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CAMPI BISENZIO, ROCCA STROZZI (già castrum Mazzinghorum), pag. 2
a cura di Fernando Giaffreda
pag. 2
La Rocca: dal prato sul lato nord a ridosso dell'argine è evidente la fattoria "signorile" con tetto capanna, e gli annessi agricoli più recenti.
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Anche se non si è del tutto sicuri quale Ottone imperatore sia quello che lasciò ai Mazzinghi costruire un castrum, e pertanto in quale esatto periodo avvenisse l’incastellamento di Campi, si può essere certi che si trattò della prima costruzione “civile” importante, in una zona dove erano presenti solo alcune costruzioni religiose romaniche. Lo scopo si incentrava tutto sullo sfruttamento e sul controllo del Bisenzio, di cui fu anche modificato il corso. Il basamento della futura Rocca Strozzi venne posto proprio sull’argine del fiume con un rudimentale cassero che univa a tutt’uno le costruzioni annesse sull’altra riva. Sulla pietra a grossi conci delle fondazioni venne elevata con mattoni di cotto la forma caratteristica di una fortificazione quadrangolare con torrioni merlati, ballatoi e cortile interno. Nelle successive epoche, specie in quella Medicea del XVI secolo, furono edificate, adiacenti, altre strutture signorili e agricole, legate all’ulteriore sviluppo urbano e produttivo delle terre fiorentine.
Nel gennaio del 1216 il rampollo Mazzingo Tegrimi celebrò nel suo castello di Campi una festa in onore della sua elevazione a cavaliere, che confermava l’antica benevolenza feudale degli imperatori nei riguardi dei Mazzinghi. A cena, lo scherzo pesante di un buffone provocò lo storico incidente fra Buondelmonte dei Buondelmonti e Uberto degli Infangati che avrebbe portato in Firenze alla divisione fra guelfi e ghibellini. Il giullare portò via un piatto posto fra i due: il primo s’offese, il secondo raccolse la provocazione accusatoria di Oddo Arrighi de’ Fifanti, specializzato in zizzanie. Uberto rintuzzò Oddo con un «Tu menti per la gola!», incolpandolo di essersi intromesso apposta per guadagnarsi il piatto. La rissa che si scatenò si concluse con una coltellata al braccio di Oddo ad opera di Buondelmonte.
Per le usanze cavalleresche, il fatto chiedeva riparazione. La ricerca di un rimedio all’onta fu argomento di una riunione d’amici e parenti in casa Arrighi. Erano presenti i Fifanti, i Gangalandi, gli Uberti, i Lamberti e gli Amidei, primo nocciolo di un iniziale “partito”. Fu deliberato che un bel matrimonio fra la brutta figlia di Lambertuccio Amidei, nonché nipote di Oddo, e Buondelmonte avrebbe risolto la questione. Un notaio chiamato appositamente stese il contratto di fidanzamento, con tanto di statuizione della penale, da pagarsi solo in caso di matrimonio inadempiuto. Ma si interpose qualche giorno più tardi la moglie di Forese Donati, Gualdrada, lo stesso che avrebbe ingaggiato con Dante la futura tenzone poetica ad argomento “estetico”. Il vizio della bruttezza Gualdrada lo rinfacciò a Buondelmonte, che a detta di lei si era arreso al contratto per paura, visto che non aveva il coraggio di accettare in sposa una figlia della stessa Gualdrada, che invece era un esempio di bellezza. La donna di Forese si offerse anzi di pagare lei la penale agli Amidei, solo se Buondelmonte si fosse arreso all’evidenza estetica. E così andò: Buondelmonte non si presentò, l’11 febbraio 1216, alla chiesa di Santo Stefano in Firenze, dove l’aspettava la “scimmia” novella sposa. Anzi il “guelfo” si recò in casa Donati a contrattare la dote di un altro più bel matrimonio.
In seguito alla “riforma popolare” di Giano della Bella, Campi fu stabilizzato definitivamente come popolo appartenente al sestiere fiorentino di San Pancrazio, Porta Rossa. Con la vittoria di Montaperti del 1260 invece, il borgo venne preso di mira dalle devastazioni ghibelline. I Mazzinghi persero progressivamente il controllo del castello, anche per il fatto di essersi ripiegati sugli interessi fondiari di pievi e monasteri circostanti il borgo d’origine. Nel Trecento gli Strozzi, alleati con i Rucellai, acquistarono il possesso definitivo del fortilizio, ma quello fu il secolo delle devastazioni e delle inondazioni di Campi Bisenzio. Le note campagne militari e le penetranti incursioni di Castruccio Castracani interessarono anche la Rocca Strozzi, così come si ripeterono con le scorribande di Giovanni da Oleggio intorno al 1352. Una nuova devastazione, questa volta ad opera dei Pisani in guerra con Firenze, ebbe luogo nel 1364. Il castello venne così risistemato dalla Repubblica Fiorentina che mise mano a una consistente fortificazione del villaggio.
L’arginatura del Bisenzio fu uno degli interventi più importanti, accompagnata dall’erezione di muri e terrapieni che non costituirono affatto una fortificazione chiusa intorno al castello. Lo scopo fu più quello della bonifica dei terreni circostanti che non una relativa protezione da piccolo borgo, il quale rimaneva pur sempre sotto il facile controllo di Firenze. Campi Bisenzio non fu mai elevato a Comune autonomo se non molto tardi, esattamente in epoca leopoldina, grazie al raggruppamento d’imperio, nel 1744, con Signa e Lecore.
Fu durante la Signoria di Cosimo I de’ Medici che si aprì per Campi qualche prospettiva di sviluppo. L’esigenza di ricostruire il paese devastato dalle pesanti distruzioni spagnole del 1512, recò con sé ulteriori e più serie bonifiche, ricostruzione di strade, ponti e canali. Il tutto coronato dall’elevazione di una Magistratura cittadina retta dalle più potenti famiglie fiorentine con interessi in loco. L’economia della cittadina assunse un carattere più distinto se si permise agli artigiani locali di iscriversi all’Arte della Lana di Firenze.
Molta
storia in comune, se non addirittura legata stretta, con quella di Firenze.
Pure l’alluvione del 4 novembre 1966, Campi Bisenzio l’ha spartita, anche
in misura maggiore, col capoluogo toscano. Delle due città l’unica cosa che
ha incredibilmente resistito è stata Ponte Vecchio per Firenze e la Rocca
Strozzi per Campi Bisenzio.
Per visitare il castello: a piedi, dopo aver parcheggiato possibilmente in piazza Antonio Gramsci. La Rocca Strozzi non è aperta al pubblico, e pertanto non è visitabile all’interno, dove si dice vi siano affreschi. La si può tuttavia osservare con discreta soddisfazione girandole intorno, oppure sostando sul ponte Bisenzio, tanto per intuire che originariamente un cassero sul fiume collegava gli annessi oltreripa al castrum principale. Se il visitatore poi ha la costanza di voler accedere al retro percorrendo il muro di cinta alla sinistra del portone d’ingresso, peraltro sprangato, avrà pure il beneficio di ritrovarsi in un comodo giardino che accede all’argine del fiume, e che confina con quell’altro (“all’italiana”) prospiciente la fattoria aggiunta nel XVI secolo. Se non piove può pure sedersi.
©2004 Fernando Giaffreda