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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI PADOVA

in sintesi

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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Abano Terme (villa Rigoni Savioli)

Dal sito www.thecultureconcept.com   Dal sito www.visitabanomontegrotto.com

«Dal centro di Abano, in direzione Padova, appare alta e possente Villa Moro Malipiero ora dei Conti Rigoni Savioli e quindi Villa Rigoni Savioli. La villa veneta, la più conosciuta di Abano Terme sia per la sua vicinanza a Padova che per la storia, fu commissionata al grande architetto Nicolò Malipiero nel 1557, costruita in puro stile palladiano e riccamente affrescata da Giovanni Battista Zelotti allievo del Veronese. Durante la prima guerra mondiale, dal Novembre 1917 al Settembre 1919, dopo la ritirata di Caporetto, fu sede del Comando dell’Artiglieria e del Genio del generale Armando Diaz che qui diresse la rivincita di Vittorio Veneto, compimento dell’unità d’Italia (incastonata su uno dei pilastri del cancello secondario della villa vi è una lapide in marmo tuttora visibile che ricorda l’evento). Per evitare che potesse essere facile bersaglio dei bombardieri nemici, l’edificio venne mimetizzato dipingendo di colore scuro le facciate esterne. La facciata di Villa Rigoni Savioli è a quattro semicolonne di ordine ionico, che sorreggono un grande frontone; la scalinata, con ai lati due statue di pietra vicentina di Costozza, come quelle presenti sui tre cancelli, introduce nel salone centrale del piano nobile. Al piano terreno trova posto la cantina, con volte a vela, e altri ambienti di servizio. Il salone delle feste occupava un tempo la parte centrale su due piani, mentre dopo la rivoluzione francese venne diviso a metà lasciando intatta la parte superiore, mentre la parte inferiore fu divisa in cinque ambienti. La villa dotata di barchesse è circondata da un giardino e da tre broli e nel brolo posteriore si trovano una torre colombara ed un pozzo di acqua termale danneggiato durante l’ultima guerra (1939-1945) da alcuni Tedeschi in fuga dal territorio. Un altro gioiello architettonico è dato inoltre da una chiesetta (dedicata al Patrocinio della Vergine Maria) tuttora consacrata, situata all’estremità della proprietà, affacciata a via Diaz».

https://www.visitabanomontegrotto.com/territorio/ville-venete/villa-rigoni-savioli-abano-terme


ARQUÀ PETRARCA (casa di Petrarca)

Dal sito http://padovacultura.padovanet.it   Dal sito www.magicoveneto.it

«Il Petrarca giunse per la prima volta a Padova nel 1349, su invito di Jacopo II da Carrara, signore della città. Aveva 45 anni ed era celebre in tutta Europa come storico, filosofo e poeta latino. Qui fu accolto con grandissimi onori da autorità e popolo e venne ospitato nella splendida reggia carrarese. Poco dopo Iacopo II gli offerse il canonicato, un beneficio annuo di 200 ducati d’oro e una casa presso la cattedrale. In questa “casa canonicale” - in cui aveva riunito la sua preziosissima biblioteca - il Petrarca visse serenamente, lavorando ad alcuni dei suoi capolavori tra i quali l'Africa, il Canzoniere e i Trionfi. Quando si parla della Casa del Petrarca, generalmente ci si riferisce alla seconda casa, quella che il poeta abitò - vent’anni dopo - ad Arquà, piccolo paese sui Colli Euganei, poco distante dalla città. Nel 1369 il Petrarca, stanco di viaggiare e ormai anziano e malato, scelse Arquà come ultima dimora. Qui trascorse in pace gli ultimi anni di vita, circondato da amici e familiari. Qui morì nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374, reclinando il capo sui suoi amati libri. Sembra che la casa sia stata donata al poeta da Francesco I da Carrara, signore di Padova. In ogni modo, il Petrarca decise di restaurare la costruzione preesistente, per adattarla alle sue esigenze, e seguì personalmente i lavori. Per sé e per la famiglia riservò la parte inferiore dell’edificio, mentre alla servitù fu riservata la parte rustica, situata più in alto. Sul davanti si apriva il giardino, sul retro il brolo. All'interno della casa il poeta fece modificare la distribuzione delle stanze: la sala a ovest fu divisa in due per ricavarne un piccolo studio, mentre la stanza centrale - illuminata da una pentafora dalla parte del giardino e chiusa da un camino dalla parte del brolo - fu trasformata in salone di rappresentanza. Le finestre furono rifatte in stile gotico e furono aggiunti due balconi e tre camini. Dopo il Petrarca, la casa ebbe diversi proprietari, ma non subì grandi modifiche. Alla metà del Cinquecento - per volontà di Paolo Valdezocco - furono dipinti gli affreschi che ancora esistono, ispirati alle poesie del Petrarca e fu aggiunta la loggetta esterna da cui ancor oggi si accede al primo piano. Dopo altri passaggi di proprietà, che rispettarono però sempre la memoria del poeta, il cardinale Pietro Silvestri nel 1875 lasciò la casa in eredità al Comune di Padova. Lunghi restauri conclusi nel 1985 hanno eliminato dall'edificio le inutili aggiunte, senza però ripristinare l'antico ingresso. All'interno si trovano esposte alcune edizioni degli scritti del poeta e varie testimonianze dell'ammirazione che gli è stata tributata nei secoli. In questa piccola casa-museo, ancora circondata dal verde, sono rimasti anche alcuni oggetti familiari al poeta: la sua sedia e la leggendaria gatta imbalsamata».

http://guide.travelitalia.com/it/guide/padova/casa-del-petrarca-padova/


BATTAGLIA TERME (castello del Catajo)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.magicoveneto.it

«La famiglia Obizzi, originaria della Borgogna (in Francia), si può considerare, nella storia italiana, una famiglia di "Capitani di ventura", giunti in Italia al seguito dell'imperatore Arrigo II nel 1007. Dopo una prima residenza in Toscana, la famiglia si stabilì nel territorio della Repubblica di Venezia, allora molto potente e raramente in guerra con gli stati Italiani perché più interessata alle conquiste esterne all'Italia, legate alle sue attività marinare. In un periodo di pace Pio Enea degli Obizzi (il quale impose il nome all'obice, il cannone da assedio), attratto dalla bellezza dei luoghi, decise di costruire un palazzo adeguato alla gloria della famiglia. Esso fu ideato dallo stesso Pio Enea senza l'aiuto di architetti e quindi sta a metà tra il castello militare e la villa principesca. Fu costruito in soli tre anni fra il 1570 e il 1573 (tranne che per l'ala in alto, risalente al secolo XIX). All'inizio erano previste pitture solo nei muri esterni (ora scomparse) ma nel 1571 Pio Enea chiamò Gian Battista Zelotti (allievo di Paolo Veronese) ad affrescare i muri interni con le gesta della sua famiglia. La famiglia Obizzi si estinse nel 1805 con il marchese Tommaso, che lasciò il castello agli eredi della casa d'Este (Arciduchi di Modena); sotto Francesco IV fu costruita l'ala visibile più in alto e detta "Castel Nuovo". Alla morte di Francesco V, senza figli, il Catajo passò all'Arciduca ereditario d'Austria Francesco Ferdinando. Fu per opera di questi due ultimi proprietari che l'armeria ed il museo degli Obizzi, assieme ad una vasta collezione di strumenti musicali e quadri, furono trasferiti rispettivamente nel castello di Konopischt ed a Vienna. Dopo la prima guerra mondiale il Catajo fu assegnato al governo italiano come riparazione dei danni di guerra ed esso poi lo vendette alla famiglia Dalla Francesca nel 1929. ... Così dal portale di ingresso si accede al "Cortile dei Giganti", che fu spesso utilizzato per rappresentazioni teatrali (molto amate dagli Obizzi) e tornei, anche di tipo acquatico, poiché la parte bassa poteva essere riempita d'acqua. Tra le altre fontane, di fronte all'ingresso, si nota la fontana dell'elefante fatta erigere da Pio Enea II nella seconda metà del secolo XVII; essa mescola reminescenze mitologiche (Bacco) alle nuove conoscenze esotiche tipiche di quel secolo (l'elefante, appunto). Da qui iniziano le scale esterne, costruite in modo che si potesse salire a cavallo; nella scala interna, invece, si può notare come la costruzione si arrampichi sulla viva roccia del colle. Arrivati al piano nobile del Castello, si entra nel grande salone affrescato, al fondo del quale spicca l'albero genealogico della famiglia Obizzi, dal capostipite Obicio I fino al costruttore del castello Pio Enea. Da questa prima stanza si può ammirare il modo con cui sono state dipinte le pareti, con un ciclo di affreschi che in quaranta riquadri racconta le vicende e le gesta della famiglia Obizzi, tra battaglie, matrimoni e tragici assassini, ingentilite nei soffitti e nei sovrapporta da varie allegorie. Dopo aver affrontato questo viaggio nel passato attraverso le stanze del piano nobile, reso possibile dall'abile mano del pittore Gian Battista Zelotti, si può accedere alle terrazze, da cui si gode uno splendido panorama sui Colli Euganei, sui vari giardini di cui è ricco il complesso e sul parco. Dopo la visita all'interno, potremo rilassarci con una piacevole passeggiata all'interno del parco dove si notano una peschiera e numerose piante secolari di sequoia e magnolia, che sono tra le prime importate in Europa dall'America. ...».

http://www.castellodelcatajo.it/castello.html - http://www.castellodelcatajo.it/visita.html


Bevadoro (Torre Rossa)

a c. di Stefano Favero


Carceri (borgo e abbazia)

a c. di Stefano Favero


CASALSERUGO (Villa Ferri, detta "Il Castello" Ser Ugo)

Dal sito www.casalserugoedintorni.it   Dal sito www.icscasalserugo.it

«Anticamente questa costruzione doveva essere un castello medievale di forma quadrata circondato da un fossato largo circa 5-6 metri. L’accesso al castello era a nord e un ponte levatoio permetteva l’entrata attraverso un possente torrione che sorgeva al centro della parete settentrionale. Delle quattro torri angolari, una restava ancora in piedi nel 1714. Ancor oggi esiste, benché incorporato col restante fabbricato un tronco di torre le cui dimensioni sono 5,90 x 5,22 m e danno dimostrazione della sua originaria imponenza. La parete del lato nord lascia intravedere piccole finestre romaniche e l’opera muraria è caratterizzata dalla presenza alterna di una fila di conci trachitici sovrapposta a due o tre file di mattoni; poiché questa tecnica viene ripetuta sul lato est della torte, si può presumere che il tutto sia sorto contemporaneamente, cioè nel XII secolo o al principio del XIII. Questo potrebbe essere sufficiente per poter riferire il manufatto alla famiglia di Ser Ugo, da cui il Casale prende poi il nome. Nei secoli successivi passò in proprietà alla famiglia Dotti de Dauli (1605) i quali iniziarono una prima trasformazione da castello in villa. Successivamente, i nuovi proprietari, i Conti Ferrì, le diedero una sistemazione definitiva. Al pianterreno una decorazione costituita da una serie di mensole prospettiche nel registro più elevato, contiene cartigli con il nome del nobile Giuseppe Ferri che la fece decorare nel 1688. Al piano superiore, nella zona centrale, si presenta in tutta la sua imponenza la sala dello Zodiaco, nelle cui pareti rimangono visibili ancor oggi alcuni affreschi dei segni zodiacali. Lungo il lato occidentale sorge la sala degli stemmi nella quale è possibile riconoscere entro la decorazione pittorica lo stemma della famiglia Dotti de Dauli. L’edificio ha subito nel corso dei secoli notevoli rimaneggiamenti. Esternamente non presenta caratteri artistici di grande rilievo, se si eccettua l’ampio portale architettonico sulla facciata sud, sormontato dal balconcino con balaustra in pietra, e l’archeggiatura decorativa che cade sotto la linea di gronda. Nella prima metà del XIX secolo, i Conti Ferri la permutarono con un’altra proprietà dei Conti da Zara: questi ultimi la donarono poi al comune di Casalserugo. Oggi l'edificio ospita la Biblioteca comunale».

http://www.icscasalserugo.it/territorio11.htm#VILLA%20FERRI


Cervarese Santa Croce (castello di San Martino della Vaneza)

a c. di Paolo Sanguin


CITTADELLA (cinta murata)

Dal sito http://sinatocinzia.blogspot.it   Dal sito http://sinatocinzia.blogspot.it

