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PALMA DI MONTECHIARO, CASTELLO DI MONTECHIARO
a cura di Vita Russo
scheda cenni storici per saperne di più video
Un'immagine dei resti del castello.
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Conservazione: il castello è conservato nelle parti principali.
Come arrivarci: da Agrigento con la E 931, che prosegue per Licata (uscita allo svincolo per Palma di Montechiaro), o con le strade provinciali 55 e 82.
La città venne fondata nei 1637 da Carlo Tomasi, principe di Lampedusa. Uno dei suoi discendenti è lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957).
Arroccato su uno sperone roccioso a picco sui mare, il castello, del XIV
secolo, possiede un aspetto severo e fiero, nonostante le piccole dimensioni. Di esso
Spatrisano
disse che «può considerarsi uno degli esempi più
tipici dei castelli trecenteschi siciliani, il cui articolato organismo
strutturale, il pittoresco comporsi dei volumi, sembra germinato
spontaneamente dalle asperità della roccia».
Verso la fine del Settecento Vito Amico scrive a proposito del castello: «Arx haec a Claramontanis constructa dicitur». Secondo
Tommaso Fazello
questo «fortilitium mirabile» sarebbe stato costruito nel
1358, l'unico, tra quelli fatti costruire dalla nobile famiglia
chiaramontana, situato presso il mare.
Il fondatore del castello sarebbe stato Federico III Chiaramonte, conte
di Modica, figlio di Giovanni e di Lucia Palizzi. Alla morte del suo
successore, il figlio Matteo, Gran Siniscalco del Regno e conte di
Modica, per mancanza di prole maschile il castello passò a
Manfredi III Chiaramonte, conte di Malta e di Modica, duca delle Gerbe.
Dopo la morte di Federico d'Aragona, detto il Semplice, e rimasto vacante il regno per l'assenza dell'unica erede, la regina Maria, l'isola rimase sotto l'amministrazione dei vicari, tra i quali Andrea Chiaramonte, figlio di Manfredi III. Alla venuta, però, dei Martini, come legittimi sovrani del regno, in seguito al matrimonio tra Maria e Martino I il Giovane, figlio del duca di Montblanc, Andrea, accusato di ribellione, fu fatto decapitare nella Piazza Marina di Palermo, dinanzi allo Steri, sontuosa dimora baronale che suo padre aveva fatto costruire. Prima però di farlo decapitare il sovrano aragonese, con un decreto dato ad Alcamo il 4 aprile 1392, affidava al conte d'Agosta il castello, a cui più tardi, con privilegio dato a Catania il 15 febbraio 1395, aggiungeva anche «castra, terras et pheuda Montiscari». Quando però questi si ribellò all'autorità regia il re aragonese lo concesse a Palmerio Caro, in segno di riconoscimento e ricompensa per gli aiuti ricevuti durante i tumulti scoppiati nel Val di Mazara.
Da qui la «licentia populandi» per il castello di Montechiaro con permesso di edificare una terra fortificata nel 1433. Il privilegio conteneva pure l'investitura al nobile Caro del titolo di barone con l'obbligo del servizio militare. Sull'esempio di Palmerio, il figlio Giovanni, succeduto alla regia castellania, col suo valore e la sua lealtà nei riguardi di re Alfonso seppe meritarsi, nel 1433, il feudo di Montechiaro ed ebbe concesso il potere di unire al proprio stemma gentilizio (d'azzurro alla palma al naturale) le armi reali d'Aragona (ai quattro pali di rosso in campo d'oro). Sembra che, per cancellare la memoria della famiglia fondatrice, il castello, secondo un'usanza in quel tempo molto comune, abbia subito un mutamento nel nome. Anziché rocca dei Chiaramonte si chiamò rocca di Montechiaro.
A partire dal 1585, in seguito al matrimonio tra Francesca Caro e Mario Tomasi, patrizio e cittadino di Roma, capitano d'armi a Licata, il castello e la baronia pervengono al nuovo ramo aristocratico dei Lampedusa e dei Gattopardi. L'ultimo proprietario del vecchio maniero, l'autore de Il Gattopardo, si spense nel 1957.
Costruito a difesa delle attività di un caricatore granario, il castello appare molto articolato, sia nell'impianto planimetrico che nella configurazione volumetrica, poiché si adegua alla tormentata topografia del sito.
Vi si accede dal lato sud, attraverso una stradella acciottolata in salita dalla quale si giunge, superato il portone d'ingresso, nella corte interna.
La torre mastra è a pianta romboidale e presenta due livelli; la terrazza mostra ancora merlature di tipo guelfo.
Il corpo di fabbrica di pianta rettangolare posto a nord-est è costituito da un piano terra adibito a cappella e da un piano sottostante. Nella cappella è ancora custodita la statua marmorea della Madonna di Montechiaro, opera che i Caro avrebbero fatto eseguire ad Antonello Gagini. Un percorso che si sviluppa a gradoni collega la corte con la torre e con due vani ad una elevazione ad essa affiancati sul lato ovest.
Del suo antico corredo artistico il castello oggi conserva ben poco. I rifacimenti del '700 hanno cancellato gli ultimi avanzi di decorazioni risalenti al '400 e al '500. Restano ancora le caratteristiche finestrelle quattrocentesche della torre e del bastione a nord che hanno sicuramente sostituito le caratteristiche ogive trecentesche.
T. Fazello, De Rebus Siculis decadae duae, Palermo 1556 (tr. it.: Storia di Sicilia, a c. di A. De Rosalia, Palermo 1990); V. Amico, Dizionario topografico della Sicilia tradotto e annotato da Gioacchino Di Marzo, 2 voll., Palermo 1855-1856; G. Spatrisano, Lo Steri di Palermo e l'architettura siciliana del Trecento, Palermo 1972; Castelli medievali di Sicilia. Guida agli itinerari castellani della Sicilia, Palermo 2001.