita così ad un nuovo complesso fortificato. Verso le sponde del Castellano disposte in tre ordini furono messe le troniere. Quelle più basse sono per la maggior parte rettangolari, quelle superiori sono "a campana". Una lapide fu apposta nel 1543, in ricordo della fine dei lavori. Il Forte fu oggetto di un nuovo restauro nel 1600. Tra il 1797 e il 1798 il Governo Pontificio lo utilizzò come caserma. La struttura odierna è frutto, inoltre, di successive modifiche apportate per migliorarne la funzionalità poiché la fortezza ha ospitato il carcere giudiziario cittadino dal 1828 al 1978. Il forte Malatesta è stato riaperto al pubblico,a fine ottobre 2010, dopo decenni di lavori di restauro, che lo hanno riportato all'antico splendore. Ora ospita il Museo dell’Alto Medioevo che raccoglie gli ori della necropoli altomedievale di Casteltrosino, scoperta a fine Ottocento».
http://castelliere.blogspot.it/2012/05/il-castello-di-venerdi-11-maggio.html
«Costruita sul vecchio “Cassero al Monte” o “Castello”, eretto dai Piceni e distrutto dai Romani di Strabone, la Fortezza Pia sta sulla sommità del Colle dell’Annunziata, a 600 metri di altitudine, sul punto più alto di Ascoli. Dalla sua posizione strategica, essa domina la città. Ecco perché la zona del Cassero, a partire dall’epoca picena e romana, è sempre stata fortificata. Ecco perché la struttura difensiva ivi costruita era collegata direttamente alle fortificazioni di Porta Romana, tramite un camminamento ricavato nella doppia cerchia di mura. Distrutta dai Longobardi intorno al 578, la struttura fu riedificata dal giovane Comune di Ascoli tra il 1185 e il 1195. Dopo la dominazione sveva, essa fu nuovamente restaurata, nel 1349, da Galeotto Malatesta: il fortilizio del Cassero e Forte Malatesta divennero i capisaldi per la difesa e la dominazione della città. Se ne resero ben conto i personaggi che, nel Tre-Quattrocento, tentarono di conquistare la signoria di Ascoli. Nel Cinquecento, il fortilizio del Cassero era in stato di abbandono. Papa Pio IV, osteggiato dagli Ascolani, ordinò la ricostruzione della fortezza, che da allora prese il nome del pontefice. Ignoto il nome dell’architetto, (forse il Sangallo), pare siano stati decisivi i pareri dell’ingegnere militare pontificio Francesco Laparelli. I lavori, affidati ai lapicidi lombardi Antonio Luchini e Giovanni Angelo Di Marco, detto Bonera, terminarono nel 1564. Ne uscì una struttura bassa ed estesa, che insiste su pianta centrale trapezoidale e presenta una scarpa in pietrame, torri d'angolo e massicci contrafforti. Gli interventi cinquecenteschi hanno modificato la parte anteriore rispetto a quella retrostante, che presenta caratteristiche tipologiche diverse, anche nei materiali. La Fortezza mantenne a lungo la sua funzione difensiva: fu smantellata nel 1799, dalle truppe napoleoniche. Successivamente abbandonata e saccheggiata, essa subì un lento e continuo degrado. Dell'imponente complesso cinquecentesco rimangono soltanto i resti delle mura perimetrali del lato nord e i bastioni del lato est. Tra questi si apre l'ingresso, monumentale, bugnato e ricavato in una nicchia murata, su cui si legge la scritta: PIUS IV MEDIC. MEDIOL/PONT. MAX./MOENIA E FUNDAMENTIS/EREXIT MDLXIV».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/ascoli_piceno/fortezza-pia/
Ascoli Piceno (palazzetto "Longobardo")
«Una delle zone più caratteristiche della città è quella che attornia la chiesa di San Pietro Martire, che sorge in fondo alla via delle Torri, alla volta del ponte romano di Solestà. Il grande edificio gotico è punto di riferimento di un quartiere d’autentica atmosfera medievale, dominato dalla torre degli Ercolani, la più notevole fra quelle giunte a noi, alta 34 metri sulle case della pittoresca via dei Soderini. Guidati da questo riferimento, si giunge in vista del cosiddetto Palazzetto Longobardo, che le si addossa d’angolo. È un compatto edificio realizzato nella stessa epoca, attorno al XII secolo, in conci di travertino brunito, con graziose bifore decorate negli archivolti da un motivo a corda e lateralmente da elementi vegetali e animali. A ben vedere l’appellativo che lo caratterizza è improprio perché la costruzione è di molto posteriore al dominio longobardo, iniziato nell’anno 578 e terminato nel 774 con il passaggio di Ascoli nei domini della Chiesa. Ciò non toglie valore al palazzetto, che nella sua sobria eleganza è rappresentativo del momento di straordinaria vitalità e rinnovamento architettonico sperimentato dalla città nell’Alto Medioevo. Un edificio ben conservato e adeguatamente valorizzato nella sua attuale destinazione a Ostello della Gioventù».
http://www.touringclub.com/monumento/marche/ascoli-piceno/palazzetto-longobardo.aspx
Ascoli Piceno (palazzo dei Capitani del Popolo)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Piazza del Popolo acquista l'attuale aspetto regolare nei primi anni del Cinquecento con l'armonioso colonnato di archi tutti diversi - la cui ampiezza si regola sui lotti delle proprietà retrostanti - che uniformarono, secondo l'ideale rinascimentale, le irregolari botteghe medievali affacciate sulla piazza. Gli edifici più importanti della piazza rappresentano i tre poteri: politico (palazzo dei Capitani del Popolo), religioso (chiesa di S. Francesco) e commerciale (loggia dei Mercanti). Il palazzo, residenza, nei secoli, del Capitano del Popolo, del Podestà, poi degli Anziani ed infine dei Governatori Pontifici, è un vero e proprio libro di testo della storia della città. Dal sec. XIII, epoca della fusione di tre edifici medievali e di una torre gentilizia, riadattata a campanile, si sono susseguite nel tempo notevoli trasformazioni. Nella seconda metà del `400 si ricavò l'ammezzato tra il primo e il secondo piano e il fabbricato venne allungato a sud. La retrofacciata del Palazzo fu realizzata, nel 1520, dall'architetto e pittore Nicola Filotesio detto Cola dell'Amatrice seguendo il gusto tipicamente manierista. Dopo l'incendio del Natale 1535 (ordinato dal commissario pontificio Giambattista Quieti, per stanare i ribelli politici) il palazzo venne radicalmente ristrutturato e i lavori riguardarono anche il cortile interno, incorniciato da tre ordini di logge, disegnato dall'architetto ascolano Camillo Merli. Nel 1549 fu realizzato, da maestranze lombarde, il Portale, nella parte superiore del quale venne inserito il monumento a Papa Paolo III Farnese».
http://www.comune.ascolipiceno.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/177
Ascoli Piceno (palazzo dell'Arengo)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Piazza Arringo non è solo il Duomo, ma ci sono numerose meraviglie che val la pena di visitare. E iniziamo dal Palazzo dell'Arengo, che si affaccia proprio su Piazza dell’Arengo. È costituito dal Palazzo del Comune e dall'Arringo; risale di fatto al 1100 e tra il 1400 ed il 1550 venne costruito accanto l'edificio del Comune. Nel secolo successivo, sia il palazzo che l’edificio del Comune passarono in proprietà della Camera Apostolica che vi pose la sede del Governatore Pontificio fino al 1564. Nel 1610 vennero unificate le due costruzioni con due facciate ortogonali fra loro, ma la costruzione fu portata a compimento nel 1745. La facciata è costituita da blocchi squadrati di travertino; nella parte centrale si trova un portico a cinque arcate divise da lesene bugnate, mentre sopra si aprono le finestre del primo piano. Il grande portale bugnato taglia nel mezzo il salone del 1200., che in passato era un unico spazio a tre navate con otto campate con volte su colonne cilindriche. Veniva chiamato 'fondachi' ed era utilizzato come aula giudiziaria, mercato e deposito di merci. All’interno di questo palazzo, oggi, ha sede la Pinacoteca Civica e diversi uffici comunali, tra cui quello del Sindaco. Nonostante ricopra questa funzione politica non indifferente, questo Palazzo viene oggi visitato molto spesso anche grazie alla presenza, al suo interno, dell’ufficio del turismo di Ascoli, una struttura meravigliosa che non è solo punto informativo, ma vero e proprio museo da visitare, grazie a vestiti medievali e sculture...».
http://ascoli-ontheroad.blogspot.it/2012/02/palazzo-dellarengo-e-la-pinacoteca.html
Ascoli Piceno (porta Gemina o Binata o Romana)
«La Porta Gemina è una delle varie porte di ingresso alla città e si trova nella parte orientale di Ascoli, lungo la strada che conduce direttamente alla capitale Roma. Nel corso dei secoli ha rappresentato l'unica via di entrata ed uscita, essendo localizzata esattamente lungo la strada Salaria, ovvero l'antichissimo percorso nato in epoca romana per collegare il Tirreno all'Adriatico. La struttura si trova quindi nel quartiere di Porta Romana. Guardando la stessa cartina che potete vedere sopra, la struttura si trova totalmente a sinistra. Per poterla raggiungere è sufficiente camminare lungo l'antico Corso Mazzini, che divide in due la città. Dopo una semplice passeggiata troverete l'antica Porta Gemina sulla vostra sinistra, vicino anche all'antico Teatro Romano. Conosciuta anche come Porta Romana o Porta Binata, si tratta di una delle più antiche ed importanti porte cittadine. Venne costruita su una preesistente Porta Picena, distrutta da Gneo Pompeo Strabone. Quando l'armata imperiale di Federico II distrusse la città, la stessa Porta Gemina subì dei danni e per questo furono necessari dei restauri che portarono alla realizzazione di una seconda serie di archi medioevali davanti a quelli romani. Durante il periodo medioevale la Porta venne inserita all'interno del sistema fortificato della città e per entrare si poteva accedere solamente tramite un arco, mentre l'altro era inutilizzato vista la presenza di una mini chiesa che occupava lo spazio tra le mura romane e medioevali; questa porta venne poi riaperta ufficialmente nel 1800. Accanto alla porta si trova anche un torrione merlato che risale al 1200. La costruzione è caratterizzata da una tipica struttura romana risalente al 1 sec. a.C., realizzata con grossi massi di pietra squadrati e non cementati tra loro. è costituita da due fornici, ovvero due ingressi gemelli, su tre pilastri in conci di travertino, a base quadrata. La struttura - alta 6,76 metri e larga 9,47 - riproduce esattamente l'arco di trionfo romano. I due fornici sono alti 5,70 m e larghi 2,9 e all'interno dei pilastri si possono anche vedere i solchi di scorrimento dei cancelli a saracinesca che chiudevano la porta di notte».
http://ascoli-ontheroad.blogspot.it/2012/11/porte-daccesso-alla-citta-di-ascoli-la.html
«Il ponte romano Augusteo, detto anche Ponte di Porta Cappuccina, risale al I secolo a.C., ed è uno dei più grandi ponti romani per ampiezza di luce (oltre 22 metri). Unendo le sponde del fiume Tronto, il Ponte serviva per i collegamenti con il nord. All'inizio di questo ponte sorge Porta Solestà, una delle sette che un tempo chiudevano la città entro il perimetro fluviale. Come si legge nell'iscrizione posta sul lato destro, essa fu eretta nel 1230 dal Podestà di Ascoli, sui resti di un’antica porta romana, di cui si hanno solo vaghe tracce. La porta duecentesca fu costruita per difendere la città dagli attacchi provenienti dal nord e in particolar modo da Fermo. Nel 1256, a causa dei continui attacchi dei Fermani, Ascoli fu costretta a erigere una nuova porta a circa otto metri di distanza dall’altra già esistente in direzione del ponte. L’antiporta era più piccola della precedente: era spessa due metri e mezzo, larga come il ponte e presentava un’apertura di metri 2,60. Fornita di merli nella parte alta, nonché di feritoie e di mensole, l’antiporta denotava chiaramente il suo unico scopo militare. La lunga lotta con la città di Fermo durò per oltre due secoli: la pace fu sancita solo nel 1450, grazie anche al promotore spirituale Giacomo della Marca, poi beatificato. Per ricordare l’evento, fu inserita nell’antiporta un iscrizione. Nel Cinquecento, l’antiporta fu trasformata in Dazio. Nel 1880, per motivi urbanistici, fu demolita, e l’iscrizione fu trasferita nella porta maggiore».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/ascoli_piceno/porta-solest/
Ascoli Piceno (porta Tufilla o Turfilla)
«Porta Tufilla faceva parte del sistema difensivo medievale della città di Ascoli Piceno costituito originariamente da 7 porte. Costruita in epoca medievale, nel 1491 subì gravi danni ad opera dei Guelfi e fu successivamente ricostruita tra il 1552 e il 1555 ad opera dell'architetto Camillo Merli come arco con copertura piana, come dimostrano dei prospetti di fine 500. Il suo nome si pensa derivi dalla morfologia del territorio (la sponda del fiume su cui appoggia è di arenaria, erroneamente chiamato tufo), o da uno sperone di tufo originariamente inserito alla base degli archi, La sua forma attuale è la conseguenza di una mutazione avvenuta nel corso dei secoli: originariamente costruito come manufatto semplice, alcune rappresentazioni del '600 mostrano prima due, poi tre aperture con merlatura sopra al percorso di guardia, testimonianze di un'evoluzione architettonica terminata negli anni 60, quando fu demolita la copertura lineare con una a capanna. Nel 2007 infine è terminato l'ultimo restauro su iniziativa, organizzazione e coordinamento del Rotary Club».
http://www.trivago.it/ascoli-piceno-45631/monumento-storico/porta-tufilla-2404294
Ascoli Piceno (porte non più esistenti)
«La città di Ascoli aveva il centro abitato racchiuso all'interno della cinta muraria che delimitava l'area urbana dalla campagna. Le mura erano aperte da sette varchi che indirizzavano il traffico nei punti segnati dalle porte urbane. La posizione dell'incasato ascolano, raccolto tra i solchi dei fiumi Tronto e Castellano, determinò l'esigenza di costruire un ponte in corrispondenza di ogni porta cittadina ad eccezione delle due che si trovavano nella parte ovest direttamente sul piano stradale (Porta Gemina; Porta Solestà; Porta Tufilla) Porta Corbara – Si apriva all'altezza del piano stradale, nella zona ovest della città, lateralmente al Cassero (Fortezza Pia). Porta Maggiore – Varco del lato est della città che mediante ponte Maggiore congiungeva il territorio urbano con l'altra sponda del Castellano. Orami demolita, era stata progettata nell'anno 1587 da Antonio Giosafatti. Porta Cartara – La porta ebbe come primo nome Santo Spirito. Conduceva in città con l'attraversamento del ponte di San Nicola in Ponticello, costruito sul Castellano nella seconda metà dell'XI secolo. Successivamente all'edificazione della cartiera, voluta da papa Giulio II nel 1512, fu rinominata Cartara. Era detta anche Molinara perché molto vicina a un mulino azionato dal fiume. Porta Torricella - Era collegata all'altra sponda del Castellano da un ponte non più esistente. Del varco rimane il profilo, ormai murato, visibile sul muraglione di sostegno del Lungo Castellano Sisto V».
http://it.wikipedia.org/wiki/Ascoli_Piceno#Porte_cittadine
Ascoli Piceno (torre degli Ercolani)
«La torre degli Ercolani si eleva snella e possente nella città di Ascoli Piceno. La sua architettura appartiene al complesso medioevale di arte romanica che insieme al palazzetto Longobardo costituisce l'unico esempio cittadino di palacium-turris giunto integro fino ai nostri giorni. Fu costruita tra il XII e il XIII secolo seguendo i canoni delle torri gentilizie che sorgevano numerose nella città di Ascoli in quel periodo. La costruzione sviluppa un'altezza di 34,5 metri e si eleva da una pianta quadrata. Per la sua realizzazione, furono utilizzati conci squadrati di travertino, materiale di grande solidità che le ha conferito robustezza. Sulla facciata principale si evidenziano, ai lati dell'ingresso, nella zona della base della murazione alcuni strati di grossi blocchi di reimpiego di età romana. Inoltre, gli sconosciuti artefici per darle maggiore stabilità, la rastremarono verso l'alto. La modesta porta d'ingresso, m. 82x0.68, presenta un timpano triangolare, posto sull'architrave, tagliato da una fenditura orizzontale. Questo è un elemento decorativo piuttosto ricorrente nell'edilizia delle torri gentilizie ascolane, uno simile si trova anche sulla porta del battistero di san Giovanni. Il significato che più comunemente si attribuisce a questo triangolo è il richiamo alchemico al simbolo dell'aria, quasi che i fortilizi urbani volessero sfidare l'elevazione verso il cielo. È anche l’elemento decorativo che ingentilisce questi edifici di per sé piuttosto austeri. La torre era intesa come una trasposizione urbana del castello, luogo in cui la consorteria si asserragliava in caso di pericolo. Come nelle rocche, la torre era predisposta ad ospitare difese volanti, nella maggior parte dei casi bertesche e caditoie, usate come posizione di avvistamento e postazione di tiro. Ancora oggi sono visibili, sulle pareti libere della torre, delle mensole, poste in serie alternata di conci sporgenti di 7 centimetri, che erano i basamenti necessari per allestire ballatoi di legno da cui si lanciavano olio bollente e frecce contro gli attaccanti. Sui lati della fabbrica sono presenti, a diverse altezze, aperture rimurate utilizzate come accessi che erano idonee anche per dare luce all'ambiente interno. Lo spazio interno della torre è ripartito in tre piani ognuno dei quali è coperto da una volta a botte».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_degli_Ercolani
Ascoli Piceno (torre del Cucco)
«Costruzione: secolo XV-XV; la costruzione della Torre del Cucco, sul colle dell`Annunziata, risale al Quattrocento. La Torre del Cucco faceva parte del sistema difensivo della Fortezza Pia. Stato di conservazione: buono».