«La cinta muraria di Cittadella è uno dei pochi esempi di sistema difensivo con camminamento di ronda ancora percorribile, perfettamente conservata nel tempo e giunta ai giorni nostri ancora integra. E’ quindi uno dei sistemi difensivi più belli in Europa. Le mura si elevano ad un’altezza media di 14 metri, ma nei torrioni posti a vedetta delle porte si arriva anche a 30 metri. Esse, di forma ellittica, si sviluppano per una circonferenza di 1461 metri ed hanno uno spessore medio di circa 2,10 metri. La muraglia si alterna a 36 torri di varie dimensioni: i 4 torrioni in corrispondenza delle porte di accesso, 12 torri quadrangolari di 6×4 metri in pianta e con un’altezza di circa 22 metri, e 16 torresini di base più ridotta di 6×3 metri per un’altezza di 15. La distanza fra ciascuno di questi elementi è di circa 40 metri e ciascuno di questi intervalli di mura è coronato da un parapetto con 10 merli “guelfi” a due spioventi lisciati. In alcuni punti a causa di rifacimenti posteriori sono presenti anche merli ghibellini, o a coda di rondine. Le mura sono pressoché prive di fondamenta e a sostenerle provvedono i terrapieni appoggiati all’interno e all’esterno di esse, ricavati con materiale di riporto delle fosse. Attorno corre un ampio fossato alimentato da acque sorgive che un tempo raggiungeva un livello tale da permettere la vita di abbondante pesce con una larghezza e una profondità doppie dell’attuale: esso serviva da difesa quando, nella fortezza medievale, i ponti levatoi sostituivano gli attuali ponti in muratura. La costruzione delle mura ha richiesto il lavoro di molte persone per vari anni; in un primo tempo ci si limitò all’allestimento di strutture difensive di terra e di legno, alla costruzione delle porte di accesso e del fossato. Con una serie di interventi successivi si crearono le opere in muratura. Nella prima fase corrispose l’impianto delle quattro porte e di quasi tutte le torri e i torresini su cui poggiavano cortine murarie piuttosto basse; nella seconda si provvide all’innalzamento della muraglia e al suo completamento con gli archetti e i merli. Il recente restauro ha consentito la messa in sicurezza dell’antico Camminamento di ronda, che permette ai visitatori di ammirare la città da punti di vista inediti e privilegiati. Dall’alto si nota che lo spazio dentro le mura, anticamente detto “terra”, è organizzato su un sistema geometrico a scacchiera dalle tipiche stradelle di ascendenza romana, imperniato sui due assi principali che raccordano le quattro porte. Queste sono orientate secondo i punti cardinali, rivolgendosi a sud verso Padova, a ovest verso Vicenza, a nord verso Bassano e a est verso Treviso. Nel quadrante nord-ovest, a causa della presenza di una breccia nella cinta muraria, è stata costruita una passerella che permette il proseguimento della passeggiata sulle mura».

http://turismo.comune.cittadella.pd.it/opere/la-cinta-muraria/


CITTADELLA (palazzo Pretorio)

Dal sito www.procittadella.it   Dal sito http://turismo.comune.cittadella.pd.it

«Furono le famiglie dei Sanseverino e dei Malatesta, signori di Cittadella rispettivamente alla fine del Quattrocento e agli inizi del Cinquecento, a conferire a questo palazzo la caratteristica di residenza signorile. Si occuparono, infatti, dell’aspetto estetico del palazzo, decorandolo internamente ed esternamente, sia al pian terreno che al piano nobile, con affreschi che lo rendono un esempio unico nel panorama veneto. Tra questi spiccano gli stemmi delle due famiglie accompagnati da ritratti e decorazioni a motivi vegetali, animali fantastici e simboli astrologici. Un altro elemento che testimonia la grande importanza data, a suo tempo, al palazzo, è il portale d’ingresso in marmo rosato di Verona, sovrastato al centro da un leone marciano e ai lati dai due ovali contenenti i ritratti di Pandolfo e Carlo Malatesta. Sede anche delle carceri nel periodo della dominazione austro-ungarica, Palazzo Pretorio è stato recentemente ristrutturato e oggi ospita al piano nobile esposizioni temporanee, a carattere nazionale, di opere d’arte moderna e contemporanea. Visitabile su prenotazione o durante il periodo delle mostre».

http://www.procittadella.it/palazzo_pretorio.htm


CITTADELLA (porte)

Dal sito http://turismo.comune.cittadella.pd.it   Dal sito http://turismo.comune.cittadella.pd.it

«La Porta Padovana costituiva l’ingresso principale alla città. Sulle pareti esterne giganteggiano gli affreschi con il carro dei Carraresi e lo stemma di Padova, la croce rossa in campo bianco. Il complesso presenta tre ordini di porte e uno spazioso cortile d’armi con scala a chiocciola in muratura cilindrica, ma ciò che lo caratterizza maggiormente è il massiccio volume della Torre di Malta addossato al torrione.
Porta Bassanese. È il punto più fortificato e importante dell’intera cinta muraria. Costituiva l’estrema difesa della comunità ed era quindi isolato anche all’interno da un fossato ingegnosamente collegato con le fosse esterne; presentava inoltre un sistema di ben 5 porte, tre verso l’esterno, due verso l’interno, caratterizzate da ponti levatoi e saracinesche. Più grande delle altre porte, il complesso comprendeva la Casa del Capitano, locali per le guarnigioni e magazzini, pozzo, forno e altri servizi. L’alto torrione, il mastio, con i suoi 30 metri d’altezza offre ancora oggi una meravigliosa vista sui dintorni. Verso la parte interna della città, la parete del torrione conserva un affresco che raffigura il carro dei Carraresi e lo stemma di Padova. All’interno della rocca si trova la Casa del Capitano, oggetto di importanti lavori di restauro che hanno permesso il ritrovamento di affreschi risalenti al periodo dei Carraresi, dei Malatesta, dei Sanseverino e dei Borromeo. Visitabile è la sala affrescata, in cui sono state ricreate ambientazioni di vita quotidiana dell’epoca. Oggi è sede dell’ufficio turistico IAT e funge da ingresso al camminamento di ronda
Porta Vicenza è l’ingresso occidentale alla città. Presenta un torrione alto 22 – 25 metri, con un triplice sistema di porte. Quasi nulla è purtroppo rimasto dei settori più esterni e dei ponti levatoi, soprattutto dopo le distruzioni napoleoniche e ottocentesche. La parte interna di Porta Vicenza è affrescata con l’immagine della Crocifissione.
Porta Treviso è l’ingresso orientale alla città. Presenta un torrione alto 22 – 25 metri, con un triplice sistema di porte. Quasi nulla è purtroppo rimasto dei settori più esterni e dei ponti levatoi, soprattutto dopo le distruzioni napoleoniche e ottocentesche. La parte interna di Porta Treviso è affrescata con l’immagine dell’Incoronazione della Vergine e l’Annunciazione».

http://turismo.comune.cittadella.pd.it/it/opere/porta-bassanese/#top ss.


CITTADELLA (torre di Malta)

Dal sito ilt.wikipedia.org   Dal sito http://scuolaworld.provincia.padova.it

«Così si chiama la poderosa costruzione addossata all'interno della Porta Padovana. Fu costruita nel 1251 per ordine di Ezzelino da Romano il quale ne fece orrida prigione per i suoi nemici. I cronisti del tempo descrissero a tinte fosche i fatti che la resero celebre. Si racconta che i prigionieri venissero inviati al castello con i piedi legati sotto il ventre dei cavalli e, quivi giunti, calati nel sotterraneo della torre e lasciati morire di fame, tra crudeli tormenti. Nel 1256, quando Ezzelino fu cacciato da Padova, i cittadellesi aprirono le porte a Tiso di Camposampiero che liberò alcune centinaia di prigionieri, fra i quali anche donne, ridotti in miserabile stato; i partigiani di Ezzelino, invece, sospinti in un cortile, furono massacrati. Sul muro della Torre sono state apposte due lapidi che portano inciso un brano della Cronica di Rolandino, e i versi di Dante il quale avalla, con la sua autorità di poeta, il tragico racconto. La Torre di Malta è stata oggetto di appassionate ricerche storiche da parte di studiosi cittadellesi e da esse risulta evidente che è proprio la Malta cittadellese ad essere nominata dal divino Poeta. Da qualche anno l'ampia sala conferenze ricavata al piano terra è sede di convegni e tavole rotonde, mentre i piani superiori sono riservati al Museo Archeologico, aperto al pubblico nei giorni di sabato e domenica».

http://www.procittadella.it/torre_di_malta.htm


Este (castello e mura)

a c. di Paolo Sanguin


ESTE (palazzi)

Dal sito www.settemuse.it   Dal sito www.settemuse.it

«Palazzo del Municipio. Affacciato sulla piazza Maggiore, il Palazzo è un elegante edificio loggiato risalente al XVII secolo di recente restauro; la balconata sopra il portico è un'aggiunta settecentesca.
Palazzo degli Scaligeri. Sul lato sud della piazza si nota il Palazzo degli Scaligeri, ora sede della Società Gabinetto di Lettura. Questa costruzione di origine trecentesca ospita oggi una biblioteca di ben cinquantamila volumi.
Palazzo del Principe. La costruzione sorge sul colle; fu fatta costruire dai Contarini su progetto di Vincenzo Scamozzi, che la volle a pianta centrale, con sala a croce greca. Deve il suo nome a un episodio della sua storia, quando, cioè, Alvise Contarini, durante un soggiorno in villa, ricevette la comunicazione dell' elezione a doge».

http://www.comune.este.pd.it/page.php?ID=6


ESTE (rocca di Ponte della Torre)

Dal sito www.magicoveneto.it   Dal sito www.magicoveneto.it

«La rocca della Torre è una delle poche strutture difensivi medievali superstiti nel territorio di Este Costruita attorno al XI secolo, la torre, che sorge a lato del fiume Frassine, faceva parte di un ampio tessuto di costruzioni difensive opportunamente collocate a difesa delle vie d’accesso alla città. Per secoli l’edificio difese Este dalle minacce che arrivavano dal veronese. Passata di mano all’esercito di volta in volta vittorioso, la torre ebbe sempre grande considerazione per le sue caratteristiche strategiche e fu restaurata varie volte. Anche i Veneziani ne apprezzarono l’uso e alzarono la struttura di un piano raggiungendo i 24 metri di altezza. Tolsero la precedente merlatura e inserirono dei grandi finestroni con archi a tutto sesto. Nel 1597, ormai scaduto l’uso militare fu comprata dal comune di Este. La targhetta infissa sulla parete esterna risale al restauro del 1894».

http://www.storialocaleblog.it/senza-categoria/la-rocca-della-torre-strutture-difensive-medievali-nel-territorio-di-este/


ESTE (torre Civica della Porta Vecchia)

Dal sito www.settemuse.it   Dal sito www.hotelcentraledeste.com

«La torre attuale è databile alla fine del XVII secolo e sorge sul luogo della precedente porta, andata distrutta. Vi è collocato un orologio, come è attestato dalla distribuzione dei vani all'interno. A otto metri di altezza si trova, infatti, un primo locale contenente due blocchi di trachite, un tempo usati come contrappesi per l'orologio; a dodici metri è collocato l'antico locale "delle aste e dei giunti". Infine, ad un'altezza di venti metri circa, troviamo la cella campanaria, che contiene la struttura di sostegno della campana bronzea fusa nel 1637».

http://www.comune.este.pd.it/page.php?ID=6


Lozzo Atestino (castello Padovani Albrizzi o di Valbona)

a c. di Paolo Sanguin


Monselice (castello Cini)

a c. di Paolo Sanguin

  


MONTAGNANA (castello di Lispida)

Dal sito www.padovamedievale.it   Dal sito www.historytraveller.com

«Papa Eugenio III nel 1150 conferma all’ordine monastico di Sant’Agostino il possesso del colle e di una chiesa dedicata a S. Maria di Ispida. Il monastero di Lispida, sorto in posizione isolata e tranquilla, fu sempre un luogo ricco di fascino, oltre che un ambiente ideale per la coltivazione della vite e dell’olivo. Nel 1485 il Doge della Repubblica di Venezia Giovanni Mocenigo confisca ai monaci la proprietà: “affinché le vigne, gli olivi e i campi non siano abbandonati, siano seminati e coltivati nella giusta stagione, e la pietra del colle ci venga mandata con regolarità”. La storia monastica di Lispida si interrompe nel 1792. La proprietà viene in seguito acquistata dai conti Corinaldi, i quali sui resti del vetusto monastero edificano le costruzioni che oggi vediamo, le dotano di cantine imponenti e iniziano la produzione di vini rinomati in tutta Europa. Durante la prima guerra mondiale il Castello di Lispida ospita il quartier generale del re Vittorio Emanuele III. Alla fine degli anni ‘50, con l’impianto di nuovi vigneti e con programmi di vinificazione legati ai tradizionali processi produttivi preindustriali, l’azienda riprende la sua vocazione vitivinicola».

http://www.lispida.com/it/menu_low/la-storia/


MONTAGNANA (castello di San Zeno)

