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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI TERNI
in sintesi, pagina 2
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Narni (castello di San Girolamo)
«Il Castello di S. Girolamo è un antico convento francescano fondato dal cardinale Berardo Eroli nel 1471, di cui oggi non rimane altro che la chiesa, la base del campanile e pochi altri elementi incorporati nell'odierna costruzione risalente al XIX secolo. La chiesa è l'elemento più autentico della costruzione, il portale è originale e offre un disegno agile e armonico e sopra di esso, il rosone dell'800 ha coperto un brutto finestrone del '600. L'interno ad una sola navata prende ispirazione dal Duomo e nell'abside da S. Agostino. La volta a crociera è sostituita dalle nervature che si sviluppano dai pilastri multipli. In fondo all'abside si trova una grande tela che ritrae San Girolamo, ispirata ad uno dei pannelli della predella del Ghirlandaio. L'Incoronazione della Vergine del Ghirlandaio si trovava in questa chiesa; dopo essere stata conservata per anni al Palazzo comunale di Narni oggi è conservata nel Museo Eroli. Gli affreschi non sono più presenti: distaccati al momento dei restauri e riportati su tela, l'affresco dello Spagna: le stimmate di S. Francesco si trova nel Palazzo Comunale. Accanto c'è il chiostro dove le linee originali sono quasi scomparse completamente, però al centro puoi vedere il pozzo ed alcuni resti di costruzione antica riutilizzati, e le tracce degli archi del porticato».
http://www.turismonarni.it/home.php?id=6&ss=3&idDettaglio=11&fromPage=elenco#topMenu
«Alcuni elementi forti scandiscono lo sviluppo della città nel tempo. Adagiata sull’ultima propaggine dei monti Sabini verso la conca ternana Narni presenta la singolare caratteristica di essere difesa per metà dalle mura in doppia cinta e per l’altra parte dallo scoscendimento sulla valle del Nera, impervio e composto di molti speroni rocciosi: in antichità ed in epoca medievale ne viene una città imprendibile (se non con il tradimento!) Tratti di mura sono ancora visibili nei pressi delle porte di accesso alla città, Porta della Fiera, Porta Polella, Porta Ternana, da Porta Romana a tratti fino alla Rocca Albornoz e vicino Porta Pietra. Quest'ultima è una porta medioevale che si affaccia sulla gola del fiume Nera, presenta un arco a tutto sesto molto ampio e pilastri tozzi e robusti, costruita con pietre piccole e tagliate accuratamente».
http://www.turismonarni.it/home.php?id=6&ss=3&idDettaglio=3&fromPage=elenco
«Il Palazzo dei Priori di Narni è situato in Piazza dei Priori, l'antica Platea Major, dove all'epoca romana c'era il foro. Si presenta con la torre campanaria sulla destra e, di fronte, il Palazzo comunale. L'edificio è ricco di elementi: il portale, la loggetta del banditore, la loggia attribuita al Gattapone architettonicamente composta da un pilastro centrale, due arcate che formano il prospetto e da un altro pilastro centrale, di forma ottagonale, che sostiene gli archi della volta divisa da quattro crociere a vela. Le pareti presentano tracce di affreschi e iscrizioni. Ad una certa altezza si notano degli anelli di ferro che sono, presumibilmente, le tracce della gogna. La parte superiore dell'edificio è di epoca rinascimentale. Lo stesso edificio, nel 1618, divenne sede della casa dei Padri Scolopi, occupato dagli stessi fino al 1800».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_dei_Priori_%28Narni%29
Narni (palazzo del Podestà o Comunale)
«Il Palazzo Comunale di Narni, chiamato anche Palazzo del Podestà o del Vicario, si presenta nella sua mole imponente e severo, affacciato sulla Piazza Priora “ove ancor dura il cittadino orgoglio”. Può essere considerato il simbolo della fierezza di Narni, dell'epoca comunale, ma potrebbe anche considerarsi lo scrigno delle glorie cittadine. Nelle sue mura massicce sta ad indicare che i valori contenuti nella città sfidano i secoli, possono rimanere nascosti, ma non si distruggono. Fu costruito verso la fine del Duecento sopra tre poderose torri attigue che, riunite insieme, costituirono poi un solo edificio. ... La Facciata del Palazzo Comunale ha subito diverse modifiche nel corso degli anni. La città di Narni è un agglomerato racchiuso da una cerchia muraria, gli edifici che la costituiscono hanno tutti la stessa tipologia semplice e di non notevoli dimensioni. Anche gli edifici che compongono il Palazzo sono edifici di per sé semplici, che rispecchiano le caratteristiche architettoniche tipiche medievali; l'imponenza si acquisisce quando le tre case-torri vengono accorpate mostrando così un unico grande complesso arricchito dall'apporto di pregevoli apparati decorativi. La metodologia costruttiva della facciata appare semplice poiché segue un andamento abbastanza regolare, anche se nel tempo sono avvenuti diversi rimaneggiamenti: rialzamenti di murature, tamponamento di archi, apporto di apparati decorativi. ... Verso la metà del Quattrocento la facciata del Palazzo Comunale viene abbellita dalla sostituzione delle sei finestre, inizialmente monofore o bifore, con sei grandi finestre a croce. Il piano nobile viene così ulteriormente arricchito da queste pregevoli opere. Le finestre rivestono particolare importanza se si considera come questa tipologia detta “a croce guelfa” (considerata la pietrificazione del telaio in legno) introduce l'architettura del palazzo nell'arte rinascimentale che vede l'utilizzo dello stesso tipo di finestra soprattutto a Roma in palazzi importanti quali Palazzo Venezia, Palazzo della Rovere, Palazzo dei Cavalieri di Rodi, ma anche ad esempio a Perugia nel Palazzo del Capitano. Nonostante le applicazioni di questa struttura in altri Palazzi importanti, quello di Narni rimane uno dei casi più esemplari».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Comunale_di_Narni
«Anticamente chiamata porta di San Vittore, dal nome di una chiesa, che sorgeva nelle vicinanze, demolita per farle posto. Le sue fondamenta furono gettate il 28 gennaio 1557 in seguito alla costruzione della nuova cinta di mura, dopo la distruzione, da parte dei Lanzichenecchi nel 1527, dell'antico quartiere di Sant' Apollinare, che non è stato più ricostruito. Fu costruita negli anni compresi fra il pontificato di Giulio III e di Paolo IV, quest'ultimo la definì "notabile e bello fortilizio, eretto per la comodità e decoro della città nonché di massima utilità per la sede apostolica". Costituita da un arco slanciato tra due pilastri, realizzati in bugnato a guanciale, sovrastati da una cornice su cui poggiava il frontale ora quasi interamente crollato. Nella parte interna si possono vedere i canali lungo i quali scorreva la porta a saracinesca, che è attribuita da Eroli al Vignola per la somiglianza con la porta Farnese di Viterbo, opera di quell'artista. In realtà la paternità del disegno della porta andrebbe assegnata all'architetto Nanni di Baccio Bigio, autore anche del progetto della nuova cinta muraria, e la direzione dei lavori ad Antonio da Carona, che progettò Porta Romana. Nel campo sottostante ancora visibili alcuni resti delle mura romane».
http://www.turismonarni.it/home.php?id=6&ss=3&idDettaglio=8&fromPage=elenco#topMenu
«Risale all'ultimo periodo del 1300 ed era la porta di accesso alla città prima della distruzione da parte dei Lanzichenecchi nel 1527 dell'antico quartiere di Sant' Apollinare, che non è stato più ricostruito. Un tempo in questo quartiere si tenevano le fiere, e nei locali sovrastanti la porta, che una volta erano sede dei soldati di guardia, avevano l'ufficio le guardie civiche e i gabellieri. Formata da un arco acuto, la porta è attorniata da un bugnato non uniforme, alternato a mattoni levigati e rustici di epoca recente».
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Narni (porta Romana, porta Pietra, porta del Votano)
«Porta Romana: "Originariamente mi trovavo all’inizio di via XX Settembre, poi in occasione del viaggio d’ispezione allo Stato della Chiesa, da parte del Pontefice Pio IX, fui spostata dove sono oggi. In occasione del passaggio del Papa, sulla mia porta fu scritto 'FELICE FASTIQUE, ADVENTU PIO IX'. Si consiglia una breve sosta ai giardini in prossimità della porta, prima di riprendere il cammino per ritornare nella città. Passiamo lungo il "belvedere"e, all’altezza dell’ufficio postale, prendiamo le scalette sulla destra per arrivare a Porta Pietra. "Sono una porta medioevale che si affaccia sulla gola del fiume Nera, la mia caratteristica è quella di mimetizzarmi con la roccia. Presento un magnifico arco a tutto sesto molto ampio che contrasta con i pilastri tozzi e robusti. Le mie pietre sono piccole e tagliate accuratamente". ... Riprendiamo il cammino: attraversiamo l’arco del Duomo e, superata piazza Cavour, imbocchiamo via Caterina Franceschi Ferrucci e quindi via Gattamelata, dove possiamo ammirare Porta del Votano: "Sono una porta medioevale con basamento romano. All’epoca ero importante perché rappresentavo il passaggio della strada per scendere a valle ma, in seguito, a causa del cambiamento del corso del Nera, ho perso la mia importanza e adesso sono diventata la 'Cenerentola' della città perché mi usano come ingresso per orti e pollai"».
http://www.narnia.it/guida/porta.htm
«Chiamata anche Porta delle Arvolte, come si legge negli statuti comunali. La costruzione attuale fu compiuta tra il 1471 e il 1492 e costituiva un bastione fortificato, austero e maestoso nella parte in cui le mura est della città facevano angolo con un lato che saliva fino alla Rocca. Le mura tutt'ora visibili, erano munite di tre torri per ogni lato, in parte sfruttate per abitazioni ed in parte rimaste all'altezza delle mura. Gli stipiti della porta e l'arco e sono di pietra a bugnato a punta di diamante, ai fianchi dell’arco sono visibili due torrioni,dove si notano ancora le feritoie e le bocche di fuoco. Internamente si aprivano delle stanze semicircolari, che erano utilizzate dai soldati della guarnigione. Nel 1832 la porta fu rialzata di circa 2 metri, il bugnato che ora coincide quasi con la sommità della merlatura prima della modifica arrivava a filo del cordone dei due avancorpi».
http://www.turismonarni.it/home.php?id=6&ss=3&idDettaglio=9&fromPage=elenco#topMenu
a c. di Daniele Amoni
«Castello minuscolo anche se ben visibile. L'edificio, ora villa agricola, infatti costituiva uno dei poli difensivi della valle di Ancajano, raggiungibile da Ferentillo. Fin dal XII secolo assoggettato a Spoleto, rimase nella sfera di influenza di questa città anche con lo Stato pontificio. Del sistema difensivo è ben conservata la torre di avvistamento, a pianta quadrata, con una cornice a beccatelli alla sua sommità».
Orvieto (palazzo dei Sette e torre del Moro)
«Il palazzo dei Sette con la torre del Moro, recentemente restaurato e adibito a centro culturale, appartenne all'antica famiglia dei Della Terza, poi fu di proprietà del Papato, sede dei Sette, del pontefice e sembra che vi abitò anche Antonio da Sangallo. Nel 1515 Leone X cedette al comune lo stabile che veniva comunemente chiamato torre del Papa e Case di Santa Chiesa e fu sede del Governatore; più tardi fu adibito ad altri usi di pubblica utilità. Dalla prima porta a destra si accede alla torre, la cui ascesa si può effettuare a piedi o, parzialmente, con l'ascensore (il biglietto si acquista all'ingresso, ma ricordiamo che il monumento è compreso nei quattro che si possono visitare con la Carta Unica città di Orvieto). All'interno sono visibili due campane, una in particolare fu issata nel 1313 e porta impressi sul suo bordo i 25 simboli delle arti e il sigillo del popolo. Nel 1865 fu issata sulla torre la vasca distributrice del nuovo acquedotto e dieci anni dopo vi fu sistemato l'orologio e trasportata l'antica campana civica; sul finire del secolo XIX trovarono posto al pianoterra dell' edificio i nuovi uffici delle poste e telegrafi, recentemente trasferiti altrove. Dall'altezza di 47 metri, quanto è alta la costruzione, lo sguardo può spaziare dai tetti dell'intera città ai paesi e ai castelli del suo territorio. Il nome della torre ha perso nei secoli il suo originario riferimento ed è stato variamente interpretato nel corso del tempo; si è pensato a lungo che la denominazione derivasse da un moro gelso che aveva prosperato nell' atrio della costruzione; alcuni studiosi hanno ritenuto che fosse così chiamato per l'insegna del moro, o saracino, che vi veniva affissa durante le giostre medievali per essere colpita dai cavalieri; oggi si ritiene che il nome derivi da Raffaele di Sante, detto il Moro, che vi avrebbe abitato nel secolo XVI e dal quale traeva la denominazione anche il vicino palazzo che fu poi dei Gualterio. Sull'angolo di via della Costituente in una lapide si legge la terzina dantesca del Purgatorio dove, in riferimento alle lotte tra casate e partiti, Dante nomina accanto ai più celebri Montecchi e Capuleti di Verona, i Monaldeschi e i Filippeschi di Orvieto».
http://www.comune.orvieto.tr.it//I/389FDC64.htm
«Il «Palatium Populi», così citato per prima volta nel 1281 negli atti del Comune relativi alle disposizioni per la creazione della vasta «platea populi», è un edificio in pietra basaltica e tufo, concepito come traduzione architettonica locale del broletto lombardo, con riferimenti a esempi vicini (il palazzo dei Papi di Viterbo). Il progetto iniziale, che prevedeva la loggia al pianterreno e il vasto salone al primo piano per le assemblee popolari, raggiungibile per lo scalone esterno, fu modificato in corso d'opera con l'ampliamento del complesso al fine di contenere la residenza del capitano del popolo e suggellare la grandiosa composizione con l'innalzamento della torre campanaria, terminata nel 1308. In seguito ad alterne vicende politiche, il palazzo subì periodi di decadenza e rimaneggiamenti. Un primo, drastico ripristino fu compiuto nel 1889-1909 su progetto di Paolo Zampi, cui si deve la merlatura di coronamento. Nel 1990 il palazzo è stato restaurato per destinazioni culturali e congressuali. Esemplificativo dell'architettura civile orvietana della fine del XIII secolo, presenta inferiormente imponenti arcate e superiormente elegantissime trifore collegate da cornici attorno alle quali si svolge una caratteristica decorazione a scacchiera. La grande sala al primo piano, detta ora sala dei Quattrocento, ha sulle pareti resti di affreschi che documentano il succedersi dei vari capitani del popolo, dei podestà e dei pontefici fra XIV e XVI secolo. Al piano terra, sono affiorate murature antiche pertinenti a strutture etrusche, all'acquedotto medievale e a una grande cisterna coeva. Piazza del Popolo fu progettata quasi nel baricentro della città duecentesca in funzione del palazzo pubblico, che su di essa doveva imporsi isolato».
