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Palermo, castello di Maredolce, cappella dei Santi Filippo e Giacomo
a cura di Pier Luigi Contino
Il castello di Maredolce: fronte Sud-Est; in basso: fronte Nord-Est.
clicca sulle immagini in basso per ingrandirle
Epoca: secolo XI, su precedente struttura.
Conservazione: buona.
Come arrivarci: il castello è ubicato nella zona industriale di Brancaccio, raggiungibile dall'ingresso alla città dall'autostrada Palermo-Messina seguendo le indicazioni per la via Giafara.
“Oh
quanto è bello il lago delle due palme e la penisola nella quale s’estolle
il gran palagio!
L’acqua
limpidissima delle due polle somiglia a liquide perle e il bacino a un pelagio
Par
che i rami degli alberi si allunghino per contemplare il pesce nell’acqua e
gli sorridano
Nuota
il grosso pesce in quelle chiare onde e gli uccelli tra que’ giardini
modulano il canto”.
Abd ar-Rahman da Trapani
Il castello di Maredolce
alla Favara, ricordato dai cronisti e celebrato dai poeti arabi nelle loro kaside,
mantiene ancora oggi, nelle sue rovine, il fascino dell’antico splendore.
Dal punto di vista artistico rientra nel grande quadro
dell’architettura siciliana del periodo arabo e normanno e rispecchia la
cultura del tempo in cui è stato concepito. È il segno evidente della
sintesi delle grandi tradizioni culturali ed architettoniche isolane che hanno
caratterizzato la Sicilia fino alla realizzazione della fabbrica: quella
bizantina, quella araba e quella normanna.
Si inserisce all’interno
del vasto Parco Normanno della Fawarah
("sorgente che bolle") che si estende dalle pendici del monte Grifone fino al
mare, in un luogo particolarmente ricco di acque, come testimonia Ibn Hawqal,
che nel 937 scrive: «...nell’angolo
della montagna (il monte Grifone) che sovrasta a Sud la città di Palermo
erano due fawwàra, cioè due sorgenti una grande ed una piccola»1.
Proprio questa abbondanza d’acqua permise al normanno re Ruggero la
realizzazione di un bacino artificiale sul quale si specchiava il palazzo
ricreando dei suggestivi effetti scenici tanto cari alla cultura artistica
araba e normanna.
Una
delle prime notizie di questo Palazzo è quella riportata da Romualdo
Salernitano nel suo Chronicon, secondo il quale Maredolce non è da considerarsi
una fabbrica ex novo, quanto una ricostruzione voluta da Ruggero II sul
precedente palazzo dell’emiro Giafar.
Il palazzo si sviluppa
attorno ad un cortile centrale porticato (di cui oggi rimangono solo delle
tracce) su un impianto a base rettangolare larga 49 metri e lunga 55 (fig.
3). La
linearità del fronte Nord-Est è spezzata da una rientranza. La fabbrica è
circondata su tre lati dall’acqua del bacino artificiale che per la sua
grande estensione è stato chiamato Maredolce, termine da cui prende nome
anche il castello; al centro del Maredolce si ergeva un isolotto artificiale
nel quale l’emiro si recava per sollazzarsi.
Sul fronte principale,
quello non lambito dalle acque del Maredolce, si aprono quattro fornici
archiacuti che permettono l’accesso al castello dall’odierno vicolo
Castellaccio; il primo arco, partendo dall’estrema sinistra del fronte
Nord-Ovest, da accesso al cortile interno, il secondo immette nella cappella
dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, il terzo fornice permette l’accesso
alla cosiddetta “Aula Regia”; la cappella e l’Aula Regia occupano
entrambe le elevazioni del palazzo. Il quarto arco oggi è tompagnato ma
probabilmente consentiva l’accesso diretto al lago attraverso delle piccole
imbarcazioni.
Nella parte centrale si
trovano una serie di stanze più piccole alle quali si accede attraverso il
portico del cortile. Le due sale grandi e quelle più piccole sono tutte
voltate a crociera; La grande sala verso Sud, formata da due ambienti
comunicanti attraverso un ampio arco, era quella dal quale si godeva
pienamente la vista del magnifico specchio d’acqua e dell’isoletta da un
grande portone sul lato Sud-Est attraverso cui si poteva accedere a delle
imbarcazioni per la fruizione del lago artificiale.
All’interno del castello di Maredolce, si colloca, come avviene di consuetudine anche negli altri edifici reali, una cappella palatina dedicata ai Santi Filippo e Giacomo. L’ambiente prescelto in epoca normanna per la sistemazione del luogo di culto è già adibito in epoca araba allo stesso uso. Questa supposizione è avallata dagli scavi eseguiti nel 1951, come ricorda l’architetto Silvana Braida, i quali hanno riportato alla luce alcuni resti umani e frammenti di stoviglie in argilla di fattura tipicamente araba: «Queste erano le abitudini dei muezin e dei precettori islamici che venivano sotterrati presso la moschea»2.
La cappella della Favara
riprende temi classici dell’architettura religiosa bizantina; tipicamente
bizantina è infatti non solo la tipologia a nave unica, ma anche la sua
disposizione nello spazio in riferimento ai punti cardinali, essa è infatti
orientata con l’abside rivolto ad oriente, seguendo la tradizione della
chiesa di Bisanzio. Essa è formata da una nave rettangolare unica, lunga 8
metri e larga 4,5 metri coperta da due volte a crociera
(fig. 4 e fig.
5).
Verso Nord uno stretto
arco trionfale a sesto acuto (fig.
6), sormontato da una piccola finestra ogivale,
separa la nave dal successivo ambiente del presbiterio. Il presbiterio è di
forma quadrata ed è attraversato da un transetto illuminato da due finestre
in corrispondenza delle quali, in basso, si aprono due nicchie rettangolari.
In
fondo al presbiterio si trova l’abside (fig.
7) illuminata da una finestra ogivale
posta in asse con la navata.
La presenza di un invaso
artificiale al Parco di Maredolce è testimoniata dalla bellissima poesia di
Abd ar-Rahman da Trapani che decanta la scintillante reggia chiamandola
“Favara dai due mari” e ricorda la penisola dove sorge il palazzo, lo
splendido isolotto nel quale crescono arance e limoni e le due palme che, come
due amanti, hanno scelto questo luogo incantevole per il loro asilo.
Una delle prime
descrizioni del lago di Albehira è
quella fornita da Beniamino da Tudela contenuta nel diario del suo viaggio per
le terre di Sicilia del 1172 sotto il regno di Guglielmo II. Il Tudelese
scrive tra l’altro: «...È
adornato quel lago di reali barchette ornate d’oro e d’argento, e dipinte,
nelle quali il Re con le sue mogli spesso si dimena a sollazzo...»3.
Oggi è ancora possibile ripercorrere il perimetro dell’antico lago, che con il trascorrere dei secoli si è trasformato in orti e frutteti, vedere i resti dell’antico muro di contenimento delle acque con le tracce dello stesso intonaco idraulico rosso presente nella fascia basamentale del palazzo, e le tracce degli anelli attaccati al muro utilizzati per l’ormeggio delle barchette. Il lago oltre ad essere navigato dal re per soddisfare i suoi momenti di piacere personale, è utilizzato, data la moltitudine di pesci ricordata da Beniamino da Tudela, come riserva di pesca e, insieme alla riserva di caccia di Parco di Altofonte, costituisce uno dei luoghi di delizia preferiti da Ruggero II e dalla sua corte.
1 G. Bellafiore, 1996, p. 44.
2 S. Braida,1965, p. 25.
3
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