Dal sito www.magicoveneto.it   Dal sito www.padovamedievale.it

«Il Castello di San Zeno si trova nel Comune di Montagnana, all'ingresso della cinta muraria provenendo da Padova. Per chi percorre la strada statale n. 10 da Monselice verso Mantova, il Castello si presenta come una struttura articolata a protezione dell'accesso alla città murata. All'anno 1242 si fa risalire la costruzione dell'attuale torre quadrata alzata da Ezzelino Da Romano nel luogo di un precedente baluardo messo a fuoco, ma come si è visto fin dall'anno 996 esisteva un castello fortificato con opere murarie e palizzate in legno di cui rimangono tracce delle fondazioni nel vallo; di questo c’è ne forniscono testimonianza anche i racconti di Giustinian. Il Castello di San Zeno è costituito dall'androne di passaggio, da una grande costruzione con cortile interno e due torri angolari, dal corpo veneziano verso Sud e dall'imponente Mastio ezzeliniano. Si salda alle mura carraresi del trecento con due tratti di muro in cotto originariamente più bassi delle altre cortine. La costruzione verso Nord con le torri angolari è la più antica e presso le stesse si apre un passaggio con due porte un tempo munite di saracinesche. La torre di Ezzelino (alta 38 metri circa) fu sopraelevata più volte e all'interno aveva sette piani corrispondenti ad altrettante riseghe murarie; era coperta da un tetto piramidale a quattro spioventi con torretta sommitale per vedetta e segnalazioni. I due ponti levatoi che collegavano il Castello ai ponti sul fossato erano del tipo a bilanciere contrappesato ed avevano i fulcri su travi sorrette da mensole di pietra. Le passerelle pedonali levatoie erano comandate con verricelli (una puleggia originale è ancora visibile)».

http://www.padovamedievale.it/info/castello/montagnana/it


Montagnana (la città e la Rocca degli Alberi)

a c. di Paolo Sanguin


MONTAGNANA (mura)

Dal sito www.magicoveneto.it   Dal sito www.magicoveneto.it

  

«Le mura attuali, che costituiscono uno degli esempi più insigni e meglio conservati di architettura militare medioevale in Europa, salvo il complesso di Castel San Zeno e i tratti di cinta ad oriente ed occidente che sono più antichi, risalgono alla metà del Trecento, quando i Carraresi, signori di Padova, vollero ampliare e rafforzare quello che era un essenziale luogo forte di frontiera dello stato padovano contro la Verona degli Scaligeri. Lo spazio urbano intra moenia fu in quell'occasione ampliato, e la nuova cinta fu costruita con strati sovrapposti di mattoni e di pietre (trachite trasportata per via d'acqua dai vicini colli Euganei). La città fortificata è racchiusa in un quadrilatero irregolare delle dimensioni di circa metri 600 x 300 con un'area di 24 ettari e un perimetro di circa due chilometri. Le mura, coronate da merli di tipo guelfo, sono alte dai 6,5 agli 8 metri, con uno spessore di cm 96-100. Tra un merlo e l'altro, delle ventole in legno servivano a riparare i difensori. Le torri perimetrali, in totale 24, distanziate di circa 60 metri, sono alte fra i 17 ed i 19 metri. Il vallo esterno varia dai 30 ai 40 metri. All'interno dei fornici che reggono il cammino di ronda erano allogati i magazzini (canipe) per la custodia dei beni prodotti nelle campagne (si notano ancora gli incavi per fissare le armature in legno). Nelle torri, a più piani e coperte da un tetto spiovente defilato sotto la piazzola munita di macchina da lancio, stavano altri magazzini e gli alloggiamenti per i militi posti a guarnigione della fortezza nei momenti di emergenza bellica. Una zona priva di costruzioni e adibita a pomerio coltivato per fronteggiare lunghi assedi, stava tutto attorno alle mura dalla parte interna. Attorno alla cinta muraria correva un ampio fossato (l'attuale pittoresco e verde vallo) allagato con l'acqua del fiume Frassine (confine verso il Vicentino) derivata per mezzo di un canale ad argini sopraelevati (il Fiumicello) avente funzione di vallo difensivo di saldatura lungo il quale, dalla parte padovana, stava un serraglio sopraelevato per la concentrazione delle truppe. Tutto attorno alla zona montagnanese erano paludi intransitabili o plaghe inondabili in caso di guerra, così che la città murata costituiva la chiave della frontiera padovana verso ovest. La struttura militare era per di più attorniata da quattro fortificazioni avanzate perimetrali (le bastie), ora scomparse, e le due rocche poste a difesa delle due porte erano circondate da fossato pure dalla parte di città. La fortezza, ai suoi tempi, era imprendibile e, di fatto, fino all'avvento delle grosse bocche da fuoco (XVI secolo), non fu mai espugnata militarmente. L'accesso alla città era controllato dalle porte fortificate del castello di San Zeno (ad est, verso Padova) e della Rocca degli Alberi (ad ovest, verso il veronese). Solo più tardi, nel '500, fu aperta a nord una terza porta (porta Nova o di Vicenza) per agevolare le comunicazioni con il porto fluviale del Frassine. Alla fine dell'Ottocento un quarto varco fu praticato verso sud, per accesso alla stazione ferroviaria».

http://it.wikipedia.org/wiki/Montagnana#Cinta_muraria


MONTAGNANA (porta Legnago, porta Padova, porta Vicenza, porta XX Settembre)

Dal sito http://montagnana.ilcannocchiale.it/   Dal sito http://montagnana.ilcannocchiale.it/

«Che la città abbia avuto importanti trascorsi medievali appare evidente osservando il profilo turrito della sua cerchia muraria, una delle più belle e meglio conservate d`Europa; essa disegna un rettangolo irregolare, con un perimetro di quasi due chilometri, nel quale si aprono quattro porte che consentono l`accesso al centro storico. Entrata di porta XX Settembre, ultima porta aperta nella cinta muraria. Per farlo, nel 1885, sono stati abbattuti due tratti di muratura della cortina, allo scopo di mettere in comunicazione il centro cittadino con la locale ferrovia.
Porta Legnago o Rocca degli Alberi, poderosa fortificazione con tre corpi di fabbrica e mastio alto circa 35 metri, a presidio della porta occidentale, per volere di Francesco il Vecchio da Carrara. La Rocca degli Alberi, che si alza imponente e pittoresca sul vallo dalla parte occidentale, con funzione esclusivamente militare. L’ingresso fortificato era costituito da un complesso sistema difensivo: lungo l’androne di transito, dominato da due torri, stavano quattro porte a battenti, due saracinesche e quattro ponti levatoi a bilanciere. Monumento simbolo di Montagnana, incastonato nella cortina muraria verso occidente, il castello di Porta Legnago, analogamente al Castello di San Zeno, era attorniata in origine da un fossato sia all’interno che all’esterno delle mura e quindi collegata con ponti levatoi. Fu realizzata tra il 1360 e il 1362 su progetto di Franceschino De’ Schici, commissionato dal signore di Padova Francesco Da Carrara il Vecchio, i cui stemmi familiari (scalpellati dai veneziani successivamente alla sottomissione alla Serenissima nel 1405) compaiono accanto a quello del Comune di Padova.
A presidio della porta occidentale; a est ci pensava invece il Castello di San Zeno, che rappresenta il nucleo più antico della cinta fortificata, già irrobustito da Ezzelino da Romano nel 1242 con un mastio di 38 metri. Quì si trova un'ulteriore entrata per il centro: Porta Padova.
L’antica Torre del Borgo è il vertice del pentagono costituito dalla cinta muraria; torre quasi angolare ma solo un po’ più estesa delle torri normali. In questo punto nel 1504 venne aperta una breccia per facilitare le comunicazioni con il convento degli Zoccolanti e con il porticciolo fluviale nel fiume Frassine. Chiusa per il sopraggiungere degli eventi bellici legati alla Guerra di Cambrai, venne poi riaperta e sappiamo che nel 1595 veniva restaurato il corrispondente ponte, che divenne di mattoni nel 1700. Quanto al campanile, si tratta di una torre dalla forma e dimensioni consuete, frutto di un innalzamento di una torre preesistente avvenuto fra il 1602 e il 1603. La loggia ha verso l’interno una bella bifora con una balaustra in pietra. Le finestre riproducono i sottostanti parapetti della merlatura, incorporata dal muro del campanile. Sopra il tetto, otto cuspidi ornate di sfera e croce. Oggi è meglio conosciuta come Porta Vicenza».

http://montagnana.ilcannocchiale.it/


MONTECCHIA (villa o castello Emo Capodilista)

Dal sito www.turismopadova.it   Dal sito http://it.frassanelle.com

«Tra Selvazzano e Saccolongo una deviazione porta verso Montecchia dove è ubicata la Villa Emo Capodilista, risalente al XI secolo e più volte rimaneggiata. Il colle sulla destra è dominato dalla villa Emo Capodilista, progettata da Dario Varotari, con giardino all’italiana e parco alberato situato sul declivio. Dalla sommità del colle si può godere di un panorama oggi suggestivo, ma un tempo necessariamente legato agli scopi difensivi: a levante la pianura discende verso l'Adriatico, a mezzogiorno si stagliano i Colli Euganei e, da lontano, si osserva la cerchia delle Alpi a ponente e a settentrione. In questa zona - dove era facile organizzare una difesa e la fauna abbondava - sorse nel Medioevo un sistema fortificato. La sua storia è legata al nome di grandi famiglie padovane che qui avevano uno dei loro feudi. è a partire dal 1472, anno in cui Annibale Capodilista fu investito del feudo di Montecchia, che il luogo lega la sua fama al nome dell'antica e illustre casata che ne è, ancora oggi, proprietaria. Il sistema fortificato, anche a causa delle diverse proprietà, ha subito numerose modificazioni nel corso dei secoli. Dell'articolazione difensiva di un tempo, oggi solo il mastio evoca le atmosfere belliche (essendo andato distrutto nel tempo anche il castello troneggiante sull'altura della Montecchia). All'inizio del '900 il conte Lionello Emo-Capodilista intraprese una complessiva opera di rinnovamento: restaurò, con la suggestione del linguaggio decorativo dell'epoca, l'ala con le alte finestre ad arco che era stata costruita nel '500 a ridosso della torre, sul lato occidentale; costruì inoltre, un nuovo complesso di edifici di atmosfera medioevale, frutto dell'ispirazione a diversi modelli di castelli, e adattò il tutto a luogo di villeggiatura. La caratteristica di questo torrione, comunque, è data dal suo rapporto con il terreno circostante che rende palese quanto già evidenziato nei documenti: la vocazione rurale della postazione, ricca di vigneti e di prati per il pascolo delle pecore. Un destino rafforzato allorquando nel '500 sul colle della Montecchia venne costruita la Villa (a pianta quadrata, su due piani di quattro stanze ciascuno, con doppio loggiato sulla facciata), nata quale casino di caccia su progetto di Dario Varotari, al quale si deve anche il maggiore apporto alla ricca decorazione ad affresco. Oggi i conti Emo-Capodilista hanno intrapreso un'attività imprenditoriale che ha conservato tale vocazione. Nel contesto della Montecchia (che unisce la visita alla Villa a quella del castello) è stato realizzato un Museo di vita rurale con lo scopo di ricordare il lavoro della terra che ha contraddistinto l'area. L’accesso alle sale è permesso da una splendida scala di quattro rampe a croce greca. Ampie logge si affacciano dall’alto della collina sul giardino e sull’ameno paesaggio della campagna circostante».

http://www.veneto-agriturismo.it/index.php?section=scopri_veneto&page=monumenti&provincia=Padova&subcat=&id_num=297


MONTEGROTTO Terme (Castello di Montagnon, Torre di Berta)

Foto di Franztod, dal sito www.panoramio.com   Dal sito www.turismopadova.it

«Alle falde meridionali del Monte Castello si trovano i resti di un ampio villaggio, frequentato tra il XVII e il XII secolo a.C. (età del Bronzo Medio e Recente). La cima del colle è invece dominata dalla cosiddetta “Torre di Berta”, da cui deriva la denominazione popolare dell’altura come Colle di Berta. La torre è stata costruita sul "Castello di Montagnon", documentato già nel 1100 e a sua volta costruito su un preesistente edificio di età romana. ... Le informazioni sul castello medievale si basano sulle fonti scritte e su quanto osservato in un sopralluogo nel 2011. ... I resti del castello, attualmente visibili sulla cima e lungo le pendici del colle, comprendono una cinta sommitale, all’interno della quale si possono osservare una cisterna, le fondazioni di un grande edificio e una seconda difesa collegata alla porta di accesso. Nel tratto verso est, la cinta sommitale è stata costruita sui resti dell’edificio in pietre squadrate forse di età romana. Le fonti scritte attestano il castello come già esistente nel 1100. Esso faceva parte di un “feudum”, come ricorda un documento dell’episcopio di Padova risalente al 1116. La presenza di un feudo rimanda all’esistenza di una “curtis”, quasi a suggerire la “fossilizzazione” ancora in questo periodo di una organizzazione insediativa e produttiva tipica del IX e X secolo. Un documento del 1188 registra la concessione in enfiteusi da parte dell’abate del monastero di San Silvestro di Nonantola (Modena) del castello stesso e delle sue dipendenze ai membri della famiglia dei “da Montagnon”, nota fin dal 1038. I Signori da Montagnon svolgevano la funzione di rappresentanti e tutori degli interessi della grande abbazia modenese, che del resto si ritiene attenta a questo settore della pianura veneta sin da età carolingia o ottoniana, se non addirittura longobarda. All’epoca la fortificazione doveva essere strettamente legata al villaggio che si sviluppava ai piedi del Monte Castello. Dalle fonti scritte si evince anche qualche dettaglio in merito alle caratteristiche strutturali del castello: in un documento del 1277 si fa obbligo ai comandanti del presidio di tenere continuamente “tre uomini su ciascuna torre”, ciò che indirettamente ci dice che ne esisteva più di una. Del resto, il castello doveva possedere una notevole capacità di resistenza, se nel 1237 risultò inattaccabile ai ripetuti tentativi di assalto delle pur evolute artiglierie di Ezzelino da Romano: fu solo grazie alle sue complicità politiche che il tiranno riuscì a entrare in possesso del castello, che venne liberato nel 1256, assieme a Padova e alle altre fortificazioni della zona.