http://www.touringclub.com/monumento/umbria/terni/palazzo-del-popolo.aspx
«I Medici, antichissima famiglia orvietana, dalla quale si crede discendesse quella fiorentina, abitavano nel quartiere di Seracia sulla via detta Ripa Medici, dove si accedeva dalla Porta Romana. Il loro palazzo presenta esemplari eccellenti di eleganti bifore dei secoli XII e XIII».
http://www.comune.orvieto.tr.it/storia2/medioevo2/medici.htm
«Detto anche Palazzo Apostolico, o dei Papi, o di Bonifacio VIII, Palazzo Soliano sorge sulla Piazza del Duomo, fra i cosiddetti Palazzi Papali. L’edificio fu costruito nel 1262 in stile gotico-senese, forse sui resti di una costruzione iniziata prima del Mille, ma fu presto rimaneggiato. Il restauro più importante si ebbe nel 1297 quando, per volontà di Bonifacio VIII, furono tolte la loggia e la scalinata per creare un salone destinato alle udienze pontificie e a ricevere le ambascerie: in quel periodo, infatti, la Corte Papale si era trasferita ad Orvieto. Costruito in tufo, il Palazzo ha un aspetto austero. Un'ampia scalinata sale all'unica vasta sala dell'edificio, illuminata da dieci aperture gotiche. Sulla loggia di pianterreno, iniziata da Urbano IV, l’edificio è ornato di merli guelfi e decorato da una fila di splendide bifore. Oggi Palazzo Soliano ospita due importanti musei orvietani: si tratta di una sezione del Museo dell'Opera del Duomo, che comprende opere rinascimentali, manieriste e fino a tutto l'Ottocento, e – nella parte bassa dell'edificio – del Museo d’Arte Moderna “Emilio Greco”, dedicato al grande artista che scolpì le porte in bronzo della cattedrale cittadina».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/orvieto/palazzo-soliano/
«Porta Maggiore. In fondo alla Cava, una via antichissima che per secoli ha costituito il principale accesso alla città, è situato l' ingresso occidentale, detto dai primi documenti ad oggi Porta Maggiore. Unico accesso come testimoniato da Procopio da Cesarea (VI secolo d.C.) nel descrivere l’assedio e la liberazione di Orvieto da parte di Belisario; unico accesso e quindi difeso in epoca etrusca da un grande muro arretrato rispetto al perimetro della rupe, il Teikos descritto da Zonara (XI secolo). E qui nel 1966 l’archeologo orvietano Mario Bizzarri ha rinvenuto infatti un muro formato da grossi blocchi di tufo squadrati e accostati gli uni agli altri senza uso di malta, secondo la tecnica più antica. La posizione sembra avvalorare l’ipotesi che si tratti proprio del muro dell’antica porta di accesso alla città etrusca. Porta Rocca. Al limite estremo orientale vi è un altro ingresso detto Porta Soliana anticamente (dove nasce il sole), la cui forma primitiva ci è impossibile vedere, perchè sopra ci fu costruito nel primo Medio-Evo un palazzetto con una postierla (piccola porta, poi in dialetto divenne pistrella), da cui prese il nome di Porta Postierla, mutata più tardi in Porta Rocca per la fortezza, che due volte, le venne sovrapposta e l’antico ingresso suddiviso in due parti da una grossa colonna. Oggi una delle due porte è chiusa e l’altra sbassata, ma in alto si vede ancora la nicchia dove fu collocata nel 1297 una delle due statue di Bonifacio VIII poste agli ingressi principali della città. Altra porta antichissima era quella detta di S. Maria, presso il Duomo, chiusa e riaperta nel secolo XIV e definitivamente abbandonata nel XVI; essa si apriva al limite meridionale del masso, sotto la chiesa di S. Bernardino. E pur molto antica era quella detta Vivaria o dello Scenditoio, posta a Settentrione, l'unica aperta in tempo di guerra perché la più sicura e la più forte, essendo accessibile solo per una stretta scala tagliata nel masso. Oramai ne resta soltanto un rudere e della scala s'è perduta quasi ogni traccia. Più tardi, nel XII secolo, si apriva verso i borghi di Surripa ad Ovest una nuova porta, Porta Pertusa, che al principio del XIX secolo venne nascosta sotto la via nuova a capo della quale le fu sostituita la presente Porta Romana (1822). Sopra la porta sono visibili due dei quattro simboli presenti nello stemma del Comune: l’aquila imperiale e l’oca. A Nord-Est, tra le Porte Vivaria e Postierla, si costruì ex-novo la Porta Cassia nel 1833, e ad Est, nel 1888, la Funicolare Bracci penetrava in città con una galleria sotto la Rocca. I rioni suburbani, che ad Ovest e a Sud-Ovest formavano il Borgo, avevano pure i propri ingressi, ma non importanti, tanto che nei documenti talvolta non venivano detti porte, come gl'ingressi della città, ma janue e porticciole. Le porte della città avevano nei secoli XIII e XIV i loro custodi eletti periodicamente dal Comune».
http://www.comune.orvieto.tr.it/i/389FDC69.htm
«Nella parte sinistra di Piazza Cahen sorge la Fortezza dell'Albornoz, fondata per ordine del Cardinale Albornoz, sotto l'ordine di papa Innocenzo VI e su istruzione del condottiero ed ingegnere militare Ugolino di Montemarte. In epoca etrusca, nell'area in cui sarebbe sorta la Rocca si ergeva un tempio detto, dagli archeologi, Augurale. Nell'anno 1359 (1353?) il Cardinale Egidio Albornoz, legato di Papa Innocenzo VI e legato del Patrimonio, fece edificare la Rocca di S.Martino, presso S. Lorenzo delle Donne o delle Vigne, ossia presso il Camposanto. Dopo la vittoria militare e diplomatica del Cardinale, i suoi Capitani e i suoi Vicari non si sentivano tranquilli senza strutture fortificate e fu decisa la costruzione di una rocca addossata alla Porta Postierla o Soliana, detta poi Porta Rocca, sul limite orientale della rupe. L'anno dopo ne ebbe speciale incarico il Vicario della Chiesa, Angelo di Pietro dei Marchesi del Monte S.Maria: la Cronaca di Orvieto riferisce che il lavori iniziarono il 25 settembre 1364, a spese del Comune, e sotto la tutela del Conte Ugolino di Montemarte - architetto militare dell'Albornoz che vi fece le stesse "provvisioni" da lui fatte nel 1355 in quella di Ancona "la quale fu riputata e di habitazione nobil cosa fosse in Italia" - coadiuvato da Giordano del Monte degli Orsini, Capitano del Patrimonio (per l'occupazione dell'area necessaria, furono distrutti molti edifici importanti). Di forma quadrilatera, con un palazzotto contiguo alla porta e alle strutture di servizio lungo le mura, la rocca era protetta da un fossato con due ponti levatoi. Distrutta nel 1390 una nuova rocca fu ricostruita da Antonio da Carpi sul vecchio perimetro,con l'aggiunta di un rebellino circolare (1450-1452) e completata con la revisione di Bernardo Rossellino.
Nel 1395 la Rocca venne quasi del tutto spianata dai Beffati, Bonifacio IX e Martino V tentarono di ricostruirla, ma vi riuscì Nicolò V come riferiscono Novaes e Pio II: "Item Nicolaus arcem quoque in angulo civitatis construxit (1449) quae nondum perfecta est, custoditur tamen, nec facile oppugnari potest, rupibus altis et fossis munita profundis". Quando Clemente VII, dopo il saccheggio di Roma, alla fine del 1527 si rifugiò ad Orvieto, affinché non mancasse acqua alla città in caso d'assedio, fece scavare presso la rocca il notissimo pozzo artesiano detto di S. Patrizio (1528-1537). Già nella rocca trecentesca non si era sottovalutato il problema dell'approvvigionamento idrico, risolvendolo con una cisterna, perciò Clemente VII ordinò la costruzione di un altro pozzo ad uso esclusivo della rocca. Della progettazione fu incaricato Antonio da Sangallo il Giovane, l'architetto che si stava occupando delle fortificazioni della rupe e che aveva già fatto indagini metriche e sopraluoghi per localizzare le falde acquifere che sgorgavano ai piedi del masso tufaceo (una lapide posta di fronte all'ingresso meridionale ricorda il restauro del pozzo avvenuto nel 1712 a spese della Camera Apostolica, quand'era castellano della rocca Ludovico Lattanzi. La fortezza fu completata da Paolo II e Urbano VIII (1620) e fu poi restaurata da Alessandro VII, come mostrano le loro armi sulla porta d'ingresso e la seguente iscrizione: ALEXANDER VII. PONT. MAX. MARIUS CHISIUS S. R. E.CAP. GENERALIS ARCE VETUSTATE COLLABENTE REFECIT ODOARDO CYBO GUBERNATORE REPARATAE SECURITATIS MONUM.POS. URBEVETANA CIVITAS ANNO SAL. MDCLVIII SCIP. MANCINO CONF ET IO PAUL AUGERIO CONS. Distrutta in gran parte nel 1831, nel 1888 all'esterno le furono riempiti i fossati per i lavori della Funicolare: fu ridotta a pubblico giardino, al cui centro è stato edificato un Anfiteatro diurno per spettacoli (con gradinate e un ordine di palchi usato principalmente per le corse dei cavalli), dall'orvietano Francesco Ricchi. Il 19 giugno 1882 furono celebrate nell'anfiteatro le onoranze funebri per Giuseppe Garibaldi a pochi giorni dalla sua morte. Oggi è l'attuale sede del parco-giardino pubblico».
http://www.orvietoonline.it/orvieto_fortezza_orvieto.html
Orvieto (torre decagonale della Badia dei SS. Severo e Martirio)
«L'importante complesso monastico, di origine alto-medievale, fu tenuto dai Benedettini fino al 1221, quando subentrarono i Premostratensi francesi. I vari edifici che lo compongono sono riferibili a tre successive fasi costruttive: romanico-lombarda (chiesa e torre), della seconda metà del XII secolo; borgognona-premostratense (palazzo abbaziale e atrio della chiesa), del 1240 circa; borgognona-cisterciense (ala occidentale), del 1260. ... Il campanile dodecagonale, analogo a quello di S. Andrea di Orvieto, fu innalzato nel XII secolo. Ha nell'alto un giro di bifore e sopra di monofore, quindi i merli di coronamento; sporgono nell'alto vari modiglioni».
http://www.touringclub.com/chiesa/umbria/terni/badia-dei-ss-severo-e-martirio.aspx
«Riaperta a un uso funzionale il 29 ottobre 2011, la torre cosiddetta "del Maurizio" si trova in posizione angolare, proveniendo da Via del Duomo all'ingresso della piazza su cui si apre la Cattedrale. All'interno della torre, il cui ingresso si trova in Via del Duomo, ha trovato posto un punto supplementare di informazione sul Duomo, sul MODO e sugli appuntamenti e le attività che si svolgono all'interno delle sedi del Museo dell'Opera del Duomo. Luogo simbolo di Orvieto, sebbene distanziata dal Duomo è strettamente legata alla sua storia. Fu infatti destinata ad accogliere un "ariologium de muricio" ovvero l'orologio posto a servizio del cantiere (da "muricio" cioè muro, per estensione edificio in costruzione). Questo complesso meccanismo includeva anche l'automa di bronzo che fu collocato sulla sommità della torre e al quale nel tempo fu attribuito il nome di "Maurizio", derivato dall'alterazione in chiave popolare della parola latina "muricium" che, per estensione, aveva il significato di cantiere. L'orologio fu fatto costruire dall'Opera del Duomo tra il 1347 e il 1348 per una duplice finalità, di utilità e ornamento: doveva scandire regolarmente i turni quotidiani di lavoro degli operai della cattedrale e dare alla città la sua "meraviglia", un'opera semovente di straordinario effetto. Nel 1348 venne fusa in bronzo la statua del jaquemart, il più antico automa segna-tempo ancora oggi esistente e funzionante: collegata al cronometro sottostante, allo scoccare di ogni ora percuote con il martello di ferro la campana che ha di fronte. Un divertente scambio di battute corre dall'uno all'altra, in due iscrizioni: l'una, lungo la cintura indossata dall'automa, tiene alto il ruolo del "battitore"- Da te a me, campana, furo i pati: tu per gridar et io per far i fati; l'altra sulla corona della campana, lo avvisa in risposta Se vuoi ch'attenga i pati, dammi piano. Se no io cassirò e darà invano. Particolarmente significativo il fatto che alla costruzione della straordinaria meraviglia si provvedesse, con grande spirito di fiducia e di rivalsa, proprio negli anni della peste nera che stava sconvolgendo l'Europa, quasi a voler sottolineare che l'umano bisogno di progettazione e di infinito non viene meno neanche di fronte alle peggiori difficoltà. Solo in circostanze particolari (ad esempio durante le giornate FAI, o per la Settimana della Cultura e in altre circostanze significative) è possibile salire fino alla sommità della torre e all'antico meccanismo che ogni ora batte e scandisce il tempo - e questo a causa della scala ripida e angusta e per l'impossibilità di metterla in reale sicurezza - ma il meccanismo e l'automa sono visibili su uno schermo nell'atrio della torre grazie a una webcam».
