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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI ROMA
in sintesi, pagina 1
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«Un tratto di muro in opera poligonale sembra attestare la presenza di un centro preromano, al confine tra il territorio degli Ernici e degli Equi. Nel I secolo d.C., l'oppidum Afile viene ricordato da Frontino, che cita la il territorio come diviso in centurie affidate a privati secondo la legge del 133 a.C. Il centro romano si trovava probabilmente nella zona orientale dell'attuale paese (piazza di San Sebastiano e chiesa di San Pietro), dove sono stati rinvenuti tratti di muri antichi e una cisterna (cicerara) che raccoglie le acque di una sorgente. Vi passava la via Sublacense. Nel X secolo un villaggio era sorto in corrispondenza dell'oppidum romano, dove si trovava già la chiesa di San Pietro. Vi sorsero poi anche le chiese di Sant'Angelo supra cisternam e di Santa Maria di Affile, quest'ultima parrocchia sottoposta al vescovo di Palestrina Nel territorio erano sparse numerose case coloniche. Al 1013 risale la prima menzione del castello o castrum di Affile, che nel 1084 era in possesso di Ildemondo di Affile. Nel 1109 papa Pasquale II prese il castello e lo cedette all'abate del monastero di Santa Scolastica a Subiaco. In seguito Ildemondo riottenne in feudo dall'abate Affile, a cui si aggiunse anche "Ponza" (oggi Arcinazzo Romano). Il castello ritornò in potere dell'abbazia nel 1176. e fu in seguito in possesso degli Altieri e dei Brasch ... Il castrum. Un impianto fortificato, sorto sulla collina occidentale e indipendente dall'allora abitato della attuale collina di San Pietro, è menzionato a partire dal 1013. Alla fine del secolo ne fu conteso il possesso tra Ildemondo di Affile e l'abbazia, che riprese il controllo del castrum solo nel 1176. Il castrum venne raffigurato con due torri, in un affresco del XIII secolo nel chiostro del monastero di Santa Scolastica in Subiaco. In una seconda raffigurazione quattrocentesca nella chiesa di San Pietro il castrum mostra un maggior numero di torri e mura possenti che circondano un nucleo abitato interno. Delle mura restano oggi poche tracce ("porta della Valle" del XIV secolo, con bastione avanzato semicircolare; avancorpo presso il campanile di Santa Felicita del XVII secolo). Le fonti menzionano inoltre una "porta Vipera"».
http://www.360-gradi.it/luoghi/informazioni-turistiche-citta-affile-0000002154.html
«Il Castello di Agosta, costruito nel 1051, non ha un vero e proprio nome viene semplicemente chiamato "Castello". La fortezza sorgeva sul culmine della collina chiamata "Mons Augusta". Aveva due porte d'ingresso: "La porta della chiesa" che era la principale e "La porta di Santa Maria" che era la secondaria. è possibile osservare sulla porta principale il sistema di difesa sovrastato da quattro merli ben visibili. La fortezza era munita e difesa da tre torri strutturate e attrezzate per resistere agli assedi. Agosta per la sua felice posizione geografica divenne la porta del feudo dei monasteri di Subiaco. Dentro le mura del Castello oltre alle abitazioni dei massari vi erano edifici e luoghi pubblici; il più importante era la "Casa della Comunità", detta casa dei monaci, dove risiedeva l'Amministratore del monastero di Subiaco; a questa erano annessi granai, cantine e dispense, dove si raccoglievano i prodotti spettanti al monastero. Oggi non è possibile visitare il Castello poiché ne rimane ben poco, in quanto le strutture stesse sono state inglobate nel tessuto urbano, ma si possono ammirare tracce importanti delle mura perimetrali della fortezza».
http://www.marketing.territoriale.it/moduli/cultura/scheda_cultura.html?COD_CULTURA=563
«La fortificazione del centro storico di Albano è stata quasi integralmente smantellata, a partire dalla fine del XVIII secolo con l'allargamento della via Appia. All'epoca della guerra gotica (535-553) Albano era un oppidulum, dunque un piccolo abitato fortificato. Presumibilmente, le fortificazioni subirono le alterne vicende delle varie distruzioni e delle successive ricostruzioni della città. Il complesso originariamente fortificato di palazzo Savelli risalirebbe al XIII secolo. Nella cerchia muraria si aprivano alcune porte di cui ci è stata tramandata memoria: Porta Romana o di San Rocco; situata su via Appia in direzione di Roma, affiancata dalla palazzina Doria e dalla chiesa di San Rocco, l'aspetto definitivo le venne dato nel XVIII secolo. Tutti gli ornamenti, gli stemmi e la lapide posti sulla porta sono ora nell'atrio di Palazzo Savelli. La porta infatti è stata rasa al suolo nel 1908 insieme alla vicina chiesa per allargare la via Appia e far passare la linea tramviaria Roma-Genzano delle Tramvie dei Castelli Romani. Porta San Paolo; situata in piazza San Paolo, vicino alla Chiesa di San Paolo, è l'unica porta sopravvissuta della vecchia cerchia. Porta dei Cappuccini; situata sull'attuale via San Francesco d'Assisi, era un arco sovrastante la strada per il Convento dei Padri Cappuccini. Venne rasa al suolo nel XIX secolo con l'allargamento della strada, che prese nome di via dell'Anfiteatro».
http://it.wikipedia.org/wiki/Albano_Laziale#Architetture_militari
Albano Laziale (palazzo Savelli)
«Il palazzo, oggi sede del comune di Albano Laziale, fu fatto costruire intorno al 1200 da Luca Savelli, o dal figlio Giacomo, e sorge sulle rovine di una cisterna romana le cui navate, coperte con volte a botte, costituiscono il basamento dell'edificio. Costruito come fortezza lungo la via Appia, nel corso dei secoli si espanse occupando una vastissima superficie, inglobando l'area di Porta Pretoria e la chiesa di San Pietro, dietro alla quale era annessa la cappella della famiglia Savelli. Della rocca medievale sono visibili, oggi, le torri quadrangolari ai lati del palazzo e il corpo centrale costruito con blocchetti in peperino. Nel 1600 furono eseguiti i primi interventi di ristrutturazione dell'edificio e nel 1602 divenne il palazzo residenziale dei principi Savelli dopo che gli stessi furono costretti a lasciare quello di Ariccia venduto ai principi Chigi. Il palazzo poi assunse l'attuale aspetto dopo il 1697, anno in cui i Savelli, gravati da debiti, vendettero il feudo di Albano alla Camera Apostolica e papa Benedetto XIV lo restaurò e lo ampliò così come è oggi. Il palazzo divenne in parte sede del governatorato e in parte residenza nobiliare per ospitare gli illustri ospiti del papa che sceglievano Albano come luogo di villeggiatura. Così nel 1773 il palazzo ospitò Giacomo III d'Inghilterra con la consorte, contessa d'Albany, ed il fratello duca di York, futuro vescovo di Frascati. Palazzo Savelli conobbe il massimo del suo splendore a partire dal 1774, anno in cui fu nominato vescovo di Albano il cardinale Francois Joachim de Bernis e nei saloni del palazzo venivano organizzate feste e ricevimenti ai quali accorrevano il fior fiore della nobiltà romana. Tra il 1780 e il 1791, durante i lavori voluti da Pio VI per l'ampliamento della via Appia, parte del palazzo fu abbattuta e nel 1870, dopo l'annessione del Lazio al Regno d'Italia, divenne sede del comune di Albano Laziale. Palazzo Savelli ha oggi un aspetto molto sobrio in cui spicca un grande atrio con portico nel quale sono conservate alcune decorazioni di Porta Romana, l'antico accesso alla città disgraziatamente demolita nel 1908 per permettere l'accesso del tram. Dall'atrio, attraverso una maestosa scala, si arriva al piano nobile del palazzo in cui spicca il salone d'onore dove si conserva un soffitto a cassettoni riccamente decorato. Questa sala, sede nel passato di ricevimenti e di balli, è oggi usata come aula consiliare».
http://www.comune.albanolaziale.rm.it/cosa-visitare.php
Albano Laziale (ruderi di castel Savello)
«Castel Savello di Albano sorge su un'altura solitaria ai piedi dell'abitato di Albano Laziale. Roccaforte della famiglia Savelli, feudataria di quei luoghi, con vista su tutta la pianura costiera e sui retrostanti Colli Albani, venne raso al suolo nel 1435 dalle milizie del cardinal Vitelleschi, comandante delle truppe di papa Eugenio IV, e mai ricostruito. I suoi ruderi, sui quali nel XVIII secolo si cercò di impiantare un nuovo insediamento, sono oggi proprietà di un privato. Nel 1963 Giorgio Schanzer cominciò a ricostituire in una proprietà coesa i tanti appezzamenti in cui era divisa la sommità del colle e per certe parti fino a fondo valle. Basandosi su somari per il carico dei materiali si cominciò a fermare i crolli e bonificare la zona intorno ai cospicui ruderi».
http://www.silazio.com/scheda_itinerario.php?id_prodotto_itinerario=898
Altipiani di Arcinazzo (ruderi della torre Piè di Campo)
«La Torre "Piè di Campo", è probabile l'ultimo resto di una rocca fatta costruire da un nobile romano, chiamato Narzio. Il sito archeologico quindi dovrebbe essere anche più antico della vicina villa di Nerone. Alcuni studiosi sostengono che si tratti di una torre difensiva medievale costruita nel XIII secolo. Si raggiunge molto facilmente, un breve e bella passeggiata adatta a tutta la famiglia. Si può parcheggiare l'automobile nel parcheggio della pista ciclabile, che si trova vicino il maneggio e la villa di Traiano. Bisogna passare davanti la villa romana e prendere la stradina sterrata che sala sulla destra. Continuare sempre dritti e poco dopo il sentiero è anche segnato. Dopo un brevissimo tratto fra gli alberi si riesce allo scoperto e davanti ai vostri occhi vedrete in lontananza la torre. Da questo punto in poi non avrete più bisogno di segnaletiche perché si cammina fra i prati e la torre rimarrà sempre dinanzi ai vostri occhi. Maesteso domina su la torre il Monte Altuino 1269 metri, catena dei monti Affilani. La cima conserva i pochi resti di una fortezza fatta costruire da Ildemondo (signorotto locale) verso la fine dell'anno 1000. Distrutta nel 1109. Come costruzione e posizione si potrebbe associare facilmente alla tanto famosa Rocca Calascio».
http://www.avventurosamente.it/xf/threads/torre-piè-di-campo.20193 (a cura di Francesco Frigida)
Anguillara Sabazia (borgo fortificato, porta Maggiore)
«Pittoresca cittadina di origine medioevale, è arroccata su un promontorio nelle acque del Lago di Bracciano, l’antico Lacus Sabatinus, delimitando un’insenatura che costituiva probabilmente un cratere minore del vulcano. Il nome Anguillara è di origine antica e incerta, probabilmente derivante dalla presenza della villa romana di Rutilia Polla, detta Angularia per la vicina posizione al promontorio che disegna un angolo. Sui resti di questa villa, nel Medioevo viene eretto un castello di vigilanza, nei pressi del quale nasce il nucleo originario del paese. Le prime notizie sul villaggio, legate alle vicende di una famiglia di signorotti detti dell'Anguillara, risalgono al 4 luglio del 1020. Gli Anguillara sono investiti del possesso di queste terre, all’inizio dell’XI secolo, con il titolo di conti. Nel 1191 si ha notizia del soggiorno, da parte dell’imperatore Enrico VI, in una delle torri del paese, preesistente all’attuale palazzo baronale Orsini. Gli Anguillara raggiungono l'apice del loro potere nel XV secolo allorché si conclude la secolare rivalità con i prefetti di Vico, di cui annettono le proprietà terriere, mantenendo il feudo fino al 1488, anno della morte dell'ultimo discendente della famiglia. Nel 1490 a loro succedono gli Orsini allorché Gentil Virginio Orsini Senior detiene il feudo di Anguillara. Inizia così l’era degli Orsini che domineranno il paese fino al 1693, anno in cui il territorio di Anguillara viene acquistato dalla famiglia Grillo de’ Mari Mondragone. Gli ultimi signori che detennero il potere fino ai primi anni del Novecento furono i membri della famiglia napoletana dei Doria d’Eboli d’Angri. Gli abitanti di Anguillara vivono il periodo più drammatico della loro storia nel 1491 allorché, per aver preso le parti dei Borgia, vengono mandati in esilio dallo stesso Gentil Virginio. Dopo lunghe trattative, gli Orsini consentono il ritorno in paese; nel giorno in cui varcano le porte della città, gli abitanti fanno voto all'immagine della Madonna, tuttora conservata nella chiesa della Collegiata, la cinquecentesca Madonna di Roccamaggiore, da cui ha origine lo stemma del paese. A partire dalla fine del Settecento le notizie si fanno frammentarie. Nel 1872 viene aggiunto il nome di Sabazia, in ricordo dell'antica città Sabate, per la quale il lago era appunto detto Sabatinus, situata probabilmente dove oggi sorge Trevignano» - «Porta Maggiore, detta anche “di Castello“, rappresenta l’ingresso al centro storico, racchiuso da mura fortificative. L'aspetto attuale è frutto di continui rifacimenti e sovrapposizioni, iniziati probabilmente all’epoca della famiglia degli Anguillara dall’XI secolo, successivamente dotata di una cinta muraria a partire dal XIII secolo. Una prima evidente impronta orsiniana si ha con Francesco Di Giorgio Martini a Bracciano, quando la porta venne maggiormente fortificata e dotata di un ponte levatoio e di uno stemma, anch’esso realizzato in pietra, posto sopra l’arco di porta, un tempo probabilmente rappresentante un orso che divora un’anguilla e le insegne di Gentil Virginio Orsini Junior di Anguillara, emblemi anche visibili nelle sale del Palazzo Baronale Orsini. Nel 1580, nell’ambito dei lavori di rifacimento della fortezza (compresi i giardini), la Porta venne ulteriormente modificata da Giacomo del Duca con una serie di migliorie (tra cui l’eliminazione del ponte levatoio), facendogli assumere l’aspetto rappresentato in un noto acquerello di Gaspar Vanvitelli del 1713. Nel 1772 venne costruito l’ambiente dell’orologio ed il vano scala per accedervi, il cui ingresso è situato da piazza del Comune. Si ipotizza che l’orologio venne collocato al di sopra di una struttura preesistente, forse una meridiana, come presumibile per la presenza del prolungamento della muratura oltre la cornice orizzontale in pietra».
http://api.culturalazio.it/tusciaromana/anguillara-sabazia.aspx - http://www.prolocoanguillara.com/1/cenni_storici_3998651.html
Anguillara Sabazia (palazzo baronale Orsini)
«Non può mancare una visita all’importante e grazioso edificio, il Palazzo Orsini, oggi sede comunale, inserito in un complesso fortificato, formato da un torrione di pianta circolare, bastioni angolari collegati da un muro di cinta e da un bastione circolare. Il palazzo presenta un impianto planimetrico piuttosto irregolare. Esso è formato da una serie di corpi di fabbrica di differenti altezze, riferibili a varie fasi costruttive, che si sono stanziate su altri edifici preesistenti. L’importanza dell’edificio deriva dalla presenza di una serie di affreschi situati nella stanza della loggia, in una sala attigua e nella sala maggiore, quest’ultima caratterizzata dalla presenza di tre vedute cittadine, l’intero ciclo di affreschi può essere datato tra il 1535 e il 1539 e realizzato dalla scuola di Raffaello. La loggia è decorata con affreschi rappresentanti grottesche, scene di battaglie navali e la figura di un personaggio anziano vestito di semplici abiti, probabilmente il committente degli stessi: Gentil Virginio Orsini. Gli ambienti retrostanti la loggia sono coperti da soffitti in ligneo con travi rette da mensole; la prima stanza è decorata da una fascia pittorica posta nella parte alta delle pareti, con motivi di putti, orsetti, tralci e girali d’acanto. L’ambiente più grande è decorato da divinità marine, cariatidi e vedute di città marittime quali Venezia, Napoli e probabilmente Castellamare di Stabia» - «Dietro il Palazzo Baronale si ergono i bastioni del Torrione medioevale, oggi sede del Museo della Civiltà contadina e della Cultura Popolare, in cui sono esposti un centinaio di attrezzi agricoli, della pastorizia, della pesca e oggetti di uso domestico del primo Novecento».
http://www.leterredellago.net/anguillara-sabazia
Anticoli Corrado (palazzo baronale Brancaccio)
«Palazzo Brancaccio, oggi sede del Museo Civico d'Arte Moderna di Anticoli Corrado, è un antico palazzo baronale del XVII secolo. Esso nacque nell'area dell'antico castello, situato nel luogo dove sorgeva la Rocca del castellum altomedievale. L'aspetto attuale dell'edificio è frutto di interventi susseguitisi dal XVI al XVIII secolo. Al piano terra, è ancora visibile un ambiente delle antiche carceri, utilizzate probabilmente fino alla seconda metà dell'Ottocento. Il palazzo fu poi donato dal principe Marcantonio Brancaccio al Comune. La struttura attuale del Palazzo adibito a Museo è frutto di opere di restauro a partire dagli anni '80 per volere del direttore Parricchi che curò i lavori (con i fondi della Regione e della Provincia) affidandone il progetto all’arch. Sergio Rappino. Il progetto nello specifico prevedeva l’utilizzazione delle ex-carceri al piano terra e dei locali adiacenti del Municipio. Parricchi aveva in mente un piano ambizioso solo in parte realizzato dopo la sua scomparsa e cioè l’ampliamento e ristrutturazione del Museo per un ordinamento critico delle opere esistenti in vista anche del recupero di materiali sparsi nel mondo e la creazione di un centro culturale polivalente e polifunzionale avviando in questo modo il processo di modernizzazione del Museo».
http://www.associazionedeicomuniaster.it/beni/scheda_bene.html?cod_bene=69
ANZIO (fortino nel Porto Innocenziano)
«Ad Anzio nel 1700 arrivò un'importante svolta, grazie al cardinale Antonio Pignatelli, eletto papa Innocenzo XII, che invece di far ricostruire il porto neroniano, ne fece progettare uno nuovo, che oggi porta il suo nome. La città venne ribattezzata “Porto d’Anzio”. A tale scopo acquistò dal principe Giovanni Pamphili tutta la fascia adiacente e prospiciente il nascente porto per consentire ai nettunesi di risiedere in loco. Difatti furono subito costruiti alloggi per i funzionari e sorveglianti delle ciurme (costituite da prigionieri turchi fatti schiavi e da condannati alle patrie galere), e per i soldati addetti alle torri d'avvistamento lungo il litorale e fu eretta una Cappella per l'assistenza spirituale dei fedeli. L'edificio di cui parliamo, di origine medievale, ma molto manomesso agli inizi dell'800, sorge sul molo che chiude a ovest il bacino del Porto Innocenziano; costruito nel sec. XVIII, divide Anzio in una riviera di Levante e una di Ponente. è uno dei due fortini edificati a protezione del porto. Uno era collocato sull'estrema punta del molo sud e adibito a quartier generale della guarnigione di artiglieria e l'altro (quello nella foto) collocato all'inizio dello stesso molo sud ma in posizione più arretrata, quasi a terra, che custodiva i depositi e gli alloggiamenti militari. Una incursione di navi inglesi lungo la costa fra Nettuno e Tor San Lorenzo distrusse nel 1813 le due fortificazioni che non furono più ricostruite. Oggi per chi volesse visitare il porto e lo cercasse, vedrà un comune palazzetto, con alcuni elementi estetici che ne ricordano il passato...e niente più. ...».
http://castelliere.blogspot.it/2011/04/il-castello-di-domenica-17-aprile.html
Arcinazzo Romano (borgo fortificato, torri)
«Ancora oggi il centro urbano di Arcinazzo Romano mostra numerosi aspetti tipici del piccolo borgo medievale che rea l'antica Ponza. Le origini del paese risalgono con molta probabilità alla prima metà dell' XI secolo, forse come residenza signorile o come rocca per fini strettamente militari. Durante lo stesso secolo il centro ebbe un rapido sviluppo edilizio: ciò portò alla sua trasformazione in villaggio fortificato e ad un ampliamento del nucleo abitativo in direzione sud, al di là delle mura e questa direttrice della crescita urbana resterà ben oltre quest'epoca. In tutta l'età medievale bisogna quindi immaginarsi Ponza come un centro vivace di attività sociali, commerciali e politiche e di una certa importanza nella zona. Sebbene esso dipendesse (dal 1176) dall'Abbazia di Subiaco, aveva alcuni rappresentanti della sua comunità presso l'abate e riuscì ad ottenere, in cambio di una somma di denaro al Monastero, dei propri statuti a partire dal XV secolo. La piazza della chiesa di Santa Maria, nelle cui vicinanze si trovano i resti più rilevanti del periodo medievale, costituiva luogo di riunione e di scambio per gli abitanti del paese. ... Un tempo le mura dell'antico borgo medievale partivano dall'estremità orientale del paese percorrendo un lungo tratto in direzione ovest. Sfortunatamente oggi ne rimangono solo scarsissimi resti nella parte orientale del lato sud, in prossimità di Via Serroni. Sono invece molto più conservate diverse torri che restano a testimoniare quel periodo. Partendo dal lato est, dalle parti di via Corte, troviamo i resti di una prima torre all'estremità orientale del paese. Questa, insieme ad un'altra che costituisce il Campanile di S. Maria Assunta, presenta i resti più notevoli: essa si erge in posizione sopraelevata e domina il territorio circostante; doveva avere funzioni prettamente difensive. Si è ipotizzato che qui sia sorto il nucleo più antico dell'abitato medievale, da cui iniziò a svilupparsi la cinta muraria che in seguito avrebbe delimitato il paese. Accanto a questa torre si trovava la Chiesa di San Nicola, distrutta all'inizio del secolo scorso. Probabilmente questa rocca fu la residenza di Ildemondo, un signore che vi si rifugiò dopo essere stato attaccato e sconfitto nel 1109 da papa Pasquale II e dall'abate Giovanni V con l'intento di recuperare territori da lui occupati precedentemente. Così dal XII secolo la torre fu sede del governo abbaziale e l'abate stesso aveva qui una stanza per alloggio. Oggi ne sono visibili due lati che formano un angolo acuto, non molto accessibili perché circondati da alcuni edifici».
http://www.comunearcinazzoromano.it/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/20 - ...idtesto/21
Ardea (arco della rocca, castello Sforza Cesarini)
«Molte strade di Ardea corrispondono tuttora ad antichissimi tracciati viari. Un suggestivo accesso all’Acropoli, rimasto sostanzialmente invariato, fu ricavato in età arcaica tagliando direttamente il banco di tufo che caratterizza la Rocca di Ardea. L’attuale Arco è stato di recente intitolato alla città greca di Argos, in occasione del gemellaggio voluto in virtù della mitica discendenza da Danae, leggendaria fondatrice di Ardea. L’impianto urbano dell’Acropoli era molto regolare: uno schema di assi ortogonali. Questa pianificazione fu progettata e realizzata a partire dal IV secolo a.C., in corrispondenza con il periodo d’oro della città rutula, quando lo sviluppo economico fu accompagnato da un grande sviluppo urbanistico. ... Varcato l’Arco della Rocca salendo al centro cittadino, sulla destra sono i resti del Palazzo Sforza Cesarini, costruito per volere dei Colonna nel 1421, sul luogo dell’antica torre d’Ardia. Nel 1564 venne venduto ai Cesarini, e fu grazie al loro intervento che il palazzo fu trasformato in fortezza. Vi si accedeva tramite un ponte in muratura che attraversava un fossato scavato nel tufo. Con il suo giardino pensile costituiva la Fortezza della Rocca, una cittadella isolata dal resto dell’Acropoli e protetta da possenti bastioni tuttora visibili. Secondo l’antico statuto che regolava i rapporti tra la popolazione di Ardea e la famiglia Sforza Cesarini, gli abitanti della comunità avevano il diritto, in caso di pericolo, di rifugiarsi nella Fortezza. Durante la Seconda Guerra Mondiale il palazzo fu gravemente danneggiato. Ne restano oggi le suggestive rovine, le mura e i bastioni. Secondo un’antica tradizione popolare, nel palazzo si aggira il fantasma del celebre condottiero Ludovico Colonna, qui assassinato dal cognato nel 1436».
http://www.prolocotorsanlorenzo.it/cosa-visitare/larco-della-rocca - http://www.prolocotorsanlorenzo.it/cosa-visitare/castello-sforza-cesarini
Il video di Daniele Natali
«Il Castello si erge a strapiombo sulla roccia nei lati che guardano il paese di Arsoli, mentre dall’altro lato si affaccia sul parco con i bellissimi giardini all’italiana. Un viale con accesso dal cancello nel paese di Arsoli conduce, attraversando i giardini, al grande piazzale, da cui si sale al castello. Il salone principale con gli affreschi settecenteschi di Marco Benefial, raffiguranti le nozze di Perseo e Andromeda e i paesaggi dei feudi dei Principi Massimo, di grande bellezza ed importanza artistica; due piccole sale e la sala d’Ercole, sulle cui quattro pareti sono raffigurate le fatiche del mitico eroe, mentre gli affreschi delle volte sono attribuiti ai fratelli Zuccari. In fondo al salone principale è situato un appartamento di rappresentanza. Alle quattro sale si accede dalle due armerie che, con i grandi ritratti dei principi e delle loro consorti, fiancheggiano il giardino pensile, piccolo giardino rigoglioso, con una fontana circondata da piante di limoni, glicine, iris e fiori di ogni sorta, che si affaccia da una straordinaria altezza sul parco sottostante, dominato dalla statua di epoca romana raffigurante la Dea Roma. Sul giardino pensile da anche la piccola cappella. Il castello di Arsoli nasce nel X secolo come convento fortificato dei Benedettini di Subiaco e nel 1574 diventa proprietà della famiglia dei Principi Massimo, per opera di Fabrizio Massimo che comprò il feudo dalla famiglia Zambeccari. Fu san Filippo Neri, padre spirituale e amico di famiglia, a consigliarne l’acquisto, sperando che l’aria di quel luogo potesse giovare alla salute cagionevole del figlio del Principe Fabrizio, Paolo, come documentato anche da un iscrizione nell’armeria del castello: ”DIVI FILIPPI NERI CONSILIUM / FELICITATEM / DEDIT ET SERVAVIT”.