http://www.beniculturali.marche.it/Ricerca.aspx?ids=66795
Ascoli Piceno (torre di San Venanzio)
«La torre, gentilizia, è stata riadattata a campanile della chiesa di S. Venanzio con l'aggiunta di una cella sulla sommità. L'esile e bella costruzione ha il pregio di aver conservato intatta la doppia cornice di conci forati lungo il perimetro superiore (che servivano per armare un'ulteriore struttura difensiva a terrazza)».
http://www.comune.ascolipiceno.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/171
«In epoca medievale il panorama della città era fortemente caratterizzato dalla presenza di torri gentilizie che rappresentavano la manifestazione tangibile del potere delle famiglie, ma erano anche vere e proprie costruzioni militari; la tradizione vuole che Federico II nel 1252 ne facesse distruggere addirittura novantuno. Delle numerose torri di cui parla la storia di Ascoli, alcune sono integre, altre ridimensionate e inglobate nelle abitazioni, altre ancora utilizzate come torri campanarie. Le "torri gemelle" sono un esempio di torri gentilizie perfettamente conservate: costruite nel XII secolo con semplici conci di travertino, presentano fitte feritoie e alte finestre sulla sommità. Alte circa 25 metri, leggermente pendenti, sono annesse al palazzo della famiglia Merli, il cui prospetto sulla piazza è stato realizzato dall'architetto Vincenzo Pilotti (1872-1956), mentre la facciata laterale è opera neoclassica di Ignazio Cantalamessa».
http://www.ilpiceno.it/ascoli_piceno/torri_gemelle/default.aspx
Carassai (castello Vecchio, castello Nuovo)
«Attualmente, nel Paese, sono evidenti due nuclei distinti: uno di origine feudale, detto “Castello Vecchio”, che risale al IX-X secolo; l’altro, di origine medioevale, detto “Castello Nuovo”, più tardo, che risale all’incirca ai secoli XIII-XIV. Il Castello Vecchio, a forma circolare di cui resta ancora la Porta di Montagna o Porta Neviera, ad ovest è caratterizzato dalla tortuosità pittoresca delle stradette proprie del periodo feudale, ed ha il suo riferimento religioso nel Campanile rinascimentale della Chiesa di S. Lorenzo, del XV secolo. La Chiesa, ad un’unica navata, con tre altari, fu ampliata nel 1424 e restaurata nel 1574; la sovrapposta Torre campanaria, fu invece costruita successivamente, e risale al XVI secolo. La cinta muraria si presenta con un “anello a scarpa” di contenimento del suolo, su cui si sovrappongono le piccole case, separate da vicoli interni. Ben evidente è il grande Portale di un Palazzo cinquecentesco, forse antica dimora del signorotto di Carassai Boffo da Massa. Il Castello Nuovo, a pianta rettangolare, è caratterizzato dall’ ampiezza relativamente maggiore delle stradette; tre vie parallele, di cui le due perimetrali di servizio, sono collegate tra di loro dai cosiddetti “ponti di attraversamento”; la via centrale, via Roma, è divisa da un gomito in due tratti di 60 metri ciascuno; evidenti sono le caratteristiche militari della “cinta” muraria, delimitate da alcune fortificazioni dei secoli XIV e XV, dette “ Camminamenti Militari” coperti. Al Castello Nuovo si accede, attraverso la Porta Marina; esso ha il suo riferimento laico nella Torretta dell’orologio, che non è il suo originale, perché, accidentalmente distrutta, è stata ricostruita circa venti anni fa, ed il suo riferimento religioso, nella Chiesa di S. Maria del Buon Gesù, in stile rinascimentale barocco, a tre navate, istituita a Collegiata nel 1778, ed è il risultato della fusione della Pievania di S. Eusebio e della Prepositura di S. Lorenzo».
http://www.comune.carassai.ap.it
Carassai (torri, mura, camminamenti militari)
«La testimonianza più antica in cui si fa riferimento al Castello di Carassai risale al XI secolo e riguarda la delimitazione dei confini con Ripatransone: si trattava in ogni caso del Castello Vecchio. Nel 1294 una nuova costruzione avrebbe ingrandito il suddetto Castello. Il Nuovo Castello comprendeva al suo interno anche una parte del Vecchio e poggiava su due piani inclinati con un avvallamento al centro. Era cinto da mura munite di merli ghibellini alte circa 8,9 metri. Le mura erano rafforzate da otto torri una delle quali ipotizza la forma di baluardo-pentagono, e potrebbe risalire al XV secolo. All' interno vi erano tre vie parallele ed una piazza, e tra le case e le mura vi erano le "vie di ronda", una al pianterreno che restava coperta (Camminamenti Militari), mentre l'altra a livello dei merli rimaneva scoperta. In ciascuna torre vi erano due rampe di scale, una serviva per scendere e una per salire sulla strada di ronda. Di fronte a queste scale sotto le case della via centrale si aprivano dei passaggi detti "ponti" che servivano per agevolare l'accorrere da una parte all'altra delle mura. Vi erano ben tre Porte munite di piombato (buche a forma di feritoie per difendersi dagli attacchi esterni): la Porta di Camporo, o di Montagna, la Porta Mercato, e la piccola Porta dello Sportello. Intorno alla metà del XIX sec., la Porta Marina e quella di Montagna furono cambiate di posizione, mentre l' altra fu chiusa. Il Torrione presenta grosse cannoniere rotonde. Di qui il Camminamento si snoda lungo la cortina fino alle Torri Rompitratta. L'ultima torre che si incontra rappresenta un'aggiunta successiva della fortificazione per rispondere alle esigenze belliche; essa lascia pensare alle battaglie della campagna militare degli Sforza che erano asserragliati a Fermo nel XV secolo».
http://www.habitualtourist.com/camminamenti_militari
CasAlena (cinta muraria, porta castellana)
«Cinta muraria. Il castello, probabilmente di pianta ellissoidale, era munito di una muratura difensiva della quale rimangono tracce nelle abitazioni che si sono integrate al complesso nel corso dei secoli. Il settore meridionale delle mura è giunto fino a noi forse perchè sorge nell'unico punto sprovvisto di difese naturali, e si erge piantandosi nella roccia arenaria da dove si apre l'unica porta conosciuta (raggiungibile tramite una rampa). La muraglia, leggermente scarpata, è rafforzata nei pressi della porta da una piccola torretta quadrata dove si aprono feritoie, e sul lato opposto da un altro edificio più grande, verosimilmente fortificato. ... Porta Castellana. Fortificazione molto originale, ormai ridotta a un immeritato abbandono, che nonostante l'incuria mantiene inalterato il fascino di epoche perdute. Si apre sulla sommità della rampa che costeggia la residua cinta muraria del castello. Attraversata l'arcata in arenaria si è introdotti in un caratteristico e singolare ambiente coperto, di forma vagamente trapezoidale, dal quale hanno inizio due vie che si snodano nel borgo. Il possente muro scarpato, che sbarra subito il passo, è probabilmente sede di altre strutture difensive: una piccola apertura postuma lascia intravvedere un ambiente scavato nella roccia, forse come deposito o, più verosimilmente, come una piccola stalla. Tra i vari accessi che si affacciano nell'ambiente coperto, segnaliamo una piccola porticina dalla quale si intravede un ambiente della torretta che difendeva la porta. Interessante anche il portale rinascimentale preceduto da una snella colonna che regge le travi del soffitto».
http://www.habitualtourist.com/cinta_muraria(casalena-ascoli_piceno) - http://www.habitualtourist.com/porta_castellana(casalena-ascoli_piceno)
Castel di Croce (resti del castello)
«La frazione di Castel di Croce é posta sulle pendici settentrionali del Monte Ascensione. Non esistono documenti antichi che attestino l'origine del castello, anche se si sa con certezza che esso era feudo del più volte ricordato Maginardo. I resti del castello sono costituiti dalla cinta muraria e da due archi che avevano anche funzione di porte d'acceso. Il secondo, quello interno, è inglobato in una costruzione, quella dell'antico palazzo comunale; sulla facciata due stemmi scolpiti, quelli del vecchio comune e del casello. Nel punto più alto, la torre, a testimonianza di un passato "importante": per la sua posizione panoramica, infatti, Castel di Croce dominava la vallata del Tronto e la Marca Fermana ed era pertanto uno dei punti di controllo del territorio» - «Strutture difensive di importanza primaria, il sistema di porte castellane di Castel di Croce è uno dei più interessanti da prendere in esame dato che è possibile ancora leggerne i profili. Si comincia entrando nel primo attraversamento, trasformato nei secoli in abitazione, che presenta vari interventi recenti che richiamano il passato medievale, come le merlature del terrazzo adiacente e le finestre con il lunotto (in una di queste spicca una copia dello stemma del borgo, in travertino). Sorpassato il primo fornice e il relativo passaggio coperto da travature, si sale per la seconda porta: affiancata dalla chiesa di Santa Maria del Popolo e più interessante dal punto di vista storico. Piuttosto ben conservata, la porta è costituita, come la precedente, da un arco ogivale in arenaria addossato alla cinta muraria, ed è sovrastato dallo stemma in travertino della comunità, posto sopra la chiave di volta. A sinistra invece, a ribadirne la fedeltà, appare il logoro stemma in arenaria della turrita città ascolana. Negli ambienti interni della fortificazione aveva sede il palazzo del soppresso municipio».
http://fioccobb.weebly.com/castel-di-croce.html - http://www.habitualtourist.com/porte_castellane
«Rimane a memoria del possente castello la torre principale, costruita in arenaria locale sul punto più alto del paese e ultimo baluardo di difesa. Edificata in pietra locale e monca dei piani superiori, dalla sua sommità una volta era possibile sorvegliare una vasta area ed informare Ascoli, del quale era uno dei principali castelli, di tutto ciò che avveniva oltre il crinale dell'Ascensione. Attualmente ospita strutture per l'approvvigionamento idrico, è stato sormontato da una sorta di merlatura di recente costruzione e sono state realizzate varie aperture di dubbio gusto; sulla parete che da sulla piazza vi sono incassate alcune pietre scolpite».
http://www.habitualtourist.com/torre
Castel di Lama (Borgo Storico Seghetti Panichi)
«Il Borgo Storico Seghetti Panichi sorge su una collina adagiata in prossimità della Vallata del fiume Tronto, a pochi chilometri da Ascoli Piceno. Il complesso è composto da edifici di epoche differenti: la Dimora Storica, antica fortezza medievale trasformata in palazzo di campagna nel 1700, la Residenza San Pancrazio ed altri edifici sorti fra il ‘600 e l’800, costruiti a ridosso delle antiche mura del castello e l’Oratorio, costruito nel 1608, che conserva preziosi affreschi attribuiti alla scuola di Biagio Miniera. è circondato da un parco storico di rara bellezza impiantato tra il 1875 e il 1890 dal famoso botanico e architetto di giardini tedesco Ludwig Winter, oggi primo esempio di giardino bioenergetico in Europa».
http://www.seghettipanichi.it/ita/borgo.htm
Castel Trosino (borgo fortificato longobardo)
«Il piccolo borgo si trova a pochi chilometri da Ascoli ed è raggiungibile seguendo la strada che, dopo il ponte di Porta Cartara, supera ed oltrepassa l'incasato di Borgo Cartaro. Il castello sorge sulla sommità della rupe di travertino costituita da un unico grosso masso che si distaccò dalle propaggini di Colle San Marco in tempi lontanissimi. È possibile accedere all'area dell'incasato da un solo lato, essendo gli altri a strapiombo sulla valle sottostante del torrente Castellano. Le fonti documentali non consentono di conoscere l'esatta epoca in cui vi furono i primi insediamenti umani in questo luogo. In epoca romana il sito era conosciuto per le acque termali che, attraverso canalizzazioni, raggiungevano la città di Ascoli. Castel Trosino nacque come punto di avvistamento e scoperta e fu qui costruito per sfruttare la facile difendibilità del luogo. Insieme a Castel Manfrino, l'ex convento di San Giorgio di Rosara e la Rocca di Montecalvo rappresentò una delle postazioni integranti del sistema difensivo della contea Ascolana voluta da Carlo Magno. Nel periodo medioevale vi si stabilirono i Longobardi giunti dopo che la città ascolana fu assoggettata al Ducato di Spoleto. A metà del XV secolo, Castel Trosino era divenuto un rifugio di banditi, che sfruttando la complicità dalle milizie di Giacomo Piccinino, figlio del più famoso Nicolò d'Acquaviva, trovavano copertura alle loro imprese. Essi furono responsabili di una sorta di guerriglia che danneggiava notevolmente il contado ascolano. Il 3 settembre 1495, un'azione congiunta delle milizie del capoluogo piceno e di quelle papali, assaltò e diroccò il fortilizio. Dell'originario impianto difensivo sono visibili solo la porta di accesso al castello e i resti della cinta muraria. La tradizione narra che in questo borgo abbia dimorato anche Manfredi, figlio di Federico II, nella piccola casa medievale che si trova nel centro del paese. ...».
http://itinerari.mtb-forum.it/tours/view/6387
Castel Trosino (cinta muraria, porta castellana)
«Cinta muraria. La fortunatissima posizione sullo sperone roccioso offre il vantaggio di dover disporre di pochissime opere difensive in muratura. Le difese del borgo erano concentrate attorno alla porta e agli unici spazi raggiungibili dove la lingua rocciosa si fonde con le pendici della montagna. Lungo la muratura, che costeggia la rampa d'accesso, si aprono le feritoie che non lasciavano scampo a chi avesse tentato di forzare la porta. A sud, nella parte alta del borgo, sopra lo sperone di roccia che sovrasta la strada, si sarebbero dovute concentrare un tempo le difese, si parla di una torre ora scomparsa della quale sono emerse tracce durante degli scavi. Si parla anche di un palazzo pubblico che sorgeva nei pressi della porta e coadiuvava alle difese; il resto delle murature è stato mano a mano riutilizzato come abitazione ed ingentilito. ... Porta Castellana. Unico accesso al borgo, era il principale nodo delle difese, notevolmente avvantaggiate dalla formidabile posizione geografica che rendeva quasi inespugnabile il castello. Una rampa in salita raggiunge lo sbarramento costituito da un arco in travertino e da una piattaforma che un tempo ospitava i difensori; oltrepassata la porta si apre un'altra arcata più ampia sulla destra che si immette nel circuito viario del borgo. Lo storico Colucci, nel Settecento, sosteneva che nei tempi antichi fosse presente un ponte levatoio, cosa che gli studi recenti hanno ritenuto poco probabile data la già ottima capacità difensiva del sito e la mancanza delle tracce tipiche delle architetture di questa forma di difesa, come le sedi di scorrimento dei vari organi di movimentazione del ponte. Sebbene quest'opera non sia giunta intatta a noi, riesce comunque a creare una grande suggestione dando quel tocco di originalità ad un borgo già di per sé estremamente attraente».
http://www.habitualtourist.com/cinta_muraria(castel_trosino-ascoli_piceno) - ...porta_castellana(castel_trosino-ascoli_piceno)
Castiglioni (ruderi della rocca)
«Gli Ascolani eressero la rocca dopo il 1377 su un’altura, con lo scopo di controllare militarmente la cittadina di Castignano, sulla quale la città non riuscì mai ad imporre la sua egemonia. La primitiva struttura fortificata di Castiglioni consisteva in una grande torre con funzioni abitative e difensive. La torre è infatti l’antico emblema della comunità. Nel 1445, caduta l’ultima signoria, Ascoli tornò sotto la Santa Sede riprendendo a nominare i suoi castellani per la custodia delle rocche di Castiglioni, Morro e Montecalvo. Nel 1530 Clemente VIII comandò la demolizione della Rocca a seguito di errate informazioni che questa fosse divenuta il quartiere generale di rivoltosi, ma nel 1549, per ragioni di sicurezza, la città si fece risarcire della fortezza. A partire dalla seconda metà del XVII secolo, nell’area settentrionale della rocca cominciò un lento processo d’erosione del suolo. Le frane giunsero a corrodere le mura che crollarono su sé stesse fino ad una lenta distruzione. Secondo una descrizione fatta da Giuseppe Colucci nel 1794 la Rocca si presentava così: “...Vedosi in questa Rocca degli assai ben fortificati baluardi tutti interi con spiragli da impostar cannoni, segno della grand’estensione, e presidio, con cui dagli Ascolani veniva custodita. Alle falde del colle, ove stanno le vestigia della surriferita Rocca, o Castello diruto, evvi il Villaggio detto de’ Castiglioni, forse tale nome da esso derivando…”. ...» - «Rimangono pochi ed incerti ruderi di questa fortezza che nell'epoca medievale ricopriva grandissima importanza per Ascoli dato che si collocava tra Castignano e Offida, due comunità con grandi aspirazioni autonomistiche; quando la prima divenne parte della diocesi di Montalto la rocca perse di importanza. Utilizzato come cava di materiali edili per ordine del Vaticano rifornisce i cantieri del santuario del Beato Bernardo ad Offida e quello della Madonna di Loreto di Castignano fino all'ottocento quando si decide di preservarne la torre superstite a memoria delle future generazioni (oggi scomparsa e presumibilmente i resti attuali potrebbero esserne la base)».
http://www.rocca-di-castiglioni.it/5-0-La-Storia.html - http://www.habitualtourist.com/rocca_di_castiglioni
Castignano (borgo fortificato)
«Sostenuto da un grande muraglione e dominato dalla torre della chiesa di S. Pietro, Castignano si adagia sui ripidi pendii di un colle, in una zona calanchifera formata da terreni argillosi dilavati ed erosi dalle acque piovane. Chi arriva da Ascoli rimane stupito nel vedere la valle percorsa dal torrente Chifente che ha scavato una profonda ferita tra le colline ridenti del paesaggio piceno. ... I terremoti e le frane (l'ultima, ancora in movimento, ha dato origine ad un nuovo calanco), susseguendosi nel tempo, hanno conferito a Castignano l'attuale aspetto caratterizzato dall'alto dirupo fortificato nei primi anni del Novecento. L'incasato è delimitato a Nord da una muraglia di mattoni dalla cui sommità si innalzano le abitazioni che in caso di attacco del nemico si trasformavano in veri e propri fortilizi. Per la sua posizione era considerato un castello praticamente imprendibile e più di una volta i Castignanesi hanno tenuto testa alla stessa Ascoli (da qui, probabilmente nasce il rapporto non proprio idilliaco tra Castignano e la sua frazione Ripaberarda, un tempo Castello soggetto alla giurisdizione ascolana). Il centro storico, nonostante le trasformazioni subite durante i secoli, rivela ancora oggi la sua pianta medioevale e si presenta compatto e con le case addossate le une alle altre (opera dei maestri lombardi che giunsero a Castignano nel XIV e XV secolo).