http://www.museomodo.it/it/la_torre_di_maurizio.html
«L’attuale centro storico risulta molto particolare conservando, come “difesi” dalla cinta muraria altomedievale, edifici e monumenti di epoche storiche anche molto lontane tra loro che vanno dall’età medievale fino ad oggi. L’elemento più qualificante del “castello” è il suo centro caratterizzato dalla presenza di due profferli di tipo viterbese, di numerose costruzioni totalmente tufacee, da grandi palazzi rinascimentali e soprattutto dalla Collegiata S. Maria Assunta. La chiesa è un interessante esemplare di luogo di culto preromanico del VII sec. quasi totalmente ristrutturata nel IX sec.; divisa in tre navate da pilastri in muratura e colonne, presenta al suo interno rilevanti rifacimenti (subiti soprattutto nel rinascimento e nel seicento) e un cospicuo numero di materiali decorativi di età romana e medioevale (tra cui un pala lignea del XII sec.). Nell’epoca moderna contemporaneamente alla nascita del Borgo e cioè di “un paese accanto al castello”, con caratteristici edifici (dell’800 e del ‘900) e vita propri, il centro storico continuò ad ampliarsi attraverso la costruzione di edifici di notevole valore. Elementi qualificanti dell’architettura del Settecento sono l’Oratorio di San Giuseppe da Leonessa, la Chiesa di S. Salvatore, il Palazzo Priorale, attuale sede comunale, dell’Antiquarium Comunale, e la casa Squarti-Perla con la sua eccezionale porta costruita interamente da frammenti antichi; di particolare rilievo, inoltre, per i secoli XIX e XX, oltre ai portici del Borgo, antiche stazioni di posta, altri tre palazzi interni al centro storico situati nei pressi della Collegiata».
http://www.otricoliturismo.it/storia/otricoli/centro-storico
«Il territorio di Papigno ha riportato alla luce più volte testimonianze romane all’esterno del centro abitato, che si è formato durante i primi secoli del Medioevo su un rilievo isolato e in posizione privilegiata per la difesa e l’avvistamento dei due assi viari importanti: la Valnerina e la Via Curia, che salendo le pendici del monte Sant’Angelo fino alle Marmore, conduce a Rieti. La prima menzione del castello risale al 1220, quando alcuni rappresentanti della famiglia degli Arroni concedono al comune di Terni il castello in pegno di un prestito di 1300 lire lucchesi. Nel 1225 in seguito alla mancata restituzione del prestito, il comune di Terni acquista Papigno per 2825 lire lucchesi e senesi. Dal XIII secolo in poi Papigno seguirà le sorti di Terni, cercando più volte di affermare la propria autonomia. L’impianto urbano medievale è ben conservato, lo schema urbanistico è formato da file di abitazioni disposte in allineamenti paralleli, secondo la direzione di penetrazione del paese. Il Borgo dovette subire la totale distruzione, causata da un terremoto, nel 1785. Il suo aspetto odierno ha i segni inconfondibili dell’edilizia ottocentesca».
http://www.umbriaonline.com/Terni_papigno.phtml
a c. di Luca Filippetti
PERTICARA (resti del castello)
«Fu un munito castello sopra Terni, verso Miranda e Rocca Carlea, oggi Perticara Alta. Nel 1211 fu aspramente saccheggiata dalle truppe di Ottone IV. Il 7/9/1215 Giovanni Manassei, sindaco eletto del castello, fu autorizzato a sottometterlo al comune di Narni che, allora, era la città dominante della zona. Dopo la distruzione che ne fece Federico II nel 1242, fu data facoltà ai narnesi di riedificarla (1252). Nel 1328-30, ci fu guerra tra Terni e Narni per il possesso del castello. Nel 1331 ottenne la cittadinanza ternana. Bonifacio IX la sottrasse alla giurisdizione di Narni, sottoponendola alle dirette dipendenze della Chiesa (1391). Ladislao, re di Napoli, impadronitosi di Terni, fece smantellare questa fortezza, che costituiva sempre una minaccia narnese per questa città (1411). Braccio completò la distruzione nel 1421. Il castello decadde rapidamente e dell'antica fortezza, temuta e potente, oggi resta appena qualche pietra».
http://www.lamiaumbria.it/scheda_comuni.asp?pag=1820
Piediluco (ruderi della rocca Albornoz)
«il complesso, che è allo stato di rudere dal XVIII secolo, presenta due parti distinte. Nella zona sud-est si trova il palazzo fatto costruire nel corso del XIII secolo da Oddone e Matteo Brancaleoni, ristrutturato poi da Blasco. A tutt’oggi è possibile individuarne la sala di rappresentanza con il portale di accesso, le stanze residenziali e i vani accessori. Con la chiesa di San Francesco esso costituisce un esempio di prim’ordine della stagione del gotico a Piediluco. La Rocca vera e propria divenne parte integrante di quel sistema di fortezze voluto dal cardinale Albornoz sui territori da riconquistare alla Chiesa. È inevitabile, quindi, metterla in relazione con quelle di Assisi, Narni, Orvieto e Spoleto, anche se la planimetria si presenta profonda mente diversa. Infatti mentre gli altri edifici presentano un impianto quadrangolare, con al centro una piazza d’armi, ai lati un fabbricato residenziale, agli angoli un mastio e torri minori, tutte a pianta quadrata, nella Rocca di Piediluco, il mastio, il cortile e il palazzo residenziale si succedono linearmente. L’emergenza più significativa è rappresentata dal mastio, a pianta pentagonale, che si articola su cinque livelli, collegati da una scala ottagonale sostenuta da archi rampanti. Il livello inferiore veniva utilizzato come serbatoio d’acqua. La forma pentagonale, determinata da uno sperone, serviva, con buona probabilità, ad amplificare l’effetto di imponenza del mastio, diminuendo il rischio di assalti esterni. Il cortile d’armi presentava al centro una cisterna dove venivano raccolte, depurate, le acque piovane poi riutilizzate all’interno del complesso. La residenza del castellano era arti olata su tre livelli. All’interno delle sue murature, in pietra calcarea, sono individuabili i resti del Castello di Luco, tra cui la vecchia torre. La porta d’ingresso alla rocca si apriva sul lato nord-est ed era difesa da una torretta i cui resti sono ancora visibili. L’esistenza di due parti separate, corrispondenti a due distinte funzioni, militare e residenziale, rendevano questo complesso non pienamente omologabile ad altri dello stesso tipo. Ad ogni modo l’intera struttura era tenuta insieme e protetta da un sistema di fortificazioni che si prolungava sino al borgo sottostante, chiudendolo ad est e a nord. Oggi quel poco che rimane di queste mura è coperto da una fitta pineta impiantata alla fine degli anni trenta del XX secolo. Al tempo di Blasco, invece, lo spazio, per ragioni di difesa, era stato liberato da ogni vegetazione».
http://piediluco.altervista.org/it/il-paese/cose-da-vedere
Poggio (castel di Poggio, castello Alvelino)
«Poggio è una frazione del comune di Otricoli (TR). Il castello si trova a 314 m s.l.m., sul fianco di monte San Pancrazio (1.028 m), ed è abitato da 388 residenti. Il territorio di Poggio costituisce un'isola amministrativa del comune di Otricoli: esso va dai 108 m della pianura sino ai 975 m delle cime montuose ed è occupato in totale da 448 abitanti. Il monte San Pancrazio ed il monte Cosce rappresentano le punte del territorio dell'alta Sabina: tra di esse scorre il confine provinciale tra Terni e Rieti. Noto nel passato come Castrum Podii Medii oppure Poggium Moggii, viene nominato per la prima volta in un documento del 1237, un atto di vendita del castello ivi esistente ai narnesi Tebalduccio Dorgani e Piergentile. Nel 1277 Narni accetta la sottomissione dei Poggiani, cosa riconfermata in documenti del 1371. Ancora nel XVI secolo è soggetto a Narni e al comune deve pagare delle tasse in occasione della festività del patrono san Giovenale, nonché inviare i suoi uomini in occasione di attività militari. Vi furono poi delle contese con il comune di Calvi, che cessarono nel 1764 con un atto di transazione ufficiale. Infine, nel 1815, il castello fu appodiato ad Otricoli per poter continuare ad esistere. Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, vi si svolse un'importante battaglia. Il Castello, caratterizzato da un dongione quadrangolare posto lungo le mura. Esse sono interrotte da 7 torri, di piccola dimensione. Oltre alla funzione difensiva è importante anche la valenza religiosa: al di fuori di esso si trova infatti il pomerio, ossia un terreno dove era vietato edificare e coltivare. ...
Il Castello Alvelino (X-XV sec. circa) presso il ponte Arverino era il castello di Albininum, detto anche Alvinum o Albinianum. Situato sul monte omonimo, nei pressi di Poggio, era anticamente una città fondata nel medioevo e abbandonata nel '500 in seguito ad un'epidemia di peste che colpì la zona. Ora la zona è circondata e coperta dal bosco e lasciata all'arbitrio del tempo e degli alberi. Il suo nome potrebbe essere in rapporto con il nobilis vir Albinus "de civitate Utriculana" ricordato nel regesto di Farfa del 1091. La notizia più interessante che lo riguarda risale al tempo di Gregorio VII (1073-1085). Esso era considerato evidentemente importante per la sua posizione al confine con la Sabina e il castello di Poggio ancora non esisteva. Il castello non poteva essere alienato per alcun motivo; gli abitanti avrebbero goduto di un trattamento speciale nel pagamento delle tasse; i maiores avrebbero pagato 6 denari l'anno, i mediocres 4 e i minores 2. Il ricordo è conservato nella toponomastica, col ponte Arverino e col fosso che nelle antiche mappe ha il nome di Arverino».
http://it.wikipedia.org/wiki/Poggio_%28Otricoli%29
«La rocca di Polino, di fisionomia rinascimentale, sorge sulla riva sinistra del Nera, alle falde del monte Pentano (835 m.). Fa parte del territorio comunale di Polino, il più piccolo comune dell’Umbria che conta circa 310 abitanti. Dell’originario sistema difensivo a doppia cinta muraria, di cui quella più interna racchiude le dimore signorili, rimane evidente solo la rocca a pianta poligonale arricchita da due gruppi di torri di forma cilindrica diametralmente opposte. Imponente castello di confine tra il ducato longobardo e la Sabina, Polino deriva il suo nome dai Polini, famiglia di feudatari che la fondò nel XII secolo. Nel 1248 Innocenzo IV concesse la proprietà della rocca a Spoleto e nel 1333 fu occupata dalle milizie di Roberto d’Angiò, re di Napoli, comandante generale dello Stato della Chiesa. Nel 1381 ne era signore Ornello Polini. Nel 1416 la rocca fu acquistata dalla famiglia Trinci, che dal 1414 era a capo di Foligno. Ritornata ai Polini nel XVI secolo rinnovò la sottomissione a Spoleto. Dal 1528 al 1562 si insediarono nel castello le milizie di Sciarpa II Colonna, alleate dei Lanzichenetti. Polino passò poi ai Castelli e agli Albergotti di Arezzo. Oggi, di proprietà comunale, è sede del Museo Laboratorio dell’Appennino Umbro».
http://www.flickr.com/photos/erikpettinari/1789114579
«Su uno scosceso cono roccioso incombente sul fiume Nera sorgono le superstiti case di Ponte, un castello “a nido d`aquila” nel Comune di Cerreto di Spoleto che ha avuto un ruolo di grande importanza nella storia medievale di questo territorio. Il toponimo è probabilmente legato alla preesistenza di un ponte romano. In età antica la zona su cui sorge la parte bassa del paese aveva ospitato insediamenti di qualche consistenza, com`è attestato dai ritrovamenti di numerose suppellettili e di tombe di epoca preromana e romana; ma anche la vetta del colle, su cui culmina l`unica strada d`accesso, era occupata in epoca preistorica da un castelliere. Nel Medioevo il centro si configura come castello a nido d`aquila avente un ruolo di grande importanza per il territorio. In epoca altomedievale, come sede dell`omonimo gastaldato longobardo, Ponte acquistò un ruolo egemone su un vasto territorio, che si estendeva alla Valle del Campiano, alla Valle Oblita, al Nursino e alla zona di Cascia fino a Poggioprimocaso. Anche nell`organizzazione ecclesiastica del territorio questo ruolo venne confermato: Ponte fu infatti sede di pieve a capo di una vasta circoscrizione, che conservò la sua importanza almeno fino al sec. XIV. Costituì un punto di arrivo di antichi itinerari provenienti da Leonessa, Monteleone di Spoleto, Cascia (per Rocchetta), Norcia (per Nortosce) e di percorsi montani che, attraverso il monte Galloro e il monte dell`Immagine, raggiungevano Vallo di Nera e gli altri centri della Valnerina Inferiore. L`insediamento si articola in due nuclei diversi: il castello, edizione tardo medievale di un centro fortificato più antico; il borgo sviluppatosi sul crinale del colle ai piedi del castello; la pieve di Santa Maria Assunta, della fine del sec. XII, ancora più a valle e su cui converge l`antica viabilità e infine, l`abitato più recente sviluppatosi lungo le strade. Con il disgregarsi delle pievi ed il formarsi di nuove forme di potere religioso, Ponte s`inoltrò in una decadenza che lo portò nel sec. XVIII ad essere sede di un vicariato di piccolissime proporzioni formato da Ponte, Nortosce e Rocchetta. Il castello lascia appena intravedere quali fossero lo sviluppo e le dimensioni originali: dall`unica porta di accesso si sviluppa un tracciato lineare a spirale lungo la cinta su cui si snodavano le residenze, che poggiavano con archi rampanti sulle mura castellane; l`unica strada culmina sulla vetta del colle, occupata in epoca preistorica da un castelliere, in una rocca oggi diruta. A testimonianza della dignitosa edilizia civile, restano l`ex palazzo comunale con portale in pietra e stemma di Ponte, e un palazzo contiguo, anch`esso con portale e finestre in pietra».