Fabrizio Massimo, primo signore di Arsoli, fu un feudatario illuminato, portò innumerevoli benefici e migliorie al paese; restaurò le chiese, costruì un acquedotto, volle la redazione di un nuovo statuto cittadino, fece impiantare fabbriche e manifatture, con la formazione di una corporazione di arti e mestieri e fece bonificare i terreni per incrementare l’agricoltura; fu l’artefice di una nuova condizione socio-economica del paese di Arsoli. Restaurò infatti il castello, avvalendosi dell’opera dell’architetto Giacomo Della Porta a cui affidò anche la costruzione della importante chiesa del S.S. Salvatore. Il castello acquisì un uso di vita rinascimentale, arricchito da affreschi, giardini e da un teatro in cui gli stessi arsolani potevano assistere ad alcuni spettacoli. Da allora per vari secoli è rimasto il fulcro di un feudo importante per la famiglia Massimo, che ne ha sempre curato l’aspetto culturale e politico, con l’aiuto delle parentele e relazioni con l’Italia e l’Europa e gli incarichi politici presso i pontefici del tempo, e che si riflettono nello sviluppo del paese e nei numerosi successivi interventi architettonici sul castello, seguendo la moda dell’epoca. Così nascono gli affreschi settecenteschi di Benefial del salone principale, il romantico giardino pensile, gli apporti ottocenteschi di gusto neogotico tedesco di Maria Cristina di Sassonia, moglie di Massimiliano Massimo, che ha anche voluto i giardini all’italiana nel parco davanti al castello come dono al suo consorte».
http://www.castellodiarsoli.it/castello.htm - http://www.castellodiarsoli.it/storia.htm
«Edificato nel XIII secolo dai Conti di Segni, il Palazzo Borghese di Artena passò ai Colonna, che furono per secoli in conflitto con il papato. Di conseguenza, Montefortino (come si chiamò il paese fino al XIX secolo) si trovò ad essere più volte assalita dalle truppe pontificie, che la distrussero completamente nel 1527, nel 1542 ed infine nel 1557, quando papa Paolo IV, nemico acerrimo dei Colonna, ordinò addirittura di spargere sale sulle rovine. Quando il papa morì due anni dopo, i Colonna tornarono in possesso del feudo. La città ed il palazzo furono interamente ricostruiti, ma, a causa delle grandi difficoltà finanziarie della famiglia, nel 1613-14 i Colonna vendere il feudo al Cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V. A lui si deve l’ampliamento e la definitiva sistemazione del Palazzo, che trasformò in un complesso monumentale. Per farlo si avvalse dell’opera dell’architetto fiammingo Jan Van Santen, ovvero Giovanni Vasanzio (che già stava lavorando per lui al complesso tuscolano di Villa Mondragone). Questi ingrandì ed unì le due distinte strutture originarie del Palazzo in un unico edificio mediante la costruzione di una monumentale galleria a tre piani. Progettò anche la doppia scala circolare ed il grande camino decorato con una testa di Medusa attribuita al Bernini. All’interno del Palazzo sono ancora conservati alcuni affreschi di Paul Bril, pittore fiammingo molto apprezzato a Roma per i suoi paesaggi, e porte di legno eseguite dall'architetto romano G. B. Soria. Di fronte al palazzo, Vasanzio creò la piazza principale del paese, con una spettacolare terrazza panoramica. Il Palazzo appartiene ancora ai Borghese e può essere visitato previa autorizzazione».
http://www.romaepiu.it/content/palazzo-borghese
Bracciano (castello Orsini Odescalchi)
a cura di Marisa Depascale
Le foto degli amici di Castelli medievali
Camerata Vecchia (ruderi del borgo fortificato)
«I ruderi di Camerata Vecchia sorgono su una rupe calcarea posta al margine più orientale di un lungo costone la cui parte sommitale coincide con il Monte Camposecco. Questa elevazione è una delle più occidentali del gruppo dei Monti Simbruini dove questi si fondono con i vicini Carseolani del versante abruzzese. Situata a 1220 metri d'altezza, la costa rocciosa dove sorgono le rovine di Camerata domina a sud il profondo solco di Fosso Fioio mentre a nordovest si trova il grande piano carsico di Camposecco. ... I primi cenni storici su Camerata sono datati 955 quando era in pieno svolgimento il processo dell’incastellamento che coinvolse tutti i paesi della Valle dell’Aniene e non solo. Da alcuni documenti si evince che intorno alla metà del X secolo l’abate di Montecassino diede in enfiteusi la Chiesa di San Salvatore a Rainaldo, il Conte dei Marsi. Per un periodo abbastanza lungo i Conti dei Marsi dominarono su gran parte del territorio Carseolano annettendo man mano varie terre fino ai margini dei possedimenti della potente Abbazia di Subiaco. In seguito, alcune contrade nei dintorni di Camerata vennero cedute all’abbazia sublacense e questa le diede poi in usufrutto agli stessi Conti dei Marsi insieme a Camerata. Le notizie sulle vicende di Camerata nel periodo medievale sono molto scarse: quello che si sa di sicuro è che il borgo passò di mano in mano a varie famiglie dello Stato della Chiesa. Sappiamo notizie più certe sulle vicende di Camerata a partire dal 9 gennaio 1859 quando l’abitato venne completamente distrutto da un devastante incendio. Gli abitanti fuggiti a valle, trovarono rifugio sul Monte Colle di Mezzo in corrispondenza dello sbocco della Valle di Fioio. Il nuovo insediamento venne alla luce anche grazie al generoso contributo di papa Pio IX che prese dal suo patrimonio personale 300 scudi per donarli al paese. Il denaro doveva servire per avviare in modo deciso l’opera di costruzione del nuovo insediamento che sarebbe dovuto sorgere 400 metri più a valle e con un tessuto urbano del tutto diverso. Per onorare le gesta del pontefice, si pensò di chiamare il nuovo borgo Pio Camerata. Questa iniziativa però non diede i suoi frutti dato che poco più tardi al paese venne assegnato il nome di Camerata Nuova.
L’antico borgo di Camerata Vecchia versa purtroppo in condizioni di forte abbandono non solo per la violenza dell’incendio che lo devastò nel gennaio del 1859 ma anche per il fatto che si trova abbarbicato su una rupe rocciosa a 1220 metri d'altezza e quindi in ambiente impervio e non facilissimo da raggiungere. Quello che si può osservare sono i ruderi delle mura di cinta, sparsi qua e là nella cerchia del nucleo abitato, l’arco di sostegno della Chiesa di San Salvatore e alcune case nei pressi della chiesa. L’origine del nome risale alla natura delle case del vecchio paese; molte di queste infatti erano parzialmente scavate nella roccia e prendevano il nome di “camerae”. Altre abitazioni erano interamente costruite in pietra ed erano adagiate sui fianchi scoscesi della rupe che caratterizzava tutto l’antico borgo. Le ultime ricerche hanno portato alla luce i resti di un tempietto di cui abbiamo solo alcune notizie frammentarie e spesso discordanti tra loro. La visita del sito richiede comunque un po’ di attenzione soprattutto per la natura del terreno su cui sono adagiate le rovine. Non essendoci un itinerario di visita delineato, per osservare le varie strutture, dai resti delle mura alle varie abitazioni, ci si dovrà districare tra speroni rocciosi e terrazzamenti, non sempre facili da raggiungere».
http://www.lazionascosto.it/camerata_vecchia.html
Campagnano di Roma (borgo fortificato, case torri)
«Nel IX secolo inizia la formazione di piccoli borghi fortificati (dove continuerà ancora a vigere il "sistema curtense" cioè chiuso ed economicamente autosufficiente) edificati a partire fai grandi fondi con o senza oratorio e denominati (qui dicitur) nei primi testi del XI secolo castrum come castrum Capracorum e castrum Sorbum, oppure castellum come castellum Martiniani e castellum come castellum Campaniani dagli omonimi fondi rispettivi; la scarsità dei documenti non ci permettono di affermare se fosse esistita una curtis Campaniani come la curtis Capracorum o la curtis Macerano (Maggiorana). Mi sembra importante sottolineare questo fatto in modo che non ci sia fatta confusione circa l'inventario della Curtis Campaniani dell’anno 1505 (da dove deriva il nome della piazza della Corte "in Monte San Giovanni, dinanzi alla Rocca", la quale piazza prenderà il nome di Piazza Garibaldi e dove c'è tuttora la torre della Curia del XII secolo); infatti il termine curtis dopo l'incastellamento cambierà significato: indicherà sia il cortile dove erano immagazzinati i viveri e tutto ciò che i contadini-artigiani producevano per il consumo e l’autosufficienza, sia l'insieme dei beni del feudatario. La pergamena nella quale è menzionato per la prima volta Campagnano è dell’anno 1076 quando la città è già in forte espansione sia demografica che urbanistica: è un contratto d'enfiteusi emanato dal cardinal Falcone, rettore e dispensatore del monastero dei SS. Cosma e Damiano, ad Azzone, virum honestum cioè contadino-artigiano allodiale, di due case nel castellum Campaniani per un prezzo di dodici denari annui da versare il giorno della festività dei SS. Cosma e Damiano, situate nel luogo detto Posterula (termine latino che significa porticina posteriore e che, a volte, si usava per smaltire i rifiuti). La prima casa donata in affitto, domus solarata scandolicea, indica una casa con solario (quindi a due piani) e con tetto di tegole; l’altra casa, domus terrinea, indica una casa situata al confine della Terra, cioè sulle fortificazioni, con un orto e una grotta. ...
In Monte San Giovanni, da tempi remoti, vi era il quartiere residenziale e commerciale di Campagnano con l'osteria, le botteghe dei speziali, dei "pizzicaroli" che vendevano ogni genere alimentare ma anche chiodi, fune, pali di ferro, degli orafi come il signor Credenzieri, dei tappezzieri che vendevano i tessuti di lino e di canapa tipici di questa città e dei sarti. Queste botteghe erano affiancate l'una dall'altra lungo la contrada San Giovanni. Questo quartiere aveva due forni al tempo degli Orsini dei quali abbiamo notizie certe sul forno detto "di mezzo". ... In Montis Carbonaris già citati nello statuto di Campagnano del 1270-1271, sorgeva la rocca primitiva di Campagnano, probabilmente edificata all’epoca dell’incastellamento. La rocca di pianta quadrata ospitava anche i carceri e i soldati ed era in grado di accogliere il signore e gli abitanti in caso di assedio. Era difesa dal torrione edificato su progetto di Francesco di Giorgio Martini commissionato da Virginio Orsini, nominato conte di Campagnano nel 1484, e dal rivellino della Porta Vecchia (vicolo del Tifo) citato nel catasto del 1616 e dai fossi della Carbonara (dal latino carbonariae: fossi) e della Rocca. In questa zona militare vi erano le strutture indispensabili per la sopravvivenza in caso di assedio della città: la cisterna ipogea, ubicata in via San Giovanni sotto il palazzo di Filippo Paroncini, i pozzi "da grano" e il forno "da capo" che oltre a cuocere il pane poteva eventualmente servire a cuocere mattoni e tegole (nel catasto del 1505, risulta che il Conte Orsini possedeva quattro forni e quattro pozzi da grano dentro de la Terra). Inoltre vicino al Torrione vi era l'Ospedale di Sant'Antonio citato nel catasto del 1577. Una parte della rocca fu demolita nel 1726 per la costruzione del palazzo del Governo, all'epoca del principe Chigi, per le funzioni pubbliche ed ospitava la cancelleria (che finora era contigua alla collegiata), la scuola, il macello e i granai della comunità; un ala fu in seguito aggiunta al palazzo per ospitare le carceri delle donne. L'antica torre quadrata dei carceri primitivi fu ammodernata nel 1818 dall’ingegnere Giuseppe Valadier come lo attesta il suo progetto delle Carceri Nuove di Campagnano. Anche se parte delle fortificazioni di Campagnano sono state irrimediabilmente perse, il catasto comunale del 1577 offre alcune indicazioni sulla fortezza: si evocano le porte antiche della città (la Porta Vecchia, la Porta delli Monti di Pietro, la Porta la valle, la Porta da capo e la Porta dinanzi a Santo Antonio). ...».
http://digilander.libero.it/campagnano/leggi%20il%20libro.htm
«La costruzione del Palazzo Abbaziale presenta diverse fasi: la più antica risale all'Alto Medioevo ed è quella adiacente all'antico borgo e terminava con l'utilizzazione del muro romano in opera quadrata come sistema difensivo. L'unico punto d'entrata era dall'arco in peperino a sinistra. La seconda fase è di epoca rinascimentale come risulta dalla data posta sulla bugna del portale di ingresso: 1599. è questo il periodo più importante della storia del palazzo che assume l'aspetto e la struttura attuale, perdendo quasi totalmente le caratteristiche difensive originarie. Si costruisce, in relazione alla piazza antistante creata contemporaneamente, un secondo accesso al palazzo, effettuando un taglio nel muro romano che viene a trovarsi ora all'interno. Queste due fasi distinte sono evidenti in pianta: la seconda ha strutture e ambienti più regolari, mentre nella prima, le stanze sono disposte più irregolarmente. Il palazzo è a due piani, con sotterranei che attraversano tutto lo sperone di tufo, con sbocchi in vari punti della Rocca. Nel 1851 furono eseguiti importanti lavori di restauro, ai quali si deve l'attuale sistemazione del palazzo. Al palazzo si accede tramite una moderna rampa in cemento che ricalca l'antico ponte levatoio. Nell'ingresso si nota un'interessante pavimentazione a raggera in sampietrini e cotto. Sulla destra c'è una scala cordonata completamente scavata nel tufo, con una pavimentazione in parte a tufelli e in parte in "opus spicatum", con il pianerottolo coperto con volta a botte e crociera, che porta al piano superiore.
Il primo piano è diviso al centro da un corridoio, che è l'unico punto di attraversamento dell'antico muro romano. Lungo questo corridoio si nota un'apertura circolare di circa 1 metro di diametro, ora chiusa da sampietrini: è forse l'antico trabocchetto difensivo di cui ancora parlano gli anziani del luogo? Questo piano era diviso da ampie arcate in tufo - ora chiuse - ed era adibito a magazzini di servizio, stalle, granai, dispense. Il corridoio sfocia in un cortile interno da dove si accede al piano superiore, attraverso due rampe contrapposte di scale. Il secondo piano era usato come abitazione per i monaci ed eventuali ospiti. La rampa di destra porta a un corridoio dove c'è una lapide che ricorda i lavori del 1851. Grazie alla documentazione di questo restauro, conosciamo l'esatta destinazione delle varie stanze. C'erano degli ambienti di rappresentanza posti lungo il fronte che dà sulla piazza: sala della loggia, sala da ricevimento, sala da pranzo, etc. A Ovest c'erano ambienti di servizio e le camere destinate agli ospiti; a Sud le stanze destinate ai monaci e la cappella. Il palazzo fu abitato dai monaci fino alla fine dell'800. Successivamente fu usato prima come Residenza Comunale, poi come scuola pubblica e infine fu venduto a privati. Piazza del Popolo: La piazza è la più antica e la più grande di Capena. L'attuale sistemazione risale al XVI sec. contemporaneamente all'ampliamento del Palazzo dei Monaci. è completamente chiusa da case, che si conservano ancora su tre lati. Nell'insieme vi si possono notare edifici risalenti al XVI e XVII sec. Da notare a sinistra un elegante palazzetto rinascimentale, dove si evidenziano numerosi elementi caratteristici del periodo. Ha un bel portone con una cornice a bugnato di travertino, eleganti marcapiani (fasce di colore diverso usate per delimitare i vari piani), interessanti cornicioni, finestre con cornici in stucco. Sulla piazza si affaccia la Torre dell'Orologio».
http://www.comune.capena.rm.it/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idservizio/20005
«L’attuale Museo Civico di Capena inaugurato nel 2006, è ubicato nella “Torre dell’Orologio” edificio di origine seicentesca che domina Piazza del Popolo nel centro storico di Capena “borgo di Leprignano”. L’edificio è riconducibile al tipo della Torre civica e si sviluppa su quattro livelli: al primo livello esiste ancora un serbatoio idrico che attraverso una conduttura seicentesca alimenta una fontana pubblica tutt’ora funzionante inquadrata da un arco a tutto sesto. Il secondo piano ospita parte del meccanismo dell’orologio a pesi ancora in funzione con la particolarità del quadrante che presenta un’unica lancetta. Il terzo e il quarto livello, comunicanti attraverso una scala moderna ospitano l’Antiquarium. La Torre è leggermente arretrata rispetto alla piazza e ha la facciata scandita da tre marcapiani e due finestre per piano in parte cieche, inquadrate da cornici di stucco e decorazioni floreali e zoomorfe. L’ingresso è come in antico da Via Montebello attraverso due portoncini ad arco a tutto sesto. La torre fu costruita intorno al XVII sec, quando in seguito all’espansione del Borgo di Leprignano verso la campagna la piazza antistante il Palazzo dei Monaci di San Paolo fu sistemata e ampliata con la costruzione di palazzotti signorili che la circondarono contribuendo a farne una piazza chiusa. La funzione dell’edificio è sempre stata pubblica anche in considerazione delle ridotte dimensioni degli ambienti tra l’altro non comunicanti tra loro. Era probabilmente usata come sede della Cancelleria e dell’ Archivio cittadino, fino ad allora custodito in una stanza sottostante la Chiesa Parrocchiale di San Michele all’interno del borgo di Leprignano. Alla fine del 1700 in occasione di alcune perizie e riparazioni ricordate in documenti della fine del secolo, l’orologio fino ad allora collocato nel campanile dell’antica Parrocchiale di San Michele Arcangelo situata nella piazzetta della Rocca, fu trasferito nella nuova sede».
http://www.gruppoarcheologicoromanocapena.onweb.it/it/museo-civico-della-torre-dellorologio-via-montebello-1-centro-storico...
Capranica Palestrina (palazzo baronale Capranica Barberini)
«Il palazzo, che s’impone sul compatto tessuto edilizio del borgo di Capranica Prenestina, sorge su antiche preesistenze medievali di cui la struttura interna conserva ancora testimonianza. Alcuni locali del primo piano, tra cui la cosiddetta “legnara”, conservano infatti delle mensole lignee che sorreggono le travi e una porticina in pietra con mensolina appartenenti presumibilmente ad una più modesta costruzione risalente al XIV-XV secolo. In questi ambienti si vuole che abbia avuto i natali il cardinale Domenico Capranica (1400-1458), umanista e mecenate, fondatore a Roma dell’Almo Collegio Capranica, la cui memoria è conservata nell’iscrizione posta all’interno della chiesa di S. Maria Maddalena. L’edificio attuale sorse, quindi, sovrapponendosi alle antiche strutture e inglobandole al suo interno nel secolo XVI, in due fasi edilizie distanti tra loro trenta o quaranta anni. La prima fase risalirebbe a Giuliano II Capranica, pronipote del cardinale Domenico, cui si deve anche l’erezione della chiesa parrocchiale nel 1520. Al secondo-terzo decennio del XVI secolo vanno riferite le finestre, che nella loro nitida compostezza formale risentono del più genuino stile rinascimentale e che nelle mensole a voluta sorreggenti le cornici aggettanti si richiamano direttamente all’opera di Donato Bramante, come del resto il progetto della cupola e del tiburio di S. Maria Maddalena. La seconda fase costruttiva del Palazzo fu condotta, probabilmente, da Angelo Capranica, pronipote di Giuliano II, il primo a divenire signore feudale del luogo quando, nel 1568, lo acquistò dal principe Domenico Massimo. Egli trasformò l’edificio dando unità al nuovo corpo di fabbrica e alle preesistenze fino all’altezza di un terzo ordine di finestre. Con l’occasione si terminò la decorazione seguendo lo stile del primo periodo, si definì il grande ingresso bugnato sormontato da un balcone, si rifinirono con grossi conci squadrati gli spigoli laterali e si realizzò la gradinata di accesso. All’interno i lavori riguardarono la costruzione dello scalone e del grande salone rettangolare. All’esterno il Palazzo conserva ancora intatta la sua nobile struttura cinquecentesca che si articola tra la fitta tessitura a opera incerta in pietra calcarea locale e le membrature architettoniche nitidamente definite. All’interno esso è stato quasi totalmente ristrutturato; mantiene, tuttavia, alcune strutture originarie con volte a crociera nei locali dei piani inferiori. La massiccia torre che si addossa al Palazzo sulla destra dovrebbe essere coeva alla prima fase edilizia di quest’ultimo».
http://api.culturalazio.it/montiprenestini/capranica-prenestina.aspx
Carpineto Romano (palazzo e torre Aldobrandini)
«La costruzione si innalza nella zona più elevata del centro storico, presentando chiari segni di fortificazione medievale con torre campanaria (secolo XIII) e contrafforti difensivi su una roccia precipite. l feudo, risalente al 1077, fu abitato prima dai De Ceccano, poi, nel 1299 dai Caetani, successivamente dai Conti di Segni e infine dai principi Aldobrandini, nipoti di papa Clemente VIII, i quali lo detennero fino alla metà del XIX sec. e l'energica Donna Olimpia, orgogliosa del suo "bello Stato", lo elevò a ducato. Il palazzo, ristrutturato più volte, divenne la sede del Governatore, poi del Consiglio comunale, dopo abitazione privata, ed ora è acquisito al patrimonio pubblico. Nell'edificio disposto su tre livelli, sono state mantenute in essere molti parti architettoniche antiche quali, portali e stipiti in pietra, camini, feritoie, pavimentazioni in cotto a disegno geometrico, controsoffitti lignei decorati a cassettoni, affreschi devozionali datati 1633. Il progetto ha previsto il restauro e la valorizzazione di tutti gli elementi di decorazione e pregio artistico finalizzati al recupero per un uso principalmente museale, oltre alla sistemazione dei giardini e verde storico per piccole attività culturali e teatrali all'aperto, eliminando tutti quei materiali e quelle sovrastrutture in contrasto con la storicità del monumento. Il "piano nobile", accoglie le nove Sezioni del museo, articolate su argomenti tematici d'interesse territoriale, individuati da significativi oggetti guida, ed illustrati con l'ausilio di pannelli, foto e grafici, in maniera interdisciplinare. Il piano seminterrato, destinato a spazio ristoro, ha conservato il suggestivo aspetto medievale per la rusticità degli elementi costruttivi. Il piano sottotetto, accoglie gli uffici amministrativi e locali di deposito del museo. ...».
http://www.carpinetoromano.it/musei-della-citta/68-museo-civico-la-reggia-dei-volsci.html
Carpineto Romano (palazzo Pecci)
«Palazzo Pecci, casa natale di
Leone XIII. Le poderose mura e le minuscole finestre che caratterizzano
Palazzo Pecci, fanno presumere che la stessa costruzione facesse parte del
castello o, quantomeno, della cinta murata del maniero di Giovanni Conti
che, come alcuni documenti provano, ‘abitava la quarta parte di Carpineto’.