Il Castello, circondato da mura di cui rimangono tracce nel lato a Sud Est, anticamente aveva due porte di accesso oggi scomparse, una a levante, detta Porta da Piedi, aperta nei pressi dell'attuale teatro e l'altra denominata Porta da Capo, nei pressi dell'attuale casa lanni. L'impianto urbanistico ben si adatta alla conformazione del terreno in ascesa, organicamente inserito nel sistema delle strade a cerchi concentrici. C'è un principale asse viario costituito dal tratto iniziale di via Roma, Piazza Umberto I e via Margherita, che una volta collegava le due porte ubicate ad Est e ad Ovest del castello, cui corrispondono altre strade, via Templari, via Petrocchi e via Piaggia quasi parallele ma tracciate su differenti livelli e raccordate da numerosi vicoli e vie. Dalla forma del reticolo viario si deduce che le strade proseguissero anche nella parte ora distrutta dalle frane e dai vari terremoti. Alla rete viaria di superficie corrisponde un fitto reticolo di cunicoli sotterranei che collegavano le varie cisterne e i pozzi che davano acqua anche durante gli assedi. Il cunicolo probabilmente più lungo, interamente esplorabile fino a qualche anno fa, congiungeva una grande cisterna posta all'altezza del teatro con la Fonte Vecchia collocata sotto i resti del torrione ancora visibili lungo le mura a Nord mentre un'altra diramazione si spingeva fino a S. Pietro e al Convento delle Clarisse, oggi adibito a sede del municipio (attualmente in restauro)».
http://www.montaltomarche.it/montalto/Itinera/lelli.asp (a cura di Luigina Lelli e Giuseppina Gabrielli)
Castignano (ruderi della porta della Fonte Vecchia)
«Rudere semidimenticato nonostante la sua importanza storica, giace al di sotto della strada provinciale che costeggia l'incasato di Castignano. La porta è un nodo importante della cinta muraria rinascimentale del paese, insieme all'altra porta situata nei pressi del cineteatro comunale, della quale non rimangono tracce. Composta da un arco ornato da una ghiera in cotto con degli inserti in travertino alla base, richiama molto lo stile utilizzato per la porta del castello di San Benedetto del Tronto. Affiancata dai resti un possente torrione, rimangono inalterati gli ampi ambienti del piano interrato coperto da una volta gotica. All'interno sorge la fonte interna del baluardo, conosciuta come la "fonte vecchia", e riutilizzata successivamente dalla comunità.Interessanti sono il cunicolo che dalla fonte risale verso la parte alta del paese, e la scala costruita nello spessore del muro che conduce ai demoliti piani superiori del torrione.Durante i lavori di costruzione di Via delle mura, la porta verrà tamponata insieme a tutti gli ambienti che la componevano, compresa la strada che, secondo il catasto gregoriano, da li passava per salire fino a Via dei Templari. Attualmente giace in stato di semi abbandono, e presto non rimarrà molto di questo importante documento sulle fortificazioni castignanesi».
http://www.habitualtourist.com/porta_della_fonte_vecchia
«Dopo la caduta dell'Impero Romano e la grave crisi politico-economica che ne segui, Castorano passò, dapprima, sotto il controllo dei Longobardi e del Ducato di Spoleto, quindi sotto quello della Contea costituitasi in età carolingia. Resta coinvolto nella secolare guerra contro Fermo ed i suoi alleati di Offida ed Acquaviva durante il 400-500. Dovette, pertanto, fronteggiare assalti e distruzioni (si ricorda, in particolare, l'assalto dei Fermani nel 1534, a seguito del quale rimase a malapena in piedi la rocca). In questo stesso periodo un sovrintendente del Castello, Astolfo Guiderocchi, dopo aver creato una propria milizia, vi fece partire le sue scorribande per la Vallata. Tale fase storica, per quanto tormentata, appare la più importante della storia di Castorano, che allora vantava un ampio territorio, un ospedale, un carcere e costituiva anche il crocevia d'obbligo per chiunque volesse raggiungere il confinante Regno di Napoli. Passato, nel '500, sotto il dominio pontificio, ne subì, conseguentemente, la sorte fino all'Unità d'Italia. Castorano fu castello di II grado messo a guardia del confine dello stato ascolano, ruolo difensivo che nel XV sec. divenne meno rilevante. Nel libro degli Statuti Comunali del 1612, conservato nell'archivio del Comune, si vede sulla copertina il disegno stilizzato del Castello che riporta una situazione realistica: infatti la torre poligonale, opera del XV sec. nella parte superiore venne ricostruita ed adattata a cella campanaria per la vicina chiesa di S. Maria della Visitazione, la fondazione di questa chiesa si fa risalire ad un'epoca molto antica, ma anch'essa venne interessata dai rifacimenti del XVI sec. Al suo interno si conserva una croce astile in argento sbalzato con reparti adibiti a custodire reliquie di santi, opera marchigiana del XVI secolo. ...
Il piccolo castello fu teatro di aspre lotte in passato e quindi la cinta muraria, di piccole dimensioni e di forma quadrangolare, fu spesso restaurata. La forma attuale dovrebbe risalire alla fine del '400 quando, a causa di grandi flussi migratori dai territori montani dello stato di Ascoli, si dovette espandere il perimetro difensivo. Tra il XV e il XVI secolo il castello venne assediato e gravemente danneggiato diverse volte, prima durante le lotte interne tra guelfi e ghibellini, e poi col riaccendersi delle antiche rivalità tra Ascoli e Fermo. Si dovrà attendere parecchio per il restauro delle difese a causa della non florida situazione economica del comune di Castorano. Fu solo nel 1536 che si stabilì la ricostruzione delle opere di difesa, consistenti nelle mura ed in tre torrioni di cui oggi rimane soltanto quello principale. Di originale è rimasto solo qualche breve tratto nel settore nord, oltretutto utilizzato nelle abitazioni che mano a mano prendevano il posto delle difese. Del piccolo tratto nei pressi della porta non resta quasi nulla e il resto delle opere murarie sono state ricostruite nel XX secolo durante lavori di consolidamento. Negli spazi ricavati abbattendo le case del lato ovest, sono state ricavate due piazze dalle quali è possibile godere del panorama sull'alta Valle del Tronto e sui Sibillini».
http://www.habitualtourist.com/Castorano - http://www.habitualtourist.com/cinta_muraria(castorano)
Castorano (palazzo della Pievania)
«La costruzione dell`edificio risale al XV-XVI sec. in quanto è parte integrante del centro storico del paese e per analogia degli elementi decorativi e costruttivi con altri edifici di datazione certa; alcuni vani sono stati adibiti, fino al 1860, a carceri» - «L’edificio più importante rimasto è il Palazzo della Pievania, un tempo Palazzo della Ragione, termine con cui all’epoca dei Comuni si indicava sostanzialmente il Palazzo del Governo, al cui interno, prima della recente ristrutturazione che quasi nulla ha lasciato della struttura originaria, c’è una cella in cui venivano richiusi i condannati. Durante un recente restauro, in una delle sale sono stati trovati moltissimi resti umani ricoperti da un mucchio di terra, appartenenti alle persone sepolte nell’area che adesso è occupata dall’altare maggiore e dalla costruzione adiacente alla torre ma che, fino all’editto di Saint Cloud, era il luogo di sepoltura dei castoranesi. Probabilmente, quando alla fine del secolo XIX la Chiesa fu ampliata e l’orientamento dall’originario est-ovest divenne nord-sud e l’ingresso quello attuale, le ossa recuperate durante gli scavi vennero traslate e conservate all’interno del Palazzo della Pievania. C’è la possibilità che tra i resti dissotterrati vi siano state le spoglie mortali di Padre Carlo Orazi ma, nonostante le precauzioni prese, non è stato possibile trovare un qualche oggetto che ne conservasse la memoria».
http://www.europeana.eu/portal/record/07602... - http://www.lifemarche.net/castorano-unaltra-delle-bellezze-del-piceno.html
«Quest'opera militare in buono stato di conservazione, raffigurata sui fogli degli statuti castoranesi già nel Milleseicento, è un ottimo punto di partenza per la visita del castello. Composta dai resti di una porta probabilmente del XIV secolo, presenta un arco in travertino e una controporta di gusto quattrocentesco disposta perpendicolarmente rispetto ad essa. Collegate da un breve percorso in salita che fiancheggia la mole del castello, la soluzione delle due porte serviva a frenare le bellicose cariche degli assedianti che, nel caso della caduta del primo portale, si sarebbero trovati imbottigliati lungo la stretta via e quindi “mitragliati” con ogni genere di cosa. Visibili varie feritoie da moschetto a due diversi livelli che si aprono sullo spazio antistante la porta. Singolare la disposizione dei suoi beccatelli per la difesa piombante che si interrompono poco dopo l'arco di accesso in maniera netta, lasciandone sprovvista la parte orientale. Le merlature non sono originali e furono aggiunte durante recenti restauri».
http://www.habitualtourist.com/porta_castellana(castorano)
«Dopo l'accurato restauro è tornata a giganteggiare con il suo nuovo splendore la torre civica del Comune di Castorano. Castorano, fiero ed orgoglioso piccolo centro, posto in posizione strategica sopra una collina, ha dovuto difendersi nella sua lunga storia dagli attacchi da parte di Ascolani e Permani, La sua torre civica, con funzioni di massimo avvistamento, è uno dei monumenti che testimoniano il glorioso passato. La sua forma è pentagonale, fu costruita nel 1471, probabilmente sui resti di un'antica torre, difatti si sono evidenziati resti e porte chiuse. Nel corso dei secoli è stata più volte restaurata. Con questi ultimi lavori si è cercato di dare un assetto definitivo a tale importante testimonianza del passato. Il restauro ha consolidato la struttura in elevazione fortificando il basamento con una specie di "piede" non avendo le fondazioni, e la copertura delle voltate ai diversi livelli, migliorando le caratteristiche meccaniche e ripristinati tratti di muratura lesionati e degradati dalle piogge e dal sisma del 1997. Per una totale fruibilità e stata ripristinata l'antica rampa di accesso al piano di copertura, murato nell'intervento precedente e la conseguente rimozione dei tiranti che ne impedivano il passaggio. Questo consenti nel sanare principalmente i dissesti dovuti a fenomeni di schiacciamento e pressoflessione. Tiranti metallici per evitare piccoli crolli, ma avevano caratteristiche di provvisorietà, utile per un periodo di "tempo limitato". è quanto ci ha dichiarato l'architetto Fabrizia Severìnì, che con molta cura ha eseguito il restauro dopo un minuzioso studio avvalendosi di elaborati che hanno permesso un'indagine dello stato di fatto. Il vecchio cancello d'ingresso è stato sostituito in legno. Del "Castrum Casturanum" si hanno notizie nel XII secolo, con la donazione di un ricco signore alla chiesa ascolana. Poi il castello nel XIII secolo cambiò proprietà. ...».
http://www.comune.castorano.ap.it/c044013/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/6
«L’abitato, che presenta la consueta architettura in laterizio degli incasati marchigiani, si caratterizza per la piazza in posizione centrale, che ne divide la pianta in due metà specularmente uguali: il Cassero a SO e l’Aiella a NE; la memoria del toponimo “u ‘nghette” (ossia “il ghetto”) è chiaro indizio della presenza, nel Cassero, di una comunità ebraica. Le mura castellane, risalenti ad epoca successiva all’autonomia del comune (1291), erano intervallate da torri rompitratta e caratterizzate, nei tratti più antichi e meglio conservati, dall’impiego sistematico dell’arco a sesto acuto, tipico delle costruzioni dell’epoca. Due le porte indicate dalle mappe più antiche: la porta del burgo, o porta di Levante, tuttora conservata (che immetteva nell’Aiella), e la porta da sole, detta anche porta di castello, che immetteva nel Cassero. Di poco posteriore, risalente forse al XV secolo, è il bastione a scarpa che sovrasta il sito del Monumento ai Caduti, che segnala il punto in cui era situato il Cassero: una più antica rocca (forse raffigurata nell’antico stemma del comune, conservato dal bronzo della campana del 1303), che in seguito fu inclusa, insieme con l’Aiella, nel circuito delle mura edificate, come si è detto, fra la fine del XIII e gl’inizi del XIV secolo. Il breve perimetro delle mura racchiude alcuni edifici di particolare interesse. ... La piazza Umberto I, centro dell’abitato, è un classico esempio del sistema detto “a piazza unica” e ha conservato il ruolo di centro vitale tipico delle strutture urbane a castello e si presenta nella sua sistemazione settecentesca, che sintetizza il carattere identificativo della piazza-salotto, delimitata dalle facciate della sopra descritta chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta a Ovest, dal municipio con la torre civica a Nord, dalla casa Fassitelli (ultimata anch’essa verso la fine del Settecento) a Est e dal loggiato della casa Vinci (attuale casa canonica) a Sud. L’elegante casa Fassitelli (già Feriozzi), con facciata in stile neoclassico (rimaneggiata nel XIX secolo) dalla superficie intonacata, è impreziosita da elementi architettonici in laterizio a vista (imbotti di porte e finestre, cornici e cornicione), che la rendono organicamente inserita nell’insieme.
Anche la casa Vinci, sul lato Sud della piazza, svolge con dignità la sua funzione di quinta scenografica, con il bel loggiato a tre fornici e la facciata di mattoni a vista, suddivisa in elementi modulari scanditi da lesene e cornici marcapiano. La Casa all’attuale nr. 61 di via Donna Orgilla, del XV secolo, conserva la grondaia originaria e resti di due ghiere in laterizio, una delle quali decora un arco a sesto acuto, mentre l’altra, in origine, adornava la cosiddetta “porta del morto”. La Porta di Levante, detta anche “porta del Burgo”, o ancora “porta di S. Giorgio” da un’immagine del santo patrono del paese (ora svanita), dipinta in un apposito riquadro sulla fronte: è il resto più cospicuo e meglio conservato dell’antica cinta muraria del castello: torre portaia a pianta quadrangolare, annessa alla sopra ricordata casa in via Donna Orgilla, attrezzata per la difesa piombante, con le caditoie aperte tra i beccatelli che sostengono lo sporto anticamente fornito di merli guelfi (cioè parallelepipedi). La Porta di Levante, attraversata da via Cimicone, è costituita da un arco a sesto acuto la cui armilla è decorata da una sobria modanatura. Lo stato attuale della torre portaia sembra dovuto ad un radicale lavoro di restauro che sarebbe stato eseguito nel 1433 per disposizione di Francesco Sforza e in quell’occasione, immediatamente sopra l’ogiva, sarebbe stata aperta la feritoia destinata a fungere da cannoniera. ...».
