a cura di Giuseppina Deligia
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Santa Maria di Bonarcatu: la zona absidale.
Questa parrocchiale si trova nella parte alta dell’abitato di
Bonarcado e prospetta con l’abside sul sagrato dell’omonimo
santuario. La fabbrica è in scuri cantoni basaltici di media pezzatura, con
interpolazioni di conci trachitici rossastri nelle strutture assegnabili
alla fase d’impianto (prima metà del XII secolo). La facciata è movimentata da tre alte arcate cieche; nella centrale si
apre il portale che ha basi e capitelli sagomati, architrave e arco di
scarico a sesto rialzato, descritto a conci in bicromia e sormontato da
un’apertura rettangolare. Il fianco mediano destro (sino ad arrivare all’attuale campanile) è
ornato da una teoria di archetti poggianti su peducci (ripresa anche
nell’altro lato); al di là del detto campanile il partito decorativo
cambia perché gli archetti sono sormontati da un piccolo lobo. Stesso ornato si riscontra nelle fiancate delle navate laterali
(movimentate da arcate poggianti su mensole e sui capitelli delle
lesene), nell’abside (divisa da lesene in tre specchiature; nella
centrale si apre una monofora) e nel frontone posteriore. Le testate delle navatelle, invece, sono movimentate da tre archetti
pensili e sotto quello mediano si apre una monofora. L’interno è diviso in tre navate (le laterali, come vedremo più
avanti, posteriori) da arcate poggianti su pilastri e tutte hanno
copertura lignea. Questo spazio viene illuminato dalla monofore che s’aprono sui fianchi
e nella zona absidale. È attraverso il Condaghe di Santa
Maria di Bonarcado che sappiamo della fondazione, attorno al 1100 e
per volontà del giudice arborense Costantino I de Lacon Gunale, di un
monastero camaldolese affiliato all’abbazia pisana di S. Zeno e
ampliamente dotato in chiese, terre, uomini e bestiame. Si può ipotizzare che i
Camaldolesi giunti da Pisa provvedessero quasi subito all’erezione di
una chiesa (“clesia nuova”)
che, come c’informa un’altra carta dello stesso Condaghe,
fu consacrata nel 1146, sotto il regno di Barisone I de Lacon-Serra,
alla presenza delle maggiori autorità arborensi e degli altri giudici
sardi. L’esplicito riferimento ad una “chiesa nuova” è motivato dalla
preesistenza del piccolo santuario di pianta quadrifida, a pochi metri
dal nostro edificio. Un’iscrizione nella parasta all’angolo sinistro della zona absidale
data al 1242 l’inizio dei lavori d’ampliamento, ultimati alla
consacrazione del 1268. Delle strutture di questo primo impianto restano la facciata, il fianco
destro nel tratto compreso tra lo spigolo della facciata ed il campanile
e lo stesso campanile, o meglio il primo ordine che in origine doveva
essere il braccio destro del transetto. A questo primo impianto dunque si può dare a ragione un’iconografia a
croce commissa, canonica
rispetto al tipo benedettino introdotto nel settentrione dell’Isola da
maestranze toscane. Le restanti parti sono frutto di una serie di rimaneggiamenti: nel
primo, avvenuto tra il 1242 e il 1268 (come ricordato sopra), si demolì
l’abside e si prolungò la chiesa aggiungendole, dalla parte
orientale, tre navate ed una nuova abside; durante il secondo
intervento, attuatosi nel XIX secolo, si aggiunse alla navata originaria
un’altra navatelle provvedendosi a demolire il muro verso nord ed a
rimpiazzarlo con una serie di arcate. In questa stessa circostanza si ricoprirono tutte le navate con volte a
botte e si costruì sul campanile, già precedentemente rimaneggiato
nella parte superiore, un curioso finale a cipolla di gusto barocco. Successivamente si affiancò alla torre campanaria un’altra struttura
destinata a ricevere un orologio ed a celare la corsa dei pesi. Il corpo aggiunto durante i lavori del XIII secolo appare coronato da
una frangiatura al cui effetto pittorico s’aggiungeva quello cromatico
dei bacini ceramici, di cui si vedono le sedi nel finale del frontone. Secondo il Delogu
(1953, p. 182) questi ed altri elementi morfologici
indicano la presenza nel cantiere di
una maestranza di formazione essenzialmente araba che, vista la
cronologia dei lavori, dovrebbe essere alla sua prima apparizione
nell’Isola. Lo stesso autore (Delogu,
1953, p. 128), notando le strette analogie esistenti
fra quest’edificio e il S. Nicola di Ottana, li rimanda entrambi ad
una stessa maestranza «… e
quindi che più di assonanze e risonanze dovrà parlarsi di una medesima
paternità». Accanto a queste somiglianze va ricordata anche la vicinanza della
nostra chiesa con la già citata S. Giusta: «Si
portavano in tal modo a confluenza due distinti rivoli della
architettura isolana della prima metà del secolo, l’uno, più
anziano, ringiovanito e reso vivente per gli innesti dell’altro, più
fresco e contemporaneo…» (ibidem). Al 1952-‘53 risale un intervento di restauro teso alla demolizione e
al rifacimento degli intonaci, delle volte e delle coperture, alla
demolizione della cappella settecentesca a destra della navata e allo
smontaggio e ricostruzione di parte della navata destra. Il risultato di quest’intervento è l’edificio che ancora oggi noi
possiamo ammirare, uno dei più importanti centri di devozione mariana
in Sardegna, che sicuramente merita la visita no solo del fedele, ma
anche dell’appassionato d’arte e di storia.
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©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. La foto d’epoca è tratta da Santa Maria di Bonarcado, pubblicazione a cura del Comune di Bonarcado e dell’Associazione Turistica Pro Loco. Vietata la riproduzione non autorizzata.