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  a cura di Giuseppina Deligia

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La chiesa di Nostra Signora di Castro, facciata e portico.

 

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Oschiri  Oschiri  Oschiri

 

L'abside  Particolare del portale

    

   

     

La chiesa di Nostra Signora domina la piana campestre del fiume Coghinas e trae la sua denominazione dalla sede diocesana documentata dal 1116 (data in cui un suo vescovo è presente alla consacrazione della SS. Trinità di Saccargia) al 1503, quando fu unita, con bolla di Giulio II, a quelle di Ottana e Bisarcio e traslata ad Alghero.

La chiesa si eleva all’interno di un recinto di costruzioni tarde che poggiano su basamenti di pietre squadrate, resti di fabbriche medievali.

L’edificio, interamente costruito in trachite rossa con gradazioni dal rosa intenso al porpora scuro, riceve slancio da una scalinata (composta da cinque gradini) che mira a conferirle monumentalità, date le sue dimensioni minime a confronto della dignità episcopale.

La facciata, orientata ad ovest, è delimitata da due paraste d’angolo terminanti in una cornice gradonata che risvolta per un breve tratto anche nei fianchi; al centro si apre il portale architravato e con lunetta a tutto sesto sormontato da una luce cruciforme.

Due lesene, non interrotte da membrature orizzontali, affiancano il portale e dividono la facciata in tre specchi, ognuno corrispondente a tre archetti (per un totale di nove) ascendenti a doppia ghiera appoggiati su peducci (due dei quali costituiscono i capitelli delle lesene) diversamente decorati.

A fianco delle lesene si conservano ancora due semicolonne tronche disposte secondo un motivo che ritroviamo a Como, nel S. Abbondio dell’XI secolo, e nel Duomo di Fidenza, iniziato dall’Antelami intorno al 1190-95 e ripreso e portato avanti dopo il primo decennio del XIII secolo.

In Sardegna questo motivo si riscontra nella facciata di S. Giusta (1135-45), anche se lì le due colonne dovevano sostenere un portico antistante la facciata;  e due colonne si avevano anche nella facciata della S. Maria di Tratalias.

Sulla sinistra si apre un bel portico, aggiunto posteriormente alla costruzione della chiesa, addossato a tutta la fiancata e collegato all’edificio maggiore attraverso una porticina; è formato da quattro arcate sorrette da pilastri che sostengono un tetto di restauro.

La fiancata sinistra è divisa in quattro specchiature da tre lunghe lesene che oltre il tetto del portico arrivano fino ad un fregio di tredici archetti a tutto sesto e doppia ghiera, disposti  in gruppi di tre, tre e quattro e sostenuti da peducci gradonati.

Al di sopra di detto porticato, inoltre, si aprono tre monofore centinate a doppio strombo.

Nel lato destro, che riprende la decorazione sopra descritta, si addossa un edificio quadrangolare di fattura recente; nei due specchi ancora visibili si aprono due monofore centinate a doppio strombo.

Nell’abside ricompare, sotto una cornice a listello, il fregio ad archetti a doppia ghiera (in numero di sette e più ampi degli altri) e la divisione in tre specchiature, in quella centrale si apre una monofora analoga a quelle laterali.

L’unica aula misura m 11,60 di lunghezza per m 5,60 di larghezza e termina nell’abside semicircolare che si apre, all’interno. Con un arco frontale ben proporzionato alle misure dell’intero edificio.

Purtroppo oggi l’abside non è più visibile perché occultata da un altare ligneo, con al centro la statua della Vergine.

Il tetto è a due spioventi con capriate in legno ravvicinate, recentemente ricostruite.

Dall'altare romanico proviene una pergamena conservata nell’archivio parrocchiale di Oschiri, dov’è scritto:

HIC REQUIESCUNT RELIQUIAE SANCTAE MARIAE
MATER DOMINI
NOSTRI IHESU CHRISTI ET PILOS SANCTAE
RESTITUTAE
MARTIRIS ET ALIORUM CORPORA SANCTORUM

È interessante la menzione di S. Restituta, martire africana il cui culto è attestato in Sardegna per l’alto medioevo, età d’alcune sepolture nell’area circostante la chiesa; quindi la fabbrica romanica deve forse ritenersi impiantata su un preesistente edificio di culto.

Una cronaca logudorese, conservata nell’Archivio Capitolare di Alghero, fissa la consacrazione del S. Antioco di Bisarcio al 1 settembre 1174, riferendo che in quell’anno lo stesso legato pontificio aveva consacrato varie chiese turritane, fra cui la cattedrale di Castro.

Tuttavia non possiamo accettare questa data senza chiederci se la fabbrica della Nostra Signora non sia in realtà precedente, poiché rappresenta il prototipo di diverse chiese innalzate nel territorio, dal S. Demetrio di Oschiri (consacrato nel 1168) alla Nostra Signora di Otti e alla Santa Maria di Coros a Tula, già esistente nel 1176.

Secondo il Sari (1981) il taglio spaziale dell’aula, l’alta posizione delle monofore e il carattere dell’illuminazione denunciano l’edificio quale tardo epigono di quel romanico primitivo di cui restano testimonianza in tutta l’Europa  mediterranea, e che indica quasi una sorta di continuità culturale prima che dalla metà dell’XI secolo la vivacità stessa della produzione artistica portasse alla divisione delle scuole del secolo successivo.

Il Coroneo (1993), invece, pone l’attenzione sulle date dei documenti affermando che se si accetta per buono ciò che dice il Liber Judicum Turritanorum sulla fondazione della nostra chiesa, ossia che fu eretta per volontà di Mariano I di Lacon-Gunale (attestato fra il 1065 e il 1082), bisogna ritenere la chiesa attuale costruita su un precedente edificio poiché in essa non compaiono strutture ascrivibili all’XI secolo.

La diocesi di cui la nostra chiesa era cattedrale prese il nome dal centro di Castro sorto sul sito della stazione romana di Lugudonec, che l’Itinerario Antoniano pone sulla strada che da Hafa (forse fra Bonorva e Mores) portava a Tibula (probabilmente S. Teresa di Gallura) e che in base alle distanze s’identifica proprio con le rovine trovate nei pressi della chiesa di Nostra Signora (Sari, 1981).

Attualmente la chiesa si trova in buone condizioni; è stato restaurato il recinto che la racchiude e le cellette circostanti sono adibite ai più svariati usi (due ospitano una mostra fotografica permanente sulla storia di questo sito).

Consiglio una visita a quest’edificio anche per la bellezza del panorama ammirabile dal cortile antistante la chiesa, che si anima in occasione della festa dedicata alla Madonna.

    

TESTI DA CONSULTARE

  

A. Sari, Nuove testimonianze architettoniche per la conoscenza del medioevo in Sardegna, in «Archivio Storico Sardo», XXXII (1981), pp. 65-116;
R. Coroneo, Architettura Romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro 1993.

               

   

   

©2005 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.

               


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