Cossignano (palazzo Comunale, torre Civica)
«La residenza comunale include l’archivio storico del Comune, con un fondo pergamenaceo di documenti dei secoli XIV-XVI. Nella Sala del Consiglio si possono ammirare una tela raffigurante S. Giorgio sceso dal cavallo e, in una teca, la camicia rossa del garibaldino Placido Malavolta. Di qualche interesse la torre campanaria, ora incorporata nell’edificio, che mostra a mezza altezza un’iscrizione con lo stemma del comune e la data 1586, l’anno in cui per volontà di Sisto V fu costituito il distretto amministrativo del Presidato, con capoluogo a Montalto, includente anche Cossignano. Nella cella campanaria, dalla quale si domina sul vastissimo panorama dei colli circostanti, si può ammirare l’antica campana tubolare fusa nel 1303, decorata sul collo dal più antico esempio di stemma del Comune (espressamente indicato come s(igillum) communis Coseniani) oltre che da un’iscrizione in splendidi caratteri gotici, recante la data MCCCIII (1303, millenario del martirio del patrono S. Giorgio), e dagli acrostici formati rispettivamente dalle iniziali dell’Ave Maria (AMGPDTBTIMEBFVT) e del celebre epitafio di S. Agata: M(entem) T(uam) S(anctam) S(pontaneam) O(norem) D(eo) E(t) P(atriae) L(iberationem), seguita dallo stemma del maestro fonditore. Di particolare interesse si presenta, data l’antichità del manufatto, la rappresentazione contenuta nella forma rotonda del sigillo (la più antica attestazione di impiego del sigillo di un castello autonomo della provincia) che allude alla raggiunta autonomia mediante la raffigurazione topografica del castello (o di una rocca, munita di merli trilobati di ispirazione orientale) impiantato su un monte. garibaldino Placido Malavolta. Di qualche interesse la torre campanaria, ora incorporata nel palazzo, che reca un’iscrizione con la data 1586, l’anno in cui per volontà di Sisto V fu costituito il distretto amministrativo del Presidato, con capoluogo a Montalto, includente anche Cossignano. Recenti lavori di restauro hanno reso praticabile la via di accesso alla cella campanaria, dalla quale si domina sul vastissimo panorama dei colli circostanti ...».
http://www.terredelpiceno.it/monumenti/il-palazzo-comunale-torre-civica-cosignano/
Cupra Marittima (ruderi del castello di Marano)
«La città romana di Cupra ricca di templi, terme, palazzi, le cui vestigia sono visitabili nei vari siti archeologici tornati alla luce, fu rasa al suolo dai mori nel sec. VIII; sulle sue rovine fu edificato il castello di Marano sul quale dominò a lungo la curia di fermo. Francesco Sforza legato pontificio nelle Marche, al tempo delle signorie, dimorò a Marano, dove visse nel palazzo che porta il suo nome o che è anche detto del vassello. Le memorie ricordano tripudi di suoni e di balli mentre la voce di Bianca Visconti, duchessa Sforza, soggiogava i cuori. Per vari secoli la vita nel castello trascorse serena fin all'unità d'Italia quando, rivalutandosi il paese basso di Cupra, Cupra Marittima, chiamata con l'unità di Italia, il vecchio castello di Marano cadde in disuso».
http://www.terredelpiceno.it/ita/cupra-marittima
Cupra Marittima (ruderi del castello di S. Andrea)
«Verso sud, fuori dalle mura della parte alta e vecchia di Cupra Marittima, si conservano i muri medievali di Sant'Andrea, castello di avvistamento e difesa risalente al XIII secolo. La fortificazione è a base rettangolare e si leggono oggi solo le rovine delle mura perimetrali e l'alta torre maestra. Nell'estate 2003 il Castello di S. Andrea è stato restaurato e trasformato in uno spettacolare teatro all'aperto».
http://www.comune.cupra-marittima.ap.it/sandrea.html
Force (palazzo Comunale, torre Civica)
«Elegante costruzione in cotto con Torre Civica sorta in Piazza Vittorio Emanuele II sul finire del secolo XVII. Il palazzo venne edificato nel luogo in cui un tempo sorgeva l'imponente castello di Force risalente al XII secolo» - «La costruzione in cotto è costituita da linee essenziali e pulite. Il palazzo, con portico e torre civica, sorge nella piazza dedicata al re che unificò l'Italia, Vittorio Emanuele II. Eretto alla fine del XVIII secolo, fu edificato nello stesso luogo in cui, nei secoli precedenti, sorgeva il possente castello di Force (XII secolo)».
https://www.halleyweb.com/c044021/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index... - http://www.habitualtourist.com/palazzo_comunale(force)
Force (porta delle Piagge, porta San Francesco)
«Porta delle Piagge. Difendeva l'accesso orientale al castello ed era raggiungibile tramite una ripida rampa che costeggiava la cinta muraria ottimizzandone così le capacità difensive. Simile ad altre torri portaie, era un tempo probabilmente più alta ed ospitava sulla sommità piattaforme per la difesa. L'arco di accesso è interessante poiché è costituito da una parte in mattoni in cotto e dall'altra in pietra arenaria, probabilmente costruito o ricostruito in momenti differenti. Nel corpo della torre sono presenti ancora le stanze di servizio. Piuttosto trascurata dal turismo locale, data la posizione periferica, è comunque un documento importante sulle fortificazioni forcesi. Porta San Francesco. Elegante costruzione in arenaria di influenza gotica, che ancora adesso svetta all'ingresso settentrionale dell'abitato, un tempo era collegato con la cinta muraria, come ne denuncia l'innesto a lato della porta. Sopra l'arco d'accesso, diviso da una singolare bertesca posta al secondo piano, fanno mostra l'effige comunale, con le catene incrociate, ed altri stemmi di matrice religiosa e civile. La base è caratterizzata dall'arco a sesto acuto e da un cornice che divide la parte inferiore, composta da pietre di grandi dimensioni, con quella superiore, dove la dimensione dei conci si fa più minuta. La torre è sprovvista della parte superiore e rimangono solo due piani: l'ultimo, realizzato di recente, copre la parte superiore della torre priva di soffitto. Varcato l'ingresso sono visibili le guide di scorrimento della saracinesca che rinforzava il portone in caso di necessità. Nel complesso è una struttura, sia per la posizione che per le sue caratteristiche architettoniche, molto suggestiva, che non lascerà delusi gli appassionati».
http://www.habitualtourist.com/porta_delle_piagge - ...porta_san_francesco
Gimigliano (borgo fortificato)
«Tra le prime notizie scritte che parlano di Gimigliano come Castello organizzato, possiamo citare l’Atto ufficiale riportato nel Registro di Farfa ma questo non esclude che la villa esistesse già prima. Il documento insinua che Gimigliano nel 1039 era così rilevante se Longino di Azone, con il consenso di Attone abate di S. Angelo, può donarlo al Monastero di Farfa. Questa sovranità farfense durerà fino a verso il 1150 quando, sotto l’impero di Corrado II, verrà restituito al vescovo di Ascoli Presbiterio. Lo storico Colucci Giuseppe, nelle Antichità Picene così descrive la situazione di Gimigliano nel 1700: “Castello che rimane sulle vette di un colle di vivo tufo discosto d’Ascoli meno di tre miglia; e l’aggregato delle case disposto in lungo. Dicono che è appartenuto alla nobile famiglia Migliani di Ascoli. ... Il Castello era ben fortificato dalla natura più che dall’arte; dall’altezza delle rupi che lo guardano da tramontana e da mezzogiorno. Poche mura, da ponente e da levante lo rendevano sicurissimo ma ora non se ne vedono che i soli avanzi dalla parte occidentale con i segni della porta e dalla parte orientale resta l’arco coi suoi cardini. Ha il Castello la propria parrocchia comune per altro con quella di Poggio Ansù dedicata ai SS. Martiri Quirico e Giulitta”. ...» - «Il castello di Gimigliano, come ricordano storici locali come il Colucci, data la costruzione sulla sommità di un ripido colle cinto da alte rupi, non ha mai avuto bisogno di grandi opere difensive, eccetto nelle estremità, dove sorgevano le porte di cui questa [la Porta Castellana] è l'unica del quale rimane più di una traccia. Collocata alla fine di una ripida salita che si insinua tra le terrazze rocciose del borgo, si scorgono solo l'arco in travertino e pochi tratti di muratura in arenaria locale, unici reperti rimasti dai quali si affacciano due feritoie di cui una chiusa dai settecenteschi ampliamenti dell'adiacente chiesa di San Quirico e Giuditta. Si ha notizia che qui prima vi sorgesse un tratto di muraglia per la difesa della sottostante via. Probabilmente anche nel lato opposto esistevano altre opere difensive, ma adesso vi verdeggiano orti».
http://www.laterradellemeraviglie.it/index2.php?option=com... - http://www.habitualtourist.com/porta_castellana(venarotta)
Grottammare (ruderi del castello)
«Le fonti riportano notizie relative all’insediamento sul colle a partire dall’XI secolo, ma la sua origine deve essere collocata a un periodo precedente, forse tra l’VIII e il IX secolo, in seguito alla costruzione della curtis di San Martino da parte dei monaci farfensi. Infatti l’abbazia farfense costituiva il centro sociale e economico di un ampio territorio, che i monaci avevano fortificato con mura e torri per difenderlo dalle incursioni saracene e che, da un documento dell’ XI secolo, sappiamo che comprendeva ampi territori a destra e a sinistra del fiume Tesino. Le fortificazioni del paese alto presentano due diversi momenti edilizi: la zona più in alto, che corrisponde al più antico insediamento e, adiacente a questa, sulle pendici del colle, lo stanziamento più recente. Il sistema murario più antico è di incerta datazione: secondo fonti archivistiche potrebbe risalire al IX-X secolo, con elementi murari del XII-XIII secolo, forse ascrivibili a un restauro concesso dal Cardinale Ranieri nel 1248, come è riportato in un documento citato in una guida del XIX secolo. Al XV-XVI secolo risale la seconda fase costruttiva, con il Torrione della Battaglia, quando le mura erano accessibili attraverso tre porte, Porta Marina a est, Porta Castello a ovest e Porta Maggiore a sud. Le fortificazioni avevano una funzione difensiva dell’abitato e dell’antico porto, molto attivo tra il XIII e il XIV secolo, come mostra anche la sua riedificazione nel 1299 per volere della città di Fermo, alla quale in questo periodo il paese era soggetto. Nel 1640-43, in occasione della guerra tra Urbano VIII e il duca di Parma Odoardo Farnese per il Ducato di Castro, Grottammare fu scelta come presidio per tutto il litorale da Ancona fino ai confini con il regno borbonico e il castello venne rafforzato e munito di cannoni. Il castello era completato da una torre che fungeva da faro che si trovava nel punto più alto della rocca. La torre-faro, probabilmente arricchita da un orologio, aveva forma cilindrica e si sviluppava su tre piani; nel 1766 fu in parte demolita perché pericolante e nei primissimi anni del XIX secolo venne abbattuta anche la porzione restante. I ruderi del castello presentano un basamento costituito da muri a scarpa in laterizio che si dispongono secondo un andamento curvilineo. Da questo basamento si elevano i resti di una torre e di un muro perimetrale che conservano ancora i beccatelli e due feritoie di artiglieria. A poca distanza si trova un’altra torre con resti di beccatelli, internamente voltata a botte, che si colloca su un basamento a scarpa. I resti sono inseriti in uno scenario molto suggestivo, sia per il panorama che si può godere sia per la ricca vegetazione, dove predominano i pini d’Aleppo».
http://www.comune.grottammare.ap.it/index.php?a=380
Grottammare (torrione della Battaglia)
«Il Torrione della Battaglia risale alla metà del XVI secolo ed è inserito nella cinta muraria costruita quando, dopo l’invasione e il saccheggio dei pirati di Dulcigno, nel 1525, le vecchie mura furono rafforzate da una nuova cinta fortificata. Secondo la tradizione anche il padre di papa Sisto V Peretti collaborò alla costruzione del torrione. Le nuove mura erano accessibili da tre porte: Porta Marina a est e Porta Castello a ovest, ancora visibili, e Porta Maggiore a sud, andata distrutta. Dei resti di questa porta si possono ancora vedere nei pressi del lavatoio pubblico. Le mura si conservano per alcuni tratti a est e a sud-est. Più a nord è situata una torre a pianta quadrata impostata su un basamento a scarpa, priva di strutture di collegamento con le mura urbiche e realizzata probabilmente tra XV e XVI secolo, secondo quanto suggerisce la tipologia del paramento murario. All’interno presenta due vasche comunicanti con acqua sorgiva. Il Torrione della Battaglia era collocato in corrispondenza dell’antico porto, oggi insabbiato, per rispondere meglio alle aggressioni e a difesa di Porta Marina. La sommità del colle presenta ancora i resti della fortificazione precedente a quella cui è annesso il torrione. Il sistema murario più antico può essere datato al IX-X secolo, con strutture murarie del XII-XIII secolo probabilmente dovute al restauro concesso dal Cardinale Ranieri nel 1248. Il Torrione presenta una pianta circolare, è realizzato interamente in laterizio a vista ed è scandito da cornici marcapiano. È coronato da una serie di beccatelli per la difesa piombante sui quali sono impostati i merli curvilinei, che costituiscono attualmente il parapetto per il belvedere realizzato sulla sommità della torre. È suddiviso internamente in due piani, un tempo collegati da una scala in legno, oggi sostituita da una in muratura. La struttura è stata recentemente sottoposta a un restauro che ne ha permesso la riapertura. All’interno, in una struttura molto suggestiva che permette di godere attraverso alcune feritoie di un bellissimo paesaggio, è stato allestito, nel 2004, il museo dedicato allo scultore Pericle Fazzini (Grottammare 1913-Roma 1987), autore della celebre Resurrezione nella Sala delle Udienze in Vaticano. Le opere esposte appartengono alla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno e sono state affidate al Comune di Grottammare. Il museo proporrà, attraverso mostre tematiche periodiche, l’intera collezione, composta da disegni, stampe, piccole sculture in vari materiali che documentano la poliedrica attività dello scultore».
http://www.comune.grottammare.ap.it/contents/Torrione+della+Battaglia/395
Maltignano (borgo fortificato, arco dei Carpani)
«L’origine di Maltignano si colloca tra il 90 e l’89 a. C., quando il suo territorio venne donato a un duunviro romano, Publio Maltino Basco, da cui deriva il nome della località. È situata a 307 metri s. l. m. Per molti secoli il paese rimase un semplice possedimento privato, forse una sorta di residenza patrizia di campagna. Successivamente il suo nome riapparse nei documenti dell’Ottocento, quando Carlo Magno donò la proprietà al Capitolo (il Consiglio di Canonici con il quale il vescovo amministrava la diocesi) della Chiesa ascolana. Così Maltignano divenne una Baronia, con peculiarità che la resero praticamente unica nel panorama istituzionale medievale. Dell’antico abitato, che prima del XV-XVI secolo era costituito solo dal Castello di cui oggi è visibile ben poco: in un punto si riconoscono i tratti di una torre e delle mura, della Porta Marina resta solo il fornice d’ingresso. ...» - «Arco dei Carpani. Dagli elementi stilistici, costituiti dall'arcone posteriore e dalla forma tipologica, la porta è databile intorno al XIII secolo. L'arco d'ingresso frontale è stato in larga parte ricostruito, e restaurato nel 2004».
http://www.terredelpiceno.it/comuni/maltignano - http://www.habitualtourist.com/arco_dei_carpani
Monsampolo del Tronto (borgo fortificato, mura, porte)
«Monsampolo è un tipico esempio di borgo fortificato che ancora conserva l’impianto che gli diede il Comune tra il XIV e il XV secolo. L’aggregazione edilizia del borgo sorse spontaneamente in un pianoro al di fuori della cerchia muraria del “Castello Antico”, in corrispondenza della “Porta Vecchia” e sul ciglio della strada principale. L’impianto del borgo è un mosaico di vie, rue, archi, icone ed edifici. In origine le torri avevano soppalchi di legno ed erano aperte nella gola. Solo più tardi, con la crescita castellana, l’autorità comunale avrebbe alienato ai cittadini le mura di cinta ed i torrioni rompitratta riservandosi il diritto di utilizzarli nel parapetto merlato, nel curriturum e nelle camere di manovra delle artiglierie. I torrioni servivano per le sentinelle armate di archibugi a ruota. La porta da monte è detta Maggiore in relazione al suo grande arco ottenuto mediante la dilatazione dell’ingresso originario. I torrioni rompitratta posti lungo la camminata sotto le mura sono facilmente individuabili. Alla base del torrione meglio conservato, si possono ancora osservare le bombardiere riconoscibili dal foro circolare acconciato con laterizi disposti a raggiera. La porta da mare è caratterizzata da un suggestivo androne con volta a crociera rastremata verso la porta ogivale. La porta è sormontata da un incasso rettangolare che ospitava uno scudo fregiato degli emblemi del potere. I torrioni d’angolo. Dalla Porta da Mare scendiamo nell’Aia dei Mattoni per ammirare dal basso il torrione angolare più interessante del Borgo. In origine le sue mura erano a piombo, nel XV secolo, per aggiornare l’obsoleto torrione ai più moderni canoni dell’architettura militare, il Comune affidò ai maestri lombardi la realizzazione di una imponente scarpatura. Lo scopo era di contrastare la dirompente forza di penetrazione delle palle di bombarda. Nella prima metà del XVI secolo il Comune vendette il torrione alla famiglia Vannarelli, che lo avrebbe ingentilito con lo sviluppo di un’elegante loggia dalle spiccate caratteristiche civili, oggi sostituita da un ampio balcone in cemento. L’altro torrione d’angolo ha subito nei secoli trasformazioni, perdendo ogni carattere militare dell’apparato sommitale. Da questo torrione si dipartiva il muro di cinta del versante orientale del borgo che andava a ricongiungersi con il castello antico di Terra Vecchia».
http://www.avventuramarche.it/dettaglio_comune.asp?nome_comune=Monsampolo
Monsampolo del Tronto (palazzo Guiderocchi)
«Intitolato ad un antica famiglia dell'entroterra acquasantano che si stabilì ad Ascoli già nel XIV secolo. Già nel 1400 erano in possesso di considerevoli risorse, tanto che le proprietà della famiglia Guiderocchi spaziavano lungo la vallata del Tronto estendendosi sia dai monti che dal mare. Nel corso dei decenni seguenti alcuni dei suoi membri si erano distinti per valore, astuzia coraggio e dedizione alla causa della città. Si ricordano le vicissitudini di Astolfo senior, figlio di Tommaso, personaggio che monopolizzerà la vita di Ascoli per molti decenni del 1400. Da menzionare anche Astolfo Guiderocchi junior, personalità controversa e violenta. Con il passare dei secoli il palazzo sarà abitato dai loro discendenti, come la contessa Aurelia che si ritirerà a Monsampolo nel 1589, epoca del possedimento ascolano. Il portale cinquecentesco riporta lo scudo araldico della famiglia Guiderocchi, con le figure delle spighe, della falce, dei monti e dell'elmo a becco di passero. Su di un altro portale è posta la partizione araldica con la divisione in otto sezioni, cariche dei Malaspina e Guiderocchi, legame famigliare iniziato con il matrimonio tra Candido e Porzia».
http://www.habitualtourist.com/palazzo_guiderocchi
Monsampolo del Tronto (torre d'avvistamento)
«L’antica torre di massimo avvistamento, risalente al sec. XIV, assolveva a funzioni di controllo del territorio comunale e di vedetta verso il mare Adriatico e il Regno di Napoli. è possibile accedere al suo interno per gustare il fascino medievale assicurato dalle feritoie, dalla volta gotica e dalla botola che immette nella battagliera, in origine dotata di merli e campana d’allarme. Nella sua stesura originaria, la torre era aperta nella gola, intendendo con questo l’assenza della parete verso piazza, che fu aggiunta in un secondo momento. Per più di quattro secoli, la torre assolse a funzioni campanarie, militari e cimiteriali. Vale la pena di avvicinarsi nella parete nord per vedere un arco tamponato di antico passaggio e uno scudo gotico in travertino, presumibilmente della comunità o di qualche magistratura podestarile» - «La snella opera difensiva medievale, svetta dal nucleo fortificato più antico di Monsampolo chiamato appunto "Terra Vecchia". Notevole è il vissuto storico che la contraddistingue: nata come torre di avvistamento, verrà utilizzata successivamente come porta castellana, in seguito (XVI sec.) gli ambienti inferiori diventeranno un ossario, e nell'Ottocento fu modificata per ospitare l'orologio. Annessa al palazzo Guiderocchi-Malaspina tramite un ponte a due piani ornato da piccoli beccatelli in cotto e finestre incorniciate, il passaggio oggi risulta più alto della torre e si possono ancora vedere i mattoni sporgenti che si inserivano nel piano superiore oggi scomparso. Come consuetudinde dell'epoca era priva della copertura muraria nel lato che si affacciava verso l'interno del castello; successivamente gli ambienti verranno chiusi e muniti di porta e finestra. Passando per la rampa che costeggia il manufatto, si nota uno stemma murato in arenaria raffigurante uno scudo dove i simboli rappresentati ormai sono andati perduti».