Il castello del Colle di San Pietro Montagnon può essere considerato un esempio tipico delle caratteristiche assunte dal processo di incastellamento nel territorio dei Colli Euganei. A differenza che in altri settori dell’Italia settentrionale, i castelli euganei non furono mai villaggi fortificati, ma residenze signorili, più o meno stabili, che fungevano da luoghi di rifugio occasionale per le popolazioni rurali degli insediamenti circostanti. Ogni singolo castello esercitava la propria giurisdizione su un numero di villaggi, noti nella documentazione medievale come “ville”; quella del territorio allora noto come San Pietro Montagnon comprendeva le aree delle attuali Montegrotto, Terradura, San Pelagio e Abano. Alla fine del Medioevo, il castello sul Monte omonimo dovette mutare funzione e caratteristiche: nel codice redatto nel 1433 da Giovan Francesco Capodilista e contenente un repertorio di circa sessanta castelli del territorio di Padova, il “Montagnone” (ovvero il castello di “San Pietro Montagnon”, nome con il quale era allora noto il comprensorio dell’attuale Montegrotto Terme, situato per l’appunto sul Monte Castello) è designato con il termine “fortilitium”, che indica una semplice casa forte rurale. Nel periodo compreso tra il 1675 e il 1685, il sito del castello entrò a fare parte dei possedimenti di Alvise Lucadello, “ragionato ducale”, che con oculate operazioni immobiliari mise assieme una superficie di oltre ottanta campi padovani tra Monte Alto e Monte Castello. Il Lucadello sostituì il castello con un Belvedere; in seguito esso passò in eredità a Daniele Dolfin (1654-1729). Oggi la sommità del Monte Castello è dominata dalla cosiddetta “Torre di Berta”, una costruzione simile a un castello ma risalente al XIX secolo».

http://www.aquaepatavinae.lettere.unipd.it/portale/?page_id=1690


MONTEGROTTO Terme (Torre al Lago, Villa Draghi)

Dal sito www.turismopadova.it   Dal sito www.euganeafilmfestival.it

«La Torre al Lago si trova in località Caposeda lungo la Circonvallazione della città. La Torre è di età tardo medievale e oggi ne rimangono solo le suggestive rovine. Dopo essere stata casa fortezza della famiglia dell'Arena, nel XIX secolo diventò il rifugio dei banditi capitanati dal brigante Giovanni Stella» - «Villa Draghi: inserita nello splendido scenario di un parco di circa 316.000 mq, questa bella villa ottocentesca sorge su di un poggio a mezza costa del monte Alto. Singolare esempio di architettura eclettica vicina allo stile lagunare e orientale con elementi tipicamente medievaleggianti, l’edificio, da tempo disabitato e in stato di abbandono, è stato purtroppo spogliato degli importanti arredi architettonici che lo completavano, di cui oggi rimangono solo rare immagini fotografiche. La villa conserva ancora la merlatura ghibellina di coronamento, che le dona l’aspetto di castello».

http://viaggi.virgilio.it/guide_di_viaggio... - http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=13&ved=0CJcBEBYwDA&url...


PADOVA (baluardo Cornaro)

Dal sito http://caterinacorner.veneto.eu   Dal sito www.muradipadova.it

«Il baluardo Cornaro è il primo e il maggiore dei due grandi bastioni progettati per Padova dall'architetto veronese Michele Sanmicheli. Eretto nel 1539-1540, quand'era capitano di Padova Girolamo Cornaro, da cui prende il nome, rimane più un pericolo che una difesa per la città fino al 1556, quando, a carico del territorio soggetto, è completato il terrapieno interno, allargando la fossa sui fianchi. Si attesta a metà della lunga cortina rettilinea che dal rientrante dei molini dei Gesuiti (in gran parte demolito nella seconda metà del ‘900 con la costruzione del polo ospedaliero) giunge fino alle gradelle di San Massimo. La larghezza della gola lungo la cortina è di ben 105 m, mentre i fianchi misurano 42-44 m e le facce esterne 58-60. L'angolo fiancheggiato tra le facce è di 120°, quasi uguale agli angoli di spalla tra ciascun fianco e la faccia contigua. I raccordi tra fianchi e facce laterizie sono arrotondati, mentre l'angolo tra le facce è rivestito di pietra. Sopra il cordone della faccia meridionale si conservano alcuni resti della cornice in pietra istriana di un leone marciano rimosso o di una lapide. Lungo ogni fianco è ricavata una piazzabassa a cielo aperto con i lati brevi arrotondati. Oggi la situazione è stravolta dalla presenza della Clinica Neurologica, che ha sostituito il precedente reparto Tubercolosi. La piazzabassa orientale è stata coperta, mentre quella occidentale è adibita a parcheggio. Ciascuna piazzabassa era dotata di due cannoniere affiancate e di una galleria di accesso indipendente sotto il terrapieno. Un'altra galleria di collegamento tra le piazzebasse avrebbe potuto fungere da contromina. All'esterno del bastione e del tratto di cortina che da esso prosegue in direzione nord est, verso il torrione del Portello Vecchio (Buovo), si conserva quasi inalterata e priva di edifici la fossa, ovvero la larga fascia di terreno allagabile in caso di necessità, che circondava in origine tutta la cerchia delle mura veneziane».

http://www.muradipadova.it/lic/le-mura-rinascimentali/i-bastioni/baluardo-cornaro.html


PADOVA (baluardo Santa Croce)

Dal sito http://padovacultura.padovanet.it   Dal sito www.muradipadova.it

«Deciso dal Senato veneto il 12 dicembre 1547, è l'ultimo baluardo costruito a Padova. Il suo progetto è attribuito a Giangirolamo Sanmicheli, nipote di Michele. Ha forma pentagonale tipica dei bastioni di ultima generazione del sistema difensivo della città. Tra di essi il bastione Santa Croce assume particolare importanza perché è l'unico non pesantemente manomesso ed in cui si possa comprendere in maniera completa il funzionamento di queste strutture difensive. Impostato sulla cortina rettilinea preesistente, a soli 13 metri dalla porta omonima, è portato a buon punto già l'anno successivo, vista la data del 1548 incisa alla base della nicchia per il leone marciano sulla faccia meridionale. Il leone, abbattuto dai francesi nel 1797 alla caduta della Serenissima, e ritrovato in stato frammentario, è attualmente adagiato all'interno del bastione in attesa di essere ricollocato nella sua posizione originale. La gola del baluardo è lunga 88 metri, le facce circa 49 e i fianchi 40. è dunque il secondo baluardo per dimensioni della città di Padova dopo il baluardo Cornaro iniziato nel 1539. L'angolo fiancheggiato misura circa 126°, ciò significa che già a un'ottantina di metri dai fianchi potevano essere collocate delle postazioni per spazzare le facce. Come già nel Cornaro, la porzione più interna dei fianchi è ribassata, per facilitare l'utilizzo delle postazioni riparate in seconda linea sulla piattaforma superiore. Le piazzebasse a cielo aperto sono organizzate con due cannoniere per lato e grandi depositi coperti collegati da gallerie interne. Gli archi esterni delle cannoniere, larghi più di tre metri per consentire il brandeggio degli affusti, sono contornati da conci in pietra e appoggiati su un'unica fascia lapidea. Sono in trachite i raccordi tra i fianchi e le facce, mentre una cornice curva in pietra d'Istria conclude la sommità del parapetto. Una garitta occupa la punta sull'asse capitale. Sulla piattaforma interna è situata dai primi anni del Novecento la scuola all'aperto Camillo Aita, le cui aule a padiglione sono distribuite anche lungo il terrapieno contiguo verso S. Giustina».

http://www.muradipadova.it/lic/le-mura-rinascimentali/i-bastioni/baluardo-s-croce.html


PADOVA (castello Carrarese o Castelvecchio)

Dal sito www.skyscrapercity.com   Dal sito www.dipity.com

«L'origine dell'impianto principale con corte a forma rettangolare e tre corpi di fabbrica lineari (sud, est, nord) che chiudono lo spazio a ridosso delle mura medievali della città è sicuramente riferibile al 1242 ad opera di Egidio detto "Zilio" su ordine di Ezzelino III da Romano. Tale configurazione planimetrica di base è rimasta invariata fino ad oggi. L'intervento principale di "riattamento, accrescimento e abbellimento" risale al periodo di Francesco I da Carrara ad opera di Mastro Nicolò della Bellanda nel periodo 1374-78. A tale epoca risalgono le decorazioni a fresco arrivate fino a noi presenti soprattutto nella porzione d'angolo nord-est a destra dell'ingresso dalla piazza del Castello. Ai Carraresi però non possono essere attribuite trasformazioni essenziali per quel che riguarda la struttura dell'impianto della fabbrica. Un affresco del 1382 di Giusto de' Menabuoi rappresenta il Castello con merlatura su tutti i lati ed, all'interno, logge su corpi edificati a due piani (terra e primo). Altro intervento documentato è la sistemazione, nel 1616 (in epoca veneziana 1405-1797), di ampi locali esistenti nel sottotetto dell'ala nord, per essere utilizzati come granai pubblici, con accesso dalla rampa che sale alle mura medievali esistente a ridosso delle stesse, lungo il lato ovest del Castello a partire dalla corte sotto la Torlonga. Tale rampa si presume risalire al periodo carrarese in quanto completava il collegamento del percorso dal palazzo al Castello tramite il "traghetto". In epoca di dominio veneziano furono poi eseguite opere di manutenzione alle coperture ed ai solai. Sono documentate in manoscritti dalla fine del '600 alla fine del '700. L'attuale configurazione formale e l'altezza d'imposta della copertura dell'ala nord e dell'angolo nord-est può essere desunta originaria di un periodo compreso tra il 1450 (ved. pianta del Maggi 1449 in cui il castello appare merlato) ed il 1616 quando i locali del sottotetto furono sistemati. La soprelevazione per ottenere il secondo piano in questa zona non è databile con sicurezza, e corrisponde al periodo in cui sparisce la merlatura (che viene tamponata, esistente sopra i beccatelli, ancora in parte visibili sul lato nord del complesso, nel momento in cui la funzione prettamente militare viene meno. L'angolo nord-est, appare essere la parte più rappresentativa fin dall'epoca dei carraresi (che la decorano in modo particolare), e per tutto il periodo veneziano durante il quale era utilizzato come residenza del Capitano Maggiore e poi dal Direttore del Castello.

Dai documenti esaminati, in effetti, mai questa abitazione viene definita "rovinosa" o "cadente" come accade per altre porzioni di edificio, gli si può quindi attribuire una maggior cura nella manutenzione. Un intervento su tale porzione risale al 1728 quando viene utilizzato il materiale del tetto della Torre Minore per la manutenzione della copertura dell'abitazione del Capitano. Il grande intervento di trasformazione fu eseguito dal Danieletti nel 1807 quando la struttura fu adeguata a casa di pena. Una serie di piante e di immagini, datate al secolo XVIII, mostrano la situazione dello stato precedente a tali lavori che possono essere riassunti, per la parte d'angolo, in taglio della Torre Minore e nuova copertura a quattro falde, costruzione del vano adiacente alla stessa Torre nel suo lato nord per l'inserimento dell'attuale scala, nuova copertura del suddetto vano e del cortile dell'abitazione del Capitano con modifica, per l'intersezione, della copertura d'angolo. Tale copertura, da quanto risulta dalle immagini settecentesche, risultava precedentemente definita nelle sue caratteristiche formali, morfologiche e tipologiche. Sempre all'epoca del Danieletti possono essere fatte risalire le maggiori modifiche prospettiche dei lati esterni della fabbrica per quel che riguarda la forometria. In particolar modo l'ala Sud risulta completamente rimaneggiata dall'intervento del Danieletti nel 1807 con la sua trasformazione in celle di reclusione. La mura medioevale fu demolita fino all'altezza del primo solaio, ed internamente tutta la struttura portante venne rifatta. Allo stesso tempo la copertura in legno fu sicuramente sostituita. Dal disegno dello Japelli e dai documenti successivi e contemporanei esaminati, la struttura, come riorganizzata dal Danieletti, appare arrivata sino ad oggi inalterata ad eccezione dei solai orizzontali ricostruiti in latero-cemento e della copertura semidistrutta da un incendio nel 1990 che però, per la porzione ancora presente, mantiene le caratteristiche dimensionali e gli elementi originari dei primi anni del 1800. Altri interventi eseguiti nel corso del 1900 sotto l'amministrazione della Casa di Reclusione riguardano il rifacimento del loggiato interno del lato nord del cortile e della maggior parte dei solai sostituiti con elementi in C. A., con spostamento e  modifica alle finestre per un secondo adattamento a carcere dei primi anni del '900. Per tali opere è ancora oggi impossibile ottenere la relativa documentazione grafica ad eccezione di una pianta non quotata risultata in scala 1:200 nella quale appare evidente la persistenza delle strutture murarie portanti principali».

