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DE CASTRO VENANDI CUM ARTIBUS | a cura di Falco, Girifalco e Metafalco |
di Girifalco
Gente
alta, minuta, piacevole allo sguardo o irritante a pelle, disponibile, curiosa o
distratta; quali umori sono portati tra queste mura? Quali sacrifici, quali
aspettative riempiono le fessure delle pietre calcaree, l’area delle stanze?
Quale odore si respira? Cosa prevale? L’umidità invernale che, attraversando
strati di indumenti, solletica la salute? O forse l’odore acre (o meglio, la
puzza) del sudore estivo o delle scampagnate post-pasquali condito da litri di
vino o birra gustati ai piedi di questo maniero, castello-non castello, poggio
di caccia, emblema federiciano? E ovviamente quali suoni, quali sensazioni
avvertirei entrando in una giornata qualunque, in un’ora qualunque, eccetera?
Vado
ed esploro.
Innanzitutto
la fila, la queue; i tedeschi messi come gli indiani, i gruppi degli
italiani, invece, vanno all’assalto, nel chiasso, nella calca (che, se non
c’è, viene creata apposta).
Prima
di entrare nel castello bisogna pagare, quanto?
Poco
forse, ma possibile che non ci siano sconti, riduzioni per poliziotti,
carabinieri, artisti, suonatori, dottori o associati
di associazioni varie?
«Pagano
i bambini?». «No». Finalmente! Che contentezza, che sollievo per
le famiglie che possono risparmiare qualcosa mentre sgranocchiano patatine
globalizzate o taralli, o noccioline, o junk
food locali.
Ma tutto questo poi, per vedere cosa? Un castello? Certo, o forse non è tutto così ovvio, visto che c’è chi improvvisa un segno di croce (!), chi lo contempla in maniera più convinta, come qualche anziano che, entrando nella prima sala, più buia e più fresca dell’esterno, riconosce il clima della religione.
E
come porsi nei confronti di questo monumento?
Ci
si copre il costume da bagno d’estate, ci si riposa d’inverno (ovviamente
ignari della citata umidità)?
Ma
come mai non ci sono mobili, armature, cantine, mummie, prigioni e prigionieri
(come nelle ricostruzioni da luna park)? Come mai, visto che non c’è niente,
questo castello è così famoso?
Beh,
si sa, l’arte è cosa da colti e quindi, mentre i bambini sperano invano,
nell’indifferenza dei genitori, di incontrare principesse e cavalieri, gli
adulti si apprestano a passeggiare come se fossero in un parco o per una strada
senza vetrine ingioiellate.
E
non importa che ci siano mostre o pannelli in ansiosa impazienza di essere
letti, si reclama subito il costo del biglietto alla luce della garanzia
commerciale del “soddisfatti o rimborsati”.
I
più furbi, di stampo locale, fanno finta di entrare, guardano come funziona il
tutto (cioè capiscono che si paga) e con “stile” decantano che è più
interessante e bello il panorama esterno, così free).
C’è
chi inizia a fare domande, chi dimostra curiosità ed interesse o chi in realtà
vuole solo vagliare la qualità del prodotto.
«Dov'è
il paese “del Monte”?». Non c’è mai stato...
«Allora,
hanno distrutto il borgo medievale che c’era prima?». -Non c’è mai
stato...
«Dov’è
il ponte levatoio? Da dove si affacciava Federico II? Con quale moglie ha
dormito qui?».
La
storia si fa romanzo, la realtà leggenda, gossip, pettegolezzo, curiosità
popolare.
E
poi, «dov’è il segreto del castello? Dov’è la magia? Dov’è il
trono? Dov’è la verità?». Rimango interdetto perché mi chiedo quali
siano state le fonti di queste domande. Sono forse considerazioni personali,
fraintendimenti, oppure invenzioni del momento? Possibile che non abbiano letto
nulla prima di fare tanta fatica per arrivare qui? E, se hanno letto, cosa hanno
letto?
Si
cerca quindi ciò che non c’è dicendo che c’è ma non si vede (come la
nebbia di Totò), perché è, paradossalmente, più facile da trovare.
Cercano
quello che altri hanno immaginato, inventato per loro.
Cercano
disperatamente il contenuto di un tesoro senza rendersi conto di essere appena
entrati nello scrigno più prezioso che, da più di 750 anni, cerca di
sussurrare la sua verità nel chiasso delle chiacchiere.
©2003 Girifalco, anche per la seconda foto; la prima è di Luigi Bressan