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CEFALà DIANA, CASTELLO
a cura di Vita Russo
scheda cenni storici il castello per saperne di più video
I resti del complesso castellare.
clicca sulle immagini in basso per ingrandirle
Conservazione: resti.
Visitabilità: scarsa.
Come arrivarci: da due strade statali: la 121, che collega Palermo con Catania, e la 118, che collega Bolognetta (Pa) con Agrigento.
Cenni storici.
Un ricco patrimonio archeologico attesta
l’esistenza di un nucleo abitativo di Cefalà fin dall’età romana.
Frequentata in periodo bizantino, come
testimonia la continuità del toponimo premusulmano, dopo la conquista
normanna entrò a far parte della diocesi di Agrigento.
Il «grazioso paese» - come lo definì Idrisi,
geografo musulmano della Corte del re normanno Ruggero II (metà sec. XII) -
divenne feudo alla fine del XII secolo, con popolazione in gran parte
musulmana; esiste infatti a conferma di ciò un documento risalente al 1242
redatto, oltre che in latino, anche in arabo.
Nel XIII secolo si abbatté su Cefalà una
violentissima crisi demografica legata a drammatiche vicende
politico-militari, seguita nel 1348 da una terribile epidemia. Il vasto
territorio, rimasto privo di uomini e abitanti, venne sfruttato dai
palermitani che con contratti di enfiteusi lo adibivano a pascolo o a coltura
estensiva di cereali.
Di questo paesaggio grandioso e solitario il
castello, posto in cima ad una rupe arenaria, costituì il centro e il ganglio
essenziale.
Nel triennio 1371-74 il territorio di Cefalà
appartenne ai Chiaramonte, costituendo una maglia della catena che univa
Palermo ad Agrigento e al Val di Mazara in genere;
successivamente agli Abbate e così, di mano in mano, agli Ulezinellis,
ai del Bosco, ai de Apilia, ai de Falgar. Nel 1406 la baronia pervenne alla
famiglia Abbatellis, mercanti toscani, che la tennero fino al 1523.
Confiscata in seguito alla ribellione degli
ultimi Abbatellis, Cefalà sarà donata al Gran Cancelliere di Carlo V,
Mercurino Gattinara; e nel 1525 venduta al barone di Capaci Francesco Bologna.
Prima di giungere a Nicolò Diana la baronia appartenne all’Opera Pia delle Anime del Purgatorio. I Diana otterranno il titolo di Duchi di Cefalà nel 1684 e fonderanno il villaggio di Cefalà Diana intorno alla metà del XVIII secolo.
Il
castello. Edificato tra il XIII e XIV secolo, il castrum
ha sostituito il vecchio castellum
normanno di cui giunse notizia attraverso un documento del 1121 in cui, tra i
confini di un podere nel territorio di Vicari, compare «...viam
castelli cognomento Cephalas». Un altro documento del 1460 lo nomina Chifala
lu vechu, cioè l’antica Cefalà. Di questo antico edificio castrale il novum
castellum ha ereditato le funzioni strategiche e militari.
In esso trovò rifugio un gruppo di predoni
catalani che taglieggiava e depredava la città di Palermo dei viveri, contro
cui l’Universitas nel 1349 sferrò
un attacco militare.
Venuta meno l’aristocrazia militare, in
seguito alla restaurazione del potere monarchico, il castello divenne
magazzino per le masserie, prigione rurale e occasionalmente dimora temporanea
dei nuovi baroni.
La sua posizione eminente - corridoio di
viabilità fra Palermo e l’interno cerealicolo - unitamente al suo aspetto
rude, senza alcun particolare decorativo, lasciano immaginare una fabbrica
priva di ogni confort abitativo. In effetti di rado esso serviva come
abitazione ai baroni che si trovavano a passare di lì e trascorrervi un
ristrettissimo periodo di tempo.
Abbarbicato su una rupe di arenaria, a 657
metri sul livello del mare, il castello presenta una originalità: la corte
centrale, di pianta triangolare, insiste sul pavimento roccioso del pianoro in
pendenza, delimitata da un altissimo muro di cinta, di cui oggi sopravvive ben
poco, con merli e altre opere difensive.
Si accedeva al cortile attraverso un duplice
ingresso, su cui si affacciavano vari locali che costituivano i servizi del
castello: stalle, magazzini, alloggiamenti per guarnigione.
Il complesso comprende una torre
quadrangolare, gli edifici ausiliari e un'altra torre più piccola.
La torre Mastra, alta circa 20 metri, coronata da una terrazza munita di merlature, è posta sul punto più alto dello scoglio roccioso. Essa è ripartita in tre piani: il più basso, coperto da due volte a botte, fungeva da magazzino e cisterna e comunicava al piano superiore attraverso una botola. Altre aperture erano due strette feritoie strombate. Entrambi i piani superiori sono ognuno di un vano, coperti da volte con mattoni disposti a spina di pesce. Al piano nobile delle torre si arrivava attraverso un sistema di scale che, partendo dalla corte centrale, giungeva all’unica porta del mastio sul lato nord. Quattro monofore strombate all’interno e con ghiere di mattoni, due lungo i lati più lunghi del vano, illuminavano l’ambiente, mentre una strettissima saettiera serviva per tenere sotto tiro l’ingresso al castello. Nella volta si aprivano due stretti vani: il primo, mediante una scale in legno, immetteva in una terrazza coronata da una merlatura; il secondo permetteva lo sfogo al fumo del camino che illuminava e riscaldava il locale sottostante destinato ad abitazione per i periodi di permanenza dei baroni di Cefalà. Il secondo piano, separato con un soffitto-pavimento in legno, non più esistente, riceveva aria e luce da quattro monofore a tutto sesto, una per lato.
F. D’Angelo, C. Filangeri, C. Trasselli, Cefalà o Chiarastella, in «Sicilia Archeologica», 5, 1969, pp. 11-17; R. Santoro, La Sicilia dei castelli. La difesa dell'Isola dal VI al XVIII secolo. Storia e Architettura; Castelli medievali di Sicilia. Guida agli itinerari castellani della Sicilia, Palermo 2001.