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Immagine
introduttiva (solo per arricchire la barra di caricamento che avanza):
un castello in costruzione, un’umile borgata e un miles
che ti guarda in cagnesco, mentre una voce bianca canta «Agnus
Dei…». Cominciamo bene. L’apertura
del filmato introduttivo parla da sola: «il medio evo….» [con
quattro puntini di sospensione, ma non facciamo i tignosi come al
solito: melius abundare quam
deficere – e con buona pace di Totò (lui sì che almeno
l’ascendenza, di medieval-imperiale, ce l’aveva… e scherzava col
latino…)]. Musica
di sottofondo in stile simil-gregoriano in simil-latino, a cui si
affiancano gli immaginabili tamburi seguiti da archi e fiati
loschissimi, ad aumentare l’effetto voluto. Voce
del narratore decrepita: «Ah… la vita nel vecchio castello… la
gente era così amichevole…». Scena: il presunto narratore, ormai
vecchio, è alla gogna e quei buontemponi dei popolani gli tirano
frutti [anziché mangiarseli?!] in faccia. Almeno non ci hanno messo i
pomodori. Continua:
«… e quante feste facevamo… c’erano tante fanciulle a cui fare
la corte…». Scena: in un’oscurissima stamberga il vecchio ingolla
una brodaglia in cui galleggiano ossicini e pezzi di esseri non
identificabili, mostrando un appetito di tutto rispetto. Di fronte a
lui c’è la fanciulla: una vecchiaccia laida che a un certo punto fa
un rutto e poi tossisce seccamente. Non sembra indice di buona
salute… Ancora:
«…e poi c’era da lavorare. Un lavoro che acuiva le nostre menti
[lui da giovane con l’alabarda, che si addormenta in piedi, mentre
sta facendo la guardia sugli spalti] e rinvigoriva i nostri corpi [un
altro vecchietto che, sempre tossendo, modella un arco con un
coltellaccio, quando dalla baracca sopra di lui qualcuno getta una
secchiata di liquami certamente luridi – sennò che senso
avrebbe?!-]». Ma,
nonostante tutto, «quelli sì che erano bei tempi… e poi c’erano
i vicini» e qui si capisce chi era il ceffo di ferro vestito
dell’inizio del filmato: un assalitore, addosso al quale viene
gettato un… ebbene sì. Secchio di olio bollente (che nella scena
sembra però vomitare fiamme). Conclusione musicale: «Alleluia». Mi
metto il cappotto per i brividi (nonostante paghi 20 euro in più di
condominio ogni mese, proprio per i riscaldamenti – ma dove andranno
a finire ‘sti soldi?!] e avvio il gioco. Ecco!
Ambientazione insolita: una penisola sperduta… e compare l’Italia.
La disperazione mi induce a fare scarsamente caso alla trama. E non a
torto: solita solfa del padre nobile fatto prigioniero, blah blah, i
baroni rampanti occupano le terre come fossero le scuole del ’68,
blah blah, e poi fanno i complotti per non farmi pagare il riscatto,
mi usurpano l’usurpabile, io devo combatterli per risolvere la
situazione, fortuna che ho il consiglio dei vecchi e gloriosi amici di
mio padre, blah blah. Il tutto condito con una hollywoodiana immagine
del messaggio assicurato al tavolaccio per mezzo di un pugnale
talmente intarsiato che sembra uscito dalla fiera dell’Oro Levante. Il
gioco non inizia male e, poco a poco, mi accorgo che, una volta tanto,
le mazzate da orbi e le spadate sventranti lasciano il posto a
qualcosa di più concreto. Bisogna
innanzitutto sistemare il castello, che all’inizio è (sebbene sia
chiamato «palazzo sassone»-?!-) un casone di legno. Il re, che
agisce per conto proprio, è vestito di un mantello blu con bordi
bianchi e ha uno spadone enorme. Ma il bello è proprio questo: nel
gioco, per vincere le varie campagne, bisogna produrre! E, se il tuo
indice di gradimento presso i popolani scende al di sotto di un certo
limite (tasse troppo alte e\o razioni di cibo troppo scarse, perché
bisogna pure sistemare un granaio e un magazzino da gestire), questi
se ne vanno, le attività produttive cessano di funzionare, vai in
bancarotta e, quando i vari nemici ti mandano una squadra di
incursori, non hai né gente arruolabile, né gli artigiani che fanno
lance, archi, balestre, corazze, dacché non ci sono
boscaioli-falegnami, cavatori di pietra, minatori, conciatori,
allevatori etc. etc. etc. Almeno
una lancia è da spezzare in favore del gioco: rende l’idea del
sistema produttivo di un castello, e sarebbe ingiusto infierire con
argomentazioni intellettualistiche circa la falsità della
“chiusura” dell’economia curtense, per almeno due buone ragioni:
1) si può costruire il mercato in cui si acquistano e vendono le
merci in eccedenza o di cui c’è domanda; 2) è pur sempre un
videogioco… Purtroppo,
però, dopo la prima (ad essere buoni) oretta e mezza di gioco, il
tutto si traduce in una noia tremenda. Il gioco diventa macchinoso, le
musichette assillanti, le voci dei personaggi insopportabili,
insomma… meglio spegnere e farsi una partita a carte. Lì, almeno, i
riflessi del Medioevo, tra spade, coppe, denari e bastoni, e re,
cavalieri e fanti, ci sono proprio tutti. Benevalete!!!
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©2006 Pierfrancesco Nestola