Il palazzo, cinquecentesco, presenta due ingressi, uno in via Castello,
l’altro, il principale, sotto il portico al ‘Montano’. Una scalinata in
pietra locale porta da una parte al vestibolo e alle sale di rappresentanza,
dall’altra al giardino pensile. Nella cappella di famiglia dove fu
battezzato Leone XIII, trovano posto reliquie dei Santi canonizzati durante
il suo lungo papato. Tra gli oggetti conservati nel palazzo, incuriosisce il
fucile da caccia del papa con relativi acciarino e pietra focaia» -
«Elegante edificio situato nella parte “dammonte” del paese, nel punto più
elevato della collina, vi nacque papa Leone XIII. Una porzione dell'edificio
appartiene all'antico castello de Ceccano: nonostante i numerosi lavori di
restauro ad opera dell’architetto Augusto Bonanni, la costruzione conserva
ancora tutte le caratteristiche tipiche dei palazzi rinascimentali. Nelle
sale interne troviamo numerosi ritratti di pontefici tra i quali Pio IX, Pio
XI e Leone XIII. Attualmente la sesta sala ospita il Museo Leoniano,
allestito dal celebre astronomo naturalista Angelo Secchi. Ricordiamo
inoltre la grande biblioteca e la Cappella gentilizia, dove sono contenute
preziose reliquie di santi.
Importante la biblioteca con migliaia di volumi e alcune cinquecentine. ...».
http://www.provincia.roma.it/sites/default/files/Carpineto%20Romano.pdf - http://www.carpinetoromano.it/citta-e-territorio...
«Il Castello Baronale è il centro su cui è costruito il Comune di Casape, ha planimetria a quadrilatero, è aperto a sud, vicino all’ingresso del paese, in una scala nobile e, sul lato opposto, in una scala di servizio. Diviso in pianterreno e piano nobile, ingloba la chiesa (ex chiesa di San Pietro) nel primo piano, mentre nel secondo è collocato l’appartamento residenziale. Sul lato est, a pianterreno, è situato un ambiente coperto da volta a botte a tutto sesto e sovrastato da una serie di altri ambienti, di modesta altezza, coperti da volte a padiglione. A sud, sopra la porta d’ingresso, si trovano un corridoio e un locale. Il Palazzo è completato da vani laterali di servizio. Poiché nessun documento in proposito è stato mai trovato, non è dato sapere il nome dell’architetto, la data di fondazione e le fasi dei successivi ampliamenti e modifiche. Anche successivamente il Palazzo Baronale è rimasto l’elemento base della forma urbanistica di Casape: il prospetto del Castello ha da sempre coinciso con il prospetto generale dell’insediamento urbano ed attualmente l’intero edificio è stato destinato a funzione abitativa, senza più mantenere la sua funzione originaria. I principali spazi, ancora chiaramente identificabili, rimangono il locale destinato a chiesa e l’appartamento residenziale è al piano nobile del Palazzo, dove risiedevano, saltuariamente, i signori di Casape. Appartenuto ai Colonna (1300), ai Barberini (1632), ceduto da questi a Pio da Carpi (1655), passato alla linea Perez-Pastor (1755) e divenuto proprietà dei Brancaccio, il Castello di Casape ha pagato con l’alterazione delle strutture originarie, l’essere rimasto escluso dalle trasformazioni operate dalle nobili famiglie romane nel periodo rinascimentale-barocco in molti paesi dell’area prenestina. Una testimonianza sulle modifiche avvenute la abbiamo dall’affresco settecentesco della chiesa di S. Simeone, in cui il Palazzo Baronale viene raffigurato munito di finestre di cui esistono ancora delle tracce, di una pusterula e di una merlatura, oggi scomparse. Non rimane quindi molto delle decorazioni pittoriche originarie. Poiché in alcuni punti, infatti, si notano tracce di colorazione si suppone che le pareti dovevano essere affrescate. In alcune parti, tuttavia, rimangono ancora dei soffitti a cassettoni in legno dipinto del secolo XVIII. Nel 1989 la Provincia di Roma ha promosso un "Progetto di Restauro del Palazzo Baronale", nel corso del quale sono state studiate, insieme alla storia dell’insediamento di Casape e alle vicende del territorio, le varie fasi di costruzione del Palazzo e la sua tipologia architettonica; il tutto finalizzato ad un progetto di restauro dell’intero edificio e al recupero dei vari ambienti».
http://www.ilbaronale.it/castello.htm
Castel Campanile (resti del castello o Castellaccio)
«Castel Campanile si trova lungo la strada omonima, a circa quattro chilometri dal bivio con l'Aurelia all'altezza di Palidoro, all'interno della proprietà di una moderna azienda agricola, il cui punto di accoglienza è l'agriturismo Casale del Castellaccio. A poca distanza dalla strada, a ovest, su una collina di tufo lunga e stretta, dalle pareti rocciose a strapiombo sulle vallate sottostanti, situata alla confluenza di due corsi d'acqua, si trovano i resti di un castello medievale e del suo borgo. Ben prima dell'anno Mille, sin dall'Alto Medioevo, nella collina di Castel Campanile si era formato un villaggio contadino, preceduto a sua volta, da un insediamento di epoca etrusca, quindi ancora più antico di oltre un millennio. Numerose grotte artificiali, scavate nella collina e destinate nel tempo a vari usi - ricovero di animali e di uomini, deposito di derrate o magazzino di attrezzi agricoli, bottega, alcune forse a sepoltura - testimoniano una intensa frequentazione umana. Nei dintorni della collina sono stati rinvenute alcune tombe etrusche, tra cui quelle della necropoli delle Macchiozze, e le tracce di chiese medievali, di ville romane e di insediamenti che risalgono fino all'età del bronzo. Alcuni esempi notevoli di strade etrusche scavate nel tufo, le cosiddette “tagliate”, convergono verso la collina di Castel Campanile.
L'insediamento nel Medioevo.
Il castello e il suo borgo, anch'esso fortificato, furono edificati
intorno al 1200 e furono abitati ininterrottamente per duecento anni. Il
signore di Castel Campanile, o un suo rappresentante, risiedeva con la sua
corte e la scorta nel castello vero e proprio, che svettava con le sue mura
dall'estremità meridionale della collina, la parte meglio difesa
naturalmente. Gli abitanti del villaggio coltivavano i campi circostanti a
frumento e a orzo, oltre al foraggio per somari, cavalli e buoi (che
all'epoca erano troppo preziosi come forza lavoro per essere mangiati),
mentre gli appezzamenti più vicini al castello erano destinati a orto. Con
ogni probabilità era presente anche una vigna. Ancora oggi lungo il fosso
del Tavolato vi è un canneto, come quello dal quale, nel Medioevo, erano
ricavati i sostegni per le piante di vite. Inoltre, il colombaio di Pizzo
del Prete, una curiosa grotta artificiale con centinaia di cellette scavate
nelle pareti, dava alloggio ai piccioni, il cui guano era un concime
particolarmente apprezzato dai viticoltori. Di proprietà dei Normanni,
un'importante famiglia nobile romana, Castel Campanile fu abbandonato verso
la fine del Trecento, forse in seguito all'estinzione della discendenza
maschile del casato. Diverse delle donne superstiti dei Normanni andarono in
spose agli uomini della famiglia degli Anguillara, che acquisirono così il
castello e il suo territorio. La tenuta cambiò radicalmente destinazione
produttiva. Da fondo agricolo, coltivato con cura, divenne meta di pastori
transumanti, che portavano al pascolo invernale le greggi, e di bovari, che
col miglioramento delle condizioni economiche e il cambiamento dei gusti
trovavano più redditizio fornire di carne la crescente popolazione di Roma
piuttosto che coltivare la terra.
Il Castellaccio. Col tempo le mura, le porte, le torri, il mastio, le
chiese, le abitazioni rovinarono, anche se in una carta del Seicento alcuni
edifici appaiono ancora in piedi, forse ancora abitati. Le costruzioni
furono, poi, smantellate per ricavarne materiale da costruzione per
realizzare i casali vicini. Le frane del pianoro tufaceo sul quale sorgevano
il castello e il suo borgo fecero il resto, riducendo a pochi brandelli di
muri quella che un tempo doveva essere una struttura imponente. La
vegetazione selvatica riconquistò i campi un tempo coltivati. Castel
Campanile divenne così “il Castellaccio”, toponimo con cui ancora oggi è
conosciuto il luogo. Nonostante la rovina che il tempo e l'uomo hanno
prodotto su di esso, Castel Campanile rimane una preziosa testimonianza, per
gli archeologi e per chiunque sia interessato alla storia del nostro
territorio, del cambiamento subito nei secoli dal paesaggio della campagna
romana. ...».
http://www.arstum.it/percorsi/luoghi/castel-campanile.htm
Castel Fusano (castello Chigi o villa Sacchetti Chigi)
«è situato all’interno del parco di Castel Fusano, un’area fitta di vegetazione, di pini e di macchia mediterranea che si estende lungo il litorale romano per circa 1.100 ettari ed è considerata il polmone verde di Roma. Il nome deriva dai suoi antichi proprietari, la nobile famiglia romana Fusius, a cui apparteneva l’intera contrada. La sua storia è segnata dal passaggio a diversi proprietari, fino a che nel 1933 la zona fu acquistata dal Comune di Roma che vincolò l’area a qualsiasi tipo di costruzione. Il Castello Chigi è una massiccia e severa costruzione quadrilatera di tre piani, con quattro basse torrette angolari munite di feritoie e troniere e coronata da un sopralzo ornato agli angoli da torricciole-belvedere. Il cardinale Giulio Sacchetti, proprietario della tenuta di Castel Fusano dal 1620, affidò al pittore ed architetto Pietro da Cortona la costruzione dell’edificio, la cui mole, compatta e poco articolata, somiglia più ad una casa di campagna fortificata che ad una villa signorile, e certamente non consentì all’artista, forse alla sua prima esperienza da architetto, di esprimere liberamente il proprio gusto scenografico e barocco. L’artista toscano si era cimentato con rara perizia nel disporre le sale al pianterreno con temi religiosi (Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, Lavoro dei Progenitori, l’Eterno e Abele, Ebrezza di Noè, Sacrificio di Caino e Abele) e, mitologici (Officina di Vulcano, l’Allegoria di Roma, Carri del Sole e della Luna, Trionfo di Cerere e di Bacco), nel piano superiore. In un gioco di rimandi intellettuali e semantici, tra sacro e profano, aveva costruito le sue narrazioni barocche intessendo le volte di un trionfo scintillante di figure e colore, compensando in tal modo le aspirazioni celebrative del suo raffinato committente e quelle dei loro amici Barberini. Forte è comunque la suggestione di questo imponente maschio turrito, che si erge solitario in mezzo ad una radura ricavata in una zona allora selvaggia e incontaminata. L’edificio fu concepito fortificato dato che all’epoca il litorale risultava ancora esposto alle incursioni piratesche. La facciata dove è posta l’entrata è diversa da quella posteriore, per quanto simile. La differenza forse più visibile consta nell’assenza del balcone, che invece si vede al centro della facciata con vista sulla fontana, e in uno sterrato posto davanti e che indica l’accesso alla tenuta. Nel 1755 la tenuta e il palazzo dei Sacchetti vennero acquistati dalla famiglia Chigi, attuali proprietari del castello mentre la tenuta, dopo essere stata affittata alla Casa Reale come tenuta di caccia, dal 1933 è di proprietà dello Stato. L’edificio è stato utilizzato dal cinema italiano in una serie non indifferente di pellicole. La visita al Castello permette, anche se solo per un’ora, di fare un vero salto a ritroso nel paesaggio e nella storia di quattro secoli orsono».
http://castelliere.blogspot.it/2011/08/il-castello-di-domenica-7-agosto.html
«La visita può iniziare da via Ercolano: qui si estendevano gli Horti Torlonia, oggi occupati da lottizzazioni residenziali e dal Parco archeologico degli Ibernesi, dove sono presenti alcuni resti della villa di Domiziano. Da lì Castel Gandolfo si staglia splendida contro il cielo. Proseguendo su via Ercolano si raggiunge Villa Torlonia, restaurata nel 1817 dall'architetto Giuseppe Valadier. La facciata principale rivolta verso il parco è formata da un portico delimitato da sei colonne doriche su cui poggia una terrazza. Da queste si alzano sei colonne con capitelli ionici dove poggia un frontone triangolare scolpito da Thorvaldsen. Poco più avanti dell'ingresso di Villa Torlonia, si trova il complesso di costruzioni appartenute un tempo ai Gesuiti. Nella Villa, acquistata dalla Compagnia di Gesù nel 1667, dimorò Goethe durante il suo secondo viaggio in Italia. Nel 1963 il duca Torlonia la cedette al Vaticano. In breve si raggiunge Villa Cybo. La lussuosa residenza fu acquistata nel 1717 dal cardinale Cybo e nel 1772 venduta a Livio Odescalchi che la girò al papa Clemente XIV. Notevole è la fontana detta "delle lavandaie" per le due figure femminili intente a lavare i panni nella vasca. Un'altra magnifica dimora è Palazzo Del Drago, fatto costruire dal cardinale Alessandro Albani nel 1746. Da lì si raggiunge l'elegante Piazza della Libertà, con il Palazzo Pontificio sul lato nord e la Chiesa di San Tommaso da Villanova sul lato est. ... Nel 1661 la piazza su cui si affaccia il palazzo Pontificio fu abbellita da un altro capolavoro berniniano: la Fontana. Il disegno, ispirato alla pianta di S. Pietro, è simile a quello della fontana di S. Andrea della Valle a Roma.
Sul lato est di piazza della Libertà si apre la strada che raggiunge il belvedere sul lago Albano. Sempre su questo lato si eleva la superba mole della Chiesa di San Tommaso di Villanova, una fra le più belle opere del Bernini. Presenta una pianta a croce greca con una cupola sottile che poggia su pilastri di stile dorico. Sull'altare maggiore il quadro della Crocifissione è di Pietro da Cortona. La facciata è scandita da lesene, da una spessa cornice e da un frontone triangolare recante al centro lo stemma del papa Alessandro VII. Sul quarto lato della piazza inizia il corso della Repubblica che, dopo aver attraversato tutto il borgo medievale - con "le declinanti case sopra l'orlo accidentato del cratere antico" - termina in piazza Cavalletti, da dove si arriva ad un altro belvedere con veduta sul lago Albano e sul Monte Cavo. Di fronte al belvedere vi è l'ingresso di Villa Barberini, dimora pontificia dalle sobrie linee architettoniche, formata da una parte rivolta verso il lago, articolata su tre piani e realizzata nel secolo XVII, e da una parte rivolta verso la marina, strutturata su quattro piani. Dal palazzo un viale fiancheggiato di lecci conduce al Giardino della Magnolia, che presenta un disegno all'italiana con bordure e divisioni delle aiuole in bosso. Dal centro di Castel Gandolfo, via Gramsci conduce alle rive del lago, sulla cui sinistra, nell'ultimo tratto, vi è l'ingresso al Ninfeo Dorico. La costruzione risale all'età repubblicana e probabilmente ha fatto parte della villa di Clodio. Per alcuni studiosi si tratta di uno dei sacrari eretti in onore delle antiche divinità di Albalonga. Proseguendo, si arriva in via dei Pescatori, che costeggia il lago dal lato di ponente. Pochi metri più avanti, sulla destra della via, si trova il Ninfeo Bergantino, detto anche Bagni di Diana per un mosaico raffigurante la dea cacciatrice. Il ninfeo occupa lo spazio di una grande caverna scavata in tempi precedenti. Sulle pareti sono state ritrovate tracce di dipinti ma certamente vi erano anche decorazioni marmoree. Durante gli scavi del 1841 sono venuti alla luce frammenti di sculture. Proseguendo per via dei Pescatori si raggiunge in breve il punto in cui è situato l'emissario del lago Albano: il cunicolo di quasi un km e mezzo è stato aperto e scavato dai Romani in blocchi di tufo e inizia con una monumentale camera».
http://www.borghitalia.it/html/borgo_it.php?codice_borgo=158
Castel Gandolfo (palazzo pontificio)
«Il Palazzo Pontificio (o Palazzo Apostolico) di Castel Gandolfo è una residenza papale suburbana che si trova all'interno della zona extraterritoriale delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, sui Colli Albani, circa venti chilometri a sud di Roma. L'extraterritorialità delle Ville Pontificie, frequentate per la villeggiatura dai papi fin dai tempi di Urbano VIII, è stata riconosciuta con i Patti Lateranensi nel 1929. I pontefici sono soliti recarsi a Castel Gandolfo almeno una volta l'anno. Il palazzo è parte integrante dell'area di oltre 55 ettari che costituisce il complesso delle Ville Pontificie. Acquisito dalla Camera Apostolica nel luglio 1596 e incorporato come patrimonio inalienabile della Santa Sede il 27 maggio 1604, il territorio di Castel Gandolfo fu prescelto come luogo di villeggiatura da molti papi, a cominciare da Urbano VIII che, subito dopo la sua elezione a pontefice (1623), diede avvio alla costruzione di un edificio sul sito della villa romana dell'imperatore Domiziano, probabilmente sorta a sua volta sull'acropoli dell'antica Alba Longa. Il progetto del palazzo pontificio (il suburbano recesso, come venne allora chiamato) fu affidato a Carlo Maderno che lo realizzò con l'aiuto dei suoi assistenti Bartolomeo Breccioli e Domenico Castelli (1629). Benché promotore della sua costruzione, Urbano VIII non vi abitò mai preferendo risiedere nella vicina Villa Barberini, appartenente al nipote Taddeo Barberini. Il primo pontefice a villeggiarvi fu dunque il senese Alessandro VII, che completò l'edificio con la facciata principale e l'ala occidentale, cui contribuì anche Gian Lorenzo Bernini. Trascurata per circa un secolo, la villa di Castel Gandolfo tornò ad essere frequentata nel Settecento con papa Benedetto XIV, che la ristrutturò apportandovi modifiche e nuove decorazioni. Altrettanto fece Clemente XIV, che inoltre acquistò la limitrofa Villa Cybo (1773) ampliando a parco l'originario giardino di Urbano VIII. Occupata e gravemente danneggiata dalle truppe napoleoniche, fu restaurata da Pio VII e Pio VIII.
In seguito fu particolarmente utilizzata come residenza estiva da Gregorio XVI e poi, almeno fino al 1870, da Pio IX; entrambi i pontefici vi apportarono ulteriori migliorie. Dal 1870 però, con la fine dello stato pontificio, venne abbandonata dai papi, come tutte le altre residenze possedute fuori Roma, per "rinchiudersi" in Vaticano in segno di aperta protesta contro lo stato italiano. Nel 1929, con la nascita dello Stato della Città del Vaticano e il relativo trattato, le ville papali di Castel Gandolfo (cui ora si aggiungeva la vicina Villa Barberini) furono dichiarate dominio extraterritoriale pontificio e proprio con papa Pio XI il Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo ritornò ad essere la residenza estiva dei papi. Pio XI fece anche realizzare dall'architetto Giuseppe Momo i collegamenti fra le tre proprietà, confinanti ma divise dalla rete stradale pubblica: una loggia per unire il Palazzo Apostolico a Villa Cybo e un cavalcavia per mettere in comunicazione il giardino di quest'ultima con quello di Villa Barberini. Nel 1934, inoltre, lo stesso pontefice fece allestire all'ultimo piano del Palazzo Apostolico, sotto la torre, la sede dell'osservatorio astronomico vaticano, noto anche come Specola Vaticana. Con l'ulteriore acquisto di alcuni terreni verso Albano Laziale, vi si poté installare infine una piccola azienda agricola cosicché l'insieme delle proprietà pontificie a Castel Gandolfo, tutte collegate fra di loro, costituisce oggi un unico vasto parco, la cui estensione di circa 55 ettari è superiore a quella dello stesso stato vaticano. Il palazzo viene oggi utilizzato abitualmente dai papi come residenza nei periodi di riposo, tanto che Giovanni Paolo II definì Castel Gandolfo il «Vaticano Due»; in tali occasioni la recita domenicale dell'Angelus avviene all'interno del cortile. Nel 2010 si è tenuta a Castel Gandolfo l'Udienza generale nella piazza esterna, per la prima volta nella storia. Dal 28 febbraio 2013 vi risiede temporaneamente papa Benedetto XVI dopo aver rinunciato al Ministero Petrino».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Pontificio
Castel Madama (castello di Empiglione)
«...Per tutta l’epoca romana il luogo dove oggi sorge il borgo di Empiglione rimase un sobborgo rurale di Tivoli chiamato Massa Apollonia e debolmente popolato dove nella tarda antichità venne costruito un mulino sfruttando l’unico tratto del corso del torrente omonimo in cui il greto è stretto abbastanza da poter essere facilmente sbarrato. Intorno al mulino formò una piccola comunità rurale della quale nulla sappiamo. Probabilmente raso al suolo dagli arabi nel corso del IX secolo insieme con Tivoli, il borgo cambiò nome in Empiglione e venne rapidamente ripopolato tanto che risulta essere stato un fundus – terreno coltivato – nel 936, una massa nel 958, un casale – probabilmente una torre cinta da una palizzata – nel 967 ed infine un castellum nel 973. La nascita del primo nucleo della fortezza dipese probabilmente dall’endemico stato di guerra protrattosi per tutto il X secolo fra il vescovo di Tivoli – che allora esercitava anche il potere laico sulla città – ed il monastero di Subiaco, che possedette Empiglione a partire dal 939 e fino al 1125, di cui rappresentava il territorio più vicino al nemico. L’insicurezza sembra abbia spinto gli abitanti dei dintorni, che prima vivevano dispersi sul territorio, ad agglutinarsi in un unico centro abitato sorto nei pressi del mulino già esistente oltretutto ubicato in una contrada ricca d’acqua e vicina ai campi coltivati. Malgrado gli innegabili vantaggi del luogo, il castello ed il borgo che lo circondava per contro erano anche difficili da difendere in caso di attacchi militari da parte dei vicini tiburtini perché adagiati lungo il fianco morbido e privo di difese naturali di una insignificante collinetta. Poiché l’edificazione di una cinta muraria ben fortificata era un’impresa assai costosa a quei tempi, costruire i centri abitati in luoghi difesi almeno parzialmente da ostacoli naturali insormontabili rispondeva ad un’esigenza innanzitutto economica perché limitando la porzione del perimetro della fortificazione effettivamente esposta all’attacco nemico, che era l’unica a dover essere davvero invalicabile, si riducevano i costi di costruzione della struttura. Allo stesso tempo, una fortificazione protetta da difese naturali impossibili da superare era più semplice da sorvegliare per chi la occupava poiché in caso di attacco era prevedibile la provenienza degli assalitori e questo rendeva difficile riuscire ad occuparla sfruttando la sorpresa. Poiché poi il numero di soldati necessari a respingere un assalto nemico dipendeva dall’ampiezza della porzione del suo perimetro oggetto dell’attacco, un castello protetto dalla natura richiedeva un minor numero di soldati per essere difeso perché l’azione ostile doveva per forza concentrarsi sulla sua sola parte raggiungibile dall’esterno. In un’epoca turbolenta in cui la sicurezza era un requisito indispensabile per qualunque centro abitato, questa sua caratteristica finì col favorire il vicino borgo di Castel Sant’Angelo – oggi Castel Madama – fondato intorno al 1030 sulla cima della collina soprastante il fosso dell’Empiglione in un luogo difeso per tre lati su quattro da un dirupo e perciò facile da difendere anche se lontano dai campi coltivati.