http://www.castellodipadova.it/STORIA.htm


PADOVA (Castelnuovo o Gradenigo, torrioni Venier o del Portello Nuovo, Buovo o del Portello Vecchio)

Il Castelnuovo, dal sito http://padovacultura.padovanet.it   Il Castelnuovo e le sue addizioni, dal sito www.webalice.it/maurizio.berti1

«Il Castelnuovo, ossia il nuovo castello di Padova, situato nella parte della cinta muraria che guarda verso Venezia, presenta tre propugnacoli collocati lungo una cortina rettilinea con direzione nord-sud. All’estremità nord è il torrione Portello nuovo (pure chiamato Venier o Gradenigo), a quella sud è il torrione Portello vecchio (chiamato anche Buovo o Bon), in prossimità dell’asse mediano è il mastio (chiamato anche bastione Gradenigo o bastione della Rocca). Alcuni elementi di questa fortificazione sono conosciuti per i loro peculiari ed evidenti caratteri: la “strada del soccorso” ricavata nello spessore della cortina che collega i torrioni al bastione centrale; i due profondi baratri all’origine della strada del soccorso che potevano impedire l’accesso al bastione centrale una volta che i torrioni posti alle estremità fossero stati perduti; la Porta M. A. Loredan, fino al 1985 interrata e sigillata con un tipo di muratura palesemente della stessa epoca di costruzione del bastione, che reca scolpita sull'architrave la data 1519; le casematte del torrione Portello vecchio, su due livelli; quelle, ancora poco note, del torrione Portello nuovo. Dagli studi storici più noti non emergono convincenti ipotesi circa la geometria dell’impianto su cui fu iniziata la costruzione del Castelnuovo. Ma sia la lettura critica dei luoghi, sia lo studio delle fasi progettuali e di quelle costruttive ci fanno ora intravvedere un’ipotesi generale dell’architettura del castello. ... La storia del Castelnuovo è strettamente legata ai repentini mutamenti politico-militari cui fu sottoposta Venezia durante il periodo che va dal 1504 al 1523. I trattati di Blois del 1504 avevano sancito una larga alleanza tra il papa Giulio lI, il re di Francia Luigi XII e l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, contro Venezia. Durante questo lungo e tormentato periodo vi fu qualche tentativo da parte dei padovani di recuperare un'identità politica propria, ma con scarso successo: anche per questo era stata deliberata la costruzione del nuovo castello. Nel 1507, con la Lega di Cambrai, inizia la campagna militare contro Venezia: battuta ad Agnadello nel 1509, la Serenissima concentrerà i suoi sforzi logistico-militari su Padova, caposaldo della difesa dalla terraferma. Padova viene rapidamente circondata con una nuova, imponente cerchia di mura, nella quale una speciale funzione difensiva viene assegnata al Castelnuovo. ...».

http://www.webalice.it/maurizio.berti1/bertirestauro/02leggmonumstor/castelnuovoberti.htm (testo di Maurizio Berti)


PADOVA (mura carraresi)

Dal sito http://85.32.96.165/ScuoleInRete/sentierididattici.nsf/7dea28c5ccc90d42c1256b56004b697a/6F48C23237CA192DC12573CC004ECEEB?OpenDocument   Dal sito www.muradipadova.it

«Ben poco rimane oggi delle mura medievali di Padova: se à ancora leggibile, pur in modo molto frammentario, la cerchia più interna, eretta dal Comune fra il 1195 e il 1210, quasi nulla rimane degli ampliamenti succedutisi fra media e tarda epoca comunale e albori della signoria (la cosiddetta seconda cerchia) e praticamente nulla della cortina più esterna, quella propriamente di epoca carrarese (terza cerchia). Quest'ultima fu interamente demolita nella prima metà del Cinquecento per essere sostituita dalla nuova cinta bastionata veneziana, che peraltro ne seguì a grandi linee l'andamento. Quanto ai tratti intermedi (seconda cerchia), furono progressivamente demoliti avendo perso ogni funzione militare: se, al contrario, la cinta comunale è in buona parte sopravvissuta fino ai primi del Novecento (per poi scomparire in parte nel corso del secolo) è stato grazie alle abitazioni che vi si erano addossate nel corso dei secoli e alla presenza dei canali che le circondavano. Rimangono, di epoca carrarese o di poco precedenti, un breve tratto del ramo delle Acquette delle mura intermedie (o della seconda cerchia) in via Dimesse, la torre e un tratto di muro della cinta della cittadella vecchia (oggi piazzetta Delia), la torre della Catena o del Soccorso (nota anche come torre del Boia o del Diavolo), con il recinto del Soccorso, un piccolo tratto del recinto della porta della Saracinesca, un probabile tratto del ramo intermedio di Santa Sofia, nel sotterraneo di casa Breda, oltre a poche vestigia di incerta lettura (p.e. in piazzale Savonarola o nell'area dell'obitorio), o viste e rilevate nel corso di scavi archeologici (viale della Rotonda), ma oggi non più visibili».

http://www.muradipadova.it/lic/le-mura-carraresi.html


PADOVA (palazzi del Complesso Moroni)

Dal sito www.padovanet.it   Dal sito www.padova24ore.it

«Proprio di fronte alla sede universitaria di Palazzo Bo, sorge il Palazzo del Comune di Padova, costituito dall'accorpamento, in epoche successive, di diversi palazzi: il cinquecentesco Palazzo Moroni (che per tradizione denomina tutto il complesso degli edifici) che si affaccia su Piazza delle Erbe e si congiunge al Palazzo della Ragione, i medievali Palazzo del Consiglio e Palazzo degli Anziani, congiunti dalla Torre che domina Piazza della Frutta, e l'ala Moretti-Scarpari, costruita tra le due Guerre Mondiali su via VIII Febbraio per divenire sede dei nuovi uffici del Municipio. L'ex Palazzo del Podestà è stato ristrutturato completamente nel XVI secolo dall'architetto Andrea Moroni, dal quale ora prende il nome, e rappresenta uno degli esempi stilistici più ragguardevoli presenti nel Veneto. Il maestoso edificio rinascimentale contiene al primo piano il cortile pensile, raggiungibile sia dalla scala coperta posta quasi all'ingresso di Via del Municipio, sia dallo scalone che congiunge il palazzo ai piani alti degli edifici medievali e al Palazzo della Ragione. I lati che si affacciano su Via del Municipio e Piazza delle Erbe sono in marmo bianco e si articolano in due ordini, separati da una balconata che corre lungo tutta la sua lunghezza e sulla quale si aprono una serie di ampie finestre con volta a tutto sesto, divise da colonne. Sono ornati con stemmi e simboli di diversi Podestà, tra cui si possono notare quelle di Domenco Gritti, che occupa una finestra intera, e l'obelisco sulla sommità angolare, che reca le iniziali e l'insegna di Nicola Da Ponte. Nell'angolo sud occidentale si congiunge con una estensione dei primissimi anni del '900 sorta sopra l'area del Fondaco delle Biade.  In epoca comunale, quando fu introdotta la figura del Podestà, questo ruolo aveva termini e regole ben precise. A differenza del Consiglio degli Anziani, i cui membri erano eletti e facevano parte della comunità, il Podestà doveva obbligatoriamente essere un forestiero. In cambio dell'alloggio per sé e la famiglia e di un discreto compenso (circa 80 volte quello di un operaio generico), doveva stipendiare e pagare tutte le spese per un gruppo di 35 collaboratori, tra cui quattro giudici del tribunale criminale e tre militi, tutti pure forestieri, che si trasferivano in città con le famiglie per il periodo del mandato. Nessuno, nemmeno i familiari, potevano in alcun modo ricevere regali, donazioni, avere credito o acquistare proprietà e terreni da nessun padovano, nemmeno accettare un invito a pranzo. Il Palazzo del Consiglio che si estende nell'angolo orientale del complesso e si affaccia su Piazza della Frutta era sede della Cancelleria Pretoria. Come testimoniato da un'iscrizione, fu costruito nel XIII secolo da Lonardo Zize, detto Bocaleca, su alcune proprietà donate dai Camposampiero al Comune. La loggia alla sua base, ora chiusa e occupata da negozi, è ornata da colonne con capitelli bizantini, chiamati anticamente "i due catini d'oro". Subì diversi incendi, nel XIV e XV secolo, venendo quindi rimaneggiato più volte. Il Palazzo degli Anziani parte dalla duecentesca Torre omonima, anticamente detta Torre Bianca per distinguerla dalla Torre Rossa, che un tempo sorgeva dove ora vediamo l'arco del Vòlto della Corda, che congiunge il Palazzo del Consiglio a quello della Ragione. Si estende lungo Via Guglielmo Oberdan, aprendosi al piano terra in un porticato da cui si accedeva ai Magazzini del Sale, ora sede dell'URP del Comune. Qui si riuniva il Consiglio degli Anziani, formato da rappresentanti delle corporazioni e del popolo».

http://www.padovanet.it/dettaglio.jsp?tasstipo=C&tassidpadre=1565&tassid=1759&id=9230#par_0


PADOVA (palazzo della Ragione)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.padovanet.it

«Chiamato popolarmente "Il Salone", il Palazzo della Ragione è in effetti uno dei più grandi ambienti coperti d'Italia che non ha uguali nell'architettura civile italiana. La grandissima sala del piano superiore, all'epoca la più grande sala pensile (cioè sollevata da terra) del mondo costituiva un vero miracolo di ardimento architettonico e di solidità. Ricco di una semplice e severa nobiltà e di una popolana grandezza, il Palazzo della Ragione sorse al centro di un articolato complesso di edifici comunali tra i quali il Palazzo degli Anziani e l'antico Palazzo del Consiglio, ancora in parte esistenti, che si vennero edificando a partire dalla fine del XII secolo, e sorse al centro di un sistema di piazze, le attuali Piazza delle Erbe e Piazza della Frutta, dove aveva luogo il mercato. Tra l'antico Palazzo del Consiglio e la parte orientale del Palazzo della Ragione si apre il Volto della Corda, grandioso arco di passaggio verso Piazza delle Erbe costruito nel 1277, così denominato perché qui i bugiardi, i falliti, gli imbroglioni, i debitori insolventi venivano colpiti sulla schiena con una corda. Le corde rimanevano sempre appese a cinque anelli di pietra infissi nel muro del Volto per ricordare ai venditori di essere onesti. L'angolo posto sotto al Volto della Corda prende il nome di canton delle busie (angolo delle bugie) perché vi avvenivano gli incontri tra i commercianti. Ancor oggi sono visibili in basso, sulla destra del Volto della corda, le antiche misure padovane scolpite sulla pietra bianca che impedivano ai venditori di imbrogliare gli acquirenti. L'imponente Palazzo della Ragione, termine attribuito in epoca veneziana, è un edificio a pianta trapezoidale dovuta ai vincoli di probabili canali d'acqua che attraversavano quelle che tuttora sono le piazze e che già allora erano una sorta di vivace ipermercato. L'antico edificio assomiglia ad un enorme nave capovolta e poggia su 90 piloni, disposti in quattro ordini. Grande ammirazione destava il Palazzo presso i contemporanei fin dalla sua forma primitiva che aveva la stessa lunghezza di quella attuale, ma una minore altezza ed era anche più stretto perché mancavano le due logge prospicienti le due piazze chiamate al tempo semplicemente Piazza Settentrionale e Piazza Meridionale, oggi rispettivamente Piazza della Frutta e Piazza delle Erbe.