http://www.lavalnerina.it/dett_luogo.php?id_item=147
PORNELLO (Torraccia o torre del Pofao)
«Il paese di Pornello, frazione del comune di San Venanzo, si può raggiungere da Est, dalla E45, passando per Marsciano e San Venanzo; o da Ovest, uscendo dall’A1 a Fabro per chi proviene da Sud e prendendo per Ficulle Montegiove, Montegabbione; o uscendo a Chiusi per chi viene da Nord e prendendo per Città della Pieve, Montegiove, Montegabbione. ... Pornello è menzionato nel Sinodo del 1649 come castello appartenente alla Vicaria di Palazzo Bovarino e scende verso il fondo valle dell'alto Fersinone, incontrando la suggestiva chiesetta di campagna, dedicata alla Madonna del Piano, i cui affreschi risalgono al XVI secolo. Da Pornello si segue un tratto di torrente (m.330 - 313 s.l.m.) per poi risalire su una balza a mezza costa, dove troneggia una snella eppur possente struttura fortificata di epoca medievale - la Torraccia -, detta anche torre del Pofao (dal toponimo del casale limitrofo): nonostante la predazione di pietre angolari e dei conci delle aperture, è ancora staticamente integra, grazie alla pregevole esecuzione dell'opera muraria, la cui malta durissima lega ancora perfettamente la pietra, magistralmente scalpellinata. La Torraccia, recentemente ristrutturata, è di epoca medievale [sarebbe stata edificata tra il XIII e il XIV secolo]: ha forma quadrata con lati di 5,40 m e un’altezza di 19,50 m. Serviva al controllo del territorio che, lungo le rive del torrente Fersinone, poteva permettere il passaggio di consistenti guarnigioni del Palazzo Bovarino a Frattaguida, sotto Pornello e verso Perugia, attraverso l'alta via su Poggio la Capra e per Collebaldo; oppure da Orvieto attraverso il monte Peglia e San Vito in Monte (s.s. 317). La Torraccia poteva inoltre controllare i possibili guadi per attraversare il torrente i cui vasti campi adiacenti fanno immaginare in quel tratto la possibilità di spiegamenti di forze militari con ampio uso della cavalleria».
http://www.iltamtam.it/Generali/Turismo/da-pornello-a-torre-pofao.aspx
«Portaria è una frazione del comune di Acquasparta, adagiata sulla costa dei Monti Martani, a 470 m s.l.m. ed a 6 km dal capoluogo, che domina la pittoresca Valle del Naia. è un caratteristico borgo medioevale del XII secolo. L’antico nome “Porcaria” testimonia l’esistenza in questa zona, ricca di boschi adatti al pascolo dei maiali, di un primitivo insediamento pastorale e compare per la prima volta nel 1093 quando i discendenti del conte Arnolfo donarono all’abbazia di Montecassino due monasteri con i loro annessi “in curte de Porcaria”. Si dice, inoltre, che durante il ducato di Lucrezia Borgia a Spoleto la stessa alloggiasse a Portaria con il suo seguito, in una delle caratteristiche case costruite in pietra locale. Nel 1495 Portaria fu costretta a sottomettersi al comune di Spoleto a causa delle scorrerie dei ternani e dei tudertini e per difenderla Spoleto si avvalse dell'aiuto del capitano Bartolomeo d'Alviano, il quale spedì numerosi fanti e successivamente un commissario perché risiedesse stabilmente in Portaria. Nel 1540 Giovan Giacomo Cesi marito di Isabella figlia di Bartolomeo d'Alviano, cedette a Pier Luigi Farnese il castello di Alviano ricevuto in dote dalla moglie in cambio di Acquasparta e Portaria, acquistate fin dal 1550 dalla Camera Apostolica per 6000 scudi. Di questo antico castello Arnolfo restano importanti resti della Rocca,avendo pressoché intatta la cinta delle mura castellane. Il centro era munito di un sistema di robuste fortificazioni, tutt'ora sono visibili i resti della Rocca del XII secolo e la cinta di mura. Fra le emergenze storico architettoniche di Portaria v'è l'antica piazza “Giuseppe Verdi” pavimentata a riquadri di travertino e spinata in laterizio su cui si innesta la Torre dell'Orologio del XIII secolo, restaurata nel XVII secolo e nel 1967, chiusa da pinnacoli e da una cuspide con la campana dentro, ed il cui orologio è stato messo più recentemente. Nella piazza vi è anche il pozzo rinascimentale, costruito dal duca Cesi di Acquasparta e utilizzato fino alla fine della seconda guerra mondiale, che pesca da una grande cisterna grande quanto la piazza sotto cui si trova. All'interno delle mura presso la porta Spoletina, così chiamata per indicare la via di Spoleto ai pellegrini provenienti da Roma lungo la via Flaminia, é situata la Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo a Portaria. In paese, c’è anche la chiesa dell’Annunziata».
http://www.umbria.ws/content/portaria-acquasparta
Prodo (castello dei Prodenzani)
«Il castello di Prodo si trova lungo la strada statale 79 bis che da Todi si collega con Orvieto. Il castello venne eretto dalla nobile famiglia orvietana dei Prodenzani nel 1222 (o forse qualche anno dopo). La sua posizione strategica a picco su tre burroni, di cui due confluiscono sul lago di Corbara ed il terzo nella valle di Orvieto, ne fecero una roccaforte imprendibile arrivata in buono stato fino a giorni d’oggi. Il castello di Prodo è una costruzione importante, caratterizzata da torri angolari sporgenti ricoperti da tetti. Il castello fu voluto, nella prima metà del ‘300, dai Prodenziani, signori di Orvieto e nella sua storia rimase, sostanzialmente, sotto il potere di questa città. Prima “gestito” da alcuni condottieri, come Giovanni di Cecco di Montemarte, e poi direttamente dall’Opera del Duomo, di cui fu proprietà fino all’entrata dell’Umbria del Regno d’Italia (1861). Nel luglio del 1849 vi si rifugiò Garibaldi inseguito dalle truppe pontificie. Il castello è dal 1871 proprietà privata e non visitabile».
http://umbria-verde.net/borghi/prodo
«Quadrelli ha oggi un aspetto tipicamente medioevale. è infatti questo il periodo in cui divenne una fortificazione per parte degli Arnolfi, ed in seguito fu teatro di molte vicende. ... Quadrelli venne conquistata da Todi quando questa città ebbe la possibilità di ampliare il proprio territorio fino ai Monti Martani, essendo stata la città di Carsulae prima saccheggiata dai barbari e poi definitivamente distrutta da un violento terremoto (più propriamente uno sprofondamento di vaste proporzioni). Il castello di Quadrelli fu donato in feudo da Ottone I di Germania al conte Arnolfo, suo intimo e consigliere, il 13 di febbraio del 962 e fece così parte delle Terre Arnolfe. Il paese fino dal medioevo era assai popolato, facendo centoventisei fuochi (nuclei familiari). Appartenne al territorio Todino e Todi vi teneva un castellano, che nel 1427 era tale Giovanni Augurelli. Nel 1428 era castellano Freduccio Berardelli e nel 1431 Bonifacio Ceccolini. Nel 1472 Quadrelli fu devastato e incendiato dalle truppe di opposte fazioni. Nei pressi di questo castello vi erano due chiese: una curata detta di Santa Maria, l'altra pievania detta di Santa Croce. Nel 1472 venne in Todi il vescovo di Crotone, Monsignor Campano, per cercare di pacificarne le fazioni. Ma i Chiaravalle Ghibellini, fra cui il più solerte di essi Matteo Canale, loro capo, uscirono di città e si appressarono a questo castello, lo assediarono, lo occuparono e ne devastarono le campagne. Il vescovo vi mandò sue milizie, che ripresero il castello e lo scaricarono. Matteo Canale però riuscì a fuggire. Nel 1522 accadde qui un'altro fatto d'armi fra Camillo Orsini e Augusto degli Atti. Questi, ferito, si rifugiò in Todi con la sua gente. La nobile famiglia todina De' Stefanucci vi aveva la sua casa di campagna; i loro beni passarono ai marchesi Canali di Rieti. Dall'originaria fortificazione rimane, tra le altri ancora presenti, una torre a pianta pentagonale, costruita con materiale di spoglio dell'antica città di Carsuale, detta della "Portella". La denominazione potrebbe derivare dalla sua vicinanza alla principale porta del borgo recante lo stemma della città di Todi. La torre della Portella, alta circa 20 metri, termina con tetto ad una falda sovrastato da un campaniletto a vela; sopra l'arco della porta vi è l'aquila Tuderte, che tiene negli artigli un quadrello. Sulle sue cinque pareti, arricchite da cornici orizzontali si aprono piccole feritoie per scopi difensivi. Dalla sommità del lato sud si potevano tenere sotto controllo visivo i confini con Portaria, Sangemini e Narni. Inoltre da qui era assicurato il controllo dei transiti sull'antica Via Ulpiana (oggi strada delle Sette Valli) che collegava Sangemini a Todi».
http://www.quadrelli.org/sito/storia/storia.htm
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Abitato fin dall'epoca romana, come lascia supporre l'Edicola di "San Valentino" che contiene un cippo funerario appartenuto alla gens Vibia, l'abitato dal 1278 fece parte delle terre soggette ad Orvieto che lo fortificò nel corso del sec. XIV, prima di affidarne la difesa a un Montemarte. Messo a ferro e a fuoco nel 1395 nella guerra contro i Monaldeschi, fu distrutto di nuovo nel 1437. Cessò di essere comunità autonoma nel 1816. Interessanti sono i resti di una torre di guardia di forma pentagonale; il frammento di un affresco del XIV secolo raffigurante S. Silvestro I papa, patrono del paese».
http://www.comune.sanvenanzo.tr.it/it/territorio_comunale/le_frazioni.html
Rocca San Zenone (castello, torri)
«La Rocca di S. Zenone si trova lungo la strada che attraversa tutte le pendici nord della conca Ternana all'inizio della Val Serra. Il territorio della Val Serra si estende a nord-est di Terni ed è attraversato dall'omonimo torrente Serra. La Valle collega la Conca ternana a Spoleto. I Primi tracciati stradali di cui si ha notizia parlano della via di fondovalle che costeggia la sponda destra del torrente Serra e collega Rocca S. Zenone a Porzano e Spoleto, poi ci sono alcuni percorsi di mezzacosta apparentemente secondari. Le strutture attuali della Rocca sono collocabili tra il XIII ed il XV secolo, a quota 508 m slm c'è una torre di avvistamento isolata fisicamente ma in collegamento ottico con la Rocca, che sorge sulla cima di uno sperone roccioso alle spalle del paese. Il castello subisce diverse modifiche ed ampliamenti. Nel 1624 la sua comunità era talmente impegnata al restauro del paese da chiedere, alla congregazione nel 1631 di poter vendere il legname delle loro selve, per far fronte al restauro. In questo periodo si ampliò e ristrutturò la porta medievale occidentale del castello, dove si ricavarono gli ambienti per le guardie del castello. Anche la chiesa di San Giovanni venne ampliata. Già nel 1609 esisteva attaccato alla chiesa un oratorio a cui seguiva la strada di comunicazione con il borgo. All'interno sulla parete destra ci sono resti di affreschi della prima metà del quattrocento, venuti alla luce per la parziale caduta dell'intonaco; lo stile rimanda alla cerchia del Maestro di Narni del 1409 ed a quella di Bartolomeo Mirando (noto in ambito spoletino). Nel borgo (extra castrum) esisteva nel 1592 un piccolo oratorio della società laicale di Santa Maria. Nel 1609 si stava costruendo un ospedale per la comunità sul lato destro dell'oratorio, il vescovo di Terni ordinò di ricavarne anche una sacrestia. Lungo la strada di accesso al centro si trova la chiesa di S. Zenone di antica origine. L'edificio attuale è di aspetto quattrocentesco, all'interno è formata da un'unica navata, con un abside quadrata, facciata a capanna con ingresso originario tamponato sulla sinistra. Realizzate successivamente sono le due cappelle poste a destra e a sinistra della facciata».
http://roccasanzenone.altervista.org/storia.htm
«Nel XII sec. in cima ad un colle della fiorente e lussureggiante Umbria, fu edificata una fortezza. Essa era difesa da un ampio fossato da cui si ergevano imponenti le mura di cinta. Sei torri vigilavano sull'intero perimetro fortificato mentre una, la più alta, dominava l'intera vallata. La difesa del castello era resa ancora più efficace da una fitta rete di camminamenti sotterranei utilizzati dalle truppe per muoversi con maggiore rapidità. Alcuni corridoi correvano dentro le mura, permettendo agli arcieri di tirare dardi attraverso le numerose feritoie. Sembra una descrizione fiabesca o un capitolo di storia, ma la cosa forse più sorprendente di Rotecastello è che tutto questo...esiste ancora! La suggestività di questo borgo è dovuta non solo all'intatto tessuto urbanistico, alle mura, alle torri, alle chiese, ma anche ad una serie di particolari del tutto singolari, come ad esempio i canaletti che dalle mura versavano olio bollente sugli assalitori, le feritoie, gli archi, e mille altre testimonianze di un'incredibile storia, che con i suoi segreti e i suoi tanti misteri, riesce ad affascinare grandi e piccini. Di grande importanza artistica sono: la chiesa della Madonna della Neve, di origini antichissime e che ben conserva al suo interno alcuni affreschi rinascimentali; la grande Torre di Rotecastello, perfettamente conservata anche grazie ad un recente restauro; la chiesa di S. Michele Arcangelo, con dipinti su legno del '700; l'arco che ancora espone al visitatore lo stemma degli antichi padroni».
http://www.rotecastello.it/storia.htm
«Il Castello della Sala è un notevole esempio di architettura militare medievale. Venne costruito nel 1350 per Angelo Monaldeschi della Vipera, la cui famiglia era giunta in Italia al seguito di Carlo Magno nel IX secolo. Dal 1300 i membri della famiglia si osteggiarono per il controllo di Orvieto, e le lotte per la supremazia divennero così intense che nel 1337 Angelo ed i suoi tre fratelli adottarono ciascuno un nome e crearono un clan feudale: il maggiore si chiamò della Cervara, un altro del Cane ed il terzo dell’Aquila; ed Angelo, che probabilmente era il più bellicoso, della Vipera. Gentile, nipote di Angelo Monaldeschi della Vipera, fu il primo a chiamarsi della Sala. Nel 1437 divenne dittatore di Orvieto per dieci anni e perseguitò il ramo di famiglia dei della Cervara. In seguito, per 12 anni, combatté per il dominio dell’intera regione contro il cardinale veneziano Pietro Barbo, divenuto papa Paolo II, e contro le sue armate; alla fine fu vinto e mandato in Romania a comandare le truppe del papa. Nel 1480 la famiglia, finalmente, raggiunse una tregua allorché il figlio di Gentile, Pietro Antonio Monaldeschi della Vipera della Sala sposò sua cugina Giovanna Monaldeschi della Cervara. Insieme restaurarono il castello che divenne simbolo di pace. Forse si deve a loro, in segno di riconoscenza, la piccola cappella rinascimentale che si trova sotto ai cancelli del castello, e che ha un grande affresco di scuola umbra del Quattrocento raffigurante la visita dei Re Magi a Betlemme. La coppia visse nel Castello fino al 1518, fin quando Pietro Antonio morì e Giovanna diede la proprietà all’Opera del Duomo di Orvieto, l’istituto di carità diretto dalla cattedrale. Il castello rimase nelle mani dell’Opera fino all’unificazione d’Italia nel 1861, quando lo stato si appropriò di tutte le proprietà ecclesiastiche. Passò attraverso parecchi proprietari, con poca manutenzione e riparazioni, fino al suo acquisto nel 1940 da parte degli Antinori. Oggi, conservato in maniera eccellente, grazie ai continui interventi di restauro effettuati durante gli anni, ospita le famose Cantine Conte Antinori».