Dopo essere conquistato e raso al suolo dai Tiburtini durante il pontificato di Onorio II probabilmente nel 1125, Empiglione rimase per il successivo secolo e mezzo un tenimentum agricolo dato in gestione alla famiglia Orsini ed assoggettato al comune di Tivoli. In un atto del 1275 Empiglione era descritto come un castellarium, termine che designava una struttura fortificata in stato di abbandono e per questo non utilizzabile come difesa militare, mentre all’inizio del secolo seguente è citato come un castellum in piena efficienza nuovamente abitato a partire dal 1279 e di proprietà della famiglia Orsini. Fra gli ultimi anni del XIII secolo ed i primi del XIV, il castello raggiunse la forma ancora attuale che è testimoniata da un atto del 1307. Il castello venne poi abbandonato probabilmente un secolo dopo, all’inizio del XV, poiché il generale progresso nel livello di sicurezza delle campagne e la vicinanza con Tivoli e Castel Madama lo rese inutile sul piano militare. Sopravvisse invece il piccolo borgo rurale sorto intorno al mulino e lungo il corso del torrente che, sebbene in parte abbandonato, si presenta ancora in discreto stato di conservazione.
Il reperto più interessante presente ad Empiglione è senza dubbio il suo castello. Aveva pianta rettangolare e misurava circa settanta metri per cinquanta, dimensioni di tutto rispetto per i tempi che lo rendevano molto più vasto di Saccomuro, Vallebona o di Castiglione di Cottanello e circa doppio per superficie rispetto a Rocchettine ed a Stazzano che di contro si sono conservati in condizioni assai migliori. Era fornito di una singola porta, ancora visibile malgrado sia in cattivo stato di conservazione, lungo il suo lato nord occidentale, l’unico che si sia conservato, curiosamente priva di contrafforti ed affacciata sul lato delle mura opposto a quello parallelo al corso del torrente Empiglione e rivolta quindi verso il fianco della valle. Della fortificazione medievale, oggi in rovina, di proprietà privata ed accessibile solo scavalcando una recinzione, restano pochi ruderi utilizzati da un contadino come depositi agricoli ed oltretutto sottoposti in epoca recente ad un pesante intervento di restauro effettuato aggiungendo solette e rinforzi in cemento armato alla struttura in pietra originale. Del manufatto originario sono ancora chiaramente distinguibili il mastio e le tre torri a pianta rettangolare che si ergevano lungo il lato occidentale del suo perimetro e la porzione del muro di cinta compresa fra questi. Nulla si è conservato, invece, del lato orientale. Sicuramente costruito in più fasi, come facilmente provato dall’alternarsi nelle mura di strati costruiti con differenti tecniche murarie, nel suo nucleo più antico – comprendente almeno il mastio e forse la porzione inferiore delle mura di cinta – il castello dovrebbe risalire al X secolo.
L’aspetto molto inconsueto è la tecnica di costruzione con cui è parzialmente realizzato che il Castello di Empiglione condivide con un piccolo numero di altre fortificazioni quali il Borghetto di Grottaferrata ed il Castello Savelli di Albano. Uno dei pochi brandelli sopravvissuti del muro perimetrale è infatti edificato con una muratura, detta alla sarcinese o sarcinesca, composta da blocchetti di pietra a forma di parallelepipedo regolare e di dimensioni grossomodo costanti legati fra loro da una minima quantità di malta. L’origine di questa inconsueta tecnica costruttiva è ancora al giorno d’oggi dubbia dopo essere stata ritenuta per secoli tipica degli edifici costruiti nel corso del X secolo e così chiamata perché importata in Italia dagli arabi, allora chiamati saraceni. Sebbene oggi si propenda per una datazione più tarda, in ogni caso non anteriore alla metà del XI secolo, si tratta comunque di una tecnica di uso raro tanto più in un luogo ricco di argilla, legname ed acqua che sono le tre materie prime necessarie per fabbricare i mattoni. Da rimarcare infine la presenza di una struttura ipogea sicuramente artificiale, di epoca e funzione ignota, posta al di sotto della porzione nord occidentale del castello ed in rovina, articolata in vari vani collegati da un disimpegno ed accessibile attraverso una porticina che si apre immediatamente al di sotto del piano delle mura. A valle del castello, lungo il corso del torrente, che in quel tratto corre parallelo alla via Empolitana, sono ancora ben visibili l’antico mulino, in larga parte ricostruito in epoca recente ed adibito a struttura ricettiva turistica, ed alcune fattorie in stato di abbandono, una delle quali anche di pregevole fattura. Sono riconoscibili due case coloniche, dirute ma in discreto stato di conservazione, ed una serie di depositi o stalle inaccessibili e cadenti» (testo di Paolo Amoroso).
http://blog.aioe.org/index.php/empiglione
Castel Madama (castello Orsini o castrum Sancti Angeli)
«La data di fondazione di Castrum Sancti Angeli, divenuto Castel Madama soltanto nel XVII secolo, è piuttosto incerta. Può comunque essere ricondotta al X-XI secolo, l’epoca del cosiddetto incastellamento, durante la quale in tutta la Valle dell’Aniene furono fondati numerosi nuclei fortificati ad opera principalmente degli Abati di Subiaco. Castrum Sancti Angeli sorse sulla sommità di un colle che fu meta, secondo la leggenda, di un eremitaggio di San Michele Arcangelo. Nel 1256 Giangaetano Orsini acquistò il castrum ed i terreni annessi; nel 1308 i figli di Fortebraccio Orsini, Riccardo e Poncello, costruirono il castello che ancora oggi costituisce il fulcro del nucleo urbano più antico del paese. Da quel momento Castel Madama divenne Luogo Baronale, sottoposto ad un signore feudale; tale condizione perdurò per più di cinquecento anni. La fase degli Orsini si chiuse nel 1520 con la morte di Alfonsina, moglie di Pietro de’ Medici ed il conseguente passaggio del feudo a questa famiglia. Nel 1538, Margarita d’Austria , figlia naturale dell’Imperatore Carlo V e vedova di Alessandro de’ Medici, ottenne dalla famiglia del defunto marito il possesso del paese. Alla sua morte tutti i beni, incluso questo feudo, furono ereditati dai Farnese. Nel 1636 furono ceduti da questi ultimi al marchese Alessandro Pallavicino di Parma-Busseto. Dopo la breve parentesi repubblicana durante il periodo del governo francese agli inizi del XIX secolo, il paese tornò ad essere governato per alcuni decenni da un nuovo feudatario, il marchese Tiberi. Soltanto sotto il pontificato di Gregorio XVI Castel Madama cessò di essere luogo baronale, quando la Comunità ottenne l’autonomia amministrativa e fu posta sotto la giurisdizione del Distretto di Tivoli. Durante tutto il periodo del regime feudale Castel Madama si sviluppò gradualmente come centro dalle spiccate caratteristiche agro-pastorali. La fine dello Stato Pontificio, lo spostamento a Roma della capitale d’Italia nel 1870 col relativo ammodernamento ed espansione della città e la conseguente domanda di mano d’opera e di addetti nel settore terziario, la costruzione della ferrovia Roma-Sulmona nel 1880, fecero sì che si avviasse una lenta e progressiva trasformazione nell’economia e nei caratteri socio-culturali del paese che andò via via affiancando all’agricoltura e alla pastorizia una serie di attività commerciali ed artigianali».
Castel San Pietro Romano (rocca Colonna)
«Sebbene Castel San Pietro Romano si identifichi, fin dall'epoca romana, con l'arx di Preneste, protetta da una cinta di mura poligonali, l'origine della fortezza costruita sulla sommità del Monte Ginestro, e di cui oggi rimangono considerevoli resti, è da porsi nel X secolo, quando il feudo di Preneste con territori annessi, che erano di proprietà della Santa Sede, venne concesso da Giovanni XIII alla sorella Stefania, senatrice romana, con l'obbligo di erigere una fortezza sul Monte di Preneste, cioè Castel San Pietro Romano. La struttura dell'edificio era a pianta quadrata con torrioni angolari anch'essi quadrati, ben visibili ancora oggi; al centro è ancora un bastione cilindrico, utilizzato tradizionalmente come carcere. Un ponticello con portale ad arco collega la fortezza con il borgo. Questa costruzione era già realizzata nel 980, quando comincia ad essere nota come Rocca di Preneste. Nel 1012 fu cinta d'assedio dalle milizie di Benedetto XII che muovevano contro Giovanni, nipote della senatrice Stefania. In seguito Pietro Colonna, discendente di Giovanni, e in continua lotta con il papato per i feudi dell'area prenestina, vi fece rinchiudere San Berardo dei Marsi, legato pontificio della Campania. Dalla dura rappresaglia operata dal pontefice, che distrusse completamente Palestrina, la Rocca, ormai definita Rocca dei Colonna, venne risparmiata. La funzione di prigione del torrione centrale è ribadita nel 1268 dal fatto che vi fu imprigionato Corradino di Svevia.
Le guerre ricominciarono sotto il pontificato di Bonifacio VIII (1294-1299), che dichiarò decaduti i Colonna dai loro possedimenti. La potente famiglia dichiarò a sua volta illegittima l'elezione del pontefice (che era stato eletto dopo l'abdicazione di Celestino V) e lo accuso di simonia, provocando in tal modo la vendetta di Bonifacio VIII. Questi decretò la distruzione totale di tutti i loro feudi, a cominciare da Colonna e Zagarolo, che furono saccheggiate e rase al suolo senza pietà. Preneste, dopo vari tentativi di tregua, compresa la pubblica umiliazione a cui si sottoposero volontariamente i Colonna, non sfuggì alla stessa sorte e neppure la Rocca sul Monte che la sovrastava (1299). In essa fu rinchiuso Jacopone da Todi, che aveva parteggiato per i Colonna contro Bonifacio VIII e che vi rimase fino alla morte del pontefice. Fu con Clemente V, nel 1306, che i Colonna rientrarono in possesso dei loro territori e Stefano Colonna ottenne di ricostruire Preneste. Tuttavia nel 1436 sorsero nuove questioni tra papato e gli indomiti Colonna. Adriano IV per punirli della loro disubbidienza e per rientrare in possesso dei loro territori, incaricò il cardinale Vitelleschi di scacciarli da Preneste. Nel 1437 il Vitelleschi rase di nuovo al suolo la città, nonostante i Colonna si fossero dati alla fuga, per punire gli abitanti della loro fedeltà a quel casato. L'anno dopo toccò alla Rocca. Dieci anni dopo Lorenzo Colonna, pacificatosi con il papà Nicolò V, ebbe il consenso di ricostruire Preneste e alcune opere difensive. Nel 1482 anche la Rocca fu riedificata. La data è attestata da un'iscrizione posta sulla torretta del ponte di raccordo con il borgo (MAGNIFICUS DOMINUS STEPHANUS COLUMNA REAEDIFICAVIT CIVITATEM CUM MONTE ET ARCE MCDLXXXII). Tuttavia la sua funzione di fortificazione era definitivamente tramontata e l'abbandono in cui fu lasciata sia dagli stessi Colonna che, poi, dai Barberini, non ne arrestò il progressivo degrado. Recentemente la rocca è stata oggetto di importanti restauri che l'hanno riportata al suo antico splendore: attualmente è stato completato il restauro della parte esterna e sta per iniziare il recupero della parte interna della fortezza».
http://www.castelsanpietroromano.net/home_file/Rocca%20dei%20Colonna.html
Castelnuovo di Porto (rocca Colonna)
«Riedificata probabilmente su un castello più antico viene per la prima volta menzionata nella bolla di Gregorio VII nel 1074. Il recinto del Castrum novum, insediato sull'isolata rupe, venne fortificato alla fine della seconda metà de XIII secolo, a opera di Sciarra Colonna, con tre torri quadre collegate da una cortina di piccoli parallelepipedi tufacei, guarnita esternamente da un vallum. Al suo interno nell'antica cappella dedicata a San Silvestro, si conserva affrescata l'immagine della Madonna con Bambino e Santi. Espugnato nel 1435 sotto Eugenio IV, fu fatto restaurare nel 1453 da Nicolò V servendosi dell'opera di Giovanni da Milano e di tal Janni, lasciando a memoria del suo intervento una lapide murata. Nel 1484, il castello, come numerosi edifici civili e religiosi, fu lesionato da un forte terremoto. Alessandro VI, occupata la fortezza nel 1501, la munì di pezzi di artiglieria. Anche il borgo, che dal primitivo nucleo sorto vicino al castello andava sviluppandosi a fuso intorno ad esso, viene cinto da mura e torri circolari di difesa. Nella seconda metà del '500, Sciarra Colonna commissionò agli Zuccari l'ornamentazione del "Palazzo". In una delle numerose sale, ricchi stucchi riquadrano scene storiche e immagini iconografiche finemente eseguite. Passato alla Santa Sede nel 1581, fu dal tesoriere di papa Gregorio XIII, fornito di armi e munizioni. Un altro stemma marmoreo murato nella torre a levante ricorda altre opere eseguite sotto il pontificato di Urbano VIII Barberini. Sminuito di valore anche per la Camera Apostolica, il Palazzo fu adibito a carcere mandamentale, mentre la sala affrescata divenne sede della Pretura. Attualmente i possenti corpi edilizi che racchiudono il cortile, privati di ogni funzione, sono in attesa di un restauro consolidativo e di riuso che ridia lustro all'antica fortezza colonnese».
Castelnuovo di Porto (torre di Belmonte)
«L'insediamento di Belmonte, distante circa un chilometro e mezzo da Castelnuovo, è in posizione dominante; una lunga e stretta piattaforma di lava trachitica elevata alla confluenza dei fossi di Costa Frigida e di S. Antonino, lungo un'ampia vallata situata sulla sinistra della via Flaminia. Lo si raggiunge percorrendo dapprima una strada recentemente asfaltata che si biforca dalla Flaminia al km. 26, seguendo poi un sentiero che, sulla mano sinistra, oltrepassa il fosso di S. Antonino su di un ponte medievale, inerpicandosi nel fianco del colle, con numerose antiche tagliate nella roccia. Belmonte fu un oppidum etrusco, fondato forse da coloni della città di Veio, intorno al VII secolo a.C., quale avamposto sulla sponda destra del Tevere. ... Scarse sono le notizie di Belmonte in età medievale; il Ricci afferma che fu variamente denominata: Pentapoli, Città delle Colline, Città delle Colonie, Città delle Castella. Appartenne ai conti di Tuscolo, poi al Monastero di S. Paolo (XII sec.?); successivamente è menzionato nella bolla portuense di papa Gregorio IX del 1236: plebes et eclesiae in Belmonte et in Castello Novo; ma nella nota degli abitati soggetti alla tassa sul sale e focatico del 1348, non compare, forse perché già abbandonato. La parte più alta del lungo pianoro (290 m.s.m.) è dominata dagli avanzi di una torre, poco più di due pareti superstiti di m. 6.90x6.00, dello spessore di m. 0.80, ed alta circa m. 7.50.Il lato ad ovest della torre, in muratura "a tufelli" (che risale al XII secolo), mostra chiaramente l'ammorzatura di una precedente struttura in opera a scaglie di selce e marmo, cosiddetta "saracena": si tratta probabilmente dei resti della primitiva torre di segnalazione del IX secolo, diversamente orientata e sacrificata per fare spazio alla costruzione di quella oggi esistente. La torre di Belmonte era completamente isolata dal resto dell'insediamento per mezzo di due fossati artificiali, larghi rispettivamente m. 6.40 ed 8.30, che delimitano uno spazio rettangolare fortificato da interpretarsi come il "castello", con resti del muro di cinta e di alcune feritoie, per il tiro strategico di archi o balestre. Il passaggio tra il castello ed il fossato a nord-ovest, era assicurato per mezzo di un ponte di legno amovibile, di cui restano i fori di ancoraggio al suolo: un ulteriore fossato, è ubicato a circa venti metri di distanza dal precedente, e delimita uno spazio isolato da interpretarsi come un "rivellino" (ingresso avanzato e fortificato del castello). E inoltre possibile che queste fortificazioni fossero affiancate o completate con l'uso di steccati lignei o siepi di arbusti spinosi e impenetrabili, simili alle recinzioni per bestiame utilizzati ancor'oggi dai pastori. Presso la torre ed i fossati, la British School at Rome effettuò alcuni saggi archeologici nel 1960 con scarsi risultati, a causa del dilavamento superficiale. ...».
http://www.lcnet.it/reticiviche/castelnuovo/belmonte.html
«Intorno all’anno 1000 venne eretto dai monaci sublacensi di Santa Scolastica un piccolo luogo fortificato, il cui possesso è confermato in una bolla di Bonifacio III (1294-1303). Nel 1300 i Cerretani vi costruirono una vera e propria fortezza - con un maschio centrale e quattro torri d’angolo ed ampie mura perimetrali inglobate nelle abitazioni ma ancora facilmente individuabili - di cui restano numerose testimonianze (piombatoio, porte, ecc.). La costruzione del castello fu dettata in primo luogo dall’esigenza difensiva, più tardi da quella di fortificarsi. Fu proprio in questo castello che gli abitanti si rifugiarono nel 1592 per resistere all'assedio dei briganti di Marco Sciarra. Il sistema si racchiude intorno ad una torre cilindrica intorno alla quale le case si snodano secondo una direttrice curvilinea fino all’ingresso del paese. Le case hanno la caratteristica di avere poche aperture verso la campagna. Gli accessi sono rivolti infatti tutti verso le strade interne e sollevati rispetto al piano stradale in modo da permettere l’immagazzinaggio dei prodotti agricoli dal piano terra. Cerreto è quindi da annoverare tra i borghi fortificati con la specifica funzione di ricetto».
http://castelliere.blogspot.it/2011/10/il-castello-di-domenica-23-ottobre.html
Cervara di Roma (ruderi della rocca Colonna o della Prugna)
«Il primo documento medievale in cui è menzionata Cervara è la grande donazione alla data 21 agosto 883, con la quale Cesario "dux e consul", dona all'Abbazia Sublacense molte terre, tra cui il "mons qui vocatur Cervaria". Alcuni studiosi, infatti, sostengono che già nell'867 la zona fosse proprietà dell'abbazia di Subiaco che vi avrebbe costruito un borgo fortificato, mentre altri attribuiscono la sua fondazione ad un gruppo di Saraceni sfuggiti alla sconfitta del 916 a Vicovaro. Quel che è certo è che Cervara nell'XI secolo era una fortezza nelle mani dei Benedettini e ad essi rimase, tra le alterne vicende, fino alla seconda metà del XVIII secolo. Con il passaggio della località al dominio dell'Abbazia di Subiaco, possesso confermato nel 996 da una bolla di papa Gregorio V, gli abati stabilirono di costruire una rocca nel punto più impervio del monte, quale luogo di difesa contro i Saraceni. Dal 1273 la Rocca, divenuta inespugnabile fortezza militare, fu assediata da Pelagio, un monaco scismatico, che si proclamò Abate e si impadronì di Cervara, del Castello e della Rocca, per tre anni. Nel 1276 il feudo fu sopraffatto dall'esercito pontificio che, sotto la guida di Guglielmo di Borgogna, inviato da Innocenzo V con un'armata contro il ribelle, riuscì a recuperarla dopo due lunghi mesi di assedio. La fortezza raggiunse il suo massimo splendore all'epoca di Pompeo Colonna (1508), quando, divenuto un importante centro di transumanza, l'abitato del castello assunse l'aspetto che ancora conserva e la comunità si dette un primo statuto (1536). Posto al confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli, dal XVI secolo ad oggi, il paese fu nuovamente teatro di violenze e gravemente minacciato quando i briganti di Marco Sciarra distrussero il vicino paese di Prugna. Nei secoli successivi, durante i quali la fortezza antica, perdendo il ruolo difensivo, andava decadendo non si registrano avvenimenti particolari. Ciò nonostante, le bellezze paesaggistiche e i tesori dell'arte, unite ad un ricco patrimonio di tradizioni e di storia, rendono Cervara, sin dai primi dell'Ottocento, una meta privilegiata da artisti stranieri che ne traggono una fonte inesauribile di ispirazione».
http://www.borghiautenticiditalia.org/it/ita/i-borghi/lazio/cervara-di-roma-rm.html
Cerveteri (castello Orsini Ruspoli)
«Palazzo Ruspoli venne edificato su preesistenti mura castellane dalle origini incerte. La sistemazione che oggi si osserva è quella realizzata nel 1533 ad opera della famiglia Orsini. A quella data si fanno risalire sia la costruzione del palazzo baronale che delle mura. Il palazzo, infatti, nel disegno delle finestre e del portale presenta uno stampo cinquecentesco: vi si riconoscono, infatti, diverse arcate a tutto sesto. Di epoca successiva, invece, l’edificazione del porticato e della loggia (pare intorno al Seicento). Nella visita al castello è interessate notare come il perimetro originario sia stato ampliato e utilizzato per elevare una delle torri di guardia medievali. Con l’insediamento della famiglia Ruspoli la fortezza subisce modifiche sia esterne che interne. Infine, nel 1760 il cardinale Acciupidi predispone i lavori che porteranno all’inserimento di un collegamento con la chiesa di Santa Maria Maggiore».