Attualmente è utilizzato per grandi esposizioni artistiche e manifestazioni, mentre il pian terreno è tutt'ora destinato, come nell'antichità, a mercato di generi alimentari. Le vecchie botteghe sotto il Salone costituiscono uno degli angoli più suggestivi e caratteristici di Padova. Ogni bottega è ricca di prodotti alimentari di qualità: formaggi, carni, insaccati, pesce che provengono da tutta Italia. Ci sono anche prodotti locali tipici e novità gastronomiche, vere "chicche" di piacere che ogni commerciante vuole far conoscere nell'ottica di un generale recupero del cibo buono e genuino e di una riscoperta delle tradizioni e dei sapori dimenticati.  Di recente è stato restaurato il mercato sotto il Salone di Palazzo della Ragione. Il restauro, che ha interessato anche l'interrato del Palazzo, consente di apprezzare i resti medievali e romani, oltre alla crescita stratigrafica della città. Gli scavi effettuati durante i lavori hanno portato alla luce una struttura organizzata in due gallerie longitudinali ed una trasversale, che fanno emergere le varie sovrapposizioni architettoniche che si sono succedute nel tempo. Quanto alla storia dell'edificio è presumibile pensare che il luogo ove sorge l'attuale Palazzo sia stato edificato ed abitato in età precedenti. Sotto il Palazzo rimane infatti memoria dell'età romana e le testine romaniche scolpite poste sugli stipiti degli archi di accesso al mercato sotto il Salone, ne sono una riprova. Non si conosce la data esatta della costruzione primitiva ma già nel 1166 esisteva la parte inferiore dell'edificio che aveva funzioni pubbliche. La prima realizzazione risale al 1219, ed aveva lo scopo di ospitare i tribunali e gli uffici finanziari, ruolo che ebbe non solo in età comunale, ma, sia pure con uso ridotto, anche durante la signoria Carrarese e tutta la dominazione Veneziana, fino al 1797. Fu però anche sede commerciale, unica funzione questa che mantenne nel tempo. Vi è quindi uno stretto rapporto tra il Salone e la giustizia. L'intensificarsi della mercatura nell'area delle piazze invitava il Comune a un intervento regolarizzatore che affermasse anche materialmente la protezione pubblica sulle attività mercantili. I primi statuti che regolano la vita delle città comunali risalgono all'inizio del XII secolo e riguardano soprattutto il commercio e le istituzioni politiche. La forma attuale la si deve a frate Giovanni degli Eremitani che tra il 1306 e il 1309 fece alzare la grande volta in legno a due calotte ed aggiungere il porticato e le logge coprendo le scale. Il tetto fu rifatto a capriate in legno di larice, senza colonne centrali e ricoperto da piastre di piombo. Al grande salone si accedeva attraverso quattro scalinate che prendevano il nome dal mercato che si svolgeva ai loro piedi: la Scala degli uccelli (Scala degli osei) al Volto della Corda, dei ferri lavorati, in Piazza delle Erbe, la Scala del vino, sempre in Piazza delle Erbe, e delle frutta nell'omonima piazza. In epoca comunale doveva esistere un passaggio sospeso (sul genere del Ponte dei Sospiri a Venezia) che dalla piccola loggia portava al palazzo dirimpettaio adibito a prigioni (ora Palazzo delle Debite, ricostruito maldestramente nell'800). L'edificio è attualmente collegato con un volto al palazzo comunale, mentre non esiste più il passaggio per le carceri. ...

Il padovano Nicolà Miretto e Stefano da Ferrara furono richiamati a ridipingere il nuovo ciclo astrologico sulla base delle precedenti tracce. Questi affreschi sono divisi in tre zone orizzontali e in dodici verticali, ripartiti in oltre trecento riquadri che raffigurano il sapere astrologico del tempo, cioè l'influsso degli astri e dei cieli sulle attività umane e sui caratteri: sembra che l'ideatore fosse stato il celebre medico, matematico, filosofo e astrologo padovano del tempo Pietro d'Abano, il cui cadavere fu bruciato perché condannato dopo morto per eresia. Con una ricca iconografia che riunisce simbologie astrologiche e religiose, ma anche con numerosi richiami alla Serenissima rappresentata dal leone (nel 1420 Padova era già soggetta a Venezia), questo ciclo è tra i più vasti e complessi che si conoscano. La fascia superiore, che inizia con il segno dell'Ariete nella parete sud e che si conclude con il segno dei Pesci sul lato orientale, è divisa in 12 parti, corrispondenti ai 12 mesi dell'anno. Ogni parte è formata da tre file di nove riquadri dove sono riprodotti gli elementi caratteristici del mese: il segno zodiacale, i simboli astrologici dei sette pianeti, i dodici apostoli associati ai dodici mesi, i lavori propri di quel mese con il loro pianeta dominante. Il ciclo costituisce un grande orologio solare perché il sole, al suo sorgere, batte sul segno zodiacale corrispondente alla posizione astronomica in cui si trova il sole. La fascia inferiore raffigura soggetti religiosi inframmezzati a figure d'animali sotto le quali i giudici e i notai sedevano per risolvere le varie cause. Chi veniva citato in processo riceveva una carta con sopra il simbolo del giudice che l'avrebbe giudicato e quindi al popolo, che all'epoca contava un'alta percentuale di analfabeti, per individuare il proprio giudice bastava ricordare la figura dell'animale. Nel pavimento del salone, nella direzione della larghezza, c'è una striscia bianca e nera: è il segno del 12° meridiano che passa per Padova. Su di esso battono i raggi del sole che entrano dalla bocca della faccia dorata che sta sulla parete verso Piazza delle Erbe. ...».

http://www.padovanet.it/dettaglio.jsp?tasstipo=C&tassidpadre=1565&tassid=1759&id=9227


PADOVA (palazzo Zabarella)

Dal sito www.mybestveneto.com   Dal sito www.matrixrelais.it

«All'angolo tra via S. Francesco e via Zabarella incontriamo Palazzo Zabarella, forse una delle testimonianze più significative tuttora esistenti dell'aspetto della Padova medievale e per questo testimone del vissuto storico della città.  Anticamente la zona era denominata Rumena, a causa della notevole quantità di rovine risalenti all'epoca romana. La testimonianza di quel periodo rimane nel riutilizzo di mattoni romani per la costruzione della torre, l'elemento che meglio caratterizza il palazzo nei confronti della città, e del nucleo centrale del palazzo, risalente tra il XII e il XIII secolo. Alcuni scavi hanno rivelato testimonianze di insediamenti abitativi che risalgono addirittura all'inizio dell'VIII secolo a.C. e di attività produttive, legate per lo più alla lavorazione della ceramica, risalenti al V secolo a.C. In particolare gli scavi hanno portato alla luce una casa-laboratorio decorata in alcuni locali da splendidi pavimenti a mosaico. Non abbiamo dati sui primi proprietari del palazzo, che compare tra le proprietà della famiglia dei Da Carrara fino al finire del XIV secolo quando poi il palazzo passò alla famiglia Zabarella che ne mantenne la proprietà per più di quattro secoli lasciandolo sostanzialmente immutato nella sua articolazione spaziale ma radicalmente trasformato nella facciata. Fu nel XVI secolo che venne rinnovato il prospetto su Via San Francesco, con l'inserimento di finestre e poggioli di gusto rinascimentale mantenendo, però, la costruzione feudale con la torre e le merlature guelfe. L'assetto della facciata in chiave neoclassica, avvenne invece nei primi anni dell'800 per opera del noto architetto Daniele Danieletti, la cui opera sarà coronata, intorno al 1818-19, dalla raffinata decorazione delle pareti realizzata da tre famosi artisti: Francesco Hayez, Giuseppe Borsato e Giovanni Carlo Bevilacqua, già attivi a Venezia e che interpretano il gusto neoclassico della riscoperta dell'antico. Oggi Palazzo Zabarella è sede di numerosi eventi di carattere culturale e di mostre di grande respiro internazionale».

http://www.padovanet.it/dettaglio.jsp?tasstipo=C&tassidpadre=1565&tassid=1759&id=9232


PADOVA (porta Altinate)

Dal sito www.borgoaltinate.it   Dal sito www.padovamedievale.it

«Il nome [di Borgo Altinate] deriva dall’antica via Emilia-Altinate che anticamente collegava la città di Bologna al municipio romano di Altino e, quindi, ad Aquileia. Entrando da Piazza Garibaldi, l’ingresso è segnalato da Porta Altinate con la sua singolare struttura a torre. La porta appartiene alla prima cinta muraria che nella prima metà del Trecento – durante la Signoria carrarese – circondava la città. Porta Altinate è ricordata anche perché, il 20 giugno 1256, vi entrarono i crociati che cacciarono Ansedisio de Guidotti, nipote del tiranno Ezzelino. Sulla Porta, la lapide di Carlo Leoni ricorda il fatto: Porta espugnata / Ezzelino vinto. Oltre a Porta Altinate, delle mura del ‘300 oggi rimane solo Porta Molino. Oltre Ponte Altinate, sulla sinistra inizia via Eremitani. Da notare la dove, al n. 8, si trova una Casa-torre trecentesca (civ. n. 8) e più avanti, ... sulla sinistra, troviamo al n. 19, la trecentesca Casa Carlotti (civ. 19). ...».

http://www.borgoaltinate.it/un-po-di-storia/visita-guidata-alle-emergenze-artistiche/


PADOVA (porta Codalunga, porta del Castelnuovo, porta Saracinesca)

Porta Codalunga, dal sito www.muradipadova.it   Porta del Castelnuovo, dal sito www.muradipadova.it   Porta Saracinesca, dal sito www.lavecchiapadova.it

Porte demolite. «Porta Codalunga, abbattuta definitivamente nel 1925 dopo essere stata notevolmente ristrutturata nel 1859, era stata realizzata nel 1521. Dalle poche raffigurazioni e da una serie di rilievi effettuati al momento della ristrutturazione ottocentesca appare di disegno decisamente più sobrio, con l'abituale grande arco al centro e le due aperture minori ai lati, ma quasi priva di decorazioni, a parte il leone marciano. ... Porta del Castelnuovo è una porta d’acqua ricavata nel tratto meridionale del bastione omonimo e risale al 1519. Doveva servire di accesso alla nuova fortezza, mai completata, detta appunto del Castelnuovo. Non fu probabilmente mai usata e venne quasi subito murata. Essendo rivolta verso la Dominante, pur essendo destinata ad uso militare presenta comunque un certa cura dal punto di vista della decorazione architettonica, con gli stipiti diamantati a sostegno della trabeazione sopra l’arco, ed è accompagnata da una postierla pedonale e, poco più distante, da un’altra apertura destinata al passaggio di piccole imbarcazioni, sormontata da un’edicola con la statua di San Prosdocimo. Porta Saracinesca, realizzata in data imprecisata, fu demolita nel 1888. Ce ne rimangono buone fotografie, che mostrano una struttura di disegno strettamente funzionale, praticamente priva di decorazione, essendo destinata ad uso militare: dava infatti accesso alla cittadella. Dal fianco della porta si tendeva la catena che regolava il passaggio dei natanti sul fiume».

http://www.muradipadova.it/lic/le-mura-rinascimentali/le-porte.html


PADOVA (porta della Cittadella Vecchia)

Dal sito www.stil-novo.it   Foto di UrbisPatavii, dal sito it.wikipedia.org

«La Porta della Cittadella Vecchia era uno degli accessi fortificati che si aprivano alle mura duecentesche di Padova. La porta si innalza all'inizio di Riviera Tiso da Camposampiero, verso Piazza Delia ed è transitabile esclusivamente da cicli e pedoni. Era parte del sistema difensivo della Cittadella Vecchia e di Castelvecchio. Conserva elementi strutturali del XII secolo. Era collegata attraverso una lunga muraglia alla Torre della Catena» - «Ponte dell'osservatorio e torretta con sottopasso. Su una targa in vicinanza del ponte si legge: "Ponte dell'osservatorio ad un'arcata, conduce alla specola, dal 1777 Osservatorio Astronomico. Attraversa il tronco secondario del Bacchiglione; più volte sostituito, fu rifatto nel 1806 come oggi appare". La torretta è la porta della "Cittadella vecchia", oggi è Casa Renier».

https://it.wikipedia.org/wiki/Porta_della_Cittadella_Vecchia - http://www.stil-novo.it/03_padova/08_fiumi_canali...


