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a cura di Gianluca Lovreglio
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Veduta frontale
Il sito ove sorge il monastero di Santa Maria della Giustizia nei pressi del mare e del fiume Tara è lo stesso che ha ospitato l’hospitium peregrinantium di S. Maria del Mare, fatto costruire nel 1119 per volontà di Costanza d’Altavilla e del figlio Boemondo come ricovero dei crociati e dei pellegrini diretti in Terra Santa. L’istituzione
della Congregazione Olivetana (filiazione dell’Ordine Benedettino) nella
città jonica risale invece agli inizi del secolo XIV. Fu nel 1482 che l’arcivescovo
Giovanni d’Aragona individuò per gli Olivetani la sede di Santa Maria della
Giustizia, nei pressi del fiume Tara, un tempo abitato da monaci greci. Le
attività principali della comunità olivetana furono l’agricoltura e l’allevamento,
ma i monaci riuscirono a sfruttare anche le risorse del mare. Gli
orti e gli abbeveratoi del Monastero e il vicino fiume rappresentarono però una
forte attrazione per le incursioni dei turchi: una delle prime e più violente
incursioni subite dalla comunità monastica fu quella del 1520, durante la quale
fu rubato il ricco tesoro. Priva di difese, l’abbazia continuò ad essere
bersaglio degli assalti pirateschi; particolarmente grave fu quello del 1594,
durante il quale il complesso fu parzialmente incendiato. Nel
secolo XVII, a causa delle condizioni di degrado dell’Abbazia, l’Arcivescovo
Stella concesse agli Olivetani di trasferirsi in città, nell’Ospizio di S.
Francesca Romana, dove furono trasferite le tele e la campana della vecchia
sede. Successivamente
trasformati in masseria, i vari ambienti dell’abbazia subirono frazionamenti e
ristrutturazioni, allo scopo di adattarli a ricovero del bestiame, deposito di
attrezzi e prodotti. Persino il nome cambiò in Masseria la Giustizia. A
partire dal 1960 il complesso fu inglobato nell’area industriale di Taranto,
finendo soffocato dalle cisterne della raffineria e perdendo definitivamente gli
originari rapporti non solo con il contesto ambientale, ma persino con la
memoria storica e collettiva della cittadinanza. Intorno
al 1970 è stato inserito tra i beni del Demanio e assegnato alla Soprintendenza
per i Beni Ambientali, Architettonici Artistici e Storici della Puglia. A
partire dal 1980 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha dato avvio ad
un sistematico intervento di restauro del monumento, ormai in via di
completamento, che ne ha consentito il totale recupero. L’impianto
dell’abbazia si articola intorno a due vaste aree a pianta quadrangolare.
Dalla prima, più piccola, si accede alla chiesa angioina, che presenta una
facciata monocuspidata e decorata da rosette a punta di diamante, al convento e
a locali di servizio ad unico livello. La
Chiesa, ad unica navata, è suddivisa in due campate coperte da volte a crociera
costolonate impostate su gruppi di semicolonne; dall’area presbiteriale, anch’essa
con volta a crociera, si accede alla sacrestia che conserva l’originario
pavimento in cotto giallo. Sulla parete destra della prima campata, due colonne
scanalate impostate su alti basamenti e reggenti una trabeazione aggettante
segnano l’accesso alla splendida cappella cinquecentesca, coperta da una volta
ad ombrello e decorata da cornici scolpite ad ovuli. Sulla
parete di fondo è collocato l’altare in pietra scolpita e dipinta, sormontato
da un dipinto murale. Attraverso uno stretto passaggio ricavato sotto la scala
che porta al piano superiore del convento, si accede, internamente, all’androne
voltato a botte. Quest’ultimo, disposto lungo l’asse del nucleo originario
destinato ad ospizio, consiste in un vasto ambiente rettangolare, con la volta a
botte scandita da due serie parallele di nervature trasversali, poggianti su
peducci in pietra. Sulla parete di confine con l’androne, il restauro ha
consentito il recupero di un affresco, raffigurante il Crocifisso fra l’Addolorata
e i Santi Giovanni e Benedetto. La
seconda area, più vasta, doveva accogliere un chiostro o un portico di cui si
leggono le tracce delle imposte delle crociere, è chiusa sul Iato ovest dal
corpo di fabbrica corrispondente all’originario ospizio dei pellegrini di
epoca normanna. Un
ultimo corpo di fabbrica, aperto verso la campagna, forse destinato a luogo di
prima accoglienza, presenta un ampio portale di stile durazzesco, con arco
ribassato inscritto in un rettangolo bordato da una cornice torica, sormontato
dal simbolo dell’Ordine Olivetano. Al
piano superiore dell’abbazia si accede attraverso una scala in carparo che
sfocia in un vasto ambiente rettangolare che funge da disimpegno per altri
piccoli ambienti, forse le celle, mentre un vano più ampio risulta sovrapposto
al presbiterio della chiesa. Attraverso una porta scolpita con motivi a rosette
e con lo stemma olivetano, si accede ad una ripida scala che conduce alle
coperture della chiesa e ai resti dell’antico campanile. Tutto il complesso è
protetto da una muraglia che delimita il perimetro entro il quale si articolano
le costruzioni. L’accesso principale è ricavato nella muraglia orientale. L’intervento
di restauro, ormai in fase di completamento, ad oggi interessa l’interno dell’ala
nord, primo nucleo dell’insediamento normanno. Il monumento rimane ad oggi in
attesa di una utilizzazione.
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(Ministero
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e per il Paesaggio della Puglia), testi di
Augusto Ressa, Michela Tocci, Daniela De Bellis, Taranto 2003 (dall’estratto
in brochure). A.
Ressa, Il complesso monumentale, in Santa
Maria della Giustizia (Ministero
per i Beni e le attività culturali – Soprintendenza per i beni Architettonici
e per il Paesaggio della Puglia), testi di
Augusto Ressa, Michela Tocci, Daniela De Bellis, Taranto 2003 (dall’estratto
in brochure).
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©2003 Gianluca Lovreglio