http://www.avventuramarche.it/dettaglio_comune.asp?nome_comune=Monsampolo - http://www.habitualtourist.com/torre_di_avvistamento
«Una prima fortificazione dell`abitato di Montadamo viene fatta risalire al vescovo Adamo, prima fortificazione - costruzione: secolo X-X. Gualfredina di Vinciguerra va in sposa ad un rampollo della famiglia Odoardi portando in dote il castello di Montadamo, secolo XIV-XIV. Secondo alcuni storici, il castello viene ceduto al capitano Bartolomeo Smeducci di S.Severino, quale contropartita dell'aiuto che egli avrebbe prestato ad Ascoli contro la tirannide di Gomez Albornoz, secolo XIV-XIV. Cessa l`egemonia del "Magnificus Miles Dominus Bartholomeus Smedutii" e il castello viene acquistato per 1000 fiorini d'oro dal comune di Ascoli Piceno, secolo XIV-XIV. I lavori di costruzione del torrione furono affidati ai maestri lombardi Andrea di Pietro e Stefano di Antonio, torre - costruzione: secolo XV-XV» - «Alla possente torre portaia in arenaria che protegge l'unico accesso al castello, si accede percorrendo una rampa tenuta sotto tiro dalle numerose feritoie, alcune delle quali ancora presenti.Il fornice è ornato di travertino e sormontato dallo stemma ascolano a ribadirne la proprietà. L'aspetto attuale si fa risalire tra attorno al XV secolo ma appare probabile sia frutto di modifiche di fortificazioni precedenti. Attraversato l'arco si può notare la trappola della seconda porta disposta ad angolo retto rispetto alla prima, che aveva come scopo quello di smorzare la foga degli assedianti. La mancanza dei solai permette, una volta all'interno del torrione, di scorgere la disposizione dei suoi vari piani e delle sue bocche di fuoco. La sommità è coronata da merli in stile guelfo, alcuni muniti di feritoia da moschetto, la base è consolidata da una scarpatura sormontata da una cornice (sempre in arenaria), mentre le pietre angolari sono alla base in travertino. E' stato recentemente restaurato e data la posizione e la bellezza del luogo è una tappa d'obbligo specialmente per gli appassionati di fortificazioni».
http://www.europeana.eu/portal/record/07602... - http://www.habitualtourist.com/torrione_di_montadamo
Montalto delle Marche (castello della Rocca o palazzo Paradisi, porta Marina)
«La costruzione dell'edificio originario è ipotizzabile intorno all'anno Mille in cui si parla della fusione di due castelli, quello della Rocca e quello di Monte Patrizio che ha dato origine a Montalto come attestato da un privilegio di Enrico IV del 1 giugno 1074. ... Tra la fine del sec. XVI e l'inizio del sec. XVII, quando il palazzo da sede municipale divenne l'abitazione della nobile famiglia Paradisi, con molta probabilità fu completamente ristrutturato per adeguarlo alla nuova destinazione d'uso. Il palazzo Paradisi, parte integrante e centro di un complesso architettonico di notevole dimensione e di indubbio pregio costituito da un lato dalla Chiesa di S. Pietro e dall'altro dalla Porta Marina e da un teatro ora demolito, era anticamente denominato Castello della Rocca e fu la prima sede municipale e residenza dei Priori. ... Lasciato in totale abbandono dalla famiglia Paradisi, ormai quasi del tutto estinta, nel 1990 l'edificio è stato acquistato dal Comune di Montalto al fine di sottrarlo all'inevitabile degrado ed al progressivo saccheggio. Al momento dell'acquisto da parte del Comune di Montalto l'edificio versava in pessime condizioni: il tetto crollato in più punti aveva interessato i solai sottostanti. Nel 1993 con carattere di urgenza fu realizzato l'intervento di manutenzione straordinaria sulla copertura e fu strutturalmente risanato il solaio di calpestio del piano terzo. ... » - «Porta Marina. Sorge sull'angolo orientale della cinta muraria. Difendendo la strada che dalla cattedrale entra nel centro storico, questo torrione rettangolare sovrasta l'arco d'accesso proteggendolo dall'alto con una fila di caditoie che continuano anche sul fronte meridionale e due bombardiere rotonde attualmente murate. La piattaforma superiore, difesa da merlature, è stata coperta ed utilizzata come vano dall'attiguo palazzo Palmaroli, del quale assume alcune scelte architettoniche come i cornicioni. La copertura termina con delle piccole merlature, frutto dei restauri del XX secolo. All'interno dell'arcata, impreziosita da fregi in cotto, si trova un ambiente voltato che gira leggermente verso destra a proteggere dalle intemperie la fontana installata successivamente».
http://www.beniculturali.marche.it/Ricerca.aspx?ids=70596 - http://www.habitualtourist.com/porta_marina(montalto_delle_marche)
Montalto delle Marche (palazzo Sacconi)
«Edificato da maestranze locali tra il Seicento e il Settecento, deve la sua denominazione ai conti Sacconi, che provenivano da Porchia, frazione di Montalto, dove si stabilirono già nei primi anni del XVIII secolo. Censito nel catasto Gregoriano nel 1815, nel 1887 una parte dello stabile venne acquistato dai nipoti del cardinale Carlo Sacconi, Giacomo e Stanislao. Il vescovo Vincenzo Radicioni, nel 1954 acquisì il palazzo dalla famiglia Sacconi per farne la sede della diocesi di Montalto delle Marche, ma il progetto non si concretizzò. La struttura, composta da quattro piani, fu utilizzata dal comune in parte da archivio e in parte da magazzino. Il sisma del 1997 provocò al palazzo qualche lieve danno e nel 2003 furono apportati dei lavori di consolidamento. Di fronte al palazzo c'era un'area di proprietà della famiglia Sacconi destinata agli orti».
http://www.habitualtourist.com/palazzo_sacconi(montalto_delle_marche)
Montalto delle Marche (porta dei Leoni)
«Terza porta di città dopo Porta Marina o da pede e Porta Patrizia o da capo, era destinata al solo passaggio pedonale e/o di animali, non ai carri. è situata nel punto più; a sud dell'antica cinta muraria ed è inserita nel complesso sistema di difesa costituito da uno svettante e poderoso torrione con finestrine strombate e aperture circolari per bocche da fuoco, sostenuto da robuste fondazioni e sostruzioni perimetrali in pietra. Vi si accede passando sotto una successione di quattro suggestivi vani voltati che terminano con la porta minore che è all'esterno delle mura, dove da un quinto arco si accede agli spazi verdi sottostanti. La compatta volumetria del 'corpo di guardia' subito contiguo e sporgente dal profilo delle mura è verosimilmente struttura aggiunta in epoca successiva. Le abitazioni private sono sorte sopra il profilo delle mura, di cui sono stati mantenuti e riutilizzati, adattandoli alle nuove esigenze, ampi tratti. Subito a ridosso gli 'orti', tipici di molti altri centri dell'entroterra piceno. Lo spessore della cinta muraria in alcuni punti arrivava fino anche a ca. 1 metro, con impasto grezzo di malta e pietra, molto resistente e compatto. In un tratto di queste vecchie mura è stato rinvenuta negli anni '80 parte di un'epigrafe in travertino con incise le lettere esset...esset..., presumibilmente un frammento di codice di età; romana o altomedioevale. La Porta era chiusa da un artistico cancello in legno arricchito da lance acuminate e due leoni accovacciati (da qui il nome), ora conservato ed esposto nella Pinacoteca Civica. Nelle immediate adiacenze era ubicata la Zecca di età sistina, ivi operante con alterne fortune dal 1587 al 1591».
http://lnx.montaltomarche.it/montalto2/Cartina/pleoni.php (testo di Franco Emidi)
Montalto delle Marche (torre e porta Patrizia)
«Elegante esempio di ingegneria militare basso-medievale costituito da due porte consecutive affiancate da una torre. La porta si apre ad occidente, nella parte alta del castello. Il primo arco, ornato con una ghiera in cotto, immette su un piccolo ambiente sbarrato dalla seconda porta di sapore gotico e più antica della prima, affiancata da una feritoia. La torre è una struttura slanciata di pianta pentagonale, punto nevralgico della difesa cittadina, cinta di beccatelli ornati da un modesto fregio in cotto nella parte superiore. La base ha una leggera scarpatura nella quale si aprono le bombardiere. Tutte le merlature originali sono state demolite. Il punto di forza della fortificazione era l'estremo dislivello della rampa d'accesso e la brusca svolta a sinistra che gira attorno alla torre rendendo difficile l'utilizzo delle macchine d'assedio e smorzando la furia delle cariche degli assedianti. Prende il nome, secondo alcuni storici del passato, dal castello di Monte Patrizio, uno dei castelli che si fusero insieme per dare origine all'abitato di Montalto. A destra della struttura antica, negli anni venti del XX secolo, è stato addossato il Collegio Sisto V, che ha alterato l'aspetto antico delle mura orientali».
http://www.habitualtourist.com/porta_patrizia
Montedinove (mura, porta della Vittoria)
«Discretamente conservata, la cinta comunale di Montedinove si presenta con un andamento vagamente quadrangolare che segue la fisionomia del sito. Si attribuiscono le prime fortificazioni all'abate farfense di Santa Vittoria, Berardo III che, intorno al XII secolo, fece erigere le mura sia qui che nella vicina Offida (altro noto possedimento dei monaci). Anticamente si accedeva solo per Porta Marina (o della Vittoria) e per porta dei Monti (attualmente scomparsa ma che verosimilmente sorgeva all'imbocco occidentale del paese). Oggi rimangono varie tracce del circuito: alcuni tratti della cinta nord-occidentale sono intervallati da torrette e da un torrione angolare. Il tutto è contornato dagli splendidi panorami sulle valli del Tesino e dell'Aso, dal mare ai monti ed ai boschi del monte dell'Ascensione. ... Porta della Vittoria. Anticamente chiamata "Porta Marina", venne rinominata verso la metà del XIII secolo, a seguito del fallito assedio da parte delle truppe germaniche guidate dal condottiero abruzzese Rainaldo d'Acquaviva che, per conto di re Enzo di Sardegna figlio dell'imperatore Federico II, cercavano di strappare i possedimenti imperiali della marca assoggettati dal vaticano. L'arco di accesso in arenaria era sormontato da una torre, un tempo munita di varie fortificazioni, della quale rimane la struttura riadattata, nei secoli, ad abitazione. Superato l'accesso si diramano due vie: la prima sale verso il centro del paese, l'altra procede al coperto e costeggia la cinta muraria».
http://www.habitualtourist.com/cinta_muraria(montedinove) - http://www.habitualtourist.com/porta_della_vittoria
Montedinove (palazzo Comunale)
«Il territorio di Montedinove fa parte della donazione che il feudatario Longino di Azzone fece nel 1039 all’abate di Farfa, e furono proprio i Farfensi a costruire nel XII sec. Le fortificazioni che oggi danno al paese una conformazione quasi circolare. La cinta muraria aveva due porte: la Porta dei Monti, non conservata, e la Porta Marina, costituita ormai dal solo arco di passaggio. Intorno al 1240 il castello assediato tenne testa per ben due anni all’esercito del re Enzo, figlio di Federico II, guidato da Rainaldo d’Acquaviva, e per questo sembrò giusto ribattezzarla come Porta della Vittoria. L’istituzione del comune risale al XIII sec. ... Il Palazzo Comunale è il risultato di successive ricostruzioni. La facciata con porticato e un campanile a vela in aggetto venne rifatta alla fine del Settecento. Di fronte il portale gotico. oggi murato, con due leoncini stilofori in travertino) e un arco in cotto con l'agnello di S. Giovanni e un'iscrizione del 1358. La data si riferisce ad una precedente cappella della Misericordia posta trasversalmente alla piazza. Alcuni simboli che vi sono stati scolpiti: la croce, il cerchio e la margherita a cinque petali, sono stati messi in relazione con l'ordine dei Templari. Tradizionalmente si vuole che il portale provenga dalla chiesa del SS. Crocifisso posta ad un livello inferiore, con cui ha analogie strutturali. Il nome le deriva dal Crocifisso, che era collocato in una pregevole cornice barocca con girasoli, oggi nella chiesa superiore; alle pareti resti di affreschi trecenteschi. ... Nel borgo, oltre ai resti di un torrione, si nota un'abitazione con una elegante loggetta di ispirazione rinascimentale, ma del XVIII sec.».
http://www.lemarchedelpiceno.it/vacanza/comune.asp?c=Montedinove
Montefiore dell'Aso (mura, porte, torrioni)
«Le primi citazioni di Montefiore come sede di un castello risalgono al XII secolo. In due documenti dell'Episcopato Fermano (Liber Iuris) si parla infatti di un processo intentato dal vescovo di Fermo Adenolfo (1205, 1212) ai signori dei "castelli di Montefiore" nell'anno 1208: Egidius de Monte Floris e Ugo de Aspromonte. Sia Egidio che Ugo sono della famiglia dei Tebaldeschi discendenti del Conte Manasse (Manaseus) vissuto nella prima metà del secolo XII. ... I documenti citati come altri disponibili nella letteratura storico testimoniano la presenza nel territorio di due castra ben distinti e amministrati da signori facenti parte delle stessa stirpe. I due castra erano molto vicini e separati da un falso piano di qualche decina di metri. Il castrum Montisfloris si ergeva nei limiti dell'attuale Piazza della Repubblica dove trova edificazione la chiesa di San Callisto che costituiva la corte principale del castello. Successivamente la costituzione del libero Comune la platea di Sancti Callisti venne dedicata a San Pietro Apostolo. Il borgo del castello si trovava sul pendio meridionale della piazza tra le vie Ghibellina, Mazzini e Garibaldi. Nel borgo si ergeva la chiesa di San Vitale di cui ancora oggi rimane il portale d'ingresso in zona "scalette". Il borgo molto probabilmente era difeso con steccati e terrapieni. Il castrum Aspromontem non doveva essere molto lontano dal castrum Montisfloris in quanto nel 1239 e fino al 1247 s'intrapresero le opere di fusione dei due castelli. L'insediamento è da posizionarsi nell'attuale centro storico tra le vie Garibaldi, Trento e borgo Giordano Bruno, nell'area occupata dai palazzi di De Vecchis, Egidi Claudio e Marcello, già Mozzoni, e dalla ex caserma dei Carabinieri. Nel 1223 e nel 1231, sotto la pressione dei propri dipendenti, i Tebaldeschi concessero loro la possibilità di costituirsi in libero Comune, conservando il poter di farsi eleggere podestà perpetui e fusero i due castra in un unico centro demico con la denominazione di Montefiore, dove si impegnarono a trasferire i loro vassalli dai possessi finitimi. Con la creazione del libero Comune e l'accentramento amministrativo e demografico, furono abbandonati i castelli di Lamenano, Lafrenamo, Forcella, Montone, Montecelere, che, ad eccezione di quello di Forcella, scomparvero senza lasciar tracce visibili. Nel corso dei secoli successivo il nucleo del castrum unificato si è espanso progressivamente per le necessità di un continuo aumentare delle persone del libero Comune; sul fine del XIV secolo infatti le cortina fu allargata determinando l'apertura di nuove porte. I punti in cui le cortine si piegavano ad angolo furono forniti di torri, tutte a base poligonale, ad eccezione di quelle degli Egidi (nord-est) che è a base pentagonale e si presenta come più massiccio ed imponente delle altre. I "torrioni" tra le cortine sono sei più due torri a protezione della Porta Canapale e Porta Nuova».
http://www.comune.montefioredellaso.ap.it/navigazione.asp?pag=5&item=225&posizione=L
«Il castello fu eretto come sistema di fortificazione a difesa dell'insediamento abitato. Montemonaco è stato storicamente crocevia degli antichi percorsi tra Marche ed Umbria ed il dominio fu conteso tra i due stati per molto tempo pur rimanendo quasi sempre indipendente. Nacque tra il IX e X secolo come presidio benedettino ed ebbe nei secoli successivi la necessità di proteggere l'abitato. Il sistema di protezione realizzato sin dal XIII secolo era articolato con mura di arenaria ed una rocca. Alcune porzioni delle mura di difesa sono divenute parte di edificazioni mentre la rocca, realizzata nella parte alta dell'abitato, è ancora presente con resti di murature e torri quadrangolari d'angolo. Parte delle finiture sono scomparse, mentre sono ancora visibili le feritoie usate anticamente per la difesa. La cinta originaria fu costruita, sembra, nel X sec., in pietra arenaria, e, successivamente, munita di torri in occasione dell’erezione del Castello, che nel 1190 era sotto la signoria dei nobili di M. Passillo, e che viene menzionato come Castrum Mons Monaci nel 1283. Nel XIV sec. le mura furono ulteriormente ampliate. Dagli Statuti del 1545 si deduce che esse avevano tre porte: porta San Biagio (ancora ben conservata) posta vicino alla chiesa di S. Benedetto, porta San Lorenzo (completamente demolita) posta nei pressi del "Palazzaccio" già dei Conti Garulli e porta San Giorgio all'ingresso del paese verso Amandola (oggi demolita). Quando persero la loro funzione difensiva, in parte vennero smantellate per costruire civili abitazioni, attualmente sono visibili alcuni tratti della cinta muraria, intercalati da robusti torrioni, anch’essi in arenaria, parzialmente degradati dal corso dei secoli».