http://www.perugiaonline.it/note/article_26.html?lang=it
Sambucetole (ruderi del castello di Lacuscello)
«Lacuscello, detto anche Agoscello o Lagoscello, era un castello medievale con un nucleo originario dell'X-XI secolo, probabilmente costruito dagli Arnolfi come fortilizio per il controllo della sottostante Via Amerina. Posto al confine nord tra i possedimenti di Amelia e di Todi era una fortezza di primaria importanza durante le lotte tra i due comuni. Il Castello, fu acquistato nel XIII secolo dalla potente famiglia todina dei Chiaravalle; esso divenne, insieme a Canale, una roccaforte della famiglia dove i belligeranti si ritiravano in varie occasioni durante le secolari lotte con la fazione guelfa di Todi capeggiata dalla famiglia Atti. Nei registri delle decime degli anni 1275 e 1279 riportati nelle Rationes Decimarum Italiae viene ricordato il nome dell’antica chiesa di Lacuscello, dedicata a San Biagio. 1235. Il Pontefice Gregorio IX accetta il giuramento di fedeltà dei signori di Lacuscello; per la protezione ricevuta, il Castello di Lacuscello si impegnava a versare alla Chiesa 26 denari cortonesi per ogni fuoco (famiglia). 1275-1279 E’ attestato il pagamento delle decime da parte del parroco Johannes della Chiesa di San Biagio di Lacuscello. 1316 Giacomo di Riccardo degli Annibaldi, nobile romano e proprietario dei Castelli di Canale e Lacuscello divide i suoi beni tra i figli; a Ildebrandino è affidato il Castello di Canale, a Riccardo il Castello di Lacuscello. Nel testamento Annibaldi parte della proprietà del castello viene lasciata “in legato” alla Chiesa e pertanto l’8 marzo 1332 il tesoriere del Patrimonio di San Pietro, Stefano Lascoutz, ne prende possesso 1332 Dai Registri del Patrimonio di San Pietro in Tuscia si ricava che Custode e Rettore del Castello di Lacuscello per la parte spettante alla Chiesa è ser Matteo di Cesi. 1337, i Chiaravallesi acquistano Lacuscello che diviene un fortilizio da cui si lanciavano incursioni contro i paesi vicini. Sempre in questo anno si svolge un processo contro gli abitanti di Sambucetole, che si diceva avessero lanciato ingiurie contro Raymondo de Ramis, castellano di Lacuscello. 1464, papa Pio II invita i Comuni di Amelia e di Todi a distruggere i castelli ghibellini di Lacuscello e Canale. Una volta demolito viene acquistato dal Comune di Amelia per un costo di 2.000 ducati».
http://turismoqr.it/amelia/lacuscello.html
San Gemini (borgo, palazzo del Capitano del Popolo, torre Esperia)
«...in qualsiasi momento la si voglia visitare, San Gemini offre un’atmosfera davvero piacevole, col suo centro storico alto medioevale arroccato sulla sommità del colle, la parte più moderna e rinascimentale poco sotto, i bei palazzi, i chiostri, gli scorci suggestivi e l’affascinante, verde paesaggio umbro che si distende attorno all’altura su cui si arrampica il borgo. Entrando da Porta Romana, si incontra quasi subito la Chiesa di S. Francesco che affaccia il suo bel portale gotico sull’omonima piazza, cuore della città attuale. Accanto il convento francescano, il settecentesco palazzo comunale e la porta Burgi da cui si accede alla parte più suggestiva e più antica della città. Addentrandosi nel nucleo medioevale dell’abitato si raggiunge la piccola e bella piazza ovale di Palazzo Vecchio, un imponente edificio gotico che fu prima sede del Capitano del Popolo, poi, per molti secoli del governo cittadino presieduto dal Podestà. Nella stessa piazza, il campanile a vela, in cima alla trecentesca Torre Esperia, conserva ancora l’antica campana usata nelle adunanze cittadine. Sulla stessa piazza si affaccia anche l’Oratorio di S. Carlo ricco all’interno di bellissimi affreschi del XV secolo. Tante sono le chiese e i palazzi che meritano una visita o almeno una breve sosta: il Duomo, col suo bellissimo abside e parte della facciata trecentesca; la chiesa di S. Giovanni Battista dell’XI secolo. Col suo bel portale romanico e il coevo ex convento di Santa Maria Maddalena. Uscendo dalla città, si incontra l’abbazia di San Nicolò. Costruita poco dopo il Mille, è una delle chiese più antiche e suggestive della città il bellissimo portale è una copia fedelissima a quello originario che ora è custodito al Metropolitan Museum di New York. All’interno, un accurato restauro l’ha restituita al suo antico splendore. Fuori le mura. Le famose fonti di S.Gemini, e quelle di Fabia, sono poco fuori dalla città e da qui, lungo il percorso della antica via Flaminia, si raggiunge a soli 3 km l’area archeologica della città romana di Carsulae, un museo a cielo aperto, sempre visitabile, dove solo il tempietto alle porte della città ha subito rimaneggiamenti e nel XI sec. è stato trasformato nella piccola chiesa di S. Damiano che ancora conserva rilievi e graffiti alto-medioevali».
http://www.festa.monini.com/viewdoc.asp?co_id=260
San Liberato (torre di avvistamento)
«Il piccolo centro è posto al limite del comune di Narni, verso il Lazio. Se ne parla a proposito di un episodio della guerra tra Martino V (1417-1431) e suo nipote Antonio Colonna che aveva il suo dominio ad Orte. Si sa che in quella occasione molti uomini di San Liberato rimasero uccisi o feriti per mano delle milizie guelfe del papa. Emerge ben visibile la torre di avvistamento a base quadrata completamente inserita all'interno dell'abitato».
http://www.turismonarni.it/home.php?id=19
San Mamiliano (resti del castello)
«Antico castello nel territorio di Ferentillo, tra Montefranco e Ancaiano situato a ridosso della “Via del Ferro“, un antico itinerario che collegava la zona estrattiva di Monteleone di Spoleto con Scheggino nella Valle del Nera (dove veniva lavorato il materiale), per proseguire poi, attraversando il lato orografico destro della Valnerina, sino al congiungimento con l’antica Via Flaminia a Strettura per arrivare sino a Roma. Il suo nome deriva da Mamiliano un santo del V secolo molto venerato nei primi periodi del cristianesimo. Il centro abitato è collocato su un promontorio alle falde del Colle dell’Ovaia (m. 778 s.l.m.) che domina la valle del Fosso di Ancaiano aprendosi verso la valle del Nera di fronte a Ferentillo. Gli Spoletini nel 1395 presero S. Mamiliano e vi posero castellano e presidio, avendo invaso il territorio di Ferentillo, per reagire contro i Ferentillesi che minacciavano Montefranco, e insieme contro i Reatini che avevano gettato a terra Buonacquisto. Non sappiamo quanto tempo durassero le ingerenze di Spoleto in quel castello, ma la storia di questo si può dire legata piuttosto allo Stato di Ferentillo, del quale fece sempre parte. Anche oggi il paese trovasi nel territorio del Comune di Ferentillo. Il Castello, creato nel sec. IX per tenere testa ai saccheggi dei saraceni, fece parte del più ampio sistema difensivo dell’Abbazia di S. Pietro in Valle nel tratto che, nella gola del Nera sopra Ferentillo, si appoggiava alle Rocche di Mattarella e Sacrato-Precetto nel Terzo di Matterella insieme a Le Mura, Ampugnano, Lorino, Gabbio, Nicciano. Ospitò le truppe spoletine stanche e affamate da una lunga guerra contro i ternani ai quale contendevano le Terre Arnolfe assegnate da Innocenzo IV a Spoleto nel 1247. Conserva tuttora la tipologia del castello medievale di poggio con cinta muraria poligonale, difesa da torri alte non più di otto metri. Completamente restaurato vanta un interessante patrimonio artistico come la chiesa di San Biagio del XV sec. edificata sui resti dell’antica fortezza del paese (si notano infatti delle feritoie sull’esterno dell’abside una volta bastione difensivo). Lo stesso campanile è stato ricavato sulla ex torre d’avvistamento. La chiesa originaria si trova a circa 600 m. dal paese, nel complesso del Convento di San Giovanni di epoca alto medioevale, ormai completamente abbandonato. All’interno della chiesa di San Biagio di notevole valore artistico è la Pala d’altare dipinta da Jacopo Siculo raffigurante l’Incoronazione della Vergine tra i Santi (San Mamiliano, Maria Maddalena e San Giovanni)e una statua lignea raffigurante San Giovanni (proveniente dall’ex convento). Sempre all’ interno della cinta muraria si può ammirare il Pozzo sormontato da una colonnina datata 1005 con scolpito, il primo stemma di Ferentillo e la testa mozzata di un saraceno».
http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-san-mamiliano-ferentillo-tr
«Il castello è incastonato tra la natura verdeggiante, vicino ad Orvieto, lungo la direttrice che porta a Montefiascone. Il castello, oggi di proprietà privata, si presenta con una architettura armoniosa e allo stesso tempo possente; ha subìto un rifacimento nell'ottocento per opera di Paolo Zampi, per trent'anni ingegnere del Duomo di Orvieto. Nei pressi del castello di San Quirico si segnalano le "Fonti del Tione"».
SAN VENANZO (resti del castello)
«Il nucleo abitativo di San Venanzo viene fatto risalire al secolo VIII, in piena epoca bizantina. Fino al 1200 circa rimane sotto l'influenza dei vescovi di Orvieto. Nel 1224, coinvolto nello scontro secolare fra Todi e Orvieto per il possesso del castello di Montemarte, antica residenza dell’omonima famiglia di origine franca che intorno all'anno Mille esercitava la sua influenza sulla riva destra del Tevere fra Todi e Baschi, fu saccheggiato e devastato dai todini. Nel 1278 compare nell'elenco dei ventotto “Pivieri”, equivalenti del Municipium romano, dove si registravano le nascite le morti e il numero di famiglie del contado, individuati da Orvieto come punti di riferimento amministrativo-fiscale. Alla fine del 1200 il centro era difeso da mura, torrioni e fossati ed era sede di un viscontato. Nel 1295 i nobili orvietani si opposero alla rielezione del visconte di San Venanzo e misero la carica all'asta. Manno Monaldeschi, discendente di una famiglia arricchitasi con i commerci, si aggiudicò l’asta e divenne il vero signore di San Venanzo fino al 1337 anno della sua morte. Rimase sotto il dominio dei Monaldeschi fino al 1415 quando passò ai nobili di Parrano. La ribellione dei venanzesi nel 1437 causò la distruzione del castello di San Venanzo, in seguito alla quale il borgo venne nuovamente inserito nella delegazione di Orvieto insieme a San Vito in Monte. Nel XVIII secolo la storia di San Venanzo ebbe una svolta positiva sotto l’influenza di un’altra importante famiglia dell’Orvietano, i Faina. Questi, infatti, dettero un forte impulso all’economia e all’istruzione e fecero dono a San Venanzo della loro residenza di campagna (oggi palazzo comunale), costruita ai primi dell’800 sui resti dell’antico castello del quale sono tutt’ora visibili la torre campanaria della chiesa interna, parte del fossato e una delle torri. Nel centro storico resta anche la Chiesa della Madonna Liberatrice, del XIV secolo, con un affresco del secolo successivo e la Chiesa di San Venanzo Martire, costruita nel 1913 in stile neogotico, che conserva al suo interno una tela del 1700 raffigurante sant’Anna e preziosi oggetti in ceramica orvietana».
http://www.regioneumbria.eu/guidamusei/dettaglio-citta.asp?idcitta=37
«Il centro storico di San Vito è da considerare un vero e proprio "gioiello" del territorio del Comune di Narni sia per la sua conformazione architettonica a fortezza circolare con due porte sia per la sua posizione elevata e dominante, "a nido d'uccello", sulla sottostante piana del Tevere tra Orte, Otricoli e Magliano Sabina, affacciato su una campagna di pregio e di alto valore ambientale e paesaggistico. La collina sulla quale è arroccato il borgo è un enorme cumulo di ciottoli alluvionali con incastrate nel mezzo ostriche fossili. La Torre quadrata svetta al centro del castello in posizione dominante e da sempre funge da "sentinella" per il controllo del territorio circostante. Sembra che la primitiva costruzione, risalga all'epoca romana, intorno alla prima metà del I secolo d.C., come si legge in una nota dello storiografo latino Svetonio, a proposito di altre torri simili. Sotto l'imperatore Marco Aurelio Roma si serviva di una serie di torri di "vedetta", fatte erigere su spalti fortificati, al sommo di colline, lungo il dorsale subappenninico e la valle del Tevere, che venivano usate, con un ingegnoso sistema di trasmissione , che dall'alto riflettevano con il gioco degli specchi le comunicazioni da Roma al nord dell'impero e viceversa. Quella di San Vito è sicuramente una delle trentadue torri (citate da Svetonio) seppur ritoccata nei secoli, adibita a tale scopo. Più tardi nel 799 d.C., anche papa Leone III si servì di questo sistema per inviare ad Aquisgrana, a Carlo Magno, l'angoscioso appello di aiuto contro una congiura di prelati, ordita in Roma. La torre fu testimone, nel Medioevo, delle scorrerie dei pirati saraceni, che risalivano il Tevere con le loro agili barche per razziare il territorio e di quelle di vari capitani di ventura, tra i quali Di Vico e Braccio da Montone. Anche per San Vito, come per Guadamello, l'origine del castello si perde nella notte dei tempi, vari rinvenimenti archeologici, di cui sommariamente parleremo più avanti, ci testimoniano, che la zona era intensamente abitata da popolazioni italiche nel X e IX secolo a.C., vista la fertilità dei terreni, la vicinanza del Tevere e la ricchezza di sorgenti d'acqua.
