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  a cura di Giuseppina Deligia

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Bulzi, San Pietro delle Immagini: la facciata e il lato con la zona absidale.

 

 

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Bulzi  Bulzi

 

Particolare della monofora  Particolare degli archetti  Particolare della scultura

    

 

     

La chiesa, detta lu Rughifissu, è nota con le denominazioni "del Crocifisso" e "delle Immagini" che le derivano dall'aver ospitato il gruppo ligneo duecentesco della Deposizione, oggi nella parrocchiale di Bulzi, è un polittico pittorico settecentesco (Retablo de la Imagines ).

La facciata, rivolta ad ovest, è divisa in tre ordini, tutti delimitati da paraste d'angolo.

Il primo ordine è divisa da tre arcate: le laterali sono sostenute dalle paraste angolari e quella centrale da due colonnine con basi rialzate da un dado di trachite più scura e capitello con foglie crochéts di tecnica, come sottolinea Renata Serra (1984, p. 425), neobizantina.

L'arco centrale è decorato nella ghiera esterna da un fregio a denti di sega neri su sfondo bianco, mentre all'interno da una decorazione a foglie d’acanto; le ghiere laterali, invece, sono tutte sgusciate.

Il portale ha stipiti monolitici con basi a gola e toro, capitelli a foglie d'acqua e caulicoli, architrave liscio e lunetta in cui si inserisce un rilievo calcareo con due personaggi barbuti ai fianchi di un altro, più grande, nell'atteggiamento dell’orante.

«Della testa si definiscono le orecchie; il volto, incorniciato dalla barba, concentra i lineamenti intorno al naso prominente. La foggia del copricapo, che sembra una tiara, avvicina questa figura all'altra nella Nostra Signora di Cabuabbas a Torralba (1160-1180), senza possibilità di identificare il personaggio» (Serra, 1984, p. 425).

Secondo lo Scano (1907, p. 215) questa scultura non sarebbe altro che un frammento dell'antica chiesa (di cui tratteremo più avanti) che si volle conservare nel nuovo edificio.

Secondo la Premoli (1997, p. 77), invece, questa forma nella sarebbe con tutta probabilità opera di un monaco è forse raffigurerebbe lo stesso San Benedetto.

Questa teoria troverebbe una conferma nei Dialoghi di Gregorio Magno nei quali si legge che il santo, sentendosi prossimo alla morte e ormai privo di forze, volle mettersi in piedi sostenuto dei discepoli e quindi, sollevate le braccia in cielo, spirò.

Un'altra possibile interpretazione di questa scultura va ricercata nella Bibbia e più precisamente nel libro dell'Esodo (cap. 17,11) quando si parla della battaglia fra Israele e Amalek, «Quando Mosé alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. Poiché Mosé sentiva pesare le mani dalla stanchezza, prese una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte l'altro dall'altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole», e Israele riuscì a vincere su Amalek.

Il secondo ordine, separato dal primo attraverso una modanatura ornata con foglie d'acqua e caulicoli, è movimentato da colonnine (simili a quelle dell'ordine inferiore) in tre specchi; quelli laterali contengono due archetti ogivali con ghiera a sgusciò, mentre quella centrale ne contiene tre che poggiano alternativamente sulle mensole e sui capitelli a crochéts delle colonnine.

Le basi delle semicolonne poggiano su una cornice a gola dritta giustapposta alla modanatura sopra descritta.

Al centro si apre un oculo con ghiera riccamente decorata.

Il frontone, separato dal sottostante ordine mediante una cornice modanata, è diviso da tre colonne, rialzate da base con plinto dadiforme, in quattro specchi, ognuno con tre archetti posti lungo gli spioventi del tetto e sostenuti da mensole a sguscio con listello superiore e dai capitelli con abaco a tavoletta.

Tutta la facciata è tessuta con listature bicolori di calcare bianco e trachite nera; ogni elemento decorativo - archetti, semicolonne, ghiere - o strutturale - piedritti architrave - risulta in pietra calcarea chiara.

Sia lo Scano (1907, pp. 214-215) che il Delogu (1953, pp. 161-162) si sono soffermati ad analizzare le analogie esistenti fra questa chiesa e le abbazie di Saccargia e Tergu.

Nel lato destro, diviso da lesene in cinque specchiature, si può notare un fregio ad archetti con ghiera in bianco calcare poggianti su peducci variamente decorati.

Nelle cinque specchiature si aprono sei monofore con centina in calcare bianco, due ad un livello più basso e quattro ad un livello superiore. Nella terza specchiatura si apre anche una piccola porta con arco di scarico, caratterizzato dall'alternanza di conci in pietra scura e in calcare bianco, sostenuto da due conci di nera trachite che fungono da mensole degli stipiti monolitici in bianco calcare.

A destra di questa porta è incisa una meridiana, come quella nella Santa Maria del Regno a Ardara.

La teoria di arcate prosegue nel braccio del transetto; qui, fra le varie mensole che le sorreggono, sono da segnalare quelle con scolpita una specie di coppa (o calice), una protome umana incoronata, un cartiglio arrotolato.

Sulla faccia esterna del braccio destro del transetto si apre una monofora con centina (in calcare) ogivale.

L'abside è divisa da lesene, nascenti senza base da un basso zoccolo poco rilevato, in se specchiature: le laterali contengono tre archetti, mentre le centrale ne contengono due, tutti sostenuti da mensole.

Alternativamente in queste specchiature si aprono delle monofore; nella centina calcarea di quella mediana s’inserisce una foglia d'acqua dalla cima riversa chiusa ad anello, «… motivo lucchese presente in Sardegna nel S. Nicola di Silanus (1122)» (Serra, 1984, p. 424).