«Pur essendo impossibile stabilire se l’odierno fortilizio di Ciciliano abbia avuto in eredità qualche struttura muraria di una più antica roccaforte difensiva, è fuori dubbio che esso ha mantenuto nei secoli, posto com’è in posizione di assoluto predominio sull’incontro delle tre valli (Giovenzano, Empolitana, Fiumicino) tra i monti Ruffi, Tiburtini e Prenestini, un’importanza davvero strategica. In epoca medioevale esso non doveva essere più una roccaforte, strenuamente mantenuta tra i vasti possedimenti in proprietà dell’Abbazia sublacense di Santa Scolastica, che probabilmente lo ricostruì dopo le devastazioni saracene del IX secolo. Le vicende storiche che si succedono dal XII al XVI secolo vedono i passaggi di proprietà di Ciciliano e del suo Castello alla Santa Sede e da questa di nuovo all’Abbazia di Subiaco e quindi, a più riprese, alla famiglia Colonna dalla fine del XIV secolo alla seconda metà del XVI, brevemente al nipote di Alessandro VI Giovanni Borgia, poi di nuovo ai Colonna che lo vendettero per debiti al principe Domenico Massimo (1563), il quale un decennio dopo (1576) lo cedette per 20.000 scudi romani a monsignor Gerolamo Theodoli, vescovo di Cadice. Ai discendenti diretti di quest’ultimo ancora appartiene. Da questo quadro è possibile ipotizzare che dovette spettare ai Colonna il merito di aver per primi provveduto ad una sistemazione architettonica a scopo difensivo del fortilizio, adottando una tipologia, quella del corpo quadrato centrale e dei quattro bastioni angolari, che nel corso del XV secolo si andava diffondendo un po’ dappertutto. L’unica torre cilindrica, aggiunta per ultima, sembrerebbe indicare poi senz’altro un avanzamento del gusto, dato il lasso di tempo non certo breve in cui venne condotta la costruzione. Notevoli modifiche e aggiunte funzionali si ebbero nel XVIII secolo con l’architetto Gerolamo Theodoli, a cominciare dalle due rampe di accesso ad esedra che raccordano il castello al borgo sottostante, per continuare con il rinforzo delle fondamenta e il restauro delle quattro torri con merlatura guelfa. L’edificio mantenne comunque una funzione eminentemente difensiva. È probabile, infatti, che i locali sotterranei adibiti a carcere risalgano ad un periodo precedente, forse già alla fine del XVI secolo quando Theodolo Theodoli, con l’approvazione di uno statuto (1579), tra i più avanzati per l’epoca, regolamentò anche l’amministrazione della giustizia. La struttura muraria è in pietrame mal squadrato con inserti in mattoni; al centro della costruzione si apre una corte rettangolare completamente chiusa, attorno alla quale si affacciano le stanze nobiliari, in numero cospicuo; questa pianta a “U”, abbastanza precoce, anticipa soluzioni utilizzate in seguito per i palazzi residenziali. Sono presenti anche due piccoli giardini pensili circondati dai camminamenti di ronda. I restauri condotti a partire dal 1913, ad opera di un altro architetto di casa Theodoli, Francesco Maria, riguardarono, inoltre, la sistemazione interna degli ambienti e la ridefinizione strutturale della balaustra, delle rampe d’accesso e del coronamento».
http://www.romaepiu.it/content/castello-theodoli-di-ciciliano
Cineto Romano (castello Orsini)
«Imponente e superbo, guarnito di feritoie sormontate da merli ghibellini, si eleva il palazzo baronale della Scarpa che dall’alto dirupo sovrasta turrito il caseggiato e la vallata. Visitando il maniero, per un’ampia scalinata si giunge all’antico posto di guardia, che fu l’ingresso principale al castello e sulla cui torretta era stata posta la campana civica, la quale venne sostituita nel sec. XV dal grande orologio comunale, che si ammira ancora oggi. Poi, passando per una piccola piazzetta, dove una vecchia fontana zampilla la pura acqua cinetese, si giunge all’imponente e rustico portone che conduce al cortile interno del castello; qui su una lapide che sormonta un vecchio portale si legge ancora la scritta del 1556: “Ostium no. Hostium” (non è la porta dei nemici). Il visitatore che si aggira all’interno di queste austere mura, è spinto a ricostruire quasi inconsciamente le vicende del passato. Costruito nell’XI secolo, fu in seguito ceduto per vendite, divisioni e matrimoni, con tutti i diritti sulla proprietà feudale. Nel sec. XIII, il Signore di Scarpa, tale Matteo, concesse metà del castello al cardinale Napoleone Orsini, in cambio della quarta parte del Castello del Lago, che sorgeva al confine con l’odierna Percile, in favore del fratello Mario. Il 12 aprile 1291, il suddetto Matteo, concesse allo stesso Cardinale Orsini, la prelazione per l’acquisto dell’altra metà di Scarpa, acquisto che avvenne a breve tempo, mediante il cambio del castello di Cantalupo (oggi Mandela). Nel 1339 Giordano di Orso Orsini di Monterotondo, concesse la sua metà del castello di Scarpa al fratello Rinaldo, che nel 1342, lo cedette interamente a Orso di Giacomo di Napoleone Orsini di Tagliacozzo. Il 3 agosto 1368, Bertoldo Orsini di Scarpa fece le divisioni col fratello Roberto, signore di Licenza. Nel 1380 e 1381 il Castello fu, unitamente a quelli limitrofi, saccheggiato dalle truppe Tiburtine in guerra contro Rinaldo Orsini. La Signoria di Scarpa rimase attribuita a Matteo, al figlio Oddone e ad Angelo di Oddone sino al 1390, quando Matteuccio Masi di Tivoli ne divenne Barone, avendo preso in moglie Saulina figlia di Angelo. A seguito, col matrimonio del 1418 tra Maria Masi di Matteuccio e Orsello di Orso degli Orsini, la baronia passò a questi ultimi. Quando nel 1503, il papa Alessandro VI, mandò le sue truppe contro Giordano Orsini sulla via Valeria, il castello di Scarpa fu temporaneamente perduto, poiché gli Orsini si arresero, ma poi fu nuovamente recuperato dopo la morte del papa, avvenuta nello stesso anno. ... Con gli atti del 6 ottobre 1611 e 13 aprile 1612, il castello passò nella proprietà dei Borghese, rimasti feudatari fino alla soppressione della feudalità, alla quale aderirono con formale rinuncia in conformità dell’invito pubblicato da Pio VII nel 1816. Questi ultimi proprietari nel 1925 lo vendettero a Curzio Gramiccia, che lo restaurò avvalendosi dell’opera degli ingegneri Lazzari e Gaspari. è memorabile per questo medievale maniero la giornata del 7 febbraio 1927, in cui ebbe ad ospitare tra le sue mura, autorità religiose, militari e civili, in occasione della solenne commemorazione del cardinale Filippo Giustini. Nel maggio 1934, i Padri Oblati di Maria Immacolata acquistarono il castello all’asta esattoriale, per la somma di Lire 24.826,15 e questi ultimi poi lo rivendettero trasformato in vari alloggi o appartamenti».
http://www.cineto.it/il-castello-orsini.html
Civitavecchia (forte di Michelangelo)
a cura di Marisa Depascale
Civitella San Paolo (castello dei Monaci)
«Il castello medievale fu costruito a scopi difensivi e militari. L'alto mastio, risalente al IX secolo, è probabilmente opera della famiglia Cenci, la rocca quadrilatera con ampio fossato e ponte levatoio fu invece opera nel XIV secolo dei Monaci di San Paolo che, secondo un documento papale del 14 marzo 1081, ricevettero da papa Gregorio VII il territorio di Civitas de Colonis, attuale Civitella San Paolo. Il castello faceva parte di un complesso sistema fortificato con cinta muraria munita di torri. Il possesso della fortezza fu conteso, in epoche successive, dalle famiglie Cena, Orsini, Savelli e Colonna, tornò poi ai monaci di San Paolo. Nel 1434 papa Eugenio IV concesse in enfiteusi i castelli di Civitella e Civitucola ai nobili Giorgio e Battista Ridolfini da Narni, con i quali aveva un debito di 5000 fiorini a titolo di stipendio per i servigi resi dai due condottieri durante la battaglia di Bracciano contro il Fortebraccio. Tale concessione fu revocata nel 1446 ma senza alcun effetto, infatti, nel 1448 i suddetti castelli furono ceduti dai Ridolfini ai Monaci di San Paolo per la somma dì 2000 ducati. Nel XV secolo adeguamenti delle murature alla potenza delle armi da fuoco, portarono all'aggiunta ai bastione di un baluardo pentagonale rivolto verso l'attuale piazza San Giacomo. Nella seconda metà del XV secolo fu costruito il palazzetto residenziale che affianca il castello. Nel 1924 un restauro rimosse la copertura di tegole che deturpava il coronamento dei merli. Lavori eseguiti nel 1969 dai monaci con contributo governativo rafforzarono la muratura esterna e i conci. Nel 1998, grazie ai fondi stanziati dalla Regione Lazio, il castello è stato acquistato dal comune e restaurato. Successivamente, nel 2000, è stato finanziato dalla Provincia di Roma un completamento dei lavori esterni della rocca, quali, il monumento ai caduti, il fossato e l’annessa porta civica, tesi alla valorizzazione del grande patrimonio storico culturale che è in esso.
Caratteristiche architettoniche. Il castello sorge in una posizione strategica di controllo della valle del Tevere. Inoltre la funzione di fortilizio militare appare chiara dalla struttura della rocca quadrilatera (lunga circa 32 metri, larga l3m e alta 20m) che presenta rafforzamento delle mura nella parte bassa; un’accentuata- sporgenza del bordo superiore delle mura; ampli merli; assenza originaria di finestre (quelle che si possono osservare sono state aperte in epoca recente, anticamente c’erano solo strettissime aperture). Il Monastero di San Paolo era sotto la protezione dello Stato Pontificio quindi la merlatura del castello è guelfa, diversa da quella ghibellina a coda di rondine. I massicci merli rettangolari hanno una distanza l’uno dall’altro sufficiente a permettere il lancio di sassi e frecce e lo scarico di olio bollente sui nemici assedianti. Un merlo si ed uno no c’è una feritoia a difensivo ed offensivo: essa serviva a vedere e a non essere visti. Sul terrazzo del castello c’erano due punti di osservazione strategica, uno dei quali sulla torre. Il castello formava un tutt’uno con un sistema di mura, torri, torrette e bastioni che circondava l’abitato. Anticamente l’accesso al borgo era possibile per mezzo di Porta Capena o grazie all’ingresso principale della fortezza munito di ponte levatoio in legno, che si alzava e si abbassava sopra il fossato che girava tutt’intorno. Oggi il ponte è stabile, i cardini sono ancora visibili sugli stipiti della porta. Quest’ultima è sovrastata da un ornamento rifatto nel 1800 ad opera del muratore Giacomo Ricci, come testimonia I’iscrizione in latino sopra l’ingresso. ... Il castello è affiancato dal palazzetto residenziale, costruito tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, e che ingloba l’adiacente Chiesa di Santa Marìa. La maggioranza delle sale di tale edificio presenta soffitti a cassettoni di legno; quelli della stanza al piano terra sono decorati con dipinti raffiguranti putti, cornucopie e ghirlande. Il loggiato del palazzetto si affacciava forse su di un giardino pensile, poi coperto per esigenze di spazio. Il palazzetto residenziale, che per molti anni ha ospitato le suore Battistine e l’asilo, dopo l’acquisto da parte del comune ed il restauro, è diventato, provvisoriamente, sede del municipio».
http://www.comune.civitellasanpaolo.rm.gov.it/pagina/il-castello-medievale-0
Colleferro (resti del castello di Piombinara)
«La struttura, citata dalle fonti fin dal 1051, è collocata in posizione dominante rispetto alle principali vie di comunicazione che nel Medioevo congiungevano Roma con l’Italia meridionale. Dall’altura su cui sorge il castrum, si potevano controllare agevolmente le vie Labicana, Latina e Prenestina, mentre il corso del fiume Sacco lambisce lo sperone tufaceo. Le murature oggi visibili sono attribuibili all’intervento di fortificazione promosso da Riccardo Conti tra il 1208 e il 1219. Il castello, divenuto possedimento della famiglia Conti all’inizio del XIII secolo, venne distrutto nel 1431 dalle truppe mercenarie di Giacomo Caldora, durante la fase finale dei conflitti tra i Conti stessi ed i Colonna. Solo un decennio dopo il castello è definito dalle fonti “diroccato” mentre a partire del XVI secolo assume il carattere di tenuta agricola, quale resterà fino all’epoca moderna. Diversi rilievi topografici realizzati nel corso del XX secolo permettono di ipotizzare il tracciato murario esterno e la collocazione di alcuni edifici oggi non più visibili, tra cui una chiesa affrescata citata da alcuni viaggiatori tra il XVIII ed il XIX secolo. Tali rilievi, uniti ai dati ricavati da alcune fotografie aree, lasciano intendere, inoltre, che l’area interna sia attraversata da un muro divisorio che delimita due aree distinte. La cinta muraria segue l’affioramento tufaceo sottostante, è pressoché rettangolare ed ha le dimensioni di m 280 x 90. Il sito conservava la torre del mastio fino al 1931, anno in cui venne distrutta. Nel corso della terza e della quarta campagna di scavo sono state evidenziate alcune strutture che contribuiscono a delineare la topografia di Piombinara. È stato infatti possibile mettere in luce un poderoso muro che divideva l’interno del castello in due aree, una delle quali conteneva gli edifici strategicamente più importanti».
http://www.comune.colleferro.rm.it/index.php?id_sezione=184
Colleferro (resti del castello Vecchio)
«...Nel corso dei secoli non si è mai trovato il nome di questa struttura, tuttavia l’importanza di questo edificio è data dalla sua posizione strategica sull’antica via latina, luogo dal quale provenivano numerose minacce per Roma. Diverse sono state le variazioni di stili e adattamenti strutturali che ha avuto nel tempo, l’origine si ritiene possa risalire tra il XI e il XII secolo, periodo nel quale questo territorio era sotto il controllo dei Conti di Segni, che possedevano anche il vicino castello di Piombinara. Questi manieri avevano il compito di fungere da sbarramento per i nemici che passando dalla Valle del Sacco volevano dirigersi verso Artena e Valmontone, dopo il 1600 il loro controllo passò a famiglie locali. Strutturalmente il “castello vecchio” è realizzato principalmente da “opus signinum”, sono evidenti i differenti interventi sovrapposti che non danno una precisa collocazione temporale, partendo da archi gotici murati fino alle tracce di un portico con volte a crociera. Le torri sono state più volte manomesse e rielaborate, e alcune portano ancora affreschi bizantini, ma i ruderi visibili oggi sono contraddistinti dai ben visibili contrafforti realizzati con materiali differenti alternati uno sull’altro. Questo luogo fu d’ispirazione per l’ingegnere Riccardo Morandi che lo visitò nel 1936, infatti nella progettazione della chiesa di Santa Barbara sono ben visibili le analogie tra le tre arcate della facciata e quelle del castello attualmente ricoperte dalla vegetazione. Questo spazio è anche il protagonista di un ambizioso e fondamentale intervento che darà a Colleferro settantamila metri quadrati di verde attrezzati con svariati servizi per la città».
http://www.eccolanotiziaquotidiana.it/colleferro-la-vera-storia-del-castello-vecchio/
Colonna (palazzo baronale Colonna)
«Il Palazzo Baronale della famiglia Colonna, detto anche "Palazzaccio" perché un tempo vi si amministrava la giustizia, sorge nella parte più elevata del paese, di fronte al serbatoio idrico che gli abitanti del luogo chiamano affettuosamente "Il dindarolo" per il suo aspetto a salvadanaio. Costruito su resti romani in parte ancora visibili nello stretto vicoletto che lo separa dalla chiesa, l'edificio è medievale, con ampliamenti rinascimentali. Notevole è la massa dell'edificio, di cui sono mancanti le porzioni laterali, come degno di nota è il loggiato posteriore su due livelli, di ispirazione vignolesca. L'orologio, più recente, è situato al culmine della facciata che volge a piazza Vittorio Emanuele II e contribuisce ad ingentilirne il rude aspetto originario (con i rintocchi della sua campana scandisce ancora oggi lo scorrere del tempo nel centro storico...). Molto particolare è anche la galleria che perfora il corpo principale portando dal loggiato ad una scalinata che volge alla piazza principale seguendo il tracciato dell'antico insediamento romano. Al momento se ne può ammirare unicamente l'esterno a causa dei ponteggi che preludono al suo restauro, ma vale la pena vederlo anche così, magari all'interno di una passeggiata in questo piccolo borgo dai tanti gradevoli dettagli».
«Cretone, oggi frazione di Palombara Sabina, sorge al margine sinistro del fondovalle del Tevere; è centro esclusivamente agricolo, piccolo ma abbastanza carico di notizie storiche, legate alle due potenti famiglie dei Crescenzi e dei Savelli. Ancora non è stato reperito un documento che ci dia la data di nascita dì questo castello: è presumibile tuttavia che sia coevo di quello di Palombara, costruito per difesa a valle del più importante possedimento in Sabina della potente famiglia Crescenzi-Ottaviano. Verso la metà del XIII secolo a Deodato da Cretone “i fratelli Federico, Ottaviano, Rinaldo e Pietro, figli di Rinaldo di Palombara, anche a nome di Egidio e Bertoldo, altri loro fratelli assenti, vendono il Castelluccio posto nel distretto di Palombara, ossia Casale detto di Poggio di Fiora con palazzo, giardino, vigna et altre tenute e terreni nel territorio di Palombara”. Gli stessi, nel 1276, vendono a Deodato da Cretone alcuni terreni di Castiglione. Nel 1278 un istromento rogato in Rocca Savella dal notaro Bernardo Bardonier di Carcascona dice che Pandolfo, fratello, e Giovanni, nipote, vendevano al loro comune fratello e zio Giacomo Savelli, cardinale diacono di S. Maria in Cosmedin, il castello di Palombara e il castello di Monte Verde, il quale ultimo, fra gli altri, confinava con i castelli del signor Diodato di Cretone. Il 27 gennaio 1387 il castrum Cretonis è indicato fra i fondi confinanti con Grypte Marotie nel pegno dato da Nicolò Colonna a Nicolò Conti, a garanzia della dote di Jacoba Conti, sua moglie. Dal testamento di Paolo Savelli – capostipite della linea di Rignano e valoroso capitano, alla cui morte (1405) la Serenissima volle innalzargli un monumento con epitaffio nella chiesa dei Frari – Cretone risulta fra i castelli a lui soggetti. Con testamento in data 11 ottobre 1445 Battista Savelli lascia al minore Giacomo il castello di Cretone, oltre a quelli di Palombara, di Deodato (Castel Chiodato), di Poggio Montavano e di Castiglione (diruto).
Nel 1460 la ribellione al papa Pio II dell’altero barone Iacopo Savelli aveva trasformato la rocca di Palombara in un sicuro rifugio per quanti recavano turbamento alla città di Roma. Il pontefice quindi prese la decisione di mettere ordine, prima di intraprendere altre campagne in zone più lontane; “non si deve affrontare una guerra lontana se non c’è la pace in patria, né di tollerare che i sudditi dettino legge ai loro superiori”. Erano a disposizione del Piccolomini Alessandro Sforza e Federico di Urbino che marciarono sulla Sabina. Federico occupò Cantalupo e Forano; Alessandro conquistò Cretone, “che fu espugnata dopo molte difficoltà; infatti le mura avevano uno spessore di sedici piedi, eppure, benché i cittadini vi riponessero una grande fiducia, furono buttate giù e smantellate. Tutta la città fu distrutta e data alle fiamme. Alessandro prese anche Castell’Arcione”. La prima distruzione di Cretone è del 1461. Dopo la resa, Pio II perdonò a Iacopo Savelli e lo lasciò anche padrone della rocca di Palombara; dal testamento del 27 luglio 1463 si sa che la mola di Cretone è lasciata alle tre figlie Bartolomea, Battistina e Leonarda. Dopo la sconfitta del 1461 la celebre casa dei Savelli cadde sempre più in rovina e di tutti i suoi beni nella Sabina, conservò solo le erte rocche di Aspra e Palombara. Nelle lotte dell’ultimo decennio del XV secolo fra Colonna e Orsini si inserì Troiano Savelli di Ariccia, alleato di questi ultimi, ai danni dei Savelli di Palombara. In aiuto di questi accorse da Napoli Muzio Colonna. Insieme invasero le terre dei conti di Ariccia. In Sabina occuparono e saccheggiarono Cretone e appiccarono il fuoco a Stazzano. Nel 1599 appartenevano a Marino Savelli, vescovo di Gubbio, la metà della mola a grano sotto Cretone, la tenuta di S. Basilio nel territorio di Palombara ei castelli di Cretone, Castel Chiodato e Grotte Marozza. Cinquanta anni prima, il 29 gennaio 1549, il card. Bernardo Salviati, gran priore di S. Basilio, concedeva a Federico e Bernardino Savelli, a terza generazione, un appezzamento del tenimento di Cretone. ... Il castello medievale, giunto sino ai nostri giorni, pur se in pessimo stato di conservazione e di proprietà di singoli cittadini, mostra ancora i segni del passato splendore: un bel portale cinquecentesco, scritte sugli architravi di alcune finestre prospicienti l’abitato di Palombara, strutture murarie quattro-cinquecentesche, evidente rifacimento, conseguente alle distruzioni del XV secolo nelle furenti lotte fra Orsini e Colonna. ...».
http://www.salutepiu.info/il-castello-di-cretone
Fiano Romano (castello Orsini)
«I primi documenti che parlano del castello di Fiano Romano risalgono ad una bolla papale redatta da papa Gregorio VII nella seconda metà dell’XI secolo in cui si cita un Castrum Fiani nella zona della Valteverina. Da tale documento risulta che il castello di Fiano Romano, come anche quello di Civitella San Paolo, apparteneva ai Monaci benedettini dell’Abbazia di San Paolo a Roma, anche se sono scarse sono le testimonianze architettoniche sulle originarie strutture castellari relative a quel periodo. Il castello, come documentato da una bolla papale del pontefice Alessandro III (1159-1181), rimase di proprietà dei Monaci anche nel secolo successivo. Alla fine del Trecento una parte del Castrum passa alla famiglia Orsini che nel 1404 per una somma irrisoria diviene proprietaria dell’intero castello e del paese. Nel 1490, come attestato da iscrizioni lapidee poste all’interno del castello, Nicolò III Orsini, conte di Pitigliano, provvedette alla quasi completa ricostruzione del castello. Nel 1600 Alessandro Orsini vendette il fortilizio a Caterina de Nobili, madre del cardinale Francesco Forza che divenne, grazie a papa Paolo V Borghese, duca di Fiano. Il Ducato di Fiano passò successivamente alla famiglia Ludovisi che lo tenne fino al 1690 per passare nelle mani di Marco Ottoboni, importante ed influente uomo d’armi e comandante delle galere pontificie e il castello rimase tra le proprietà di questa illustre famiglia fino al 1897, quando venne venduto a Carlo Menotti. In tempi recenti il castello ha ospitato una scuola materna. Il castello, nella sua forma attuale, si deve principalmente ai lavori ordinati da Nicolò III Orsini.