Sicuramente, il primo nucleo umano stabile fu quello costituitosi attorno all'antica torre militare romana, formato dalla popolazione di Ocricolum in fuga, dopo il saccheggio della città ad opera dei Goti e dei Longobardi, nel Ve VI secolo. Sembra che la "diaspora" degli Ocricolani si concluse sui colli limitrofi verso Calvi e verso San Vito. Notizie certe, sull'esistenza di una "corte" di San Vito , si hanno in un documento del Regesto Farfense del 1036, nel quale un tal Pietro Abate di San Angelo in Massa e suo nipote Adriano, cedono all'abbazia dei terreni di loro proprietà, tra i quali la "curti Sancti Viti de Colle de Maclae". Nel 1227 San Vito e Striano erano gli unici castelli che dovevano fare solo atto di onore e reverenza per la festa di San Giovenale a Narni, gli altri offrivano alcune libbre di cera. Nel 1279 , Pietro di Ottaviano Scotti acquistò il castello dalla famiglia degli Annibaldi. Nel 1350, come tutti i feudi del territorio, doveva denunciare al vicario di Narni tutti i delitti commessi. Nell'anno 1454, agli Scotti venne data l'investitura del titolo comitale sul castello di San Vito. Nel 1591-1592, soffrì la carestia e la terribile pestilenza, che spopolarono anche altri contadi tra i quali Bufone, Marinata e Striano. In un tomo del '600, conservato all'Archivio segreto Vaticano, è presente una causa "per questioni di confini" tra i Montini di Guadamello e gli Scotti di San Vito, tra il 1651 e il 1690. Sappiamo che in questo periodo il castello e tutte le terre circostanti erano divise tra tre proprietari: un terzo agli Scotti, un terzo all'abbazia dei Santi Andrea e Gregorio al Celio e un terzo all'abbazia di San Vittore in Otricoli, nella persona di cardinali commendatari. Erano, però, solo gli Scotti che ufficialmente gestivano il potere, come veri e propri feudatari. ...».
http://www.turismonarni.it/mobile/home.php?id=19&sub=4&idDettaglio=4§ion=1
SAN VITO CASTELLO (ruderi del castello)
«Sorge non lontano dalla "tana del diavolo", grotta lungo il Fersenone, nella quale sono state trovate tracce dell'età del bronzo. Possesso dei vescovi orvietani, fu da loro fortificato perché punto strategico nella linea di difesa contro Perugia. Distrutto nel 1240, ricostruito e conteso dalle fazioni dei Monaldeschi in lotta tra loro, subì l'ultima distruzione nel 1505 ad opera di Sforzino Baglioni. Come Comune perse la sua autonomia nel 1929 quando venne aggregato a San Venanzo. Da vedere, all'interno della chiesa parrocchiale, le pregevoli lavorazioni in cotto (capitelli, balaustre, altari), la statua in terracotta della Madonna con bambino del 1500, una tela dei primi del ‘600 e un organo a canne del ‘700. La località è famosa per le sue acque ferruginose e sulfuree. Suggestive le mura castellane di San Vito castello, da dove si ammira un suggestivo panorama sulla Valle del Fersenone».
http://www.comune.sanvenanzo.tr.it/it/territorio_comunale/le_frazioni.html
«Il castello di Santa Restituta che oggi è un piccolissimo borgo arroccato sulle colline intorno ad Avigliano Umbro, nel medioevo nasce come nucleo fortificato. L'antico castello sorse infatti con funzioni di controllo del vicino corridoio bizantino e fu protagonista di diverse vicende storiche come ad esempio la venuta del re di Francia Carlo VIII nel 1495. Questi occupò tutto il territorio attorno ad Avigliano compreso il castello di Toscolano e chiese il riscatto a Todi. L'antico castello sorgeva in realtà più in alto, sul monte Pianello, dove ancora oggi sono visibili dei resti, ma pian piano al nucleo centrale si addossarono le case che, rafforzate da alcuni torrioni, andarono poi a costituire la cinta muraria. Oggi le costruzioni si allineano attorno ad un strada gradinata che sale fino alla parte più alta del borgo nella quale appunto sorgeva l'antico castello».
http://www.paesaggi.regioneumbria.eu/default.aspx?IDCont=225049
Schifanoia (resti del castello)
«...Il centro non viene nominato nei documenti antichi noti: l'origine del nome, tra le varie ipotesi, potrebbe essere longobarda e starebbe ad indicare la funzione di guardia dei pascoli (schiffa è la vedetta, nauda o noja è il pascolo). Il castello di Schifanoia, sempre sottoposto a Narni, si apriva come sentinella avanzata sulla gola tra Poggio ed Otricoli ed era dominato da una massiccia torre del XIII secolo, crollata nel 1925. Del castello ancora rimangono i muri perimetrali e i resti di una torre minore vicino alla piazza centrale. Il centro abitato attuale è stato costruito in epoca recente e non presenta particolari caratteristiche di distinzione; l'antico borgo fu distrutto l'8 giugno 1491 da Giampaolo Baglioni, Camillo Vitelli e Paolo Orsini che qui affrontarono i fuoriusciti perugini di Bernardino Ranieri. Monumenti e luoghi d'interesse: resti del castello (XIII secolo), con elementi della cinta muraria e ruderi delle torri; Porta Nova, a sud, ricostruita dopo essere crollata nel 2005».
https://it.wikipedia.org/wiki/Schifanoia
SCOPPIETO (castello Carpinaro)
«Un casale in pietra, situato nella frazione di Scoppieto del Comune di Baschi, costruito su fondazioni di epoca romana (una torre di avvistamento sul Tevere) in posizione dominante sul lago di Corbara, su una superficie coperta di 600 mq in grado di ospitare fino a 28 persone. Nel 1995 è stata individuata, nella campagna circostante la frazione di Scoppieto, una fabbrica di ceramica romana di grandissima importanza: ceramica da mensa, finissima, con il sigillo dei ceramisti, i fratelli Lucius Zosimus e Publius Avilius Zosimus, che lavorarono dal 14 al 75 d.C. Il sito è ubicato sulla sponda sinistra del Tevere, in un luogo in aperta campagna sulla sommità di un' altura a circa 420 m. s.l.m. in una splendida posizione a controllo del Tevere. La zona storicamente è molto interessante; attualmente è compresa nel Comune di Baschi, ma in età romana rientrava nel territorio di competenza di Todi, colonia Iulia Tudere. Lo scavo interessa una manifattura del I sec. d.C. che produceva ceramiche fini da tavola, la c.d. "terra sigillata" ( in cui venivano prodotti servizi di piatti, tazzine, ciotole anche decorate a rilievo, di un caratteristico colore rosso corallino) e lucerne, cioè i comuni strumenti per l'illuminazione. Era un villaggio di artigiani che lavoravano al tornio e nello scavo abbiamo individuato le loro postazioni di lavoro, con i loro attrezzi da lavoro. Dallo studio delle forme dei piatti presenti e dei tipi di bollo usati per firmarli, si deduce che la fabbrica di Scoppieto venne impiantata in età augusta e continuò a lavorare per oltre 100 anni, fino ai primi anni del II sec.d.C.. Si tratta di un complesso produttivo unico al mondo, in quanto, pur utilizzando mezzi di produzione noti anche altrove, non è stato mai possibile, a causa della deperibilità dei materiali usati, ritrovare le strutture e poterle scavare scientificamente attraverso le tecniche stratigrafiche, che consentono di individuare le sovrapposizioni e quindi fasi storiche. ...».
http://www.umbriacastellicasali.com/castello-carpinaro/storia.html
«Nel Medioevo fu un castello di una certa rilevanza. Munito di rocca fortificata, l'imponente costruzione a cinque piani, con due torri sermicircolari, collocata sopra un terrapieno con bastioni, svetta in tutta la sua mole a dominio del territorio circostante. Gravemente danneggiato nel 1254 dalle milizie della potente lega guelfa costituita dai Comuni di Orvieto, Perugia, Spoleto, Narni e Firenze contro i ghibellini di Todi, il castello fu al centro di asprissime contese tra gli Atti e i Chiaravalle. Una scia di sangue prese il via con la decapitazione del Guelfo Catalano Atti nel 1393 ed è andata avanti per almeno un secolo, fino all'intervento di Alessandro VI, nel 1500, a favore degli Atti, divenuti signori di Todi. Ma il sangue rimase tra le mura della fortezza: Eleonora Atti, il 14 ottobre 1575, fu uccisa a pugnalate dal marito Orso II Orsini».
«Questo edificio, anticamente chiamato Palazzo dei Priori, è molto probabilmente del XIII secolo, ma nei secoli successivi ha subito vari rimaneggiamenti e modifiche che ne hanno alterato le linee originarie. Sulla porta di ingresso vi è lo stemma comunale e una lapide con scritto Gratia Dei Nicolaus Cardinalis de Flisco, che ricorda il nome del governatore di Stroncone quando la porta venne costruita intorno al 1500. Una scala in pietra, alle cui pareti si possono ammirare lapidi e frammenti di origine romana e alto medievale, conduce al piano superiore dove si accede nell’antica sala dei Priori, oggi sala del Consiglio comunale. Alle pareti della sala, in alto tutt’intorno, è possibile notare gli stemmi delle famiglie patrizie locali, sebbene il Costanzi affermi trattarsi dei blasoni dei cardinali che ricoprirono la carica di Governatori di Stroncone. Nella stessa stanza è conservata anche la statua lignea policroma databile tra la fine del secolo XV e l’inizio del XVI secolo dedicata a S. Sebastiano che rappresenta il giovane e aitante soldato narbonese, in atto di sopportare serenamente l’atroce martirio. Nell’ufficio del Sindaco sono custoditi preziose opere d’arte: l’antica cassetta per il bossolo delle votazioni dei Priori risalente al secolo XVI, che conteneva i brevicelli per l’estrazione dei magistrati; il bossolo per le votazioni del XVI sec.; la tela ad olio raffigurante una Madonna con bambino, le monete e le medaglie, il sigillo comunale, i Corali miniati ed altri documenti storici, quali gli Statuti del Comune del XVIII sec., il manoscritto dell’avvocato Teodoro Costanzi sulla storia di Stroncone».
http://www.comune.stroncone.tr.it/canale.php?idc=38&pos=dx
«Stroncone mantiene ancora inviolato il suo circuito murario nel quale si aprono 3 porte: Porta Principale, originariamente fornita di una antiporta che rimetteva nella Piazza maggiore dove si trova l'Oratorio di S. Giovanni Decollato; Porta Capraia o di Sopra, che controlla le montagne verso Rieti ed immette alle vie degli Orti, caratteristico appezzamento legato alle case addossate alle mura; Porta di sotto o Porta Nuova, costruita accanto alla Chiesa di S. Maria della Neve, in direzione della città di Terni».
http://www.comune.stroncone.tr.it/canale.php?idc=36&pos=dx
«Esisteva già la piccola rocca nel secolo XIII, giacchè in un patto d'alleanza col Comune di Rieti, stipulato nel 1307, il nostro paese si obbliga ad accrescere di fanti e di cavalli le milizie reatine, a scendere con esse in battaglia contro tutti i loro nemici, eccettuati la Chiesa, il popolo romano e la città di Terni, e finalmente a cedere in tempo di guerra la torre al sindaco del popolo di Rieti. Nel 1394 fu occupata da Pandolfo Malatesta e nel 1404 da Andrea Tomacelli che, in rotta con la Corte di Roma e alleatosi con Ladislao re di Napoli, vi si asserragliò o per tenere a bada il paese, o per avervi un asilo forte e sicuro nel caso di una guerra in questa regione. Gli Stronconesi però, gelosi della loro libertà, insorsero, assalirono la rocca, ne cacciarono il presidio e buona parte ne distrussero. Quando il 14 dicembre 1493 Pio II passò per il nostro paese, le fortificazioni erano ancora tali da rendere il luogo munitissimo contro il nemico, e fu soltanto verso il 1756 che la rocca venne completamente distrutta per ricavarne i materiali che servirono a edificare la sacrestia di San Nicolò. La rocca, su pianta trapezoidale, occupava lo spazio dell'edificio utilizzato in momenti diversi a scuola e ospedale».
http://www.comune.stroncone.tr.it/canale.php?idc=42&pos=dx
«Il piccolo borgo di Tenaglie, situato nel comune di Montecchio, apparteneva ai “Baschi” dai primi del ‘200, Signoria formatasi alle porte dell’odierno lago di Corbara, fondata da Galino (probabilmente Ugolino o Guglielmo) di Biscaglia, ufficiale della truppa di Carlo Magno con il quale scese in Italia ed ebbe in dono il vecchio castello di Carnano, che sorgeva a circa 300 metri in linea d’aria dal Borgo, si elevava su di una rupe (e di cui oggi restano le rovine). Alla base delle mura del castello, attraverso un arco a tutto sesto, si accede al Borgo che si snoda in una serie di vicoli e piazzette. Sulla porta di ingresso del Borgo, possiamo ammirare lo stemma degli Atti che dominarono queste zone intorno al XV° secolo. Sul Borgo di tenaglie svetta Palazzo Ancajani. Fu costruito nel XVII secolo da Filippo Ancajani, cavaliere gerosolimitano e sergente maggiore dell’esercito pontificio. Il Palazzo fu restaurato alla fine dell’800 ed in anni a noi più vicini dagli attuali proprietari, che hanno realizzato anche una interessante Mostra delle civiltà contadine, in un grande edificio attiguo».
http://www.palazzettoancajani.it/pages/storia.php
«Per proteggere Terni dagli attacchi delle popolazioni vicine fu eretta, fin dall’epoca romana, una cinta muraria che si estendeva per circa 3-4 chilometri di lunghezza. In particolare è nell’epoca medievale che Terni dovette combattere le più aspre battaglie e resistere agli attacchi da parte o di milizie straniere o dalle popolazioni dei vicini paesi (es. Narni, Rieti). Nelle memorie storiche si legge infatti che Terni era sempre in guardia, pronta a costruire nuove fortificazioni per resistere alle ostili invasioni. Nel 1430 fu addirittura pubblicato un bando che vietava l’asportazione anche di una minima quantità di pietre dalle mura cittadine. La cinta muraria medievale, che si estendeva per circa 3-4 chilometri di lunghezza, ricalcava in parte quella romana: questo lo si può vedere in via delle mura dove, all’unico tratto superstite delle mura romane, è sovrapposta una muratura medievale. Alla città si poteva accedere per cinque porte: a sud da porta romana, a nord da porta spoletina, a est da porta San Giovanni e da porta del sesto e infine ad ovest da porta S. Angelo. Di queste porte ne sono rimaste solo due, quella Spoletina e S. Angelo. Le mura erano dotate di contrafforti, bastioni e torrioni. Quest’ultimi erano per la maggior parte a doppia volta e provvisti di manufatti per la difesa. Come si può vedere dalla foto che ritrae un tratto di mura identificate come quelle di via Saffi - piazza Tacito, l’altezza delle mura raggiungeva il primo piano dei torrioni in modo tale che si poteva andare da un torrione all’altro percorrendo lo stretto camminamento sopra la cinta muraria. La merlatura era provvista di feritoie così come i torrioni. Questi manufatti di difesa erano costituiti da un foro rotondo e da due fessure, una verticale ed una orizzontale. Il foro permetteva di sparare con gli archibugi mentre le due fessure permettevano di difendersi con l’archi e le balestre rispettivamente.