PADOVA (porta Liviana o di Pontecorvo, porta Santa Croce)

Porta Liviana, dal sito www.muradipadova.it   Porta Liviana, dal sito www.impresanicolini.it   Porta Santa Croce, dal sito http://vagamondo.altervista.org

  

«La porta prende il nome dall'adiacente ponte Pontecorvo, antico manufatto romano a 3 arcate del 120-130 d.C. che venne successivamente ampliato, rispettando tuttavia l'antica struttura degli archi ad ampia volta. Era denominato Pons Curvus per la sua accentuata curva, necessaria perché non fosse invaso dall'acqua del canale, ma il popolino aveva storpiato il nome latino, prima in corbo poi in corvo, invece che curvo. Porta Pontecorvo è la meglio conservata delle antiche porte. Era detta anche Liviana in onore di Bartolomeo d'Alviano, progettista delle vicine mura, o anche Legnaro o di Piove perché si apre sulla strada che conduce a questi importanti centri della parte meridionale della provincia. Qui, secondo la leggenda, fu arrestata Santa Giustina, poi martirizzata in Prato della Valle. Si narra che quando i legionari romani la fermarono, all'ingresso della città, e la riconobbero come cristiana, le venne chiesto di abiurare la sua fede. Per tutta risposta Giustina si inginocchiò e iniziò a pregare. Come le sue ginocchia incontrarono la pietra questa si fece soffice e vi rimasero le sue impronte. Un'edicola ricorda ancora l'evento. In Piazza Pontecorvo, l'ingresso ai Giardini Treves, bellissimo esempio padovano di "giardino all'inglese", realizzati su progetto di Jappelli» - «Porta Santa Croce, quasi contemporanea e attribuita allo stesso architetto, presenta una cura assai maggiore per l’aspetto architettonico delle facciate, la cui parte centrale già si ispira all’arco trionfale classico, inserito in questo caso entro una ulteriore cornice architettonica con alte paraste in stile ionico che fanno da pilastri angolari dell’edificio. Assieme alla successiva porta Ognissanti è quella che si presenta in una posizione più decentrata rispetto all’asse viario naturale (borgo Santa Croce, oggi Corso Vittorio Emanuele)».

http://www.padovanet.it/dettaglio.jsp?tasstipo=C&tassidpadre... - http://www.muradipadova.it/lic/le-mura-rinascimentali/le-porte.html


PADOVA (porta Molino, porta Ognissanti o del Portello)

Porta Molino, dal sito www.snipview.com   Porta Ognissanti, dal sito www.turismofluvialeveneto.it

  

«La Porta Molino o Porta dei Molini era il principale dei quattro accessi regales che si aprivano nella cinta muraria medievale di Padova. Affacciata verso settentrione, si innalza al termine del romano Ponte Molino che attraversa il ramo del Bacchiglione chiamato Tronco Maestro dove sino 1884 funzionarono trentatré ruote di altrettanti mulini montati su barche, da cui la porta ed il ponte traggono il nome. Alta quasi 26 metri, venne eretta in pietra e cotto nel XIII secolo, fu pensata come accesso solenne alla stra' regia o stra' maggiore (ora via Dante), la via più importante di Padova. Il torrione si innalza esteriormente su una sorta di arco trionfale romanico in pietra - decorato pure da una coppia di leoncini - mentre all'interno si succedono due arcate - la più ampia e suggestiva è a sesto acuto - che permettevano di azionare le macchine di difesa, tra cui i grandi battenti incardinati negli alloggiamenti in pietra ancora visibili. Interessante l'accesso barocco al torrione superiore, costruzione del XVII secolo accostata alla facciata interna, sulla sinistra. Ai lati si dipanano brani delle mura comunali, che verso ponente proseguono per via del Casin Rosso. L'accesso pedonale è frutto di interventi ottocenteschi. Alla fine dell’Ottocento la parte superiore della porta fu utilizzata come vasca d’accumulo per la prima rete di distribuzione dell’acqua potabile in città. È probabilmente falsa (anche se accreditata da una lapide di Carlo Leoni) la diceria secondo cui Galileo Galilei, nel suo periodo padovano, avrebbe utilizzato la porta come osservatorio astronomico».

«La Porta Ognissanti (Omnium Sanctorum in latino, detta anche Portello Nuovo o Venezia) è una delle porte tuttora esistenti nell'ambito delle mura cinquecentesche di Padova, notoriamente realizzate dalla Repubblica Serenissima. Come facilmente si comprende da una delle denominazioni del monumento, sorge nella zona chiamata Portello (ossia "piccolo porto", perché detta zona ospitava una sorta di arrivo - recentemente restaurato - per le imbarcazioni che collegavano lungo la Riviera del Brenta Padova con Venezia, ma è più probabile la recente ipotesi nel farla derivare al fatto che, precedentemente all'attuale porta, c'era un "Portello" (semplice porta pedonale o quasi). La porta in questione risale, per l'esattezza, al 1519, anno in cui prese il posto della porta Portello Vecchio, situabile nell'odierna via San Massimo. Presenta caratteristiche piuttosto diverse rispetto alle altre porte di Padova del medesimo periodo. Nella facciata che guarda all'esterno della città, è adornata da candida pietra d'Istria, con quattro coppie di colonne a loro volta sormontate da un architrave abbellito da quattro palle di cannone in trachite. A fianco alla base dell'antistante ponte sul canale Piovego a tre arcate, due leoni in pietra bianca montano perennemente di guardia. Nel complesso si tratta di un edificio che dissimula assai bene la sua natura di presidio tattico. Ancora oggi sono leggibili talune lapidi che commemorano le antiche origini della città, elogiandone al contempo il buon governo. A complemento di tanto splendore, dal 1535 un orologio svetta da una sorta di "torrino" (vagamente simile a quello del Quirinale), realizzato in pietra di Nanto, costituente la sommità dell'intera costruzione. Nella parte interna della porta, sono ravvisabili tracce di affreschi».

https://it.wikipedia.org/wiki/Porta_Molino - https://it.wikipedia.org/wiki/Porta_Ognissanti


PADOVA (porta San Giovanni, porta Savonarola)

Porta San Giovanni, dal sito www.muradipadova.it   Porta Savonarola, dal sito www.muradipadova.it

  

«Porta San Giovanni, del 1528, è la prima delle due progettate dal pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto, le uniche quindi che si debbano ad un architetto non militare. Non per caso sono le più compiute dal punto di vista formale e quelle che si rifanno con maggiore coerenza al modello dell’arco trionfale classico tripartito, con colonne sulla facciata esterna e lesene su quella verso città, dove non presenta le due porte pedonali, neppure finte, sostituite da due mensoline. L’interno è quadrato. Porta Savonarola, sua quasi gemella, è realizzata due anni più tardi, nel 1530, e si differenzia principalmente per le colonne in pietra d’Istria, quattro all’esterno e due all’interno, il diverso trattamento delle porte pedonali e per l’interno ottagonale che fa pensare all’Odeo Cornaro, che Falconetto stava realizzando negli stessi mesi. Particolarmente eleganti sono i quattro scudi in trachite inseriti tra le colonne, con al centro i busti in pietra d’Istria di divinità pagane».

http://www.muradipadova.it/lic/le-mura-rinascimentali/le-porte.html


PADOVA (torre della Catena o del Soccorso o del Diavolo)

Dal sito www.visitabanomontegrotto.com   Dal sito www.lavecchiapadova.it

«La Torre della Catena, conosciuta anche come Torre del Soccorso o Torre del Diavolo oppure come Torre del Boia, è un edificio militare costruito tra il XII secolo ed il XIII secolo sulla fortificazione del Soccorso, che - collegata alla Cittadella Vecchia - permetteva sortite di cavalleria. Oggi di proprietà privata, con altri brani di muraglia medievale è visibile dalla Riviera Paleocapa. Dalla torre in età medievale si dipanava la catena che, collegata alla scomparsa Porta della Saracinesca Vecchia dall'altra parte del canale, andava a sbarrare il traffico fluviale e regolando quindi l'accesso delle imbarcazioni nella città. Inglobata in età rinascimentale nella cerchia muraria di Bartolomeo d'Alviano, fu poi denominata "del diavolo" probabilmente per il sinistro aspetto, che incuteva ai naviganti che entravano in città passandovi d'innanzi. Un interessante nucleo superstite di mura di epoca carrarese e costituito dal cosiddetto Soccorso, i cui resti si trovano oggi all'interno di una proprietà privata. Si tratta di un baluardo che, con la finalità di favorire le sortite della cavalleria, era originariamente formato da due alti muri paralleli. Questi, provenendo forse dalla Cittadella (attuale piazzetta Delia), giungevano ai piedi della Torre della Catena, cosi detta per la catena che veniva calata per impedire il passaggio delle barche. Del muro verso il fiume si conserva un tratto che si estende per una lunghezza di circa quaranta metri, alto poco più di un metro; l'altro tratto, alleggerito da due arcate aperte negli anni Trenta del XX secolo, corre ad un'altezza di circa sei metri, per venti di lunghezza. Il cammino di ronda e accessibile dal primo piano della Torre del Soccorso, recuperata oggi in tutto il suo fascino da un accurato restauro. Non è escluso che il primitivo impianto di questo edificio, detto popolarmente anche "Torre del Diavolo" per la situazione di incuria in cui ha versato per un lungo periodo, possa essere riferibile al secolo XIII. Il confronto con le piante antiche della zona, in particolare con la Pianta delle Muraglie Vecchie delineata da Vincenzo Dotto nel 1623, indurrebbe ad ipotizzare l'esistenza di una specie di traghetto tra la Torre del Soccorso e la Porta Saracinesca, al di là del fiume».

http://www.lavecchiapadova.it/02-TESTI/MITI-MISTERI/PAGES/La%20Torre%20della%20Catena.htm


PADOVA (torrione della Gatta o di Codalunga)

Dal sito http://padovacultura.padovanet.it   Dal sito www.muradipadova.it

«Detto anche bastione di Codalunga (Coalonga), dall'omonimo quartiere della città medievale, acquisì il nome con cui è oggi meglio conosciuto durante l'assedio di Padova Gatta ad opera dell'esercito dell'imperatore Massimiliano nel 1509, nel corso della guerra della Lega di Cambrai contro Venezia, quando i difensori appesero in cima a un'asta un drappo che avrebbe dovuto raffigurare il leone di San Marco, ma che, malriuscito, venne beffardamente additato da tutti come una gatta. Tale drappo venne rubato una notte da un soldato spagnolo, che ricevette da Massimiliano un dono di cento scudi e la possibilità per i suoi connazionali di tentare per primi l'attacco (il 26 settembre): cosa ambita, vista la ricompensa di 10.000 scudi d'oro promessa dal cardinale Ippolito d'Este, per conto del Papa, alla nazione che per prima si fosse impadronita del bastione. Opera del maestro dell'arsenale Nicolò Pasqualigo, e realizzato in gran fretta nell'estate che precedette l'assedio, inizialmente il bastione (con un diametro di 50 m) si innestava su una cortina costituita da un terrapieno compreso fra due palizzate, rinforzato da un'ulteriore palizzata interna mediana. Di fronte si trovava un fosso riempito dall'acqua delle risorgive che si manifestavano appena scavato un metro in profondità, impedendo così agli assedianti lo scavo di gallerie. Contro il bastione furono orientati sei grossi mortai e un grande cannone a lunga gittata; gli furono sparati contro circa 1500 proiettili nella sola giornata del 26 settembre 1509, che lo demolirono quasi completamente. I difensori, tutti cittadini padovani, erano comandati dal capitano Citolo da Perugia e dal suo aiutante Bernardino da Parma. Il 26 settembre gli spagnoli sferrarono l'assalto e riuscirono a occupare la fortificazione; tuttavia Citolo aveva costruito al centro della piazza d'armi del bastione una polveriera e l'aveva riempita di esplosivo, così da poterla far saltare in caso di pericolo, proprio come fece in questo frangente. Migliaia di nemici saltarono in aria e una sortita dei padovani mise in fuga i restanti assedianti.

I giorni 28 e 29 settembre le truppe imperiali attaccarono nuovamente in massa, con l'ausilio dei contingenti che fino ad allora avevano badato ad accerchiare la città, sperando che i difensori non potessero più sfruttare il bastione ormai gravemente danneggiato. I padovani invece resistettero e inflissero pesanti perdite al nemico, riuscendo a distruggere anche gli ultimi grandi mortai rimasti. Fallì anche il tentativo di Massimiliano di deviare il Bacchiglione a Limena: i suoi uomini furono fatti prigionieri e gli ufficiali impiccati sul bastione della Gatta. è importante chiarire che il bastione della Gatta che oggi vediamo, così come il resto della muraglia veneziana, non è quello che fu direttamente coinvolto nell'assedio del 1509, bensì la sua ricostruzione degli anni immediatamente seguenti. L'attuale bastione sorse leggermente più a sud rispetto alla posizione iniziale e a tale scopo si dovette abbattere la chiesa della Trinità, interna alla porta medievale di Codalunga. Iniziata nel 1510, l'opera si concluse nel 1514 secondo il disegno di Bartolomeo d'Alviano. Solo nel 1523, terminati i lavori di ampliamento, vennero affisse le armi del podestà Leonardo Emo e del capitano Francesco Donato. Il torrione ha un diametro di 54 m e le cannoniere sono oggi sepolte dal riempimento della fossa; sono ancora visibili le due «gatte» inserite nella cortina, di cui una con scudo e leone e l'altra con un topo tra le zampe. Originariamente tali sculture non erano visibili da vicino come oggi, poiché il bastione era circondato da un ampio e profondo fossato che fu interrato a metà Ottocento per la realizzazione dell'attuale viale. La maggior parte della struttura del bastione è quindi oggi sepolta. ...».

http://www.muradipadova.it/lic/le-mura-rinascimentali/i-bastioni/bastione-della-gatta.html


PADOVA (torrione di Santa Giustina)

Dal sito http://padovacultura.padovanet.it   Dal sito www.muradipadova.it

«Le notizie storiche sulla costruzione del torrione di S. Giustina sono alquanto scarse. I lavori che sappiamo essere stati disposti nel 1513 dal Capitano Generale Bartolomeo D’Alviano dietro la basilica da cui prende il nome, si riferiscono probabilmente a una prima struttura costituita da un semplice terrapieno, cui la definitiva costruzione in muratura faceva seguito in un momento imprecisato ma comunque abbastanza vicino nel tempo, e ancora sulle indicazioni del D’Alviano, trattandosi di un bastione a pianta circolare, dunque della prima generazione dei bastioni padovani. Il torrione ha pianta circolare, col centro all’esterno del vertice del saliente tra i due tratti murari rettilinei, formanti un angolo di 140°. La distanza dei fianchi da quelli dei bastioni vicini è di 409 metri verso S. Croce e 487 verso Pontecorvo. Queste misure corrispondono alla gittata utile dei proiettili, lanciabili in quegli anni da una grossa bombarda petraia. Il diametro misura quasi 57 metri, poco superiore alla corda tesa tra i due angoli di fianco, chiamata gola, che è lunga 54 metri. La base cilindrica è scarpata, col piede più largo della sommità, fino al cordone lapideo alto un piede (cm 35,7), oltre il quale il muro continua verticale col parapetto, che poi gira all’interno. L’incamiciatura è in mattoni, ma la struttura interna è a sacco, cioè con un riempimento eterogeneo di pietrame legato con la calce. Sui fianchi, a ridosso dell'angolo formato dal bastione con le cortine, sono presenti due cannoniere, cui corrispondono all'interno due grandi casematte con volta a botte, che però fino a poco tempo fa risultavano inaccessibili, essendo scomparse le gallerie di accesso ed erano visibili soltando dai relativi camini di sfiato.