A pianta quadrangolare il castello sorge ai limiti del borgo abitato ed era originariamente circondato da un fossato e vi si aveva accesso per mezzo di un ponte levatoio, entrambi poi scomparsi alla fine del Seicento. Le possenti mura presentano merlature guelfe su beccatelli. All’angolo orientale sorge un torrione quadrato mentre su un altro lato si eleva l’alto maschio cilindrico anch’esso merlato. La facciata verso il paese invece si presenta, grazie ai lavori voluti da Marco Ottoboni nella seconda metà del XVIII secolo. L’interno presenta un ampio cortile porticato su un lato con sale al piano terreno, la porta che conduceva alle antiche prigioni sotterranee e con una rampa che conduce al piano superiore. Una lapide in marmo ricorda la visita al castello di papa Alessandro VI Borgia nel 1493. Il piano nobile venne molto rimaneggiato negli ultimi secoli nelle decorazioni parietali, mantenendo pressoché invariata la forma architettonica delle sale. Originali del Quattrocento sono infatti le decorazioni delle porte che conservano i fregi in travertino con le iscrizioni risalenti a Nicolò III Orsini del 1490. Degne di nota sono le sale dette della Vergine, delle Guardie oggi trasformata in cappella con re tavole dipinte da Agostino Detrassi, dello Zodiaco con numerosi stemmi dipinti nei fregi e l’ultima sala detta del Coro. Le sale del piano nobile sono tra loro collegate da un ballatoio che conduce ad un’ampia terrazza decorata con balaustrini che occupa tutto un lato del castello».
http://tuscany-latium-tourism-dmo.it/secret-places/item/507-il-castello-orsini-di-fiano-romano.html
Filacciano (palazzo fortificato Del Drago)
«Le radici storiche di Filacciano risalgono al periodo romano. Si presume che il nome di Filacciano possa provenire dall'evoluzione di parole come Faliscanum o Faliscianum etimologicamente derivato dalla popolazione (i Falisci) stanziata nel territorio per volere dei Romani successivamente alla loro sottomissione. Una supposizione autorevole appare comunque quella del Nibby che si ricollega ad un possidente di nome Flacco, per cui un fondo di proprietà dello stesso fu detto appunto Flaccianus. Un'ultima ipotesi vorrebbe l'imperatore Felicianus come fondatore del castello. La tesi del Nibby si presenta senz'altro come la più plausibile, poiché in un documento del secolo VIII si fa menzione di un certo Zaro che avrebbe donato il cosiddetto fondo Flacciano alla celebre Abbazia di Farfa. In seguito, la presenza dei monaci di Farfa a Filacciano è attestata anche da una bolla di papa Stefano IV del gennaio 817 che attribuì il possesso del Casalis Flaccianus ai monaci di Farfa. Alla luce di questi fatti è legittimo supporre che la costruzione di detto casale, come pure di quello della chiesetta di Sant'Egidio siano avvenute per opera dei monaci di Farfa. Meno mitico, anche se ancora abbastanza sconnesso si presenta lo sfondo storico dal secolo XIV durante il quale fu l'egemonia degli Orsini ad affermarsi. Il loro dominio durò all'incirca due secoli, finché nell'anno 1544 Giovanni Francesco Orsini cedette il castello ad Antimo Savelli. Successivamente, nel 1403, i Baroni Naldi della Bordissiera entrarono in possesso del feudo seguiti in ordine cronologico dalla famiglia Muti Papazzurri (1674), da monsignor Carlo Mauri e dai suoi eredi, la famiglia Franci, fino al momento in cui la proprietà passò, nel 1852, al Marchese Ferraioli per essere ceduta solo un anno più tardi ai principi Del Drago che sono gli attuali proprietari dell'omonimo palazzo. Di un certo interesse perché singolare è l'attuale stemma del Comune di Filacciano, rinvenuto su antichi documenti presso l'Archivio di Stato. è costituito da un compasso e da cinque stelle con la legenda "COMMUNITAS FELICIANI". Nella parte alta dello stesso è visibile una croce e nella parte bassa la mezzaluna simbolo dei Muti Papazzurri. Palazzo Del Drago: la prima costruzione a Filacciano fu una torre successivamente incorporata nel castello. Al posto di quest'ultimo fu eretto il Palazzo Del Drago. Questa è la ragione per cui il Comune ha assunto a suo emblema, per un certo periodo, una torre. Lo stemma dei Muti sui cippi di pietra davanti all'arco di ingresso della proprietà Del Drago e quello degli Orsini sulla chiesa parrocchiale, originariamente parte del castello, testimoniano soltanto di alcuni dei precedenti proprietari».
http://www.prolocofilacciano.it/
Fiumicino (castello o Episcopio di Porto)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Sul lato sinistro della Via Portuense, procedendo da Roma verso il litorale, l’Episcopio di Porto, conosciuto anche come il Castello di Porto, si offre ai visitatori in tutta la sua imponenza col suo caratteristico aspetto di borgo medievale fortificato. Sulle mura e sulle porte dell'Episcopio si individuano gli stemmi di papa Sisto IV a testimonianza degli interventi di ripristino effettuati per la visita del 1483 quando viene accolto a Porto dal nuovo vescovo Rodrigo Borgia, il futuro papa Alessandro VI. Da un portale del 1771 si entra nella corte interna,dove, oltre ad un cortiletto con facciatine settecentesche, si trova la parte più antica. L'aspetto attuale, che presenta numerose interpolazioni strutturali, è per lo più da attribuirsi all’opera di restauro voluta dal cardinale Corneo nel 1538, come si evince da un’iscrizione situata nel cortile interno. Sulla corte si individua la modesta chiesa dei SS Ippolito e Lucia, ricostruita nel 1582 e ampliata verso la fine del ‘600 dal cardinale Flavio Chigi che creò una nuova cappella in onore di S. Erasmo e fece realizzare il grande orologio sulla torre. L’Episcopio di Porto, lungo la Via Portuense, è racchiuso in una cinta rettangolare del XII sec, restaurato poi verso la fine del 1400. L'edificio viene citato per la prima volta in un documento di donazione del 983 come castrum, cinto da mura difensive e dotato di rocca, e con il nome di Rocca di Porto. La rocca medievale costituisce il nucleo dell'odierno complesso e raccolse la popolazione della zona nel corso dei secoli. L'aspetto attuale, di un vero e proprio castello fortificato, fu ad opera della famiglia romana degli Stefaneschi. Verso la metà del XV secolo, terminato il dominio della famiglia Stefaneschi, il castello tornò di proprietà della Chiesa e nel 1463 papa Pio II (Piccolomini) viene ricevuto dal vescovo di Porto, proprio nel castello ormai abbandonato, e per questo predispone dei lavori temporanei. Verso la fine del ‘600 ci furono nuove ristrutturazioni da parte del cardinale Flavio Chigi che creò una nuova cappella in onore di S. Erasmo e fece realizzare il grande orologio sulla torre».
Fiumicino (torre Perla o di Palidoro)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Nota anche come torre Perla, è una torre costiera dell'Agro Romano, situata nella località Palidoro del comune di Fiumicino, risalente al periodo delle invasioni saracene. Eretta sui resti di una villa romana, serviva ad avvistare le navi nemiche che si avvicinavano alla costa e svolgeva quindi funzione difensiva del Castello di Palidoro. Non è un caso, infatti, che sorga proprio accanto al fosso delle Cadute, visto che i corsi dei fiumi erano la meta preferita dei pirati per rifornirsi d’acqua. Nel 1019 l'area venne menzionata da papa Benedetto VIII col toponimo Palitorium. Nel 1480 la comunità di Roma menziona un castrum presente nell'area. La tenuta fu di proprietà della famiglia Muti, e in seguito dal XVII secolo della famiglia Peretti, che la cedette infine all'arcispedale di Santo Spirito in Saxia di Roma. Nel 1562 la torre venne restaurata da Bernandino Cirilli, Commendatore dell'Ospedale, ed è arrivata sino a noi conservando le caratteristiche del restauro. è una costruzione a pianta quadrata di quattro piani e ha un’altezza di poco superiore ai venti metri. L'attività prevalentemente agricola dell'entroterra spiega come mai la torre non ebbe rilevanti azioni militari. Secondo la "Relazione" del Grillo del 1624, non è "tore di molta considerazione" e la Camera Apostolica la rifornisce di un solo barile di polvere da sparo nel mese di agosto. Il Miselli nel suo manoscritto del 1692 dice di aver trovato nella torre un torriere ed un soldato, mantenuti dalla Casa di Santo Spirito, proprietaria del manufatto. Da un catasto del 1845 si sa che la torre era munita di ponte levatoio attualmente sostituito da una passerella. Si accedeva al primo piano della torre per mezzo di una scaletta di legno per poi salire alla Piazza d’Armi in cima alla torre. L’episodio che spesso viene ricordato riguardo alla torre di Palidoro è quello del 1748 quando una “galeotta” barbaresca si arenò, a seguito di una tempesta, presso lo stagno della torre. L’equipaggio scese dalla nave con le armi ma, chiamate dai segnali della torre, le milizie pontificie accorsero e fecero prigionieri i barbareschi. La torre di Palidoro è a vista con il Castello Odescalchi di Palo e dista circa 7,5 Km dalla Torre Primavera di Fregene. Attualmente poco distante dalla torre di Palidoro si erge la stele di Salvo D’Acquisto che nel 1945, dichiarandosi responsabile di un attentato nei confronti delle milizie naziste, salvò la vita a numerose persone».
http://castelliere.blogspot.it/2013/11/il-castello-di-martedi-19-novembre.html
Formello (palazzo Chigi)
«Dal 2011 nuovo polo culturale della città, il Palazzo è oggi sede del Museo dell’Agro Veientano, della Biblioteca comunale e dell'Ostello della Gioventù Maripara.Il Palazzo prende il nome dalla famiglia che dal 1661 lo acquistò dagli Orsini, precedenti proprietari del feudo. Tra i celebri abitanti del Palazzo, ricordiamo almeno la figura straordinaria del cardinale Flavio Chigi, nipote di papa Alessandro VII e primo proprietario, il quale creò l’Appartamento Novo nel Palazzo, rinnovato come residenza privata. Allestì anche un Museo delle curiosità naturali, peregrine e antiche, tipica per l’epoca, nucleo originario delle collezioni Chigi nel Palazzo fin dal Seicento. La grande torre-mastio duecentesca, posta a difesa del borgo, è ancora in parte conservata all’interno del Palazzo Chigi, ed è stata ripresa dalla creazione moderna dell’arch. Andrea Bruno. Nella seconda metà del Quattrocento la stessa torre venne sfruttata dagli Orsini come nucleo centrale di un palazzo residenziale, con due piani, più un terzo solo sulla facciata, una corte interna, una loggia e stanze decorate con affreschi e grottesche. Nasce il palazzo residenziale che più tardi prenderà il nome di Palazzo Chigi, ma che in realtà è per la massima parte una creazione degli Orsini».
http://terrediveio.eu/terrediveio/generaDettaglio.do?idPagina=CID133&tipoScheda=LC
Formello (villa Chigi Versaglia)
«Svetta sulla campagna sottostante in tutta la sua maestosità la “torre della Villa”, come viene chiamata in paese. è la torre colombaia di villa Chigi Versaglia. La villa, ormai in rovina e pericolante, venne fatta erigere dal cardinal Flavio Chigi intorno al 1664 come residenza estiva, e un tempo simboleggiava la potenza dei Principi Chigi in questa zona. Nipote di papa Alessandro VII, il cardinale contattò noti architetti del periodo per la realizzazione della residenza. Molto probabilmente i lavori iniziarono verso la fine del 1664 sotto la direzione dell’architetto Felice della Greca, ma diversi altri architetti ci lavorarono, e nel 1666 troviamo Carlo Fontana a dirigere i lavori. Formata da un insieme di edifici distribuiti armonicamente, il complesso abitativo si componeva di quattro strutture: la casa padronale, la torre colombaia, la cappella, il casino. Il nome per la residenza fu imposto su espressa volontà del prelato. Infatti, di ritorno da una missione diplomatica in Francia, il cardinale decise di improntare la tipologia della costruzione in atto proprio sul modello della reggia di Versailles dalla quale era rimasto affascinato. Gli arredi e le strutture di Villa Chigi Versaglia presentavano una raffinatezza e un buon gusto dettato anche dal mecenatismo del suo committente. Pittori e indoratori lavoravano ai soffitti del casino, busti di modelli di imperatori arrivavano dalla città per allestire il giardino, quadri raffiguranti paesaggi, battaglie, scene di caccia e giochi villani, impreziosivano le pareti della residenza. Purtroppo con la morte del cardinale Flavio, avvenuta nel 1693, la villa iniziò una inesorabile decadenza. Già nel 1771, un inventario del luogo evidenziava il cattivo stato delle strutture, alcune delle quali venivano definite inservibili. Quando nel 1908 il tetto a travature reticolari che ricopriva l’edificio venne smontato per essere usato nella villa di Castel Fusano che la nobile famiglia aveva acquistato nel 1775, si decretò “l’atto di morte” della residenza formellese.
Il complesso, costruito con grande amore nella cura dei dettagli e dei particolari, tanto da apparire come un piccolo gioiello di architettura, è ormai rappresentato da poche mura rimaste in piedi, forse, soltanto grazie alle amorevoli attenzioni e all’impegno dei suoi costruttori. Della villa rimangono le quattro pareti portanti, mentre su quello che doveva essere il pavimento, giacciono cumuli di calcinacci, insolito appoggio per le alte piante cresciute all’interno. La cappella alla sua destra, intitolata a san Francesco di Sales, appare ancora intatta: il portale di peperino, lo stemma araldico sul frontale, l’interno che conserva ancora la sua originaria pavimentazione, la volta ellittica, l’altare maggiore e le quattro piccole sacrestie poste agli angoli della costruzione fanno pensare alla sacralità del luogo nonostante rovi ed erbacce invadano l’esterno. Ricordano gli anziani del paese di come per commemorare il Santo, il 24 gennaio, tutte le scolaresche venivano condotte in processione fino alla cappella attendendo l’arrivo del Principe il quale, dopo la funzione religiosa, regalava loro una caramella, fatto davvero eccezionale per l’epoca. La piazza sulla quale affacciavano tutti gli edifici non c’è più. Intorno ci sono scavi di grotte in tufo adibite a cantina, pozzi e cunicoli, uno dei quali, si racconta, colleghi la Villa Versaglia con il Palazzo Chigi. La torre colombaia intanto continua ad assolvere il compito per cui era stata preposta, ospitando al suo interno intere famiglie di volatili ignari dell’antica fastosità che quel luogo ebbe in tempi remoti. Con la riforma agraria del 1950 e la nascita di Enti di riforma, molte terre vennero espropriate ai grandi proprietari. Un cinegiornale dell’epoca ricorda come “la piccola Versailles di Formello” e gli oliveti intorno alla villa vennero frazionati ricavandone una cinquantina di quote di 6000 mq. ciascuna. La Villa, acquisita dall’Ente Maremma, ancora oggi non è stata riassegnata. Un vero peccato».
http://www.formello.org/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=526 (a cura di M. Cristina Montani)
Gavignano (palazzo baronale o castello Aldobrandini)
«Il Palazzo Baronale, situato nel punto più alto della collina gavignanese, con ogni probabilità è stato realizzato dai Conti di Segni, proprietari di vasti possedimenti territoriali. Uno dei loro discendenti nato in questo stesso palazzo nel 1160 diventerà il celebre pontefice Innocenzo III. Dopo la distruzione del 1495, l’edificio ha subito trasformazioni notevoli che hanno lasciato una minima traccia dell’ originaria struttura. Diviene un vero castello-residenza: forma quadrata, cortile, ampi saloni, alloggi per la servitù, numerose stanze. Una generale ristrutturazione dell’ edificio è avviata alla fine del XV secolo ad opera del nuovo feudatario, il Cardinale Pietro Aldobrandini. In particolare si segnala l’inversione della facciata principale, con l’ingresso del palazzo in posizione più elevata rispetto al livello della piazza. Gli interventi più recenti vengono effettuati nel XX secolo con lo scopo di restituire al palazzo l’antico aspetto medievale: viene innalzata la torretta e realizzata la merlatura. Nel 1920, il Palazzo Baronale diventa la Casa-madre delle Pie Operaie e centro propulsore di molte attività. Nel 1990, dopo l’abbandono dell’ edificio da parte delle suore, il castello resta disabitato e solo di recente è stato riutilizzato per lo svolgimento di alcune attività, quali: prove teatrali, congressi, prove musicali e altre manifestazioni socio-culturali. Dal giugno 2007 quattro delle sue stanze ospitano il Museo della Civiltà Contadina».
http://www.prolocogavignano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=58&Itemid=62
Genazzano (borgo, porta Romana, porta San Biagio)
«Il Borgo conserva tuttora l'impianto originale nato a seguito della convenzione stipulata nel 1379 da Fabrizio e Stefano Colonna, la quale regolava la costruzione di nuove abitazioni per il popolo all'interno delle mura del Castello. Camminando al suo interno, all'incrocio con Vicolo Nuovo, si notano i resti dell'antico accesso secondario di Porta Portella. Caratteristici sono i suggestivi vicoli che si diramano dal borgo lungo tutto il paese: via dei Sopportici ne è un esempio. Porta San Biagio. La Porta è sormontata da un'edicola sorretta da colonnine marmoree. Nella nicchia si intravede un affresco da poco restaurato di una Madonna con Bambino, identificato come "Madonna di Loreto". A sinistra dell' antica vestigia della Porta sorge un'alta casa del XIII sec., in origine torre di guardia del vecchio accesso al paese in epoca medioevale. Sul fronte esterno la torre è ornata da una finestra bifora. Porta Romana. Sormontata dallo stemma del paese in cotto rosso, ne costituisce il principale accesso. È protetta sulla destra da un torrione poligonale che cinge l'area dell'antico cimitero accanto alla chiesa di S. Croce; sul lato sinistro presenta uno snello torricino circolare scarpato. La parte sommitale è coronata da merli ghibellini. La Porta è il risultato di notevoli interventi eseguiti alla metà del Seicento per volere del cardinale Girolamo Colonna su una struttura preesistente. Inoltre, è stata oggetto di restauri dopo i bombardamenti del 1944. Poco oltre, sulla destra, si notano i resti di una porta ancora più antica, coerente con l’ubicazione dell’Ospedale e dell’annessa chiesa di S. Croce».
http://www.genazzano.org/il-borgo.html - http://www.genazzano.org/porta-san-biagio.html - http://api.culturalazio.it/montiprenestini/genazzano.aspx
Le foto degli amici di Castelli medievali
«A nord, su di una collina tufacea, il Castello Colonna domina su Genazzano in tutta la sua maestosità e splendore. La sua storia è legata, come testimonia il suo stesso nome, alla famiglia Colonna che nel corso del tempo, di generazione in generazione, grazie ad ampliamenti, trasformazioni, opere di abbellimento, resero il Castello da semplice fortezza difensiva a residenza padronale di grande rilievo artistico e architettonico. Il primo documento che riguarda il castello Genazzano risale al 10 agosto 1022 ed è un atto di donazione per la badia di Subiaco. Già nel 1053 passa alla famiglia Colonna che vi installa la prima struttura solo nel Medioevo, intorno al 1227, per adibirlo ad avamposto difensivo. La fortezza infatti è posta a nord e presenta due torri per meglio difendere il luogo da eventuali attacchi nemici. Soltanto nel periodo rinascimentale la fortezza viene trasformata in residenza personale della famiglia, grazie ai lavori intrapresi da Filippo Colonna, principe del paese. Oddone Colonna che nacque a Genazzano alla fine del 1300 e che divenne poi papa nel 1417 con il nome di Martino V, fece restaurare la parte ovest del castello per adibirla a sua residenza. Le cornici in marmo delle finestre, i camini e i sedili in marmo delle sale di rappresentanza si contrappongono agli elementi in travertino del versante est del castello, l'"ala borgiana"; Infatti tra il 1500 e il 1503 il castello fu posseduto dalla famiglia Borgia che contribuì ad opere di fortificazione nella parte orientale di esso. Nel 1503 il feudo fu assegnato a Pompeo Colonna (probabile committente del Ninfeo), che contributi alla sistemazione del portico nel cortile: il secondo livello del portico è infatti cinquecentesco con i suoi archi a tutto sesto, i capitelli e basi in stile dorico, mentre si può ritenere che il terzo livello sia stato aggiunto nel 1639 dal cardinale Girolamo Colonna. Questi contribuì alla realizzazione degli affreschi della cappella situata al primo piano, nell'ala est, raffiguranti squarci di paesaggi e scene sacre.
Nel cortile si trovano un pozzo ed una fontana ottagonali, anch'essi del periodo rinascimentale voluti da Filippo Colonna e che ricevevano l'acqua dall'acquedotto romano, i cui resti permangono ancora nell'attuale giardino comunale, una volta parco privato della famiglia, concesso poi in affitto come terreno agricolo nel 1800. L'accesso al Castello un tempo era consentito anche al popolo che poteva rifugiarsi in caso di attacco ed usarlo come luogo di scambi commerciali durante il giorno. Ma nel XVIII secolo, la costruzione della balaustra a chiudere a sud il cortile, ne impedì l'accesso al castello da parte dei cittadini. Nonostante battaglie medievali e numerosi assedi il castello giunge incolume fino al 1915, quando un terremoto con epicentro ad Avezzano ne provoca i primi dissesti. Nel 1943, una squadriglia della RAF, per distruggere i forni allestiti dentro il castello dall'esercito tedesco che riforniva Cassino provocò notevoli crolli. Nell'immediato dopo guerra il Genio civile, demolendo completamente il vecchio ponte e ricostruendolo ad unica campata in cemento armato, operò la sua prima sostituzione edilizia. Dopo 40 anni di abbandono, nel 1979, il Castello è stato acquistato dal Comune di Genazzano che diede vita ai primi lavori di ristrutturazione. Oggi il Castello torna a dominare in tutta la sua maestosità sfoggiando il vestito di un tempo con i suoi originali colori e la sua notevole architettura. Divenuto Centro Internazionale d'Arte Contemporanea, nei suoi spazi sono state ospitate prestigiose mostre: Cucchi, Pizzicannella, la collezione Tonelli, si sono articolate nei 3000 mq di superficie suddivisa in più di 20 sale. Il Castello è dotato di una serie di servizi quali biblioteca specializzata, archivio storico, sala conferenze, servizio visite guidate, laboratori didattici, tecnologia multimediale, videoteca, biblioteca digitale e cartacea, punti ristoro e vendita».
http://www.genazzano.org/castello-colonna.html
Genzano di Roma (borgo fortificato, torri)
«è situato sul ciglio sud-occidentale del cratere del lago vulcanico di Nemi. È possibile accedervi da da Piazzale Sforza-Cesarini, Piazza G. Marconi e Via F. Guidobaldi. L’originario insediamento urbano di Genzano è costituito dal complesso di case disposte all’interno del recinto murario fortificatosi in epoca medievale, con il fulcro nella chiesa di S. Maria della Cima e nel Palazzo Sforza Cesarini. Il tessuto urbano era organizzato intorno a due polarità contrapposte, il potere politico e quello religioso. Il primo è rappresentato, appunto, dal Palazzo Sforza-Cesarini, espressione del potere della baronia dei Signori di Genzano. Il secondo, dalla chiesa di S. Maria della Cima, espressione del potere religioso. Tra queste due polarità contrapposte si snoda il dedalo dei tracciati viari interni di cui il più importante è sicuramente Corso Vecchio che congiunge la parte più alta del borgo, a lato del palazzo gentilizio, con la fiancata della chiesa al termine del Corso Vecchio. Su questo tracciato venne costruito, presumibilmente intorno alla metà del ‘600, il palazzo Dave, antica sede municipale, di cui si osserva la facciata che prospetta il lago di Nemi. Pareri discordanti sull’origine di Genzano: nella Storia di Genzano del 1797 dell'abate Nicola Ratti, i primi accenni a Genzano sono nella bolla papale di Lucio III (1183). A dare il nome a Genzano sarebbero stati i Genziani, una famiglia nobile a cui il territorio era stato ceduto nel III secolo d.C. Probabilmente negli intenti di questa ricostruzione era quello di confutare la convinzione di un’origine più antica risalente all’epoca del culto pagano di Cynthia. Alcuni contributi degli ultimi decenni dello scorso secolo riconducono, invece, l’origine di un primo addensamento urbano alla necessità di difesa delle popolazioni disperse dopo le invasioni saracene. All’epoca di Lucio III (1183), quando la coltura della canapa sembrava già stabilmente affermata, Genzano potrebbe essere stato un centro abitato, sia pur di modeste dimensioni, ma con autonome basi socio-economiche.