Al giorno d’oggi si possono vedere ancora alcuni dei torrioni della cinta medievale inglobati nel moderno tessuto urbano. Quello più conosciuto è forse quello che si trova in via Battisti, adibito ad edicola votiva. Il più interessante dal punto di vista strutturale è invece quello nascosto tra i palazzi della stessa via; infatti, anche se rimaneggiata in parte, la struttura presenta ancora i due piani e i due archi a sesto acuto. I resti delle mura medievali e i torrioni ancora oggi visibili fanno parte della cinta tardo-medievale, ovvero agli inizi del medioevo il perimetro delle mura nel lato nord della città era molto più arretrato. Questo è testimoniato dalla presenza del torrione in via Possenti riaffiorato a seguito del diradamento del tessuto edilizio causato dai bombardamenti. Il ritrovamento di tratti di mura romane nella zona di via Mazzini e la presenza di questo torrione fa pensare che in un primo momento la cinta medievale coincideva anche in questo lato della città con le antiche mura romane. Presso porta Romana era presente anche un piccolo forte, il Cassero, collegato nel 1400 con una robusta muraglia alla cinta muraria. Un altro elemento molto importante per la difesa della città era la presenza di due corsi d’acqua, il Nera e il Serra (o una sua derivazione) come ricorda l’antico nome di Terni, Interamna Nahars, città tra due fiumi. I due corsi d’acqua infatti circondavano l’antica Terni rendendo difficile l’assalto da parte di milizie ostili. Il Serra passava per il lato ovest della città fino a ricongiungersi, verso via del Cassero, con il Nera. Quest’ultimo invece, come tuttora, costeggiava il lato est della città. In corrispondenza delle porte di accesso alla città vi erano altrettanti ponti che permettevano di superare i due corsi d’acqua, come si può ancora ben vedere a porta S. Angelo».
https://sites.google.com/site/terninostru/le-mura-medievali (a cura di Mario Scipioni)
«Uno degli edifici di maggiore importanza a Terni è il Palazzo Carrara, la cui storia è legata a quella della famiglia di cui porta il nome. Probabilmente l’edificio originale risale al XIV secolo. Una delle caratteristiche principali di Palazzo Carrara è il suo inglobare un complesso di edifici, realizzati per ospitare il personale di servizio. Numerosi sono gli interventi che l’edificio ha subito, ed è spesso difficile ricostruirli tutti, in quanto non abbiamo documenti scritti che ne danno testimonianze. Un intervento di restauro del XVII secolo ha portato in luce tracce di lastricato in pietra rossa e di condutture. Nel XVIII secolo la famiglia Carrara si estinse. Ad acquistare il Palazzo fu il Comune, che lo elesse al sede municipale. Sulla facciata in via Carrara è conservata la decorazione cinquecentesca, in due fasce: la fascia superiore è in stucco, quella inferiore riproduce a graffito motivi geometrici. Molto belle, all’interno dell’edificio, sono le scale che conducono al piano nobile, decorate nel Seicento. La scala più importante è nota come Scala di Apollo e Dafne. Gli affreschi sono stati realizzati da Girolamo Troppa, mentre Guido Miriamo ha ridipinto buona parte della struttura, danneggiata da bombardamenti. Nelle pareti lunghe è stato affrescato il mito di Apollo e Dafne, mentre sulle altre figura Giove, la Fama, ed in un angolo un paggio dietro una tenda trompe l’oeil. Le decorazioni della volta sono quelle che hanno subito minori danni. Al centro di esse il Carro del Sole e l’allegoria delle Stagioni e dei Venti. La facciata, su due livelli, presenta un bellissimo portale, dominato da un balcone».
«Sorge in Piazza della Repubblica e risale alla fine del Duecento, quando il Comune acquistò un gruppo di case per farne il palazzo del Governatore. Già dalla metà del Quattrocento l’edificio comincia a subire varie trasformazioni, ospitando via via i Podestà comunali e i Governatori pontifici. Nel 1441, per dotare la città di un pubblico orologio e di una campana, fu costruita la torre annessa al Palazzo, ma questa crollò nel 1482, distruggendo gran parte dell'edificio. La ricostruzione, si protrasse per lungo tempo: solo nel 1547 iniziarono i lavori per la completa ristrutturazione dell'intero isolato. L'opera fu compiuta malamente e il Palazzo dovette subire continui interventi di manutenzione fino al 1616, quando l’architetto pontificio Girolamo Rainaldi fu incaricato di por mano al consolidamento statico. Nel 1703 Terni fu colpita da un terremoto: il Palazzo fu danneggiato, la torre crollò. La ricostruzione fu lunga e saltuaria, comunque priva di un disegno architettonico coerente: al nuovo Stato Unitario il Palazzo arrivò in condizioni assai precarie. Nel 1862, Benedetto Faustini, incaricato della ristrutturazione, “reinterpretò l'edificio in stile rinascimentale, ridisegnando le facciate e ricostruendo la torre campanaria coronata dalla merlatura ghibellina”. L'opera fu completata solo alla fine degli anni ottanta. Nel corso del Novecento si ebbero vari interventi di risanamento e di consolidamento, in particolare dopo i bombardamenti del 1943 che distrussero, tra l'altro, la torre campanaria. Fino al 1972 l'edificio ha ospitato il Municipio, che in quell’anno si trasferì nel rinnovato Palazzo Spada. Ristrutturato a partire dal 1986, l’ex Palazzo del Comune ospita attualmente la Biblioteca Comunale».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/terni/ex-palazzo-del-comune-terni
«L'Archivio di Stato di Terni nasce come Sezione di Archivio di Stato, con D. M. del 15 maggio 1957, diviene Archivio nel 1963, in conformità alla normativa che stabilisce l'istituzione di un Archivio di Stato in ogni capoluogo di Provincia. L'istituto ha sede nel palazzo Mazzancolli, uno dei palazzi più antichi della città, collocato nel centro storico. Il palazzo fu edificato nel XV secolo da Giovanni Mazzancolli, uditore della Camera Apostolica. Ospitò fra le sue mura papa Pio II Piccolomini, di passaggio per Terni verso Ancona. La famiglia Mazzancolli abbandonò il palazzo nei primi anni del XVII secolo. Nel 1836 Abramo Ascoli, un ebreo anconetano trasferitosi a Terni, vi impiantò una filanda attiva fino al 1868. Nel 1873 fu acquistato dalla Congregazione di Carità di Terni, bisognosa di un'altra sede a causa dell'esproprio e abbattimento del vecchio edificio in seguito alla realizzazione del nuovo Corso Tacito. Prima dell'insediamento della Congregazione l'edificio fu ristrutturato dall'architetto Benedetto Faustini. Nel 1926 la Congregazione cedette in affitto il palazzo alla Federazione fascista ternana che lo restaurò a sua volta affidando l'incarico all'architetto Gaetano Coppoli. La Federazione lo acquistò nel 1933. Alla caduta del fascismo il palazzo passò al Demanio dello Stato che lo diede in uso nel 1956 al Ministero dell'Interno, per ospitarvi una Caserma di P.S. fino al 1965. L'Archivio di Stato occupò nel 1970 l'ala posteriore del complesso e recentemente, dopo il restauro dell'edificio principale, ha riaperto al pubblico le sale di consultazione nel palazzo monumentale. Nei suoi depositi conserva gli archivi degli uffici statali della provincia ed altri archivi di notevole interesse storico, per un periodo compreso tra il XIV e il XX secolo. I fondi archivistici più antichi sono gli archivi notarili e l'archivio storico del Comune di Terni, che ci documenta l'attività amministativa dell'ente dal 1315 al 1952. L'Archivio di Stato di Terni si caratterizza per la presenza nei suoi depositi di archivi di industrie d'importanza nazionale, che operano o hanno operato nel territorio cittadino».
Terni (palazzo Spada, oggi Comunale)
«Il Palazzo Spada, sede del Comune di Terni fu edificato verso la metà del Cinquecento dal conte Michelangelo Spada, cameriere segreto del Papa Giulio III, su progetto di Antonio Sangallo il Giovane, morto a Terni in circostanze misteriose. Come scrive de Rogissard nel Settecento "Il Palazzo dei Conti Spatha merita di essere visto dagli stranieri, per la bellezza della sua struttura, e per la grandezza delle pietre, con cui è costruito". Il palazzo infatti appare di aspetto massiccio e squadrato con il fronte posteriore, divenuto prospetto principale per il mutato assetto urbanistico, alleggerito da un ingresso a tre arcate e con due fasce che spiccano sulla tormentata tessitura muraria lasciata a vista dopo l'intempestivo raschiamento eseguito durante l'ultimo restauro. Fu rifatta la pavimentazione della corte interna e quella di accesso al fronte una volta posteriore, che si affacciava sulla attuale Via Roma. Scomparve così ogni traccia del giardino alberato tipico del periodo cinquecentesco e venne accentuato il carattere massiccio e intimidatorio della mole architettonica. Sulla cubica mole del palazzo si innalzano due altane quadrangolari, aggiunte nel Settecento e in seguito tamponate. L'impianto planimetrico presenta alcune analogie con palazzi signorili romani quali il bramantesco palazzo Giraud ora Torlonia in via della Conciliazione. I prospetti interni del palazzo ricordano seppure con dimensioni non canoniche, il sangallesco cortile di palazzo Baldassini a Roma. Agli affreschi cinquecenteschi dei saloni interni si sovrapposero in parte nuove decorazioni settecentesche. Il complesso pervenne alla famiglia Massarucci probabilmente nel sec. XIX e successivamente alle Suore del Bambin Gesù. Nel 1973 dopo il passaggio al Comune di Terni, il palazzo subì un radicale restauro per destinarlo a sede comunale. Tutte le sale del piano nobile sono decorate con affreschi eseguiti tra la seconda metà del XVI e il XIX sec. Al centro della volta del salone principale, attualmente adibito a sala consiliare, è rappresentato "Fetonte punito da Giove"; ai lati, in altri sei riquadri, sono raffigurati episodi della "Battaglia di Lepanto" e della "Strage degli Ugonotti"; tra l'uno e l'altro riquadro si svolge una vasta e complessa decorazione a grottesche, ricca di elementi insoliti ed originali. Nella fascia sottostante l'attacco della volta sono raffigurati paesaggi, alternati a stemmi vescovili e papali, tra i quali figura quello di Giulio III Del Monte, che, investì Michelangelo Spada del titolo di conte. Le pareti sono rivestite da una decorazione fingente un colonnato. Gli affreschi principali di questo salone, di dichiarato gusto tardo-manierista, sono tradizionalmente attribuiti a K. Van Munder. Contigue alla sala consiliare sono quattro sale più piccole con rappresentazioni di dei pagani nel centro delle volte...».
http://www.comune.terni.it/canale.php?idc=245
«Sorge in via Roma, poco distante da Palazzo Spada. La struttura fu costruita dalla famiglia Barbarasa, per significare alla città intera e ai villaggi vicini la Potenza della famiglia stessa. In effetti, proprio il carattere unitario della superficie della torre, l'assenza di un'alternanza di pieni e vuoti, e l'assenza di decorazioni esprimono quella solennità e solidità e Potenza, che sembrano essere state nei propositi del committente e dell'architetto. La Torre si eleva verso l’alto, quasi una sentinella che da secoli protegge la città. Fra le case-torri medievali di, essa è la meglio conservata tra le case-torri medievali della zona. Una lapide in alto ricorda che il 21 giugno 1657 da qui venne esposta la reliquia del Preziosissimo Sangue, conservata nel Duomo, per allontanare dalla città un'epidemia di peste».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/terni/torre-barbarasa-terni/
«...Per difendere la città [di Terni] e quindi controllare gli accessi viari verso Terni, si provvide ad innalzare nelle alture che circondavano la conca ternana, delle fortificazioni con strutture più o meno complesse: da semplici torri di avvistamento fino a solide ed inespugnabili fortezze. Di queste fortificazioni oggi rimangono solo alcuni resti che, se non si provvede ad un loro restauro e/o recupero, presto non ne rimarrà alcuna traccia. Una di queste fortificazioni che rischia di scomparire è la Rocca Di Colleluna. Con la sua posizione privilegiata rispetto alla conca, leggermente decentrata vero Nord-Ovest con una visuale libera a 360°, era impossibile che Colleluna non fosse sfruttato come sito per una fortificazione a difesa della città: da qui si aveva il controllo sul fiume, sulla Flaminia, sulla strada per Cesi e Sangemini. I resti della rocca che oggi sono lasciati li, all’incuria del tempo, non fanno di certo immaginare l’aspetto poderoso di questa fortificazione. Al giorno d’oggi infatti rimangono solo i resti di una torre ottagonale e parte di una torre a pianta circolare. Leggendo però le memorie storiche si può tentare di ricostruire l’aspetto della rocca, teatro di sanguinose battaglie combattute dai ternani. Costruita nell’epoca medievale (anche se probabilmente già all’epoca romana esisteva un avamposto di guardia), si legge che la torre circolare era alta più di trentacinque metri e presentava un circonferenza di una trentina di metri di diametro. Nel vestibolo al pianterreno si apriva un profondissimo trabocchetto (una sorta di pozzo) che portava a dei locali sotterranei come prigioni, casematte e nascondigli, illuminati da dei fori trasversali praticati sulle pareti. Questi locali erano in comunicazione con la casa del castellano, situata vicino alla rocca, grazie ad lungo viadotto sotterraneo che proseguiva poi fino al centro della città, in piazza della Repubblica. La porta di ingresso, a tutto sesto con gli stipiti formati con quadrelli di pietra sponga, si apriva immediatamente sul cordone a risalto, alta parecchi metri dal suolo, a cui si accedeva per mezzo di un ponte levatoio. All’interno della torre c’erano diversi piani collegati tra di loro grazie ad una scala coclide. Ogni piano, sostenuto da una volta ad arco, era dotato di aperture strombate con le bocche da fuoco, oggi ancora ben visibili. Terminava la sommità con una volta ad arco, su la quale spaziava un’ampia piattaforma per esplorazioni, sostenuta da beccatelli in laterizio e da piombatoie coronata tutta intorno dal cammino di ronda. ...