http://www.terredelpiceno.it/ita/montemonaco
Montemonaco (palazzo dei Priori)
«Proseguendo ancora lungo la via, si innalza il cinquecentesco palazzo dei Priori (oggi sede del comune). Il palazzo è il frutto di un rimaneggiamento della fine del XVI secolo della più antica struttura degli inizi del XV secolo di cui si conserva traccia nei quattrocenteschi ricommessi lapidei delle finestre con iscrizioni tronche, prive di sequenza. Dell’antico castello in cima al paese non v’è più traccia se non nel toponimo di via di Castello. Al termine della via, nella parte più alta di Montemonaco, sorge un grande belvedere, oggi Parco Montiguarnieri, delimitato a settentrione da un tratto delle antiche mura, e da cui l’ampia vista panoramica domina verso est il degradare delle colline fino al Mare Adriatico e ad ovest la catena dei Monti Sibillini che, da Monte Sibilla a Monte Vettore, raccoglie il declinare dell’altopiano dove sorse il Borgo fortificato».
http://www.sibilliniweb.it/citta/comune-di-montemonaco-ap
Monteprandone (mura, porta da Monte)
«Diversi documenti rimangono a memoria dei vari interventi di potenziamento e ristrutturazione delle difese di Monteprandone che, data la vicinanza al mare, fu strategicamente fondamentale per i Farfensi prima e per lo stato ascolano poi (dopo il 1300). Costruita intorno al XV secolo, cinge il colle dove sorge l'abitato in un circuito ovale interrotto da torrette che servivano a meglio controllare il circuito, e da basi scarpate costruite contro i colpi di bombarda. Fu, nel corso degli anni, aggiornata come difesa da possibili invasioni da parte dei turchi e dei pirati balcanici, chiamati uscocchi, che imperversavano nell'adriatico. Un tempo solo due porte permettevano l'ingresso: quella da Monte, ancora in buono stato, e quella da Mare, distrutta agli inizi del secolo, che sorgeva probabilmente nei pressi dell'attuale municipio. Molto ben conservata la cinta meridionale, è stata restaurata in alcuni tratti. Nonostante le abitazioni, che nei secoli hanno preso il posto dei camminamenti militari, riesce ancora a trasmettere un discreto fascino con i suoi contrafforti e le sue torrette; su una di queste, trasformata in balcone, è ancora visibile uno stemma scalpellato del comune. ... Formidabile struttura difensiva a guardia dell'accesso alle mura, [la porta da Monte] si apre a oriente nella parte bassa del paese. Difesa principalmente da una massiccia torre a sperone detta rivellino che oggi sopravvive senza la parte superiore. L'altra torre, opposta al rivellino, è stata aggiunta nel XX secolo e non ha nulla a che fare con le opere difensive originali. Sopra l'arcata della porta si intravedono ancora le merlature e le feritoie chiuse per ricavare spazi abitabili. Durante i lavori di restauro venne rinvenuto il dipinto con lo stemma ascolano, probabilmente murato nell'epoca delle soppressioni napoleoniche, che si è preservato fino a noi. Di interesse è l'antica porta con arco a sesto acuto, rafforzata da elementi in travertino, che si apriva sul lato occidentale rispetto a quella attuale, in un'angusta via che sale stretta tra il rivellino e la cinta muraria. L'ambiente interno, impreziosito da un'edicola con una statua della Madonna e da una piccola finestra ad oculo costruite successivamente, sfrutta l'elevato dislivello come ulteriore difesa».
http://www.habitualtourist.com/cinta_muraria(monteprandone) - ...porta_da_monte(monteprandone)
Mozzano (ruderi della fortezza)
«Costruito sopra una sporgenza tufacea che domina la valle del Tronto e la Salaria tra il nevralgico incrocio per Roccafluvione e quindi il fermano-maceratese e la città di Ascoli. Col tempo la sua importanza strategica è andata mano a mano scemando fino al totale abbandono, probabilmente con il progressivo sviluppo delle artiglierie. Oggi rimangono pochi ruderi erosi dalle intemperie, le mura occidentali costruite direttamente sulla roccia, dove sono scavati gli incastri per innalzare le palizzate difensive; i resti di una piccola torre d'angolo esagonale sporgono dalla cortina muraria fortificando lo stretto passaggio a strapiombo sulla vallata, dal quale si accede al piano della rocca. C'è da fare attenzione alla cisterna dell'acqua, non segnalata, che si apre all'interno del perimetro spesso nascosta nella vegetazione durante la bella stagione; dalla parte sommitale dello sperone roccioso, chi non soffre di vertigini potrà affacciarsi per vedere le rocce formare un arco, ben visibile anche proseguendo per la strada asfaltata verso Tronzano. Le strutture murarie sono state evidentemente costruite in varie epoche, quella più bassa si presenta maggiormente degradata di quella superiore, che probabilmente insieme alla torretta sono frutto di allestimenti tardo medievali, rimane qualche fondamenta intagliata nella roccia, con ancora qualche mattone incastrato nella parte più alta e probabilmente più antica. L'ideale per chi, a pochi minuti dal capoluogo piceno, vuole dedicare un momento a questo frammento di storia delle difese cittadine, magari trovandovi molto di più».
http://www.habitualtourist.com/forte_di_mozzano
«Il papa Niccolò IV (nato a Lisciano, presso Ascoli Piceno, e morto a Roma il 4/4/1292) nel 1291 riconosceva ad Offida il potere di eleggersi un podestà (come testimoniato da documenti dell’Archivio della Collegiata), i consoli e i priori. Pertanto si deve ritenere che da tempo fosse stato costruito il Palazzo Comunale. Lo storico offidano A. Rosini, infatti, fa risalire la costruzione del Palazzo Comunale attorno ai sec. Xl-Xll. Con molta probabilità tale costruzione era rappresentata da un edificio composto da un piano terra, da un primo piano e da una soffitta coperta da un tetto a due spioventi, sorretto da capriate in legno, rozzamente intagliate; il tutto sovrastato da una rozza torre quadrangolare. La struttura dell’edificio doveva dunque risultare piuttosto semplice. La struttura architettonica attuale presenta caratteristiche di diversa epoca. L’edificio, costruito in laterizio, infatti, è costituito da una torre trecentesca coronata da merli a coda di rondine. La dimensione trecentesca è testimoniata ancora dalla facciata del muro che dà sul Teatro Serpente Aureo. Sul muro di tale facciata erano incastonate le misure lineari alle quali ci si doveva attenere, come ci riferisce lo Statuto Comunale del 1524, nei normali scambi commerciali. Il muro trecentesco della facciata è bene evidenziato sopra la loggetta posta sull’alto portico centrale. Il portico, che dà sulla piazza centrale, è retto da colonne cilindriche sormontate da capitelli in travertino, e risale al sec. XV. Ai due lati del portico centrale si notano due stemmi, opere effettuate nel 1932 dallo scultore offidano Aldo Sergiacomi. Lo stemma di sinistra rappresenta la Casa Savoia, quello di destra si riferisce al Comune di Offida. Un altro portico, probabilmente risalente alla fine del sec. XVIII o al sec. XIX, fiancheggia il Palazzo Comunale dalla parte che dà sul Corso Serpente Aureo. A tale proposito le notizie ci sono fornite dallo storico Allevi che così si esprime: "Un altro portico, di recente fattura, massiccio, pesante, sorretto da piloni rettangolari, fiancheggia il palazzo dalla parte meridionale". Anticamente all’interno della parte inferiore della torre erano sistemate le carceri, come si può ancora rilevare e come attestato da un nota presente in un registro dell’Archivio Storico Comunale, datato 1556. ... Il Palazzo è stato più volte modificato e restaurato. ... Sull’originale muro perimetrale del sec. XIV, nel 1924, fu aggiunta una fila di merli a coda di rondine. Dalla porta centrale, contornata da uno stipite di pietra tagliata a punta di diamante, attraverso una scala, ci si porta al piano superiore del Palazzo. Le sale più rappresentative sono quattro: la Sala Consiliare, la “sala rossa”, con mobili stile Luigi XV; la “sala azzurra”, con mobili stile impero; la “sala verde”, con mobili stile Luigi XVI».
http://www.comune.offida.ap.it/it/citta/mon_palazzo.asp
«L'agglomerato di Offida è di
origine prettamente medioevale, cresciuto lentamente dall'antico villaggio
all'ombra di un castello prima e monastero. A differenza delle città romane,
alla topografia con leggeri mutamenti di generazione in generazione
conservando nella pianta elementi che derivano da accidenti storici, le mura
e le porte determinano le principali linee di circolazione. La cinta muraria
è stata sostanzialmente costruita in due fasi. La prima tra il XII e XIII
secolo con l'accesso principale sul lato nord-est mediante un torrione
quadrato sormontato da un ordine di caditoie su cui poggiava un parapetto
adorno di merli guelfi. La porta di accesso alla città era tagliata da un
arco a sesto acuto ancora visibile e chiusa a due battenti ferrati dietro i
quali scorreva una saracinesca; dalla porta doveva far capo un ponte
levatoio che sormontava il fossato. Le mura, dal torrione suddetto, si
dilungano verso ovest e verso sud facendo angolo e chiudendo Offida entro
una cinta presso a poco rettangolare interrompendosi laddove i calanchi
costituivano una difesa naturale. Altre due porte, oggi non visibili, si
aprivano a ponente fornite anch'esse di solidi battenti e di saracinesche:
quella di S. Giovanni e quella della fontana. Esse erano usate
principalmente dagli agricoltori ed abitanti del circondario per rifugiarsi
all'interno della città durante le numerose incursioni dei nemici. Da questa
parte sorgeva il castello di Longino di Azone, oggi Chiesa di S.Maria della
Rocca che tratterò in altro articolo. Dalla pianta delineata nel 1694 da
Ferdinando Fabiani, si scorge bene la cinta muraria con le relative porte,
così come sopra descritte. Successivamente, generalizzandosi il nuovo mezzo
di distruzione (polvere da sparo e relativa artiglieria), si dovette
introdurre un radicale mutamento nelle forme e dimensioni delle
fortificazioni. A tal fine furono affidati, sul finire del XV secolo e
precisamente nel 1488 a tale Baccio Pontelli, architetto fiorentino, dal
papa Innocenzo VIII, i lavori di fortificazione della cinta muraria.
L'architetto, oltre a consolidare le cortine esistenti, aggiunse a
settentrione la rocca. La pianta di quest'ultima per 2/3 della sua lunghezza
ha forma rettangolare; con uno dei maggiori lati fronteggia nord mentre con
uno dei lati minori verso ovest va a ricongiungersi alle antiche mura.
Sull'altro lato verso est poggia la base di un triangolo che, essendo più
breve del lato stesso, fa si che il quadrilungo sporga a spigolo fra nord ed
est; al vertice del triangolo si trova l'antico torrione di entrata sopra
descritto che l'architetto fece foderare con un solido rivestimento di
mattoni, dandogli forma circolare affinché i proiettili vi facessero danni
minori. Su questo primo torrione sta incastrato lo stemma papale in
travertino di Innocenzo VIII. Al primo spigolo del rettangolo vi è una torre
quadra poco sporgente dal filo dei muri, mentre, allo spigolo opposto, si
alza un terzo torrione rotondo, alto e slanciato; una quarta torre quadrata
sorge nell'angolo di giunzione tra la nuova costruzione e la vecchia.
Cortine di mura a scarpata concatenano l'insieme delle fortificazioni. Delle
caditoie contornano il torrione più grande che era fornito di un parapetto
munito di merli guelfi. La rocca dalla parte dell'abitato rimane aperta per
due grandi voltoni a sesto acuto sovrapposti l'uno all'altro; con molta
probabilità attraverso la botola ancora visibile e di una scala in legno non
più esistente, si discendeva dal più alto a quello di sotto.
Le mura, indispensabili alla definizione della città, davano garanzia di
stabilità e sicurezza, di potere incontrollabile e di inattaccabile
autorità. Esse erano, nel contempo, un dispositivo militare ed un efficace
strumento di dominio sulla popolazione urbana. Ma oltre che a fini di difesa
militare e di controllo politico, le mura stabilivano una precisa
demarcazione tra città e campagna, sia sotto il profilo estetico che
sociale. Non bisogna infine dimenticare, nel medioevo, anche un'altra
funzione delle mura, quella di passeggio pubblico soprattutto nel periodo
estivo; anche quando non erano alte più di 6 metri esse offrivano una
eccellente prospettiva sulla campagna circostante e permettevano di godere
quelle brezze estive che magari non penetravano nella città. Non si può
chiudere il discorso sulle mura senza ricordare la funzione particolare
della porta, luogo di incontro, a quei tempi, tra due mondi, l'urbano ed il
rurale, l'interno e l'esterno. La porta principale dava il primo saluto al
mercante, al viandante in genere era contemporaneamente una dogana, un
ufficio, un centro di controllo la porta dunque creo "il quartiere
economico". Tralasciando i piccoli interventi di manutenzione avvenuti in
epoche diverse, a volte distruttivi e quasi sempre poco pertinenti, sia la
rocca che le mura di cinta ancora visibili sono state oggetto
sostanzialmente di due interventi tendenti alla ristrutturazione delle
cortine ed al ripristino dei camminamenti di ronda. Il primo concreto
intervento fu eseguito nel 1988-89 attingendo ai finanziamenti stanziati
dalla legge 879/86 da utilizzarsi per il ripristino e riparazione di opere
comunali. Il progetto interessò la rocca con i tre torrioni e le cortine di
collegamento, sino al raggiungimento del lato sul confine con il vecchio
ospedale civile. Vennero recuperati inoltre il cammino di ronda sovrastante
le cortine murarie (al quale si può accedere dalla rocca sul lato est - ex
porta marina), ed il cosiddetto "muraglione", ricostruito fedelmente sulla
scorta di rare immagini fotografiche. Quest'ultimo era anticamente il punto
ove i mercanti attendevano il loro turno prima di entrare in città con i
loro prodotti; nel lungo periodo che precedette la sua demolizione, fu luogo
di ritrovo (e pettegolezzo) per molti offidani che beneficiavano oltretutto
del bel panorama offerto e della brezza nei periodi caldi. Attualmente
sono in esecuzione lavori per la ristrutturazione dell'altra parte delle
mura di cinta e cioè quella che lambisce via Berlinguer fino a raggiungere
l'ex convento di S. Francesco, oggi sede della VINEA
ed enoteca regionale. Purtroppo questi non hanno una continuità tale da
farne presupporre la fine prima dell'estate prossima, precludendone la bella
visione d'insieme ai numerosi turisti che visitano la nostra cittadina.
è auspicabile poi che tali
opere si integrino con la parte già ristrutturata sia sotto l'aspetto
estetico (coerenza cromatica dei setti ed analoghe tecniche di restauro come
la stuccatura delle connessure) ma soprattutto che vengano concretizzate
alcune idee per un percorso turistico tale da poter finalmente annoverare la
rocca e le mura tra le bellezze monumentali offidane fruibili».
http://www.ilquotidiano.it/articoli/index.cfm?ida=2468 (testo di Alberto Premici)
Palmiano (Castel San Pietro o Belvedere, palazzi)
«Sul punto più culminante del suo territorio si ergeva “Belvedere”, oggi Castel San Pietro, antichissimo castello poggiato su solide basi rocciose e cinto di validi muraglioni. Nel secolo scorso esistevano ancora, benché consumate e sgretolate dal tempo, le mura castellane e l’antico ingresso del feudo: poche vestigia, in vero, ma abbastanza chiare per ricordare ai suoi cittadini l’esistenza ormai spenta di un antico e forte paese. Appartenne alla dinastica famiglia SALADINI e nel 1301 fu acquistato dalla città di Ascoli. Ebbe un proprio statuto, datato 1500, e raggiunse una popolazione di circa 300 abitanti. Il contado comprendeva le seguenti ville, che formavano la sua giurisdizione: Tavernella, Appoiano, San Silvestro, Poggio, Caprignano e Palmiano, che oggi è appunto capoluogo del comune. Nel 1798, sesto anno dell’era repubblicana, Castel San Pietro fece parte del Dipartimento del Tronto (suddivisione territoriale propriamente imposta e decretata dai Francesi), e dipendeva dal Cantona di Amandola. Passata la bufera napoleonica, e date le precarie condizioni del castello, il comune e l’antico archivio furono trasferiti nella sottostante frazione di Palmiano che, a differenza, cresceva di popolazione e nel suo territorio venivano formandosi diverse organizzazioni religiose, agricole e commerciali. ... Il borgo di Palmiano è ricco di suggestivi palazzi nobiliari o padronali che propongono interessanti esempi di architettura anche nelle parti basse degli edifici: soprattutto interessanti sono i portoni che recano architravi scolpite e fregi di vario genere».
http://www.galpiceno.it/scheda_monumento.php?id=209&id_comune=44 - ...230&id_comune=44#
Patrignone (borgo fortificato, palazzo Bonfini)
«Il paese si snoda seguendo parte del lungo crinale che dai piedi del capoluogo si estende verso sud, fino al fiume Tesino. Data la posizione anch'esso ha subito gravi mutilazioni dovute al fenomeno erosivo dei calanchi. La parte più alta è occupata dalla piazza detta Cassero, in ricordo delle fortificazioni che vi sorgevano; da qui si scende per il corso principale dove si affacciano i palazzi nobiliari e gli edifici di culto come la chiesa di Santa Maria in Viminatu. Continuando a scendere, sulla destra si trova via del Girone: il nome, sinonimo di castello o comunque di recinto murato, allude alla presenza di fortificazioni. Proseguendo si arriva fino a piazza Bonfini dove sorge l'omonimo palazzo e la parte bassa dell'incasato dove si affacciano anche i resti della medievale Porta Sud, la piccola chiesa della Madonna di Reggio (protetta da un porticato in cotto) ed il vecchio palazzo municipale. Uscendo dalla porta si può seguire il tracciato delle mura che conservano ancora due torrioni cilindrici di cui uno solo completo. La prima fonte storica di Patrignone risale al 1039 e nel 1074 entrò nel presidiato Farfense. Nel XIII secolo questo piccolo borgo fu dato in feudo alla famiglia ascolana dei Bonfini, fatto che inaugurò un rapporto di dipendenza tra Patrignone e la città di Ascoli. La massima prosperità culturale ed economica si concentrò tra il 1300 e il 1500, quando furono edificate prima la chiesa, poi il torrione quindi le mura difensive. Patrignone era ricca di botteghe artigianali per la lavorazione del legno, ed era attiva anche una fornace. Nel 1571, dopo la soppressione del presidiato Farfense, il borgo passò sotto la diocesi di Ripatransone ma dal 1586 fu annesso alla nuova diocesi di Montalto, istituita da Sisto V» - «Palazzo Bonfini è situato a Patrignone frazione di Montalto delle Marche. Il Palazzo è stato costruito da Antonio Bonfini. Ubicato nella parte bassa del borgo, si affaccia timidamente su un angolo dell’omonima piazza, nei pressi della porta Sud. La facciata, in pieno stile rinascimentale, è contraddistinta da tre ordini di finestre in travertino che al secondo e terzo piano sono ornate da lunotti con motivi floreali».
