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Motta Sant'Anastasia, dongione del castello normanno
a cura di Giuseppe Tropea
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Vedute del dongione.
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Storicamente, l'abitato di Motta risulta compreso all'interno della diocesi di Catania già all'indomani della conquista normanna (1091 d.C.). Edrisi, nel 1150, descrive l'insediamento, " Sant'Anastasia, situata a dodici miglia dal mare, dista da Lentini in direzione sud diciannove miglia e dal Simeto due e mezzo" (Il Libro di Ruggero, tradotto e annotato da U. Rizzitano, Flaccovio Ed.). In un documento del 1168 si ricorda il «castrum Sancte Anastasie», definizione che si relaziona, probabilmente, all'intero borgo fortificato. Nel 1250, Federico II priva il vescovo di Catania dei beni, fra i quali il possesso territoriale di Sant'Anastasia, il cui toponimo "Motta" sembra attestato, però, solo a partire dagli inizi del XIV secolo. Nel 1359 il castello è protagonista del trattato di pace stipulato tra Enrico il Rosso, conte di Aidone, e Artale Alagona. Risulta, nel 1408, barone di Motta Rancho Ruiz de Lihori, il quale rinchiude dentro la cisterna del castello Bernat Cabrera. Ancora nel 1455 Sant'Anastasia, tornata in precedenza al demanio, viene concessa da Alfonso V alla famiglia de Perellos. Nel 1514 l'intero insediamento è acquistato da Aloisio Sanchez e nel 1526 passa definitivamente, fino all'abolizione della feudalità, nelle mani di Antonio Moncada, conte di Adrano.
Dei tre dongioni edificati lungo la valle del Simeto, quello di Motta è il più piccolo. In pianta misura 8,50 m. per 17, in altezza raggiunge "appena" i 20 metri. L'edificio si divide in tre piani per mezzo di solai lignei, dei quali nessuno ha resistito ai guasti del tempo. I solai attualmente visibili sono infatti il risultato di ricostruzioni in stile. Le scale, necessarie per raggiungere ciascun piano, dovevano essere addossate ai muri e non ricavate nel loro spessore, decisamente contenuto (non oltre 1,60 m.). l'ultimo piano presenta una splendida copertura ogivale, che poggia su un'arcata mediana, a sua volta impostata su mensole. Il terrazzo possiede una merlatura composta da sette merli per i lati lunghi e due per quelli corti.
Intorno alla fortezza esistono ancora avanzi di una cinta muraria, all'interno della quale dovevano trovarsi altri edifici, i cui ruderi erano in parte visibili agli inizi del XX secolo.
Amico V., Dizionario topografico della Sicilia, 2 voll., Palermo 1855-56, I, p. 177; Bellafiore G., Architettura in Sicilia nell'età islamica e normanna (827-1194), Palermo 1990, p. 49; Bellafiore G., L'architettura dell'età sveva in Sicilia, 1194-1266, Palermo 1993, pag. 49; Blanco P., Il castello di Paternò, in «Quaderni dell'Istituto di Disegno dell'Università di Catania», 1 (1965), pp. 143-152; Maurici F., Castelli medievali in Sicilia. Dai bizantini ai normanni, Palermo 1992, p. 184 e 365; Santoro R., Il Castello dei Ventimiglia, in «Il Mediterraneo», 7-8, Palermo 1977, pp. 33-34; Santoro R., La Sicilia dei castelli, Palermo 1986, p. 28.