Mentre nelle altre archeggiature il taglio è a filo, vediamo qui una doppia ghiera sottile.

Nel frontone posteriore possiamo notare una teoria di dodici archetti, sostenuti da mensole a sguscio con doppio listello, che corrono lungo gli spioventi del tetto.

Anche nel lato sinistro del transetto è presente una teoria di archetti simili a quella dell'altro lato; qui sono da segnalare le mensole con scolpita: una testa di ariete (molto erosa), un fascio di grano, una doppia foglia ritorta.

La monofora che si apre nel lato di questo braccio destro del transetto ha centina in calcare a tutto sesto.

La fiancata sinistra è divisa dalle lesene in quattro specchiature lungo le quali corre una teoria di archetti a tutto sesto sostenuti da mensole variamente decorate; anche su questo lato si aprono, a livello più basso, due monofore, e più in alto, altre quattro.

Sul lato sinistro dell’edificio, posti più in basso rispetto al piano della chiesa, sono ancor visibili due grandi vasconi scavati nella roccia dai monaci e che probabilmente servivano per la pigiatura del vino.

All'interno si possono notare le possenti volte a botte nel transetto realizzate con listature bicolori perpendicolari all'asse longitudinale, che nel loro affacciarsi al presbiterio determinano una vivace bicromia.

Anche l'abside riprendendo la bicromia, anche se con toni più tenui, della facciata è caratterizzata dall'alternanza di pietra scura e bianca.

Nel lato sinistro del transetto si conserva la copia della famosa Deposizione lignea, oggi nella parrocchia di Bulzi, accanto vediamo anche un'antica acquasantiera con il fusto ricavato da un tronco d'albero fossilizzato proveniente dalla vicina foresta pietrificata.

La Deposizione è, come abbiamo già detto, una scultura lignea (Ontano) del XIII secolo e d’importazione tosco-laziale; essa riveste importanza non solo per la sua unicità nella Sardegna romanica, ma anche per l'eccellenza qualitativa.

La zona presbiteriale è più alta di un gradino rispetto all'intero piano di calpestio della chiesa.

Sulla parete destra vicino all'ingresso sono conservate due travi facenti parte della copertura lignea originaria, in una di esse è ancora visibile, anche se non chiaramente, l'iscrizione letta dallo Scano nel 1902 e di cui parleremo più avanti.

È stato lo Scano (1907, pp. 215-217) il primo ad ipotizzare per questa chiesa la presenza di due diversi momenti costruttivi, supponendo che l'ampliamento sia avvenuto, considerando alcuni elementi come «la forma sesto acuto degli archetti del secondo ordine della facciata», nel XIII secolo. Sempre secondo lo stesso studioso quest'ipotesi sarebbe convalidata dall'epigrafe scritta sul minio in uno dei due cavalletti della copertura lignea originaria che lui stesso trascrisse in occasione dei restauri del 1902:

HOC OPUS FACTU(M) FUIT… SUB… IOH(ANNES)

EP(ISCOP) US AMPU(RIE)

Poiché Giovanni risulta fra i vescovi di Ampurias nella prima metà del XIII secolo, si avrebbe così conferma di un ampliamento con nuova copertura, avvenuto attorno agli anni 1200-25 (la datazione del epigrafe a quel secolo è confermata dagli stessi caratteri).

Anche il Delogu (1953, p. 112 e pp. 160-161) propose la tesi dei due diversi momenti costruttivi collocando l'ampliamento agli inizi del XIII secolo e il primo impianto ad una data successiva al 1120, per le sue analogie con la chiesa palatina di Ardara. Egli continua la sua trattazione sostenendo che tale ampliamento venne effettuato a partire dalla pianta, che venne prolungata dalla parte orientale e dotata di una nuova abside e di un nuovo transetto, per poi infine intervenire nell'alzato con il rialzamento dei muri perimetrali e la costruzione della copertura.

Le due diverse strutture vennero comunque assimilate per la medesima proporzione data ai nuovi cantoni, per la ripresa delle lesene e per i disporsi delle monofore sullo stesso asse di quelle inferiori. L’ipotesi dei due diversi momenti costruttivi è stata poi accettata da tutta la critica successiva.

Recentemente la Premoli (1997, pp. 76-79) ha sostenuto che quest'edificio sia il frutto di tre diversi momenti costruttivi, l'ultimo dei quali risalente al XIII secolo e il mediano al XII.

Fino agli anni 60 del secolo XX la critica si è arenata sul problema dell'individuazione dell'antica intitolazione di questa chiesa, confondendo la più riprese con il San Pietro di Simbranos.

Fu il Salis a capire l'errore e ad individuare l'esistenza fino al 1796 di un distinto San Pietro di Simbranos; da quel momento la critica poté finalmente lasciarsi alle spalle le antiche congetture e portare avanti nuove ipotesi.

Nonostante i numerosi interventi di restauro, la chiesa di San Pietro delle Immagini è un importante testimonianza dell'architettura medievale in Sardegna e conserva tuttora nei suoi paramenti e decorazioni il fascino storico di un luogo antico, accresciuto dalla sua posizione isolata nella campagna di Bulzi.

   

TESTI DA CONSULTARE

D. Scano, Storia dell’Arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Cagliari 1907;
R. Delogu, L’Architettura del Medioevo in Sardegna, Roma 1953;
R. Serra, La Sardegna, in Italia Romanica, vol. X, Torino 1984
A. M. PREMOLI, Un segno nel tempo. La chiesa di S. Pietro delle Immagini a Bulzi, Nuoro 1997

               

   

   

©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.

               


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