DE CASTRO VENANDI CUM ARTIBUS | a cura di Falco, Girifalco e Metafalco |
di Girifalco
Le
strade provinciali che portano al
castello sono ornate da manichini scuri, chiari, dorati; manichini che compiono
sempre gli stessi movimenti nell’arco della giornata: camminano, salgono su
auto appena queste si fermano, ritornano nella loro postazione, ricominciano da
capo.
Le
stesse strade sono, non appena il sole
riscalda in maniera più costante l’aria, crocevia di turisti: in bus, in
moto, in auto, da soli o in compagnia. Tutti attenti a decifrare le insegne,
tutti col naso in su in attesa che lo scrigno di Federico II spunti da qualche
parte e li renda partecipi della sua ricchezza.
La
curiosità, la nascita e lo sviluppo delle aspettative nutre più di panini
farciti di salse miste e disseta più del gas delle bevande dolci.
Il
nutrimento dell’anima cozza con la viltà dei vizi, con la povertà dello
spirito, con l’impotenza della ragione, con l’indifferenza alla dignità.
Guarda e non pensare.
Le
informazioni sul castello sono tante e
spesso diverse tra loro. Se le cerchi tramite un motore di ricerca troverai
soprattutto un approccio, come dire, “magico” (ma poco incantato!).
Troverai
spiegazioni sui fori (leggi buchi) del monumento, su epigrafi (leggi scritte
vandaliche antiche o meno), su lacune (leggi errori di restauro o zone
depredate), su ciò che c’era ma non si vede.
La
conoscenza (o la volontà di
conoscere), però, quale riscontro ha con questa visita tesa a cercare
l’invisibile ed a collegare la leggenda e la letteratura populista con una
importante presenza storica (data poi per scontato)? Gli spazi vuoti si leggono
come impronte di una ricchezza piena che fu, l’organizzazione modulare degli
ambienti si legge come realtà poco funzionale alla vita quotidiana (di oggi!),
le lacune anche decorative diventano protagoniste della visione epidermica.
La
speranza che il castello fosse più pieno si veste di certezze che fosse anche più
enigmatico, che fosse il ritratto di un imperatore fuori dal suo tempo e colto
come nessuno mai (?). I best-seller puntano un faro su una questione
interessante per l’autore ma spengono, negli strati più superficiali di
pubblico, la fiamma della curiosità sana e del sapere concreto.
Perché
farsi tante domande se poi le risposte voglio essere sempre e comunque ad
personam?
C’è
una fila di giovani speranzosi, c’è
una fila di sogni e desideri dietro queste mura. C’è la voglia di fare che
muore dopo i 30 anni soppiantata dalla illusoria legge del dovere spinto al
minimo essenziale. Le competenze non si incontrano con le possibilità di
lavoro, le richieste vengono dribblate dalla burocratica volontà di far girare
il mondo da solo senza alcun bisogno di spinte… in un perpetuo movimento
lontano anni luce dal panta rei naturale.
C’è
la mediocrità dei servizi nati per
lucro, di situazioni create per investire in un potenziale pozzo di ricchezze a
breve termine. Non servono particolari competenze, non sono assolutamente
necessarie conoscenze approfondite dell’argomento di cui si parla e per cui si
riceve un introito. Serve essere nel posto giusto al momento giusto.
Quale
investimento a breve termine porta a risultati ottimali nelle persone? Quale
aridità, quale inciviltà si vuole sanare senza una volontà di promozione
concreta? Di quale cultura si deve
avere cura? Di quella ancorata alla narrazione leggendaria dei fatti, alle
ricostruzioni consumistiche del passato, a quella che sfrutta le risorse
economiche solo nella pubblicità?
Ma cosa è la cultura?
Io
volo o son desto?
©2006 Girifalco, testo e disegno