Molte furono le vicende che trasformarono la Rocca di Colleluna e i prati che la circondavano in un teatro di sanguinose battaglie. La battaglia forse più cruenta avvenne verso la fine del 1400. In quegli anni i rancori tra Terni e Cesi, suscitati da controversie di confini e altre ragioni di liti continuavano ancora, senza interruzione. I Ternani infatti riuscirono nel 1494 ad impadronirsi della rocca di Cesi mettendo tutto a ferro e fuoco. I Cesani allora, costernati dalla ferocia delle armi straniere affidarono la rocca agli Spoletini sperando in un valoroso appoggio. Anche le altre città e rocche si sottraevano al dominio della città più vicina per favorire gli interessi di Spoleto. I Ternani sentendosi offesi nei diritti geografici intensificarono la lotta invadendo territori limitrofi. Il comune di Spoleto intervenne allora decretando guerra contro Terni e, per assicurasi la vittoria su Terni ricorse a Bartolomeo d’Alviano, seguace della parte Guelfa. L’11 giugno 1497 le truppe spoletine unitesi con la cavalleria d’Alviano arrestarono la marcia, ponendo il campo tra Terni e Colleluna. Nella notte del giorno successivo con improvviso assalto, dopo un aspro combattimento, riuscirono ad espugnare la saldissima rocca togliendola ai Ternani i quali strenuamente la difendevano. Dalla fine del 1600 in poi la rocca inizio a perdere la sua importanza strategica e militare. Col passare dei secoli poi inizio ad andare in rovina. ...».
https://sites.google.com/site/terninostru
Terni (torre Dionisia o dei Castelli)
«Torre dei Castelli. Fa parte del complesso di case medievali appartenute alla nobile famiglia dei Castelli. La torre, detta anche Dionisia, è una delle poche superstiti delle cento torri che abbellivano la città in epoca medievale».
http://www.ditt.it/eccellenza.php?ID_eccellenza=562
«Il Castello di Titignano è stato edificato da Farolfo di Montemarte nell'anno 937. La famiglia Montemarte di origine francese, è venuta in Italia a seguito di Ludovico II re di Francia. L'antica costruzione fu a lungo contesa fra la guelfa Orvieto e la ghibellina Todi. Successivamente tra il XVI e XVII secolo, fu trasformata in un grande palazzo con un piccolo borgo che ne costituisce la corte. Nel 1830 il principe don Tommaso di Filippo Corsini di Firenze, lo acquistò ad un'asta a lume di candela dallo Stato Pontificio che lo aveva confiscato alla famiglia Montemarte. L'attuale erede è la marchesa Nerina Corsini Incisa della Rocchetta, proprietaria anche della fattoria di Salviano che insieme alla fattoria di Titignano ed alla fattoria di Vaglia compongono un'unica azienda agricola estesa oltre tremila ettari».
http://www.titignano.com/it/storia_titignano.html
«Proprieta privata. Il complesso, perfettamente visibile dall’autostrada A1, è ubicato, in posizione panoramica, in località Tor di Monte, nel comune di Orvieto. Situata su di uno sprone triangolare che si protende verso l’ampia valle orvietana, deve il suo aspetto all’architetto Ugo Tarchi che, operando integrazioni e ampliamenti in forme medievali attinte dalla cultura e dalle tradizioni locali, trasformò l’antico castello duecentesco (già restaurato nel 1346) in villa residenziale. La cinta muraria merlata che racchiude questo pseudo borgo, sebbene ora abbia funzione di semplice sostegno, costituiva l’originario sistema difensivo che rendeva, insieme all’aspro territorio sottostante, il castello inespugnabile. Il complesso è articolato intorno ad un grande piazzale con due gruppi di fabbriche di cui uno comprende i manufatti di servizio e la cappella, mentre l’altro la dimora circondata dal giardino. Un piccolo bosco di lecci, ubicato in prossimità dell’ingresso, anticamente sistemato con siepi di bosso, completa il suggestivo insediamento. Alla villa si accede mediante un ponte che mena fino ad un’alta torre merlata dove campeggia un bell’arco decorato con una cornice grecata. All’interno, l’insieme continuo dei fabbricati rustici e la cappella chiudono su un lato la grande corte di forma trapezoidale. Sull’altro lato del piazzale sono disposti i corpi di fabbrica destinati alla dimora padronale. Su questi ultimi, oggetto di intervento ricostruttivo del Tarchi, domina l’imponente torre centrale, elemento meglio conservato dell’impianto originario. La facciata sul piazzale è la più semplice: a tre piani, coronata da merli guelfi sporgenti dal filo della muratura segnata dalla fascia marcapiano ove si aprono finestre ad arco ribassato che nel sottotetto e nel pianoterra, sono di dimensioni minori. La facciata di ponente ha un corpo centrale con basamento a scarpa segnato da doppio toro su cui s’impostano le finestre ad arco ribassato del primo piano. Un piano superiore ornato al centro da un elegante balcone su voltine e da finestre bifore decorate nella ghiera col tipico motivo medievale orvietano degli scacchi. La corte d’onore, nel lato opposto, è caratterizzata da corpi di fabbrica variamente disposti tra i quali emerge quello centrale. Questo, articolato su tre piani, è caratterizzato da due alti marcapiani che contengono rispettivamente le belle finestre ribassate del primo piano e le elegantissime bifore, riccamente incorniciate, del secondo piano. Una semplice merlatura guelfa corona la gran parte dei corpi di fabbrica. Dal piazzale d’ingresso, attraverso un grande arco, si accede al giardino di ponente costituito da un semplice parterre ripartito da vialetti, abbellito da una fontana e panoramicamente aperto da un lato. Questa sistemazione prosegue nella parte settentrionale ove si può ammirare anche uno splendido panorama. Le prime notizie di tipo storico risalgono al XIII secolo, epoca in cui il comune di Orvieto cedette il castello, come onorificenza di guerra, ai conti di Montemarte. Nel 1201 passò sotto la proprietà di Monaldo di Pietro Monaldeschi il quale, nel 1248, lo promise unitamente ad un altro possedimento, all’allora console romano e podestà di Orvieto, Jacomo Petri Octaviano Nel 1346 il castello fu completamente restaurato e successivamente pervenne in proprietà ad un ramo della famiglia senese Piccolomini Clementini che, agli inizi del Novecento, lo cedette al conte Brazzetti i cui eredi ancora lo detengono».
http://www.regioneumbria.eu/default.aspx?IDCont=201168
«L'antico borgo medievale, arroccato su di un colle come tutti gli altri centri storici della Valnerina, dista appena 11 km dalla città di Terni. Le sue origini si fanno risalire all'XI secolo quando, dopo la distruzione del castello di Collestatte per mano di un esercito al soldo dell'Abate di Farfa, tredici famiglie si trasferirono sul vicino Colle (o Monte) Santa Maria, costruendo un agglomerato che prese il nome di Villa Sanctae Mariae. Distrutto nel 1264, durante le lotte tra guelfi e ghibellini, nel 1270 la Comunità di Collestatte dona al ducato di Spoleto il poggio con i ruderi di Santa Maria per erigervi nuove fortificazioni. Attorno ad una torre superstite, le poche famiglie rimaste costruirono il Castrum Turris, che dal 1271 diviene un unico feudo insieme a Collestatte, feudo retto dalla famiglia Orsini del ceppo detto di Castello. Nel 1586 il paese ottiene dal proprio signore, Corradino Orsini duca di Bomarzo, un proprio sigillo con stemma araldico, composto da una torre sormontata da una rosa con intorno la scritta TVRRIS VRSINAE. Nel 1627 Turris Ursinae ottiene l'autonomia da Collestatte e per tre secoli tiene liberi Consigli finché il suo territorio non viene aggregato, nel 1927, a quello del Comune di Terni. Torre Orsina rimane in mano degli Orsini di Castello fino al 1640, quando Orazio Orsini vende la sua parte di feudo ai Guidi di Bagno; nel 1656 passa poi ai Mattei-Orsini, duchi di Paganica, e successivamente al Conte Cerbelli di Nepi, che lo cede nel 1752 ai conti Manassei di Terni. Questi avevano già dal 1662 acquistato la metà della giurisdizione su Collestatte e Torre Orsina, nelle parti di proprietà degli Orsini di Monterotondo, dei Sassatelli di Imola, dei Valignani di Chieti e dei Savelli di Roma. ... Notevole per la sua fattura ed unica fra i paesi dei dintorni è la porta rinascimentale in travertino bianco, voluta dagli Orsini a chiusura del Borgo quando ne ampliarono il recinto murario. Il nucleo medievale si sviluppa in forma ellittica con vicoli e caratteristici archi che si diramano a partire dal fulcro centrale costituito dall'antica parrocchiale di Santa Maria de Turre, oggi chiamata S. Antonio. Nel Borgo costituito da palazzi costruiti tra il XVI e il XVIII secolo spicca il Palazzo feudale innalzato dagli Orsini, ma il cui aspetto settecentesco si deve alla trasformazione voluta dai Manassei con uno splendido salone nobile completamente affrescato intorno al 1765, con vedute di Collestatte e Torre Orsina e, sulla piazzetta il Casino Manassei costruito nel 1778 con un orologio a sei ore sul fastigio».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torreorsina
«Sorge sulle pendici del monte Croce di Serra, in una splendida posizione panoramica, ed è immerso in una fitta vegetazione costituita per lo più da castagni. La sua ubicazione originaria, nei secoli trasformatosi in un grazioso borgo medievale, è da individuare nei ruderi di Toscolano Vecchia il cui nome derivava dalla gens Toscola. Il borgo nacque attorno ad un castello di origine duecentesca, costruito come avamposto di difesa verso il territorio tuderte, assieme alle vicine Melezzole e Santa Restituita. In seguito venne inglobato a Todi, come dimostra lo stemma (aquila) che campeggia sopra una delle porte di accesso. La fortezza venne poi ristrutturata nel 1442; è caratterizzata da una pianta urbana di tipo concentrica e da possenti mura circolari dotate di torrioni di difesa e avvistamento. In un messale storico nella chiesa di S. Apollinare è apposta la firma di Carlo VIII re di Francia, occupante del castello nel 1495».
http://castelliere.blogspot.it/2012/12/il-castello-di-domenica-23-dicembre.html
«Il castello è immerso in una fitta boscaglia, la struttura segue l'andamento delle rocce su cui poggia, risalta l'alta torre quadrata, spiccano i bastioni e la porta ogivale e i resti della Chiesa romanica di San Rocco. La fortificazione domina il Nera, risale all'890 e fu eretta per difendere dalle invasioni dei saraceni l'abbazia di San Pietro in Valle. Vista l'importanza strategica, il castello fu ulteriormente fortificato nel 1400 e nel 1570. Il paese ha dato origine anche a un titolo principesco concesso in epoca ottocentesca al generale francese Luigi Desiderato di Montholon. ... è il turrito castello, che si vede dall'abbazia di San Pietro in Valle, dominare l'altra sponda della gola e ancor oggi ben visibile dalla valle. Sta arroccato su uno sperone di montagna(versante nord di M.S.Angelo), con antiche case attorno in posizione naturalmente fortificata. è solo una suggestione di pace e di operosità. Infatti non ci abita più nessuno. L'ultima famiglia è partita nel 1950, attratta dal miraggio della città industriale, giù, lungo il Nera. La sua fortificazione risale a poco dopo l'invasione saracena dell'Umbria nell'890. E fu eretta a difesa dell'abbazia. Ma certamente rifatta nel secolo XV: la planimetria segue l'andamento del pendio roccioso, con bastioni, porta ogivale, il tutto sotto l'alta torre quadrata(càssero). Le muraglie scendono ai lati del pendio fino alla torre, alla quale si accede per un'alta pusterla. L'abate di San Pietro in Valle lo concesse al comune di Spoleto nel XIII secolo, e glielo confermò nel 1250 il cardinale legato Capocci. Nel 1517 passò per permuta ai conti Cybo-Malaspina di Ferentillo, come i villaggi vicini. Nel 1730 fu dei Benedetti di Spoleto; essi, nel 1847, lo vendettero a Luigi Desiderato di Monthelon, che da Pio IX ebbe il titolo di principe di Umbriano e Precetto (Ferentillo). Nel 1860 fu ricomprato dal comune di Ferentillo. Sul lato occidentale del castello sono i resti della piccola chiesa, con affreschi dello Spagna completamente in rovina: Crocifissione con l'Eterno e San Sebastiano. Se ne è recentemente progettata la vendita in blocco, che non ha tuttavia avuto esito. Altro Umbriano è presso Vallo di Nera. La tradizione vorrebbe che questi paesi risalgano ai primi insediamenti umbri. Ma siamo, a rigore, in territorio sabino (oltre il Nera). Ma forse è un toponimo prediale».
http://www.umbriano.altervista.org/index.html - http://www.umbriano.altervista.org/storia.htm
Vagli (già castello di San Pietro in Valle)
«Nel 1200 contava 160 abitanti e si chiamava "Castello di San Pietro in valle", Castrum vallis. La chiesa di San Pietro esisteva prima del 1112, infatti i monaci Gregorio e Clemente le ebbero in possesso, poi fu donata, insieme al convento, all'Abbazia di Farfa. Attualmente la chiesa è fuori dal piccolo abitato ed è attaccata ad un casolare. Il castello aveva una tradizione guerriera e contava un forte numero di sergenti, di limiti, di cavalli da battaglia. Passato alla Camera Apostolica, fu venduto a Ludovico e Angelo degli Atti nel 1528. Secondo le disposizioni napoleoniche, fu attribuito a Baschi».
http://www.comune.baschi.tr.it/sa/sa_p_testo.php?x=06ddb95f4c6efc2e535ccd6278a47340&idservizio=10013...
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