Il borgo fu soggetto alle autorità di diverse famiglie romane, tra cui gli Orsini, i Savelli, i Borgia, ma soprattutto i Colonna che lo possedettero per la maggior parte del tempo alternandosi con i monaci cistercensi. Questo alternarsi della proprietà del borgo antico durò per quasi 100 anni, allorché, nel 1402 il nucleo medievale venne distrutto da un incendio e la sua ricostruzione costrinse i Cistercensi ad alienare numerose proprietà. Infine, i Cistercensi nel 1428 vendettero Genzano e Nemi ai Colonna per la cifra di 15 000 fiorini. Nel 1479 fu acquistato dal Card. Guillaume d'Estouteville e nel 1485 passerà nuovamente ai Colonnesi, ma sotto la giurisdizione della Santa Sede. I Colonna reggeranno Genzano per circa 80 anni, periodo nel quale il borgo ebbe l'esenzione delle tasse, il che portò a un primo lieve incremento demografico. Nel 1564 Genzano passò ai Cesarini. Nei documenti di cessione, Genzano è descritto come un castello con mura fortificate, munito di torri, fortilizi, porte castellane, in gran parte migliorato e restaurato dagli stessi Colonna. Da questo anno in poi, Genzano resta proprietà dei Cesarini, i quali, garantendo stabilità politica e giuridico-sociale, permettono al paese prosperità economica ed il conseguente sviluppo urbanistico. Il borgo medioevale aveva due ingressi. Quello principale, era situato in corrispondenza del portale del palazzo Sforza-Cesarini, poi inglobato nell’edificio al tempo del primo ampliamento effettuato dai Cesarini, tra la fine del XVI sec. e l’inizio del XVII sec. Il secondo era nei pressi del palazzo Sorbini ed usciva su quella che i catasti descrittivi del XVII sec. denominavano come la Piazza di Fuori. Da qui si raggiungeva la zona dell’Annunziata oppure, attraverso la salita dei Merli, si scendeva verso l’Appia Antica, dove si trovava il convento di S. Carlino oggi non più esistente e i tracciati che distribuivano il territorio agricolo circostante».
http://www.comune.genzanodiroma.roma.it/turismo/Monumenti/SitePages/borgo_medievale.aspx
Genzano di Roma (castello di San Gennaro)
«Le strutture affioranti presso S.Gennaro hanno evidenziato almeno tre fasi edilizie, che sottolineano come questa zona sia stata oggetto di frequentazioni in età romana e medievale: IV-III secolo a.C.: età medio-repubblicana (testimoniata da blocchi di tufo in opera quadrata). I sec. a.C.-inizi I sec. d. C.: viene edificata una villa di cui si conservano i resti di una cisterna e dell’impianto termale. Particolarmente evidenti sono 3 ambienti paralleli, che fino in epoca recente sono stati utilizzati dai pastori come ricovero per il gregge. XII sec. d.C.: è la fase del Castello medievale di S. Gennaro, di cui si conservano le mura di cinta e resti dei torrioni. Anche se in rovina da secoli, il castello è tuttora chiaramente identificabile per la permanenza di cospicui tratti di mura di epoca medioevale in blocchetti di tufo, che racchiudono una spianata di circa 7000 mq. La costruzione della cinta fortificata va probabilmente attribuita alla famiglia degli Annibaldi nel XIII sec. d.C. Nel 1270 il luogo era già abitato come sembrerebbe testimoniare la notizia relativa al Prosenatore di Roma, Pietro de Sumoroso, che ordinò di raccogliere armate da luoghi diversi, tra cui “De sancto Iennaro”, per marciare contro Rocca di Papa e Cisterna. Il castello venne in parte distrutto nel 1303 dai Veliterni in una rappresaglia contro gli Annibaldi; i danni non furono riparati e il castello fu abbandonato. La zona di San Gennaro ha evidentemente suscitato, fin da tempi remoti, un certo interesse per la sua storia e ancor più per la presenza di resti antichi, come testimonia una concessione di scavo per ricerche di antichità del 10 ottobre 1563 e rinnovata il 2 marzo del 1575 a tal Andrea di Velletri.Sono stati rinvenuti molti oggetti all’interno del Castello e, soprattutto, nei terreni circostanti: frammenti in marmo di colonne, capitelli, lesene, sculture, fregi, piastrini scanalati ecc.».
Genzano di Roma (Monte Due Torri)
«Il toponimo di Monte due Torri trae origine dall’esistenza di due torri di ascendenza medioevale poste sulla sommità del colle ed i cui resti erano ancora visibili prima dell’ultima guerra. Monte due Torri è un sito archeologico che si eleva a fino a 415 metri sul livello del mare. I resti si trovano sulla cima del Monte due Torri, cui si accede da proprietà privata attraverso sentieri sterrati. Questo piccolo rilievo, prodotto dall’attività eruttiva del vulcano laziale, domina un vasto paesaggio, affacciandosi a nord-ovest verso Ariccia e più oltre verso Roma, a sud-ovest verso il mare, a sud e ad est verso Lanuvio e l’area della villa degli Antonini. Per la sua natura di rilievo isolato nella campagna, la vista che si gode dalla cima di Monte due Torri è ragguardevole Nel 389 a.C., a causa delle ripercussioni interne dovute alla invasione gallica, Roma si trovò in contrasto con le popolazioni confinanti. La città si affidò per la difesa a Camillo che, diviso l’esercito in tre parti e preso il comando di una di esse, si mosse contro i Volsci sconfiggendoli in una località, non lontana da Lanuvium, chiamata ad Maecium. Il Nibby (1848-49) e il Tomassetti (1910) identificarono il Mons Maecium proprio con Monte due Torri. Non si conosce la storia di questo sito in epoca romana, sappiamo solo che all’inizio della fase medioevale era già abitato e fortificato. Il 18 luglio del 1410 l’antipapa Giovanni XXIII donò il fondo ai Colonna, i quali lo mantennero, con una interruzione tra il 1433 ed il 1446, fino al 1563. Il 26 settembre di quell’anno Marcantonio Colonna, il futuro condottiero delle truppe pontificie nella battaglia di Lepanto del 1571, vendette Monte due Torri a Fabrizio Massimi, per liberarsi dei debiti contratti per costituire la dote della sorella; il Massimi a sua volta il 2 ottobre del 1564 lo rivendette a Giuliano Cesarini, signore di Genzano.
I Cesarini mantennero la proprietà del fondo per più di un secolo; Filippo Cesarini, il 29 aprile del 1677 ne concesse l’enfiteusi perpetua ai frati Carmelitani di S. Martino ai Monti di Roma, i quali ne mantennero la proprietà fino agli inizi del ‘900 La sua facile difendibilità e l’ottimo clima condizionato dalla fascia marittima hanno reso nel passato Monte due Torri un luogo strategico per gli insediamenti umani, nonché un riferimento visivo e topografico importante. Quest’ultimo aspetto ha rappresentato, purtroppo, anche la sua sorte, con la definitiva cancellazione delle superstiti strutture in altezza: durante l’ultima guerra, infatti, le truppe tedesche, per ostacolare l’offensiva bellica degli alleati, distrussero i resti delle torri medievali ancora in piedi. Agli inizi del secolo era ancora visibile la piattaforma su cui anticamente sorgeva il castello. Questa era di forma più o meno circolare, fiancheggiata per tre lati da una specie di corridoio, di cui restavano le pareti in, qualche traccia del pavimento e, sulla soglia dell’ingresso verso sud, due grandi blocchi di peperino squadrati. Altri avanzi del pavimento si trovavano davanti alla soglia e fuori della costruzione. Davanti alla costruzione, all’angolo sud–ovest, si ergeva una delle due torri. Essa era a base quadrata, alta circa 20 metri, senza copertura, in piccoli parallelepipedi di peperino (databili al sec. XIII ), con nove ripiani di fori per le travature e con tre finestrine».
http://www.comune.genzanodiroma.roma.it/turismo/Monumenti/SitePages/Monte%20due%20torri.aspx
Genzano di Roma (palazzo Dave)
«Secondo la tradizione popolare, Palazzo Dave fu la sede comunale prima del suo trasferimento a Palazzo Meta e, infine, all'attuale Palazzo Comunale sito in via Livia, oggi via Belardi. Il Palazzo Dave, di dimensioni molto più ampie e di ricercatezza accurata rispetto al circostante contesto, è un interessante esempio di trasformazione edilizia seicentesca di una precedente cellula medievale. La sua posizione è centrale rispetto al Borgo medievale e, anche se oggi sono molto visibili i segni del tempo, resta un fascino antico da riscoprire. Nel 1600 doveva essere un palazzo molto importante, il cui proprietario era tale Antonius Davius, tradotto dal latino Antonio Dave (da cui il termine di Palazzo Dave). Questo nome è inciso nel marmo sul portone d’ingresso e, in base all’interpretazione che si prediligie, Davius Professor (o Protonotarius, o Presbyter) Leodiensis Curialis Romanus, si può dedurre che Palazzo Dave sia stato costruito tra il 1624 (membro della curia romana e scrittore delle lettere apostoliche) e la fine degli anni ’50 (Protonotario Apostolico). Di Antonio Dave si sa che nel 1624 era scrittore delle lettere apostoliche e membro della curia romana, mentre nel 1650 è tra i professori della Facoltà teologica di Lovanio. Prima del 1657 fu nominato Protonotario Apostolico. Il palazzetto si trova all’interno del Borgo medievale, lungo Via del Corso Vecchio, alle spalle della mole del palazzo Sforza Cesarini. Ha la particolarità di essere accessibile anche dal retro, attraverso uno stretto vicolo da Via dei Cesarini, il quale trovandosi ad una quota notevolmente più alta rispetto al fronte principale, immette direttamente al livello del secondo piano. Palazzo Dave è oggi una residenza privata che gode di un vasto panorama sul lago di Nemi».
http://www.comune.genzanodiroma.roma.it/turismo/Monumenti/SitePages/Palazzo%20Dave.aspx
Genzano di Roma (palazzo Sforza Cesarini)
«La storia del palazzo ha inizio nel 1564 quando Giuliano Cesarini (1491-1565), acquisì il borgo medievale di Genzano. Sui resti, dell’ormai decaduto, recinto fortificato fatto erigere dai monaci cistercensi fra XII e XIII secolo, Giuliano vi farà costruire la sua residenza. Il palazzo si trovava alla destra dell’attuale portale che in origine costituiva l’ingresso principale al borgo; i resti del primitivo corpo di fabbrica sono ancora ravvisabili internamente nel notevole spessore delle murature su questo lato. Nel 1641 circa, la struttura verrà ampliata per opera di Giuliano III Cesarini († 1665), autore tra l’altro di importanti interventi urbanistici a Genzano come le “olmate”, i viali alberati improntati tra il 1637 ed il 1643 con la costruzione della chiesa dei Cappuccini. Giuliano III rileverà alcune case presenti sulla sinistra del portale (verso il lago di Nemi) che verranno inseguito demolite. Il nuovo palazzo, che si svilupperà dunque oltre il portale, si costituiva di un solo piano nobile, un mezzanino e dal tetto, come testimoniato da un’incisione di Gregorio Tomasini del 1664. Tra il 1714 ed il 1730 l’architetto Ludovico Gregorini (1661-1723) realizzerà la facciata attuale, aggiungendo un nuovo corpo di fabbrica verso il lago conferendo così all’edificio un aspetto simmetrico; durante tale intervento il palazzo verrà dotato anche di un ulteriore piano. Dopo la morte del Gregorini i lavori sulla facciata verranno portati a termine dal figlio Domenico (1692-1777). Autore invece del portale e della finestra del piano nobile, fu Domenico Michele Magni (circa 1668-post 1739) che vi sottointese tra il 1714-1715. Gli ultimi interventi di sistemazione del palazzo si datano all’Ottocento.
Tra il 1846 ed il 1857 l’architetto Augusto Lanciani (1810-?) provvederà, per conto del duca Lorenzo Sforza Cesarini (1807-1866), non solo ad eseguire interventi di restauro dell’edificio esistente, ma anche al rifacimento degli interni (lo scalone d’onore ad esempio) e relativa decorazione, ma inoltre ad aggiungere un corpo di fabbrica nella parte posteriore e progettare le nuove facciate verso Genzano vecchio e il lago. Unico esempio nel suo genere nel territorio dei Castelli Romani, nacque come parco romantico all’inglese per volere del duca Lorenzo Sforza Cesarini e della consorte, la duchessa Caroline Shirley (†1897). Nel 1838 il duca comprò alcuni terreni sul lato rivolto verso il lago, e nel 1844 il casino di Giovan Battista Bassi, divenuto poi nel 1916 proprietà delle suore Agostiniane. A sovraintendere ai lavori di sistemazione del parco a partire dalla metà degli anni quaranta dell’Ottocento fu l’architetto Augusto Lanciani, il quale negli stessi anni si trovava impegnato nella ristrutturazione del palazzo per volere dello stesso Lorenzo. La sua estensione è di 96.000 Mq, quasi 10 Ha; al suo interno vi sono 2,5 Km di sentieri, che raggiungono le sponde del lago. Il dislivello tra il paese e il lago è di 150 m».
http://www.reteviaggi.eu/rv13336/palazzo-e-parco-sforza-cesarini
GERANO (fortino del Poggio, torre e palazzo dell’abate Giovanni V, palazzo di Corte)
«Fortino del Poggio (già ex “Casa Pompuli” e limiti del Vico “Trellanum”): visibili ancora le feritoie del forte e le fondamenta delle case (nel bosco adiacente) diroccate nell’attacco di Pietro IV contro i tiburtini, nel 1128. Sul terzo gradone dal fortino in direzione Maranera, sepolta giace la tomba cumulativa dei caduti. Sul lato destro l’area degradante verso Maranera è il sito dell’antico Trellanum, suburbio dell’attiguo municipio di Trebula Suffenas (sec. VI – IV d.C.). è il paese che ha dato gli abitanti a Gerano quando tra l’VIII e il IX sec. i Trellanenses si trasferiscono e si fortificano a Gerano. Il suo nome appare per l’ultima volta sulla lapide sulla torre campanaria di S. Scolastica dell’Abate Umberto. ... Centro storico (IX-X sec.): dedalo di strette vie che si inerpicano da “Porta Amato”, “Porta Maggiore” e “Porta Cancello” per convergere verso S. Maria e la parte più alta del vecchio “castrum”. Notevoli, tra gli arditi edifici intersecati tra strade, i portici a volta, sorretti da archi (solo qualcuno gotico) aperti si di una semplice pietra- capitello, di particolare interesse gli stipiti, i portali e gli ingressi delle botteghe artigianali in pietra locale (tufo). ... Torre e Palazzo dell’Abate sublacense Giovanni V: costruiti nel 1077 sulla parte più alta del paese. Interessante l’androne del palazzo con busto funebre (effigie romana), aquila imperiale sulla volta e scalinata interna: all’esterno balconcini, stucchi settecenteschi e stemma dell’esercito pontificio. La torre (in via del Torricello) venne eretta per il controllo della strada che conduceva a Subiaco. ... Palazzo di Corte: Tribunale locale e dazio circondariale (XIV sec.), in via del Municipio, la successiva attuale costruzione incorpora nel chiostro interno un antico pozzo. Sulla piazzetta antistante si tenevano la aste municipali che si aprivano con l’accensione della candela. Lucernai e ingresso scala guardie della Torre: nell’angolo nord di P.zza Roma, a sinistra di Porta Maggiore, visibili antiche feritoie e scalinata di servizio usata dalle guardie della Torre. ...».
http://www.gerano.rm.gov.it/pagina/siti-di-interesse-storico-archeologico-culturali
Giardini di Corcolle (castello di Corcolle o Colonna Barberini)
«Il Castello di Corcolle risale all'anno 1074, fu di proprietà dei Colonna, poi dei Barberini e per breve tempo dei Corsini. Oggi è gestito dalla famiglia Piccioni-Planner. Il Castello di Corcolle si adagia su una collina nel cuore della campagna romana, in una posizione meravigliosa, a meno di trenta minuti da Roma, vicino a Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli, nei pressi di Frascati e dei bagni termali Acque Albule. Il Casale offre ai suoi ospiti quattro ampie camere da letto tutte con bagno interno e una suite con colazione servita nella loggia panoramica. Nel ristorante è possibile degustare una cucina casalinga con i prodotti genuini dell’azienda agricola del Castello. I due ampi saloni e l’ampio giardino si prestano ottimamente all’organizzazione di matrimoni, feste, eventi e convegni. Le serate estive sono magiche con musica, fiaccole e stelle. L'agriturismo, immerso in un ambiente di interesse storico e culturale, offre ai suoi ospiti il comfort di una struttura per il pernottamento curata nei minimi particolari e il piacere di una proposta enogastronomica genuina e saporita. L'agriturismo offre, inoltre, la possibilità di visitare la fattoria didattica, fare escursioni e visite guidate a Roma e dintorni o passeggiate lungo i ruscelli e i boschi della tenuta agricola» [Il casale e il castello di Corcolle sono stati spesso utilizzati dal cinema, specialmente nei film "spaghetti-western"].
http://www.castellodicorcolle.com/index.php?option=com_content&view=article&id=9&Itemid=16&lang=it
Gorga (castello Doria-Pamphilj)
«Il primo documento storico in cui compare il nome di Gorga è la bolla di Urbano II del 1088, in cui il castello di Gorga è incluso tra quelli sotto la giurisdizione di Anagni. Nel 1151 avvenne il trasferimento delle terre di Gorga al monastero di Villamagna in cui operavano molti proprietari terrieri provenienti da Anagni, noti con l’appellativo di condomini. Nel 1216 venne siglato il primo giuramento di vassallaggio nella chiesa di S. Michele Arcangelo. Sul finire del XIII secolo tutta la zona fu posto sotto il dominio dei Conti di Segni, nel 1495 Gorga venne saccheggiata e devastata dalle truppe del re di Francia. Nel 1648, al termine di una lunga causa giudiziaria, la famiglia dei Teodoli di Marsciano subentrò nel possesso di Gorga alla famiglia Conti che, per quattrocento anni, era stata feudataria della zona. Nel 1659 il feudo di Gorga, acquistato dalla famiglia eugubina, era stato infatti messo all’asta dall’amministrazione centrale pontifica, la Reverenda Camera Apostolica, che aveva requisito il feudo al conte Marc’Antonio di Marciano, pressato dai debiti. Il governo del conte, benché non di lunga durata, era stato tuttavia disastroso poiché aveva gravato la comunità di Gorga con una serie di provvedimenti molto restrittivi e pesanti dal punto di vista economico. Il possesso del feudo passò alla famiglia Pamphilj, già feudatari della vicina Valmontone e di molti altri paesi dei dintorni; ciò decretò, nella seconda metà del Seicento, la perdita della rocca poiché la famiglia romana trasformò, demolendola, la primigenia struttura architettonica fortificata per adeguarla ad esigenze di carattere più residenziale. La proprietà di Gorga da parte dei Pamphilj rappresentava per essi un sicuro investimento tanto in termini economici quanto di immagine; al contempo, per la comunità lepina segnava un’importante svolta tesa al ripristino della stabilità politica nel paese; si riaccesero le future speranze della comunità locale, ormai ridotta allo stremo e all’esiguo numero di 609 abitanti. Non a caso, il Castello di Gorga entrava a far parte, con tale acquisto, di quel “bellissimo stato” che i Pamphilj, ormai da anni, avevano teso a costruire in quel territorio grazie al possesso di molte località circonvicine. Nel 1760, essendo i Pamphily rimasti senza eredi maschi ed avendo la loro ultima discendente, Anna, sposato Giovanni Doria, Gorga passa alla casata dei Doria-Pamphily. ...».
http://www.gorga.rm.gov.it/pagina/storia
GROTTAFERRATA (Borghetto o castel Savelli)
«Da non confondersi con l'omonimo sito in Comune di Albano, anche nel caso di Grottaferrata si tratta di un castello fortificato che poggia su un tratto di opera cementizia romana. La torre, quadrata (7 m. di alto) è impostata sui resti di una cisterna romana. Di un antemurale che circondava la torre sono rimasti alcuni tratti nei lati nord, sud ed est, composti da filari di blocchetti in selce alternati da fasce in scaglie marmoree bianche. La Torre è costruita in piccoli parallelepipedi di tufo e peperino, con scaglie marmoree al di sopra dell'ingresso. Nel lato ovest è conservata, al secondo piano, una porta-finestra utilizzata a scopi difensivi. Si notano ancora le feritoie e ordini di fori per le travature interne. Il fortilizio doveva costituire, oltre che una vedetta delle via Latina, uno dei posti di guardia di Castel Borghetto. Funzioni attuali: sito archeologico. Funzioni originarie: presidio militare. Indirizzo: Grottaferrata, via Anagnina, Km 5,300 Storia: fino al XII secolo era di proprietà dei conti del Tuscolo. Fu rocca dei Savelli fino al XV sec., periodo in cui sotto il cardinal della Rovere divenne avamposto dell'Abbazia di Grottaferrata».
http://bbcc.collineromane.it/schede/castel-savelli
GROTTAFERRATA (rocca dell'abbazia greca di San Nilo o castello roveriano)
«Molte furono le peripezie subite dal Monastero attraverso i secoli. Le lotte tra le città di Roma e di Tuscolo portarono alla distruzione di quest’ultima nel 1191. Tra il XII e il XV secolo si susseguirono molti altri saccheggi ai danni del Monastero. Nel 1482 il cardinale commendatario Giuliano Della Rovere, decise di provvedere l’Abbazia di una valida difesa, costruendovi intorno massicce opere di fortificazione. Sorse così in pochi anni quel castello che dal Della Rovere prende il nome. Le opere di difesa sono costituite essenzialmente da un grosso e alto muro di cinta e da una rocca all’angolo nord-est del palazzo residenziale del cardinale commendatario. La rocca, alta oltre venti metri, è munita sul davanti di una torre semicircolare dell’altezza dei muraglioni, con l’evidente scopo di difendere con tiri bassi l’adiacente ingresso al Castello. L’entrata originaria era costituita da un ponte levatoio che collegava la strada e un grande portone. Questo portone esiste ancora, incorniciato da un portale di pietra albana verdognola con emblemi e trofei bellici scolpiti in bassorilievo: sui rami di rovere due targhe portano incise le parole IVL. CARD. (Iulianus Cardinalis). Le stesse parole, con l’aggiunta di OSTIEN. (Ostiensis), sono incise a lettere cubitali sul fregio della trabeazione con timpano triangolare sostenuta dalle paraste del portale. La costruzione di questo complesso di opere fortificate sembra doversi assegnare al periodo tra il 1483 e il 1491: non prima, perché nel 1482 il Duca di Calabria occupò il luogo senza colpo ferire appunto perché il Monastero era privo di opere difensive; non dopo, perché nel 1492 Giuliano Della Rovere, avversato da Alessandro VI, si vide costretto ad espatriare in Francia, e il castello di Grottaferrata passò temporaneamente a Fabrizio Colonna, che lo tenne per conto di Alfonso re di Napoli. Come probabili costruttori delle opere si fanno i nomi di due valenti architetti: Antonio da Sangallo (1463-1534) e Baccio Pontelli (1450-1494). La prosecuzione dei lavori di completamento, sia del palazzo che del porticato, fu interrotta a causa dell’elevazione al sommo pontificato (1503) del cardinale Giuliano della Rovere, che prese il nome Giulio II».