http://www.habitualtourist.com/patrignone - http://www.terredelpiceno.it/monumenti/palazzo-bonfini-montalto-delle-marche/
Polesio (borgo fortificato, mura)
«Ancora ben visibili le tracce nel zona nord-est dell'incasato, la cinta muraria è stata realizzata con materiali non omogenei e poveri, come pietre rozzamente squadrate con aggiunte di mattoni e altri materiali, a causa della scarsa reperibilità di materiali. A nord è possibile ancora ammirare una piccola torretta quadrata abbastanza conservata, munita di feritoie per archibugio e di una scarpatura alla base. La torre di comando, la cosiddetta rocca o maschio, è stata riutilizzata come campanile della chiesa di Santa Maria ed è collocata probabilmente nei pressi dell'antica porta castellana, ora scomparsa. Le numerose frane che si sono susseguite nei tempi hanno cancellato il resto delle antiche mura. Nella zona occidentale del borgo sono franate insieme a parte dell'abitato».
http://www.habitualtourist.com/cinta_muraria(polesio-ascoli_piceno)
«Il Torrione si trova nella frazione Porchia di Montalto delle Marche. La struttura di forma pentagonale difesa da una possente scarpatura alla base che aveva lo scopo di assorbire e deviare i colpi delle bombarde, è coronato da merli di fattura ghibellina costruiti sopra una fila di beccatelli dove i difensori potevano, al riparo, operare e contrattaccare. Di origine trecentesca, è stato aggiornato nel quattrocento munendolo, oltre che della massiccia scarpatura, anche di diverse bombardiere e feritoie. Avente funzione di torre di comando, organizzava dall’alto le difese del borgo. Il lato rivolto verso l’interno è privo di copertura muraria. Molto scenografico nella sua collocazione, un tempo era circondato da altri edifici ora demoliti, che andavano a comporre le difese della parte alta del paese. Piuttosto ben tenuto, e sede dell’orologio cittadino, è visitabile tramite delle ripide scalinate in legno che salgono fino alla piattaforma superiore».
http://www.terredelpiceno.it/monumenti/torrione-di-porchia-montalto-delle-marche
«Un tempo uno dei capisaldi più potenti dello stato ascolano. Sorta a controllo dei confini settentrionali e dell'antica strada romana per Monterinaldo, è posta sopra una ripida collina che, a causa della natura geologica, è andata progressivamente franando nei secoli, portando al degrado e all'abbandono, suo ed in generale del paese. Rimangono poche tracce murarie diroccate che si inerpicano per la ripida altura che sovrasta ciò che rimane l'abitato di Porchiano, non visitabili a causa della pericolosità degli alti precipizi che all'epoca ne semplificavano l'azione difensiva. Basta comunque girare attorno al colle per scorgere i resti delle mura, specialmente quelli delle cortine occidentali, ormai sospese nel vuoto: da qui vennero gettati gli abitanti durante il sacco francese del 1528. È piuttosto difficile capire oggi quali forme e volumi avesse il fortilizio in passato».
http://www.habitualtourist.com/rocca_di_porchiano
Porto d'Ascoli (caserma pontificia)
«La Caserma Pontificia, che sorge lungo la via principale di Porto d'Ascoli è un altro luogo di interesse storico-architettonico non trascurabile. È anche conosciuta come “caserma guelfa” e veniva utilizzata dalle truppe fedeli al Papa che parteggiavano per Ascoli durante il lungo conflitto con Fermo. Parte della fortezza è ora diventato un tipico ristorante marchigiano dove poter gustare i migliori piatti di San Benedetto in un ambiente rustico e suggestivo» - «La caserma pontificia è ubicata ai piedi dell’antico castello di Porto d’Ascoli ed è un edificio fortificato a pianta quadrangolare con corpi d’angolo a “puntone” e chiostro interno a doppio ordine di archi a tutto sesto. L’apparecchio murario è a ricorsi in laterizio con scarpatura di base bloccata da un marcapiano a sezione semicircolare».
http://www.instoria.it/home/san_benedetto_tronto.htm - https://www.comunesbt.it/Engine/RAServeFile.php/f//RELAZIONE...
«Situata a Porto d'Ascoli, è quanto resta di una fortezza consistente in due grandi torri, sette torrioni con settanta merli. L'avevano costruita gli ascolani in dispregio dei diritti di Fermo che, in virtù di un privilegio rilasciato da Ottone IV nel 1211, avevano il dominio del litorale dal Tronto al Potenza. Tale privilegio stabiliva che nessuno, per la profondità di un chilometro, poteva costruire edifici né fortezze senza il benestare di Fermo. Ascoli però voleva uno sbocco sul mare e in tre anni costruì la rocca. Ma nel 1348 Gentile da Mogliano, con l'esercito fermano, pose l'assedio ed espugnò dopo 40 giorni la fortezza radendola al suolo. Fu però risparmiata la torre: appunto, la Torre Guelfa».
http://www.comunesbt.it/Engine/RAServePG.php/P/294110010100/M/252210010106 (da Guida di S. Benedetto del Tronto, di Gabriele Nepi)
«Sulle origini del castello mancano documenti certi, ma la realtà storica sembra non allontanarsi molto dalla fantasia facendole risalire al IV-V secolo d.C., nel periodo delle invasioni barbariche e del conseguente rifugiarsi delle popolazioni in luoghi impervi e quindi sicuri. Comunque il primo dato certo compare nel Quinternone del Comune di Ascoli Piceno, nel quale si rivela che nel 1298 ad alcuni abitanti del Castello viene concessa la cittadinanza ascolana, e si attesta che la comunità di Ripaberarda, pur fornita di propri statuti ed autogoverno, è da sempre appartenuta al distretto di Ascoli sotto la giurisdizione del rettore della Marca; e per questo, come castello fortificato divenne baluardo difensivo dalle incursioni fermane. Nel 1510 tre quarti del castello franarono a causa dell'erosione del sottostante torrente Macchia. Il Comune rimase autonomo fino al 10 dicembre1865 quando con Regio Decreto ne fu disposta l'aggregazione a Castignano, di cui ancora oggi è l'unica frazione. Di notevole interesse risultano la Porta Castellana chiamata "la vodda" ed i resti delle Mura Fortificate. Dall'antico nucleo, che conserva la struttura medievale ed ha il caratteristico colore del mattone che contraddistingue tutti i Borghi dell'Ascolano, spicca il Cinquecentesco Campanile. L'elegante costruzione, visibilmente pendente da un lato, a causa della posizione precaria del basamento, era in passato affiancata alla chiesa di S. Egidio, ora distrutta. Il disegno dell'opera, risalente al 1518, è comunemente attribuito ad Antonio da Lodi. Probabilmente eretto su un affusto preesistente utilizzato come torre di avvistamento, presenta un fusto cubico suddiviso in quattro piani di cui i primi tre recano feritoie e l'ultimo è destinato alla cella campanaria, ove si aprono quattro monofore in stile rinascimentale. Elegante è l'ottagono terminale sormontato da cuspide ed arricchito da piatti in maiolica incastonati, dal colore azzurro. Il campanile che fonde arte gotica e classica è della stessa famiglia delle torri campanarie delle cattedrali di Teramo ed Atri e delle chiese di Campli e Corropoli in Abruzzo».
http://www.oasitraicalanchi.it/ripaberarda.htm
Ripaberarda (cinta muraria, porta Castellana)
«Cinta muraria. Esempio di cinta muraria trecentesca, è poco aggiornata rispetto ad altre cinte, sebbene siano presenti alcune feritoie per bombarda. Alla costruzione manca, infatti, la tipica scarpatura alla base, eccezion fatta per la porta di ingresso. In seguito alle frane, e a volte anche all'incuria, dell'antico tracciato rimane solo il tratto orientale con le due torri perimetrali. Queste torri quadrate aiutavano i difensori al controllo delle mura, e la più vicina alla porta forniva una valida posizione per far fuoco alle spalle dell'eventuale assalitore che si fosse avventurato contro di essa. Sulla sommità delle mura e delle torri si possono notare, oltre all'assenza di caditoie, le tracce dei merli successivamente murati per ricavare ambienti abitabili sugli ormai inutilizzati camminamenti, e dei fori dove si agganciavano le bertesche (rivestimento in legno dei passaggi di ronda allo scopo di proteggere i difensori. Porta Castellana. La porta di accesso al castello di Ripaberarda si apre sul fianco di un tozzo torrione poligonale. Rialzata da terra è raggiungibile tramite una rampa. Eretto nello spazio tra la porta e la torre, la parte superiore del torrione è stata modificata per esigenze abitative; sono quindi scomparse le merlature ma è sopravvissuta, riutilizzata come caminetto. La parte inferiore si allarga in una grande scarpatura, presente solo in questa struttura castellana come rinforzo per i colpi di artiglieria. Raggiunto l'ambiente interno, sono di interesse le feritoie che si aprono nella muratura e soprattutto l'abile fattura delle volte in cotto che si intrecciano fino ad allargarsi in un grande arco che da sulla piazza. Alcune tracce di fortificazioni precedenti, come un muro in conci grezzi e feritoie murate, sono visibili all'interno della casa parrocchiale e nella parte opposta dell'arco di entrata, richiamano una porta leggermente più antica della vecchia cinta muraria, costruita dietro l'attuale».
http://www.habitualtourist.com/cinta_muraria(ripaberarda-castignano) - ...porta_castellana(castignano)
Ripatransone (palazzi storici)
«Le chiese e i palazzi pubblici e privati di maggiore valore sono ubicati in gran parte lungo corso Vittorio Emanuele II che attraversa tutto il centro in direzione Sud-Nord. Al suo imbocco, a destra, si trova il Palazzo dei marchesi Bruti Liberati (sec. XVII) e, subito dopo a sinistra, la Chiesa di Santa Maria della Valle, ristrutturata agli inizi del sec. XX quando fu rifatta anche la facciata e rinnovato l'interno. Dopo la Chiesa segue la piazza Guglielmo Marconi con case del sec. XVI, in una delle quali nacque Adolfo Cellini (letterato, teologo, esegeta) e Casa Mancini, con stemma sul portale bugnato. ... Riprendendo corso Vittorio Emanuele II, troviamo sulla destra: Casa Tozzi Condivi (sec. XVIII); Palazzo Cellini, in stile neogotico (metà sec. XIX) con portone di B. Vecchiarelli; Casa Fedeli (fine sec. XVII). Raggiunta Piazza Matteotti, sulla sinistra c'è Palazzo Massi Mauri (sec. XVIII), a forma di carena di nave con balcone munito di un'elaborata ringhiera in ferro battuto, opera di F. Tartufoli. A destra si trovano Casa Teodori, con portico ogivale a due campate e terrecotte del '400, una casa del sec. XV con portico su colonne in laterizi e trabeazione in legno in stile veneziano e una casa con portico ogivale su bassi pilastri e colonne romaniche con sopraelevazione rinascimentale. ... All'imbocco di via Angela di Zingaro si può ammirare l'antica Casa Gallo, con portale in pietra concia, sul cui architrave si legge un'iscrizione del 1503. Riprendendo Corso Vittorio Emanuele, a sinistra c'è una colonna corinzia del 1658 e, a destra, Casa Bruni (sec. XV-XVI), dimora di Ascanio Condivi, primo biografo di Michelangelo, con elegante loggetta e finestre a croce guelfa. ... Proseguendo si incontrano Palazzo Lupidi-Boccabianca (sec. XVII-XVIII) e Palazzo Tassoni-Gera, restaurato nel sec. XIX, casa natale dello scultore Uno Gera. ... Dopo il palazzo del Podestà si entra nella piazza più grande della città, intitolata a donna Bianca De Tharolis, eroina ripana, con al centro il monumento dei Caduti (1931) con ai piedi un cannone cecoslovacco (1916). Fa da sfondo il Palazzo Benvignati (sec. XVII-XVIII). A destra della piazza si imbocca via Montebello alla cui sinistra è la Casa natale di Aldo Gabrielli (letterato, critico, giornalista) e, da qui, si raggiunge via Tanursi da dove si imbocca il vicolo più stretto d'Italia (cm 43). Tornati in piazza Bianca de Tharolis, si continua per l'ultimo tratto del corso Vittorio Emanuele, e, dopo le Case Massi e Tovagliani (sec. XVI), sulla sinistra, e la Casa natale di Emidio Consorti (pedagogista), sulla destra si innalza Palazzo Bonomi-Gera (fine sec.XVII), sede della Galleria d'Arte Moderna, Pinacoteca-Gipsoteca. Progettato da Luzio Bonomi, nel 1966 fu acquistato da Uno Gera che lo fece restaurare. Lo stile serio e castigato trova l'unico elemento decorativo nel portale in arenaria sormontato da un balconcino. ... Sempre sul corso si trovano anche la Casa natale di Luigi Mercantini, l'antica Casa Benignati (sec. XV), quasi tutta in conci con una bifora chiusa, e il Palazzo Vegezi (sec. XVI-XVII), con portale bugnato. ... Al n° 17 di via Garibaldi c'è il Complesso dei Grifoni, una casa rivestita di terracotte decorate quattrocentesche».
http://www.comune.ripatransone.ap.it/index.php?action=index&p=40
Ripatransone (palazzo Comunale)
«Il palazzo comunale venne edificato nel XIII secolo, ma deve la sua attuale struttura ai lavori di ampliamento e restauro eseguiti fra il 1500 e il 1800. La facciata meridionale è preceduta da una scalinata a rampe contrapposte, e accoglie un portale bugnato in pietra sormontato dallo stemma comunale. Da ammirare i resti della quattrocentesca Loggia degli Anziani caratterizzata da un affresco raffigurante la Madonna del Latte e la Maddalena realizzato da Giacomo da Campli raffigurante la Madonna del Latte e la Maddalena. Il palazzo oltre ad ospitare tre archivi, accoglie al primo piano il Teatro Luigi Mercantini risalente al Quattrocento».
http://www.byitaly.org/it/Marche/AscoliPiceno/Ripatransone/Palazzo_Comunale_di_Ripatransone
Ripatransone (palazzo del Podestà)
«Accanto al Palazzo Comunale si trova il Palazzo del Podestà, completato nel 1304, esempio del passaggio dall'architettura romanica a quella gotica. Possiamo notare, ad esempio, gli archi a tutto sesto del loggiato e delle bifore al primo piano, espressione dell'arte romanica, mentre l'arco centrale del loggiato si presenta a sesto acuto, e alcune delle finestre del primo piano presentano nella parte superiore una forma trilobata, che ricorda con l'alternarsi di angoli e curve, il profilo di un fiore o di una foglia. Questa maggiore attenzione alla ricercatezza della decorazione è tipica dell'arte gotica. Le ali del palazzo, a sinistra e destra del palazzo sono state completate nell'800, così come il secondo piano dell'edificio, con le sue finestre quadrate. Nell'ala destra fu ricavato il Teatro Comunale; inizialmente veniva chiamato “Teatro del Leone” in omaggio al simbolo della città, ma nel 1892 venne ufficialmente dedicato al poeta e patriota Luigi Mercantini, nato a Ripatransone».
http://www.travelcastpiceno.it/index.php/Ripatransone/02-Palazzo-Comunale-e-Palazzo-del-Podesta.html
Ripatransone (torrione, mura, porte, Corte delle Fonti)
«Le fortificazioni della città, sorta dall'unione di quattro castelli, furono ultimate al massimo nel 1198, ma la tradizione ritiene che le prime opere difensive fossero già costruite nell'anno 822, per volere del fondatore eponimo conte Trasone. La data è verosimile se si considera che, di lì a pochi anni, la nuova città fu già chiamata a difendere sé stessa e il Piceno dai Saraceni. La cinta acquistò uno sviluppo notevole con la crescita di importanza strategica della città, e con la costruzione (XV-XVI secolo) di un complesso a protezione delle risorse idriche del paese, detto Complesso delle Fonti, con una corte e le due porte Cuprense e San Domenico. L'opera difensiva fu poi oggetto di un importante restauro negli anni 40 del XV secolo, a causa delle guerre contro lo Sforza. Un altro rafforzamento si ebbe oltre un secolo dopo, sotto il pontificato di Sisto V. Ne risulta una delle cinte murarie più ricche e articolate delle Marche: nell'Ottocento si stimò che la lunghezza del perimetro raggiungesse i 2.418 metri. Nonostante l'alterna prevalenza delle fazioni guelfe e ghibelline, come molte altre città Ripa adottò i merli a coda di rondine. Numerosi frammenti di muro e interi torrioni si rinvengono tutt'intorno al paese. Delle quattro porte principali, tre (Porta di Monte Antico, Porta d'Agello e Porta San Domenico) sono perfettamente conservate. Porta di Capodimonte (detta popolarmente del Macello) è invece venuta meno, con un tratto della cortina ovest-nord ovest, nei lavori di costruzione della variante alla SP 23 Cuprense. Porta di Monte Antico, la più nota per essere tuttora situata lungo la principale via d'accesso alla città, è a pianta quadrata, con arco a sesto acuto di probabile origine trecentesca. Dai documenti (in specie una pianta della città di anonimo del XVII secolo) risulta essere stata provvista di antemurale difensivo, come, del resto, la scomparsa Porta di Capodimonte. Alle porte principali si aggiunge la nota Porta Cuprense, così chiamata perché aperta sul lato della collina rivolto al mare, e dunque all'imbocco dell'antica via per Cupra Marittima. Essa forma, con Porta San Domenico (di accesso al quartiere di Roflano), il Complesso delle Fonti: un raddoppio della cinta sul lato "debole" del paese, la cui cortina e i cui torrioni sono conservati per buona parte. Due torrioni sorvegliano ancora il Colle San Nicolò, uniti da un lungo tratto di muro che si interrompe poco prima di Porta di Monte Antico per far posto alla strada provinciale. Essi appaiono inoltre collegati, sempre tramite frammenti di muro, a un'ulteriore struttura in viale Cellini. Altri due torrioni sono poi individuabili nel quartiere di Agello, con l'omonima porta».