Fra il 2005 e il 2006 il torrione è stato oggetto di un discutibile intervento di restauro che ne ha alterato la struttura interna e falsato in qualche modo l’aspetto esterno (l'intervento è stato fortemente e concordemente criticato dalle associazioni cittadine più sensibili alla tematica della conservazione e del restauro). Allo scopo di ricavare degli spazi utilizzabili, si è realizzata all’interno del terrapieno una sala, collegata da due corti corridoi alle due casematte originali e “nascosta” sotto una ripida rampa. Né la sala né la rampa, né i corridoi hanno alcun riscontro in strutture preesistenti, costituiscono quindi un intervento del tutto arbitrario. Anche i due camini delle casematte sono stati interamente ricostruiti per la parte visibile sulla sommità del terrapieno, il quale ultimo è stato mantenuto troppo basso, impedendo così la vista verso l’esterno, snaturando con ciò la funzione del bastione. Il paramento esterno del torrione è stato restaurato ricostruendone interamente la camicia esterna, laddove era del tutto scomparsa. Anche la cannoniera di nord-est è stata integralmente ricostruita, per di più in modo assai poco conforme all'originale. Per ricostituire la continuità del cordone si è per fortuna rinunciato a ricrearlo in pietra, limitandosi a segnarlo con dei corsi di mattoni in rilievo. Unici portati positivi sono stati la riapertura delle due cannoniere (con le forti riserve di cui sopra) e naturalmente l’accessibilità alla casamatta nord, ottenuta al prezzo dell’apertura di una varco mai esistito in precedenza, rinunciando invece a risolvere il problema tuttora aperto dell'accesso originario, che avveniva probabilmente in modo indipendente per ciascuna casamatta, dai due piccoli vani a gomito, oggi ciechi, che si aprono negli angoli nord della casamatta nord e in quello ovest di quella sud. Per quest'ultima, forse per un ravvedimento dell’ultimo minuto, ci si è per fortuna limitati ad un foro nella muratura che permette di vederne l’interno, rimasto per il resto intatto e originale. Nell'ambito della sistemazione degli spazi interni per collocarvi un roseto, è stato anche ripulito il lato interno del tratto di cortina fino alla breccia di via D'Aquapendente, caratterizzato da contrafforti a base triangolare, oggi visibili, ma che in origine erano coperti dal terrapieno, come avviene tuttora per il tratto che prosegue verso sud-ovest dopo la breccia, dove il terrapieno è invece conservato, fino al baluardo Santa Croce».

http://www.muradipadova.it/lic/le-mura-rinascimentali/i-bastioni/santa-giustina.html


PADOVA (torrioni Impossibile, Pontecorvo, Ghirlanda)

Torrione Impossibile, dal sito www.muradipadova.it   Torrione Pontecorvo, dal sito www.muradipadova.it   Torrione Ghirlanda, dal sito www.muradipadova.it

«Torrione Impossibile. II bastione Impossibile o dei Crociferi o Terzo Moro appartiene alla forma cosiddetta a torrione tipica di un'epoca transizionale in cui gli architetti militari cercano di adeguare le fortificazioni alle nuove esigenze determinate dall'impiego delle artiglierie pesanti nella guerra d'assedio. La soluzione escogitata in Italia centrale alla fine del XV sec. è quella di addossare grandi quantità di terra alle spalle delle mura cittadine (terrapieno), al fine di assorbire meglio l'urto dei proiettili degli assedianti, e di proteggere i fossati con numerosi bastioni. ... Il bastione Impossibile appartiene alla prima generazione di bastioni padovani, essendo di forma cilindrica e dotato di due soli livelli di cannoniere sui fianchi. La sua progettazione risale probabilmente al 1513, all'epoca del ritorno di Bartolomeo d'Alviano alla guida delle milizie venete, ma, a causa di ripetute modifiche all'idea originaria, il suo completamento non deve essere avvenuto prima del 1526. ... Torrione Pontecorvo. Come l'Impossibile, questa rondella era chia­mata dal Gritti bastion punton, perché collocata su un saliente murario addossato ad una cortina altrimenti rettilinea. Il bastione Pontecorvo fa parte della prima generazione dei bastioni delle mura di Padova, proprio come l'Impossibile. La lunghezza dei raccordi murari è di circa 40 m, concorrenti tra loro ad angolo retto, mentre il diametro del torrione è di 43 m e la gola di quasi 37. Risulta evidente il vantaggio per il tiro di fiancheggiamento offerto dalla posizione avanzata del torrione sul vertice del saliente, rispetto ad una localizzazione diretta sulla cortina muraria rettilinea. Il torrione dispone delle camatte interne, ma attualmente è stata esplorata la sola cannoniera settentrionale, con entrata dall'alto del terrapieno attraverso tre locali voltati a pianta irregolare. Lo spessore del muro esterno al piede supera i 6 m. ... Torrione Ghirlanda. Il piccolo torrione a mezza luna sorge fra il torrione Alicorno e il complesso della Saracinesca, più vicino a quest'ultimo, al vertice di un saliente appena pronunciato, della lunghezza complessiva di 980 metri. Ha una gola e un diametro di 23 m e aveva probabilmente più una funzione di cavaliere per il tiro in barbetta dalla piattaforma superiore, che di bastione vero e proprio: a questo fa pensare anche il nome, che si riferisce probabilmente al tiro in ghirlanda, ovvero tutto attorno al parapetto, sul quale sono ancora percettibili tracce dei merloni e delle troniere. Solo uno scavo dei depositi golenali formatisi nelle gole potrebbe chiarire definitivamente questo aspetto, rivelando o meno l’esistenza di cannoniere. Ignota è anche la sua struttura interna, ammesso che si sia conservata dopo l’allestimento del monumento ai caduti della guerra di Russia negli anni Cinquanta del Novecento. Le armi dei rettori un tempo appese sul torrione indicavano la data del 1523 per il suo completamento».

http://www.muradipadova.it/lic/le-mura-rinascimentali/i-bastioni/torrione-impossibile.html - ...pontecorvo.html - ...ghirlanda.html


TEOLO (resti di Rocca Pendice o castello di Speronella)

Dal sito www.magicoveneto.it   La parete rocciosa dell'area della rocca, dal sito http://kitalpha.altervista.org

«La Rocca Pendice rappresenta una meta di notevole interesse storico e geologico. La natura alpestre del luogo si deve alle forti spinte del magma che perforando la crosta terrestre, provocò il sollevarsi del caratteristico dicco trachitico (m. 320). Sulla cima si trovano i ruderi della rocca medievale, fortezza che non fu mai espugnata, uno dei pochi castelli europei eretti per volontà di uomini liberi, i cosiddetti "comitati". Ceduta dal vescovo di Padova nel 1161 al Barbarossa, fu fortificata ulteriormente dal conte Pagano, legato all'imperatore. Qui, egli avrebbe rinchiuso la giovane Speronella dei Delesmanini, della quale si impadronì la leggenda trasformandola in eroina della libertà comunale contro il vicario dell'imperatore, che fu poi cacciato. Con l'avvento della Serenissima Repubblica di Venezia (1405) la rocca fu trasformata in prigione di stato. Divenne poi luogo di villeggiatura della famiglia Orologio che vi costruì (1605) una casa ed una cappella, iniziata da Gaspare Orologio che morì precipitando dalla rupe» - «I ruderi del Castello di Speronella sono situati sulla sommità di Rocca Pendice in località Teolo, ad un'altezza di circa 300 mt s.l.m. in posizione dominante rispetto ai vicini colli e alle vallate sottostanti. Si tratta del fortilizio che più a lungo mantenne la sua funzione militare sui Colli Euganei. Lo si può raggiungere imboccando la strada per Castelnuovo, percorrendo un sentiero che parte dal sesto tornante e che conduce ai ruderi attraverso un suggestivo percorso nel bosco. Non si conoscono esattamente le origini del castello, i primi documenti che ne attestano la presenza indicano che nel XI secolo spettava al vescovo di Padova, il quale dovette cederlo all'imperatore Federico Barbarossa nel 1161, che a sua volta fu costretto a restituirlo al vescovo padovano nel 1177. Durante questa fase di lotte tra potere ecclesiastico e imperiale, si colloca la leggenda di Speronella, che narra la storia di una fanciulla chiamata Speronella Dalesmanini, la quale fu rapita e rinchiusa nel castello del monte Pendice dal vicario imperiale Pagano, che si era invaghito di lei. Il popolo padovano, incitato dal padre e dal fidanzato della ragazza, mise in atto una sommossa liberandola e sconfiggendo l'oppressore di Padova. In realtà le leggende che parlano di Speronella sono diverse e non tutte hanno un lieto fine, per questo motivo attorno al luogo nel corso dei secoli si è creato un alone di mistero. Nel 1320 venne attaccato dalle truppe veronesi di Cangrande della Scala, ma riuscì a resistere all'assedio confermando la sua fama di fortezza inespugnabile. Nel Trecento fu consegnata dal vescovo Idelbrandino Conti ai Carraresi che la utilizzarono come prigione fino al 1405, quando avvenne l'occupazione dei Veneziani che mise fine alle sue funzioni militari. Passato di proprietà alla famiglia patrizia degli Orologio, il castello venne trasformato in casa di villeggiatura, finché non venne abbandonato definitivamente. ...».

http://www.comune.teolo.pd.it/rocca_pendice.asp?lingua=ita - http://www.collieuganei.it/castelli/ruderi-castello-speronella/


TERRADURA (castello di San Pelagio)

Foto di Mike1, dal sito www.panoramio.com   Dal sito www.castellodisanpelagio.it   Dal sito www.abano.it   Dal sito http://castellodisanpelagio.it/

  

«Il Castello di San Pelagio ha origini medievali (circa 1340) che si notano nella splendida Torre d’avvistamento appartenente ai Carraresi. Nei secoli successivi, a ridosso della torre, corsero le varie parti della villa: il Corpo centrale e due Barchesse. Fin dal 1700 il Castello è proprietà dei conti Zaborra che lo hanno aperto al pubblico ed arricchito di una straordinaria collezione aeronautica in ricordo della più bella azione di volo di tutti i tempi: il Volo su Vienna compiuto da Gabriele D’Annunzio con la squadriglia “La Serenissima” il 9 agosto 1918. Furono lanciati nel cielo di Vienna volantini con un messaggio che ancora colpisce: “…non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza…”. I ricordi di quei giorni fantastici e lontani, sono raccolti nell’antico maniero dove il poeta soggiornò ospite dei proprietari. I suoi appartamenti mantengono inalterato il fascino per il visitatore che, immerso nell’atmosfera di quell’impresa favolosa, percorre tappe di storia secolare vivendo emozioni sempre nuove. Alcune sale del castello mostrano tracce di affreschi. In tutte aleggiano le presenze dei personaggi che hanno fatto la storia del volo e quella del progresso umano. Così di sala in sala, di personaggio in personaggio si vede, con la villa, anche tutta la storia del volo. Il filo conduttore del percorso storico del museo è il volo. La collezione interna, costituita da oltre 300 modelli di aerei, dirigibile e mongolfiere, divise d’epoca, manichini, motori ed oggetti aeronautici, traccia tutta la storia del volo in ordine cronologico. Dal volo in natura a quello mitologico, dai primi tentativi umani al volo a motore, dal primi impiego bellico nel 1911 in Libia agli scontri aerei della prima e della seconda guerra mondiale (www.museodellaria.it). Oggi San Pelagio è annoverato tra le più interessanti Ville Venete del padovano immerso com’è nei suoi splendidi giardini con centinaia di rose profumatissime, antiche e inglesi, alberi secolari, passeggiate lungo il viale di carpini verso la pescheria e più in là, sul belvedere da dove la vista spazia verso i Colli Euganei. Infine lo stupore del Labirinto del Minotauro. Il Castello di San Pelagio unico in Europa per la sua collezione aeronautica, è luogo incantevole dove trascorrere una serena giornata di svago, soffermandosi nel parco per assaporare, con i profumi dei fiori, l’atmosfera di una vita in armonia con la natura».

http://www.comune.duecarrare.pd.it/it/Informazioni/Storia/Itinerario.html


     

  

 

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