http://www.abbaziagreca.it/arte/castello.asp
Guidonia Montecelio (castello di Marco Simone)
«A poco più di 20 km da Roma. lungo la via Nomentana, sorge il castello detto di Marco Simone. Il fortilizio venne costruito sui resti di un’antica villa romana nel Medioevo e fu affittata a tal Marco Sassone. Il primo nucleo è senza dubbio riscontrabile nell’alta torre centrale, realizzata nella chiara tecnica del Trecento con tufelli. Si trattava di una sorta di fattoria fortificata, esempio peraltro molto diffuso in tutta la cosiddetta Campagna Romana nel periodo medievale. Alla torre faceva riferimento un recinto murario entro il quale prendevano posto i vari corpi di fabbrica rurali, dalle stalle alle case dei lavoratori. Verso la seconda metà del XIV secolo venne acquistata dagli Orsini, dai Capocci, entrò nei possedimenti del Monastero di San Paolo, per essere ceduta intorno al 1475 a Simone Tebaidi. Fu quest’ultimo a trasformare il vecchio fortilizio in una dimora rinascimentale, addossando alla vecchia torre un corpo di fabbrica quadrato che lasciò nel centro la torre che, anche a causa degli apparati del Trecento - beccatelli e archetti pensili -, sembrò assumere la forma di un maschio. Gli interni vennero sontuosamente decorati ad affresco per opera di allievi della scuola di Giulio Romano che decorarono le nuove sale costruite a cui fu aggiunta anche una cappella. Il nome deriva dal figlio di Simone Tebaidi, Marco, che cedette nel 1546 il fortilizio-villa alla famiglia Cesi, che alla metà del Cinquecento aveva assunto il titolo di marchesato del feudo di Guidonia Montecelio. Con i Cesi vennero eseguite nuove migliorie tra cui due avancorpi in facciata, si uniformarono le finestre ai piani, si trasformarono gli interni. Nel 1678 il castello venne ceduto ai Borghese che lo tennero fino alla fine dell’Ottocento quando passò ai principi Brancaccio. Da alcuni decenni e stato acquistato da Laura Biagiotti che ne ha voluto il restauro ed oggi il castello-villa è tornato senza dubbio all'antico splendore».
http://www.castellidelazio.com/castellodiguidoniamarcosimone.htm
Guidonia Montecelio (resti della rocca Crescenzi-Orsini)
«Le mura di cinta originarie sono larghe circa due metri, a loro furono addossati nel XIV sec. il torrione pentagonale a guardia dell'ingresso sul lato est e, dalla parte opposta, una rampa che immetteva nel castello da un'entrata secondaria. L'ingresso principale, situato in una rientranza delle mura, furono più sicuro per mezzo di due sbozzamenti costruiti in età rinascimentale (fine '400). In questo periodo, sotto gli Orsini, si cercò di adeguare il vecchio castello alle esigenze della moderna tattica, basata sulle armi. Venne raddoppiato l'intero circuito murario con uno spesso bastione a "scarpa" largo alla base oltre tre metri, che ora è parzialmente crollato. Nel rivestimento, a pianta regolarmente esagonale, era diviso in due piani (solaio ligneo) poggiato su sporgenze murarie. Probabilmente nell'interno si entrava dal piano superiore e l'attuale porta è stata aperta successivamente. Sulla spianata si trovano i resti del palazzo che includono edifici preesistenti. Al nord si eleva un lungo muro, non si sa di quale età sul quale venne elevato un ambiente coperto da due volte a crociera che a partire dal 1427 venne utilizzato un oratorio. Nel 1579 l'edificio stava già crollando. Il palazzo include anche un piccolo tempio di epoca imperiale, costruito tra il I e il II secolo dopo Cristo. Sorge sul posto del tempio più antico che doveva essere collegato con il centro arcaico. Il tempietto si elevava su un pavimento di travertino ornato di ricche cornici aveva quattro colonne sull'ingresso nel XII secolo, il tempietto fu trasformato in cappella del castello con un abside sul lato di fondo che venne parzialmente distrutto collegato al catino mediante un arco trionfale. Della costruzione centrale rimangono piccole parti nel lato occidentale. L'altra muraglia appartiene al rifoderamento rinascimentale per evitare il crollo delle antiche strutture. Il maschio aveva una altezza superiore ai 12 m. attualmente conservati. Solo nel 1979 iniziò un restauro conservativo ad opera della Sovrintendenza ai monumenti del Lazio».
http://www.montecelio.net/montecelio/la_rocca.htm
Guidonia Montecelio (tor de' Sordi, tor Mastorta)
«Nel sito fortificato di Tor de' Sordi si sviluppò nel corso del XIII secolo, epoca di operazioni militari nella zona, ma non ebbe mai un'estensione di tipo villaggio. La struttura mostra il caratteristico aspetto di un piccolo castello fortificato, costruito intorno al 1600, si sviluppa attorno ad una torre medievale d'avvistamento a pianta quadrangolare che conserva ancora il rivestimento originario di pietra del XIII secolo. Da questo si diparte una lunga cinta muraria che delimita la corte interna. Tor Mastorta, che prima del XIV secolo era un centro abitato con fortificazioni, a causa della peste del 1348 venne abbandonato. Anche presso la località di Pio Rotto esisté per un certo periodo un villaggio, che però nel 1200 era già scomparso. Infine l'insediamento di Castell'Arcione, fondato dai Capocci nel XIII secolo, nel 1400 risulta disabitato. Questi siti sopravvissero esclusivamente come tenute agricole che solo con alcune strutture architettoniche conservatesi ricordano oggi la loro origine medievale».
http://it.wikipedia.org/wiki/Guidonia_Montecelio#Medioevo_.28476_-_1517.29
«La storia di Jenne si intreccia con quella dell’Abbazia di Subiaco, il nome dell’abitato compare infatti per la prima volta il 31 ottobre 1051 nel Regesto Sublacense, con il quale papa Leone IX confermò l’esistenza di alcune proprietà tra cui anche il “fondo” di Jenne. Nel 1052 venne fortificata con delle mura ed un castello, ne fa fede una lapide marmorea con cui l’Abate Umberto fece scolpire i nomi dei castelli del Monastero di S. Scolastica, tra essi Jenne (Genna) che non è detta più “ fondo” ma “ Castello”. Intorno all’anno 1079 il “Castello di Jenne”, posto a dominio di tutta la valle dell’Alto Aniene, fu oggetto di contesa fra esponenti della famiglia di Ildemondo dei Conti di Tuscolo ed il Monastero di Santa Scolastica, successivamente, ma siamo nel XII secolo, il Castello fu reso sempre più sicuro e confortevole al punto da ospitare la famiglia di Filippo II di Marano. Dalla famiglia di Filippo II ed in questo Castello, intorno all’anno 1190 ebbe i natali Rinaldo II, futuro papa Alessandro IV, il papa di Jenne (1254-1261)» - «Nel Centro Storico di Jenne, raggiungibile dai caratteristici vicoli del Borgo, troviamo la storica Chiesa Madonna della Rocca, conosciuta anche con il nome di Santa Maria in Arce. La Chiesa è l'ultima testimonianza dell'antico castello fatto edificare dall'abate Giovanni V; all'interno è possibile ammirare interessanti affreschi risalenti al XIV secolo, ben visibile l'affresco con la Vergine, San Rocco e San Sebastiano».
http://www.jenneproloco.it/1/storia_e_tradizioni_108821.html - http://www.escursioniciociaria.com/ita/jenne-chiesa-madonna-della-rocca
Ladispoli (castellaccio dei Monteroni)
«Raro esempio di casale fortificato, sorge sul tracciato dell’antica via Aurelia, all’altezza del 35° chilometro da Roma, nel cuore della zona archeologica etrusco-romana dei Monteroni. Il castellaccio fu edificato nel XIV secolo a ridosso della strada, forse su strutture precedenti. Appartenne nel XV secolo alla basilica di San Pietro e nel secolo seguente ai marchesi di Riano. Il corpo centrale de casale, più volte ampliato e ristrutturato, risulta fortificato con quattro torri angolari munite di merlatura. La struttura ha svolto per secoli la funzione di stazione di sosta rappresentando un sicuro punto di riferimento per i corrieri, i viaggiatori e i pellegrini che percorrendo la via Aurelia potevano fermarvisi per rifocillarsi, riposare e cambiare i cavalli. Il casale perse la sua funzione quando nel XIX secolo la via Aurelia fu deviata sul tracciato attuale. In seguito il monumento venne utilizzato da mezzadri e affittuari e durante l’ultima guerra da famiglie sfollate di Ladispoli. Con la riforma agraria degli anni ‘50 divenne proprietà dell’Ente Maremma, attuale ARSIAL. Nel Castellaccio dei Monteroni nel corso dei secoli hanno soggiornato personaggi famosi come il poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli che vi fu arrestato perché privo di documenti e che raccontò l’episodio in un sonetto intitolato “Er Passerotto” (1833). Vi sostò anche san Paolo delle Croce (1694-1775), fondatore dell’ordine religioso dei Padri Passionisti e con ogni probabilità anche il famoso viaggiatore romantico inglese George Dennis (1814-1898), noto per la sua opera “Cities and cemeteries of Etruria” e l’architetto Luigi Canina (1795-1856), autore delle tavole illustrative degli scavi del 1839-40 nella necropoli dei Monteroni; è probabile che anche Teresa De Rossi Caetani, duchessa di Sermoneta, l’archeologa che diede l’avvio a tali scavi, abbia frequentato il casale così vicino all’area delle ricerche. Il GAR lo propone da tempo come sede del museo civico di Ladispoli e di un centro culturale polivalente».
http://www.assovelica.it/castellacio-dei-monteroni
«Il monumento più noto di Ladispoli è sicuramente Torre Flavia, che, da sempre è il simbolo della città. Ridotta a poco più che un rudere dai bombardamenti della II Guerra Mondiale, la torre di avvistamento, che fu costruita nel medioevo su strutture di epoca romana, porta il nome del cardinale Flavio Orsini che nel XVI secolo la fece completamente ristrutturare. Torre Flavia, che all’epoca era sulla terra ferma, faceva parte di un sistema di torri di avvistamento che si stende su tutto il litorale e di cui fanno parte le torri del Castello di Palo, la Torre Saracena di santa Severa, la torre del Castello Odescalchi di S. Marinella; venne utilizzata come torre di avvistamento fino agli inizi del XIX secolo quando era ancora armata con due cannoni di calibro 12 e 13 e 3 fucili con baionette. La base della torre (a pianta quadrata) è a scarpiera sormontata dalla porta di ingresso; all’interno vi erano due piani collegati da una scala in muratura; sulla sommità, tra quattro torrette angolari a prova di proiettile, c’era il terrazzo con una fornacella per i segnali. Nei pressi della torre sono visibili, con la bassa marea, i resti di muri romani, molto probabilmente, appartenuti ad una villa oramai sommersa dall’acqua».
http://www.assovelica.it/torre-flavia
Lanuvio (castello di Civita Lavinia, borgo)
«Nasce probabilmente come castrum già nel IX sec. d.C. per avvistare le incursioni saracene riutilizzando molto materiale di età romana che si trovava in situ. Ci si riferisce in particolare ai blocchi in peperino in opera quadrata di età romana disposti irregolarmente su almeno tre dei cinque lati del castello e che in età romana erano pertinenti al terzo terrazzamento dell’antica Lanuvium ed in particolare in Largo tempio d’Ercole, in via Alcide de Gasperi e sotto la torre semaforica in piazza Mazzini. Sarà però nel sec. XI che il borgo medioevale di Lanuvio (Civita Lavinia) grazie all’impulso dei Monaci Benedettini vedrà nuova luce e all’intervento del sec. XI vanno attribuite quattro delle cinque Torri che ancor oggi si presentano nella loro quasi totalità e buona parte della cinta muraria che è stata oggetto di un felice restauro negli anni Ottanta. Il Castello di Civita Lavinia fu oggetto di numerosi attacchi ed incursioni, tra i quali degno di menzione è quello del 1347 ad opera dei Frangipane che distrussero la rocca che venne ricostruita pochi anni dopo ma con un’edilizia tipica del XIV sec d.C. Ed infatti la torre di porta romana, con una chiara funzione semaforica, è costruita su due tamburi sovrapposti e vi è riprodotto in marmo nel tamburo inferiore, lo stemma del pontefice Vittore III (1086-1087) a cui probabilmente va, secondo Alberto Galieti, attribuita la ricostituzione del paese.. La funzione difensiva del Castello cessò nel 1564, anno in cui Giuliano Cesarini acquistò Civita Lavinia ed Ardea al prezzo di 105.000 scudi, ma è comunque il caso di ricordare, tramite brevi cenni, tutti i monumenti più significativi che si trovano all’interno ed immediatamente a ridosso dello stesso e che hanno visto la luce in epoche diverse».
http://www.comune.lanuvio.rm.it/pagina/borgo-medioevale
«Sito nel centro storico, di fronte alla Collegiata, il Palazzo Colonna venne progettato per volere dei Colonna verso il 1480. Nel 1535 vi nacque Marcantonio Colonna, eroe della battaglia di Lepanto. In seguito alla confisca dei beni ai danni della prestigiosa famiglia, divenne proprietà dei Carafa. Nel 1564 venne acquistato dai Cesarini. La struttura si presenta all'esterno con un aspetto modesto, in stile veneto-lombardo, che fa da cornice alla piazza ed all'elegante sarcofago romano del III secolo d.C., oggi adibito a fontana. Il Palazzo, di proprietà privata, non è aperto al pubblico» - «Nel pieno centro di Lanuvio, davanti alla Collegiata di Santa Maria Maggiore, c'è un palazzo non elegantissimo anzi, piuttosto anonimo: un rettangolone ricoperto da pietra locale, arenaria-calcare-tufo, secondo lo stile classico veneto-lombardo. Però, si tratta di un edificio storicamente importante poiché qui nacque nel 1535 Marcantonio Colonna, l'ammiraglio che, al comando della flotta cristiana, sconfisse i turchi nella famosa battaglia di Lepanto nel 1571. La dimora, costruita nel 1480, passò poi in mano alla famiglia dei Carafa e poi dei Cesarini che si impossessarono di molti possedimenti nel territorio, da Genzano ad Ardea. Oggi, il palazzo è privato e mostra una fontana che è un sarcofago di età romana con un tondo da cui sgorga l'acqua e che rappresenta il volto della dea Giunone Sospita» (a c. di Cinzia D'Agostino).
http://www.visitcastelliromani.it/it/lanuvio/da-vedere/101-da-vedere-63/palazzo-colonna - http://www.minube.it/posto-preferito...
Lanuvio (torre di Porta Romana)
«Lanuvio nacque probabilmente come castrum già nel IX sec. d.C., con funzione di avvistamento e difesa dalle incursioni saracene. Il Castello fu costruito riutilizzando molto materiale di età romana, reperibile in situ, come i blocchi di peperino in opera quadrata pertinenti al terzo terrazzamento dell'antica Lanuvium, disposti irregolarmente su almeno tre dei cinque lati del castello. È solo nell'XI sec., tuttavia, che il borgo medievale di Civita Lavinia, grazie all'impulso dei monaci benedettini, conosce un notevole sviluppo, con la costruzione di quattro delle cinque torri, che ancor oggi si presentano nella loro quasi integrità, e di buona parte della cinta muraria, oggetto di un felice restauro negli anni Ottanta del secolo scorso. La pittoresca Torre Medievale, la Torre Maschia della cinta muraria consiste in un massiccio corpo cilindrico con passeggiamento merlato esterno e rialzo sovrapposto di diametro inferiore. Detta torre di Porta Romana, con chiara funzione semaforica, presenta sul cilindro inferiore, riprodotto in marmo, lo stemma del pontefice Vittore III (1086-1087), a cui va probabilmente attribuita, secondo lo storico Alberto Galieti, la ricostituzione del paese. La Torre, in buono stato di conservazione, fa parte della cinta muraria che venne eretta all'epoca dell' "incastellamento". Questa fase riguardò il territorio centromeridionale italiano (seconda metà del X sec. d.C.) sostanzialmente come opera difensiva contro le incursioni dei saraceni che imperversavano lungo le coste e nell'entroterra. Proprietà degli eredi Colonna di Palestrina fino al XV sec., passò nelle mani della famiglia Cesarini che dispose anche diversi interventi di restauro delle mura pericolanti, dei parapetti e delle merlature, danneggiate soprattutto dai vegetali che si erano radicati sulla struttura. Nel sec. XVII risulta adibito a carcere ed ospitò anche un cardinale nipote di papa Paolo IV nel 1559. Importanti lavori furono eseguiti a seguito del terremoto del 23 gennaio 1892, e dei bombardamenti dell'ultima guerra che causò gravi danni a tutto il paese. Il castello di Civita Lavinia fu oggetto di numerosi attacchi e incursioni nel corso dei secoli, tra i quali è degno di menzione quello del 1347 a opera dei Frangipane che distrussero la rocca, ricostruita pochi anni dopo secondo i canoni edilizi del XIV sec. La funzione difensiva del castello cessò nel 1564, anno in cui Giuliano Cesarini acquistò Civita Lavinia e Ardea. Oggi la Torre è aperta al pubblico e visitabile poiché adibita a sede dell'Enoteca del Consorzio dei Vini Colli Lanuvini. La riapertura è stata fortemente voluta dall'Amministrazione comunale dopo anni di chiusura e abbandono, valorizzando così una struttura unica ed intatta, patrimonio storico e archeologico, nonché simbolo della città».
http://www.comune.lanuvio.rm.it/pagina/la-torre-medievale
Lavinio (torre Caldara o tor di Caldano)
«Tor Caldara è una costruzione sorta all’epoca del Rinascimento, per volere di Marcantonio Colonna (1565) con scopi difensivi contro gli attacchi dei pirati – da qui sembra, in effetti aver preso il nome di Torre Saracena – e oggi è una delle poche superstiti fra le 14 torri erette nello stesso periodo, e per la stessa finalità, lungo la costa tirrenica da Roma a Nettuno (le altre sopravvissute sono Tor San Lorenzo e Torre Astura). Ma non è la sola attrattiva della zona del Comune di Anzio. Il vero polo di attrazione è la bella e ampia riserva naturale che si espande dietro di essa. La Riserva Naturale Regionale di Tor Caldara, situata ai margini di Lavinio, la più grossa frazione di Anzio, è una vera e propria oasi di verde che si stende per oltre 40 ettari (43) dalla Via Ardeatina al mare racchiudendo in sé numerosissimi esemplari di flora e fauna che hanno fatto di questo angolo, oltre ad un’interessante meta turistica, anche un laboratorio di studio per biologi, geologi ed una scuola a cielo aperto per giovani studenti che vogliano avvicinarsi ai segreti della natura. Istituita ufficialmente nel 1988, e passata in via definitiva sotto la tutela della Regione, la Riserva di Tor Caldara è un luogo magnifico ...» - «Nel 1813 l’edificio fu gravemente danneggiato durante lo sbarco di truppe inglesi. Ultimato il restauro, è ora in attuazione un progetto di scavo per riportare alla luce la villa romana su cui è sorta Tor Caldara».
http://notizie.comuni-italiani.it/foto/68167 - http://www.anziocitta.it/anzio-turismo/itinerari/tor-caldara.html
Licenza (palazzo baronale Orsini)
«La sua attuale conformazione è dovuta agli interventi edilizi di Roberto Orsini e di suo figlio Mario, vescovo di Bisignano e in seguito di Tivoli. I loro lavori furono effettuati nell’arco del XVII secolo e previdero gli affreschi di molti ambienti, eseguiti dal pittore Vincenzo Manenti (1600-1674). Le pitture si trovano attualmente in proprietà privata e sono praticamente invisibili. Affrontano temi di carattere profano che raramente il Manenti ebbe occasione di rappresentare. La parete "A" e quella "B" raffigurano i quattro elementi naturali (Fuoco, Aria, Acqua, Terra) intervallati da emblemi della famiglia Orsini e dallo stemma di Roma (S.P.Q.R.) con sotto la lupa ceh allatta Romolo e Remo. La parete "C" affronta il tema dei quattro continenti allora conosciuti (America, Asia, Africa ed Europa). La parete "D" prosegue con quattro riquadri rappresentanti i temperamenti o stati dell’animo umano. La volta a botte decorata con pregevoli stucchi è integralmente riferita al mito classico del ratto d’Europa. Il corridoio d’ingresso dello studiolo contiene elementi che in parte spiegano gli affreschi suddetti. All’interno dell’Antiquarium è conservato su di una volta un ovale che rappresenta una martire incoronata da un putto. Negli ambienti di livello inferiore del palazzo rimangono scarsi resti delle pitture che raffigurano alcuni stemmi Orsini, racemi, floreali e grottesche. All’esterno, sulle pareti degli edifici a destra di chi entra nella corte, si individuano lacerti evanescenti di una Vergine con Bambino e Santo ed uno stemma degli Orsini».
Lunghezza (castello Medici Strozzi)
«Il castello di Lunghezza sorge su uno sperone tufaceo su alcuni resti della città etrusca di Collatia, posta lungo la via Tiburtina, a circa 25 km da Roma e a poca distanza dal corso del fiume Aniene, in una pittoresca ansa. ... Il sito ove venne costruito il primo fortilizio in epoca alto-medievale era di strategica importanza perché posta a controllo dell’importante via Tiburtina, che collegava Roma ai paesi del bacino dell’Aniene e divenne intorno all’VIII-IX secolo una sorta di monastero fortificato dipendente dai monaci dell’abbazia di San Paolo di Roma. Un documento datato 1297 papa Bonifacio VIII Caetani, a seguito delle dispute del castello tra i Colonna ed il papa, decretò il passaggio alla potente famiglia Orsini che lo tennero fino al XV secolo quando divenne possedimento dei Medici. A tale periodo risale la cosiddetta Camera da letto di Caterina de Medici, che reca ancora decorazioni sul soffitto con le iniziali della nobildonna fiorentina, mentre il bel letto a baldacchino è stato recentemente rimosso. Agli inizi del Cinquecento il castello cambiò ancora proprietario passando da una famiglia fiorentina - i Medici - ad un’altra della stessa città, i banchieri Strozzi, i quali lo tennero ininterrottamente fino alla seconda metà dell’Ottocento. Nel 1882 infatti il principe Piero Strozzi donò il castello al medico svedese Axel Munte che lo trasformò in luogo di cura per poveri malati. Agli inizi del Novecento la struttura venne trasformata in ricovero per il bestiame e, durante la Seconda Guerra Mondiale, a causa dei bombardamenti subì dei danni a cui seguirono importanti restauri eseguiti negli anni Cinquanta. L’imponente mole del castello è a pianta rettangolare con quattro torri quadrate poste agli angoli. L’impianto originario dovrebbe essere fatto risalire tra la fine del Trecento e la prima metà del secolo successivo. Nel XVI secolo, acquistato dagli Strozzi, il castello venne trasformato mutando l’aspetto esterno con l’aperture di finestre in grado di illuminare le sale interne che furono - già durante la proprietà dei Medici -, adeguate in forme più propriamente di palazzo signorile piuttosto che di fortilizio. Tra le sale interne degna di menzione è la Sala dei Cavalieri, una delle poche ad avere ancora l’aspetto medievale, decorata da un trono in mosaico stile cosmatesco ed un bel camino. Importanti lavori eseguiti all’interno del castello realizzati intorno agli anni 70-80 del Cinquecento tesero infatti all’abbellimento - camini, soffitti, decorazioni parietali -, sono ancora oggi parzialmente visibili».
http://www.castellidelazio.com/castellodilunghezza.htm
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