http://it.wikipedia.org/wiki/Mura_di_Ripatransone
«...il territorio di Rocca racconta una lunga storia vissuta tra epoca tardo imperiale e XVII secolo fino ad oggi. Infatti oltre il fiume, sui piccoli altopiani, ad una quota di cento metri superiore all'attuale insediamento, restano le fondamenta di quello che fu probabilmente un pagus romano prima e fino alla metà del XIII secolo un castello nursino, poi passato sotto il controllo montemonachese e via via abbandonato per riutilizzarne nel XV secolo il materiale lapideo nella ricostruzione del Borgo lungo il fiume. Estremamente ricca di acque, anche minerali, aveva nel suo seno un vasto complesso di edifici cinquecenteschi, fra cui probabilmente un ospitale per i viandanti che vi si ristoravano e di cui rimangono significativi resti architettonici nei suoi edifici. Edifici costruiti con materiale in pietra serena e pietra tufacea tipica del luogo arricchita da un interessante motivo decorativo. Infatti più che ricalcare gli stilemi decorativi del XV-XVI secolo risulta coerente con un florilegio simbolico riprodotto, quasi per gemmazione spontanea, in alcuni borghi del territorio Montemonachese. Ben inserita nella viabilità medievale lungo l'Aso, (partendo da Foce e seguendo la via tardo imperiale è il primo nucleo abitativo che s'incontra) qui incrociava anche il tratturo proveniente da Altino per Montemonaco. Inoltre da Rocca partiva uno dei sentieri principali che collegava il fondovalle alla Grotta della Sibilla, per coloro che non volevano risalire fino al capoluogo e giungere direttamente così alle "Grotte Nere" e su fino alla vetta di Monte Sibilla. ... Gli anni '80 hanno visto la ricostruzione e il restauro di molti edifici della frazione ed il rivitalizzarsi della sua economia con l'apertura di ristoranti ed alberghi. Rocca dista 6 km da Montemonaco».
http://it.wikipedia.org/wiki/Montemonaco#Rocca
Rocca Monte varmine (castello)
«A 4 Km dal paese di Carassai, si erge imponente, il Castello di Monte Varmine, del XIV secolo con resti del IX, di probabile origine longobarda; si tratta di uno dei Castelli delle Marche, rimasto integro, con le sue mura poderose, l’alta torre dai “merli” ghibellini (35 m.), munita di arciere e piombatoi. è uno dei pochi esempi di Fattoria fortificata del Piceno. Dall’alto mastio della Rocca, si può ammirare e contemplare un meraviglioso paesaggio multiforme. Il Castello è meta di visitatori e costituisce un polo di attrazione per tutta la zona ed un punto di riferimento storico per i paesi circostanti, oltre ad un punto paesaggistico visto che si erge su un colle tra il verde di piante secolari. Pur insistendo sul territorio di Carassai, Rocca Monte Varmine è proprietà del Comune di Fermo, che l’ha ereditata dall’Opera Pia Brefotrofio, insieme ai suoi 700 ettari di terreno. A 2 Km dal Castello, sorge, a ridosso della strada provinciale Valdaso, sulla riva destra del fiume Aso, la Chiesa di S. Angelo in Piano, ad un’unica navata, con finestre ogivali, acquasantiera a forma di conchiglia, ed affreschi sull’abside, ad essa era annesso un Monastero di monaci Benedettini. All’interno del cortile del Castello, è ubicata la Chiesa di S. Pietro, in cui vi era oltre alle bellissime “Via Crucis” andate perdute un quadro attribuito a Vittore Crivelli, ora custodito nella Pinacoteca di Fermo».
http://www.comune.carassai.ap.it
«La Torre Civica dell’Orologio è una costruzione a pianta quadrata del XV secolo. Fino al Settecento ha svolto la funzione di campanile della chiesa farfense, costruita nel 1430 dai monaci, poi parzialmente crollata nel 1755 per l’erosione del Torrente Oste».
http://www.comunerotella.net/c044065/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/6
«Della Rocca di Rovetino oggi rimangono pochi ruderi nascosti dalla vegetazione, difficilmente individuabili da lontano e che rappresentano le ultime vestigia di questa fortezza. Gli abati farfensi fortificarono l'altura già nell'alto medioevo realizzandovi un torrione, questo castello all'epoca dell'invasione di Federico II era di proprietà dei Varano, duchi di Camerino, che nel 1245 furono costretti a cederla agli ascolani, questi a loro volta la concessero in castellania ai Gualtieri. Al tempo di papa Innocenzo IV, nel 1356 Rovetino era con il Porto d'Ascoli, la rocca di monte Calvo e quella di monte Passilio una delle principali fortificazioni del Comitato Ascolano. Nel 1445 papa Eugenio IV investì la famiglia Saladini della Contea di Rovetino per ricompensala del loro appoggio al Legato della Marca Scarampi che aveva avuto il difficile compito di sottomettere tutto il territorio alla Santa Sede dopo la parentesi francese. Con l'ascesa al soglio pontificio di Sisto V Rovetino e Rotella passarono alla diocesi di Montalto. La sua fama di luogo inespugnabile era diffusa a tal punto che esiste il detto "Tutto averà fì, fora che la rocca di Rovetì" (tutto avrà fine tranne la rocca di Rovetino), saggezza popolare purtroppo smentita dallo stato attuale del sito, difficile da scoprire se non dopo qualche ricerca. Ciò che resta ci fa indubbiamente pensare ad una possente fortificazione, come peraltro denuncia una vecchia foto raffigurante un torrione quadrato ancora in piedi ai tempi di cui oggi permangono i resti murari di discreto spessore e le cisterne ricavate nella mole della scarpa murata. La parte bassa del sito invece presenta ancora due fosse scavate nel terreno, forse magazzini o neviere del palazzo feudale. Tra gli ultimi cenni storiografici si racconta che alla fine del '800 ci sono ancora pezzi di artiglieria arrugginiti elencati in un inventario del 1601».
http://www.habitualtourist.com/rocca_di_rovetino
San Benedetto del Tronto (torre dei Gualtieri)
«Più propriamente denominato "Mastio della Roccia" e più popolarmente noto come "Torrione" (lu Turriò o lu Campanò) è forse l'elemento più rappresentativo della città, spiccando dall'altura del Paese Alto a dominare l'intero abitato. Eseguita nell'ultimo ventennio del XV secolo a seguito di una ristrutturazione della cinta muraria dopo uno dei tanti conflitti tra Ascoli e Fermo presumibilmente dalla famiglia Gualtieri, la quale, verso l'anno 1145 iniziò la riedificazione del castello (sopra le rovine dell'antica pieve caduta in rovina per mano dei pirati turchi che depredavano le coste o per le invasioni barbariche) terminata circa ben tre secoli dopo con la costruzione di questa insolita torre dalla foggia così singolare. Di altezza relativamente modesta (20 m), a pianta esagonale schiacciata, è interamente in laterizio, presenta un orologio sulla faccia rivolta verso mare e una merlatura superiore eseguita nel restauro del 1901 su progetto dell'architetto Giuseppe Sacconi. L'interno è suddiviso in quattro livelli forniti di copertura a volta (a botte cuspidata per i primi due livelli)».
http://www.ilpiceno.it/san_benedetto_del_tronto/torre_dei_gualtieri
San Martino di Acquasanta (ruderi della rocca di Montecalvo)
«I ruderi della Rocca di Montecalvo si stagliano a 1063 m. s.l.m. Figura per la prima volta in una bolla di Leone IX rilasciata al vescovo Bernardo II di Ascoli in un contesto di conferma patrimoniale della sua diocesi. Nel XIII secolo il “castrum Montis Calvi” era feudo della potente famiglia Guiderocchi, una stirpe nobile e irrequieta che riempì la storia d’Ascoli fino alla sua sventura. Dopo l’annientamento di Manfredi a Benevento, Carlo d’Angiò volse le sue mire verso i confini della Chiesa prendendo di mira i castelli di frontiera tra cui Montecalvo. Nel 1280 lo stesso sovrano chiamò il celebre maestro Pietro d’Argicourt, per eseguire i lavori di consolidamento della fortezza. Nel 1288, le rivendicazioni dei legittimi dinasti e la spinosa questione della pertinenza di Montecalvo, avevano costretto Nicolò IV a comandare al rettore della Marca Giovanni Colonna di marciare sul posto allo scopo di riconquistare la fortezza. Il Colonna pose d’assedio la rocca e il 15 Agosto la riconsegnò alla Chiesa Romana e ai suoi legittimi proprietari, cioè i Guiderocchi. Nel 1301 quest’ultimi vendettero al Comune di Ascoli la fortezza per 8000 libre ravennati. La rocca sarà destinata a proteggere militarmente la frontiera dello Stato ascolano e alla popolazione di Montecalvo. Nel 1377 la sicurezza di quei luoghi fu affidata ad un castellano e sei sergenti e nella prima metà del XV secolo conobbe le pesanti esperienze delle signorie di Ladislao di Durazzo, dei Da Carrara e di Francesco Sforza. Nel 1490 fu restaurata e la fortezza ebbe un periodo di relativa tranquillità durante la quale il suo castellano si sarebbe dedicato alla riscossione dei proventi derivanti dal sottostante passo verso il Regno di Napoli e ad altri interessi agricolo-pastorali. Nel 1539, per risanare le casse dello Stato Pontificio, papa Paolo III vendette la Fortezza di Montecalvo al Comune d’Ascoli Piceno. Nel 1541 la struttura minacciava ancora rovina e il Consiglio incaricò i conduttori della medesima a provvedere a quanto necessario, con l’intervento dei conservatori. Intanto in montagna la situazione si stava facendo preoccupante a causa delle azioni dei banditi di Montecalvo comandati da Mariano Parisani, i quali si erano macchiati dei più atroci reati e nel 1567 la Santa Sede mandò Candido Zitelli da Norcia a sterminare i malviventi. Si assiste in tempi molto rapidi alla distruzione di quasi tutte le ville del Comune di Montecalvo, numerosi prigionieri furono condotti in Ascoli e i loro corpi furono squartati e trascinati per le vie della città. La lezione servì da esempio. Infatti, il 15 luglio i rappresentanti delle ville del Comune di Montecalvo accettarono di mantenere a proprie spese un centinaio di soldati, promisero di rastrellare la montagna e portare le teste dei banditi al commissario Zitelli, di non restaurare le abitazioni distrutte senza licenza del pontefice e di non lavorare nei possedimenti dei malviventi. La rocca, in questa situazione, non ebbe alcun ruolo, giacché in precedenza un raid distruttivo del governatore Vincenzo Boncambi d’Ascoli l’aveva ridotta in condizioni spettrali. Inizia così un lento periodo di decadenza che porterà la Rocca a quei ruderi che ancora oggi sono visibili.
Ciò che oggi rimane della fortificazione sono i resti di un corpo monolitico posto sulla sommità di un colle, realizzato in conci squadrati di pietra. Il perimetro segmentato dovrebbe essere quello messo in atto da Maestro Angelo di Francesco alla fine del Quattrocento (tale epoca è riconducibile grazie ad una feritoia da moschetto, unica superstite visibile). L’azione degli agenti atmosferici ha eroso notevolmente il paramento esterno delle cortine che delimitavano il manufatto, il quale ha assunto un andamento trapezoidale. Illeggibile è la compartimentazione degli ambienti in cui si divideva la rocca. Riprendendo una descrizione del Colucci sappiamo che “Il più mirabile in detta rocca è che nel mezzo di essa vi è un apertura con la quale si scende in una camera profonda ove sorge un limpidissimo fonte di acque fresche, leggere e salutari, medicina mirabile a varie infermità e che vi era una larghissima piazza d’armi lastricata di sotto”. Un particolare interessante è rappresentato dai fori presenti in più punti delle rocce che costituiscono la pavimentazione naturale esterna della fortezza. Qui erano alloggiate le palizzate di legno per difendere esternamente la rocca».
«Scomparse ormai del tutto sono le tracce di questa rocca che un tempo faceva la guardia alle splendide valli che circondano Scalelle. Poche sono le documentazioni che la citano: un atto notarile del XV secolo descrive la rocca come una fortificazione condominiale ad uso privato delle tre famiglie più ricche ed importanti della zona. Già in questo periodo si nota che il fortilizio aveva perso la sua rilevanza strategica e militare trasformandosi in una residenza privilegiata per i signori locali, trascurando infine le opere difensive che mano a mano vennero smantellate. A sancire la fine definitiva dell'insediamento fu il fenomeno delle migrazioni di massa, tipico di queste zone negli tra il XV e il XVI secolo, che portò gran parte della nobiltà rurale a insediarsi nella città di Ascoli e nella più comoda piana del Tronto, lasciando rovinare i loro ormai obsoleti castelli ridotti a cave di pietra. Si è dedotto che la rocca era composta da un grande torrione in pietra locale, e probabilmente anche dalle abitazioni dei signori. Il tutto era circondato da tre serie di palizzate concentriche in legno che, sfruttando i gradoni naturali di arenaria tipici del luogo, fornivano un'economica e efficiente difesa. Rimangono tutt'ora, nel versante sud, i buchi scavati nella roccia dove venivano piantati i pali di sostegno della palizzata».
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Spinetoli (cinta muraria, porte)
«Molto interessante è la cinta muraria del castello spinetolese, che segue un circuito trapezoidale degradando verso il basso. Mura piuttosto alte e massicce si mostrano con gli ultimi aggiornamenti del XV secolo per contrastare ed utilizzare al meglio la potenza delle bombarde e delle sempre più numerose artiglierie. Sono visibili le scarpature inclinate alla base delle muraglie e qualche bombardiera con la tipica apertura rotonda in mattoni. Un tempo si entrava nel castello solo tramite la porta meridionale, in seguito, per questioni di comodità, venne realizzata una nuova apertura a nord, nei pressi della piazza dove svetta ancora ciò che rimane della torre castellana. Nonostante le opere di difesa siano state ingentilite dalle abitazioni che mano a mano si sono integrate nella cinta, non è difficile farsi un'idea sull'effetto che potevano dare ad eventuali assalitori, soprattutto nel settore orientale, ancora difeso da una mal tenuta torre angolare. ... Porta Nord. Come documentato nelle Antichità Picene dell'abate Colucci (fine 1700), la porta è il risultato di un'apertura a nord dell'incasato che serviva a favorire la viabilità. Visto il periodo di declino delle fortificazioni, l'ingresso fu stato costruito puntando soprattutto sull'effetto scenico ed estetico e probabilmente fu ricavato tagliando una porzione delle mura del castello e delle abitazioni che nei tempi avevano colonizzato le strutture difensive (sono difatti visibili i resti di alcune nicchie interne delle strutture demolite). ... Porta Sud. Dal sapore gotico, è la più antica porta del castello di Spinetoli, che ancora incarna la severità della fortificazione medievale. Rivolta a sud e raggiungibile attraverso una ripida rampa che sale dal borgo, si apre al centro di una piccola "tenaglia" in muratura, attualmente ingentilita dalle abitazioni che ne hanno trasformato la funzione nel corso dei tempi. Privata della parte superiore, e quindi delle caditoie e delle merlature dove avveniva l'opera dei difensori, mantiene la base, composta da un arco a sesto acuto in travertino, tipico di altri castelli della zona e coronato da uno stemma raffigurante un leone rampante, forse riferibile alla signoria ascolana di Francesco Sforza. Varcata la soglia ci si immette nel modesto sistema viario del castello, composto da due sole vie che risalgono verso la piazza. La porta, insieme all'antistante piazzetta del belvedere ed alla rampa coperta, è una delle attrattive preferite dai visitatori del borgo, soprattutto per i panorami sulla vallata del Tronto».
http://www.habitualtourist.com/cinta_muraria(spinetoli) - ...porta_nord(spinetoli) - ...porta_sud(spinetoli)
«In origine si trattava della torre principale del castello, dove si comandavano le difese e ci si rifugiava in caso di estremo pericolo. Nel corso degli anni subisce diverse evoluzioni che la trasformeranno in seguito in torre civica e campanile. Di origine probabilmente trecentesca, è a pianta quadrata con la base scarpata al fine di distribuire meglio i pesi e rendere più solida la struttura. I primi piani fino all'orologio sono quelli originali, mentre nella parte rivolta ad oriente è ancora visibile l'antica porta di accesso, edificata ad una discreta altezza dal suolo. Nel XVIII secolo, scrive il Colucci, il manufatto era già stato trasformato in torre civica, subendo delle modifiche nella parte sommitale. L'attuale cella campanaria è figlia di un intervento del XIX secolo. In una piccola nicchia ricavata nello spessore della scarpatura, sono murate due formelle in cotto con le scritte "1766 - POSTA". Interessanti sono le varie pietre di travertino riciclate nella muratura. Oggi la torre continua la sua funzione civica e religiosa scandendo le ore e le varie celebrazioni della dirimpettaia parrocchiale».
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