a cura di Giuseppina Deligia
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SS. Trinità di Saccargia, la facciata e le absidi.
La
Chiesa
della SS. Trinità di
Saccargia sorge al di fuori dell'abitato di Codrongianus lungo la
statale 131 che collega Olbia a Sassari. L’edificio, con impianto a croce commissa,
è caratterizzato (eccetto il transetto e le absidi) dall'alternanza
di filari in scuro basalto e in calcare bianco. Alla facciata è addossato un portico con tetto a capanna movimentato da
sette archi a tutto sesto poggianti, lateralmente, sui pilastri e sui
semipilastri addossati al muro di facciata e, al centro, su bianche
colonne con i capitelli decorati da quattro figure alate di aspetto
mostruoso. Tre delle quattro cornici dei pilastri hanno una decorazione a foglie
ritorte, mentre quella sul pilastro sinistro ha scolpiti dei buoi
accovacciati che i più ritengono un chiaro riferimento alla
leggendaria fondazione dell'edificio di cui tratteremo più avanti. Nelle ghiere dei tre archi in facciata si possono vedere, lateralmente,
un fregio fitomorfico, e al centro diversi animali, tra cui un drago,
al cui le ho né un toro, che si inseguono (la parte originale è
solamente quella sinistra dove compare anche una faccia). Tali ghiere,
secondo il Sampaolesi (1975), derivano direttamente ad da quella della
facciata pisana. Al di sopra del tetto del portico è visibile una parte degli archi che
dovevano decorare quest'ordine della facciata, divisa complessivamente
in tre ordini da modanature al guscio. Il secondo ordine presenta una teoria di cinque archi a tutto sesto
sorretti da scure colonnine che hanno base capitello, decorato con
foglie d'acqua, in bianco calcare. Nell'arcata centrale si apre una bifora con colonnine in nera trachite. Al centro delle due arcate poste all'estremità si vede un oculo con la
cornice più interna a denti di sega bianchi su fondo nero, mentre la
seconda cornice ha i denti di sega neri su fondo bianco; al centro di ognuna è stato inserito un bacino
ceramico rosso. Nella sezione centrale (proprio sopra la bifora) e in alto, fra ogni
archetto, sono inseriti dei bacini ceramici. Nel terzo ordine si possono vedere cinque arcate ascendenti in tutto
simili alle altre sopra descritte. Al centro delle arcate laterali si vedono dei bacini ceramici rossi
inseriti in un concio bianco posto a mo’di rombo, a sua volta
inserito entro un concio nero. Nelle sezioni più interne ritroviamo gli oculi, simili a quelli del
secondo ordine. Nella sezione centrale si apre una luce cruciforme sormontata da una
piastrella smaltata: bianca, rossa e verde. Il lato settentrionale presenta sotto il terminale del tetto a due
spioventi un'azione di 24 arcatelle a tutto sesto poggianti su peducci
al guscio di fattura recente. Verso la zona absidale si innalza l’alto campanile a canna quadrata
delimitato da robuste paste angolari e divisa in tre ordini. Il primo ordine è privo di qualsiasi apertura, fatta eccezione per una
monofora a sud e per due feritoie nella faccia anteriore, ed è diviso
in due parti da una lesena che arriva poco al di sotto della bifora
che si apre, nel secondo ordine, su ogni faccia; invece nel terzo
ordine troviamo una trifora per lato. Al di sopra di queste aperture si vedono quattro archetti a tutto sesto
poggianti su mensole al guscio; in alto, fra ogni archetto, trova
spazio un bacino ceramico. Dietro il campanile, che dista circa Nel fianco si aprono due monofore centinate a doppio rombo con le mostre
in arenaria giallo-dorata, altre tre del tutto simili si aprono sulla
testata posteriore. Il prospetto posteriore è triabsidato; l’abside centrale è più
ampia e alta delle altre; tutte sono concluse da una cornice sgusciata
su nero filare trachitico. Nell’abside centrale, inoltre, è presente una teoria di 14 archetti
poggianti su mensole gradonate. Nel frontone posteriore una teoria di 12 arcatelle a tutto sesto corre
lungo lo spiovente del tetto; al centro si apre una luce cruciforme. Dal braccio dal transetto destro parte un muro con porta a tutto sesto
che è parte di ciò che resta dell'antico monastero camaldolese,
della cui storia parleremo a breve. Nel lato destro oltre al transetto è visibile un altro vano, più
basso, addossato al paramento murario per una lunghezza quasi pari a
quella della navata. La fiancata destra è illuminata da tre monofore (simili alle altre)
poste ad un livello più basso ed altre due (verso l’abside) poste
più in alto. Lungo il terminale del tetto corre una teoria di 42 archetti a tutto
sesto in tutto simile a quella dell'altro lato. Una volta entrati all'interno del portico, coperto da volte a crociera
in scura trachite, si riesce a vedere parte del primo ordine della
facciata che ha al centro il portale architravato con arco di scarico
a tutto sesto in cui cunei di nera trachite si alternano ad altri di
bianco calcare. La particolarità di questo portale è quella di essere affiancato non dalle solite lesene ma da semicolonne (che ricompariranno anche a Tergu e a Castro) la cui
bicromia è perfettamente alternata a quella del paramento murario;
per cui ad un concio di bianco calcare di quella s'alterna un filare
in nera trachite di questo. Entrati in chiesa, subito sulla destra, sono visibili due colonne
originali (tolte durante i restauri dei primi del secolo scorso) e
l'originale del capitello con quattro mostre alati. Sempre sulla destra, ma un po'più avanti, è visibile parte della
sinopia di quella che secondo lo Scano
(1907, p. 169) dovrebbe essere la figura di san Gavino. Sul lato sinistro, verso la zona presbiteriale, si vedono le scale
lignee che conducono ai vari piani del campanile. Mediante archi a tutto sesto in bianco calcare si accede ai due bracci
del transetto dove si aprono due cappelle coperte da volte a crociera;
da quella sinistra si accede all'altro vano più recente ed al
campanile, mentre anticamente la cappella destra doveva essere
comunicante con il monastero. Le quattro cappelle sono dedicate alla Santissima Trinità (quella
centrale); quella destra all’Annunziata; quella a sinistra alla
Concezione, e l'ultima a Santa Maria Maddalena. L’abside centrale è interamente decorata da un affresco in cui troneggia, in alto, la figura del Cristo in mandorla, frontale e nimbato, che con la destra benedice e con la sinistra regge un libro aperto in cui è scritto: EGO SUM ALFA ET Ω PRIMUS ET NOVISSIMUS INITIUM ET FINIS Ai lati della mandorla stanno, in alto, serafini a sei ali,
caratterizzate da un diverso colore secondo l'iconografia che, stando
a quanto dice Renata
Serra (1984), in Sardegna trova riscontro solamente
nell'architrave scolpito del San Serafino di Ghilarza del XIV secolo. In basso sono raffigurati due angeli che paiono discostarsi riguardando
il Cristo. Nel registro inferiore sono rappresentate 14 figure, fra cui gli
Apostoli più uno (per ragioni di simmetria) e L'importanza di questo documento risiede nella rarità di testimonianze
pittoriche di epoca romanica su prestiti in Sardegna. Già lo Scano,
nel 1907, si era reso conto dell'importanza di queste pitture per il
periodo di «…in cui vennero
eseguite (XIII secolo), per la conservazione senza restauri o ritocchi
posteriori e per svolgersi in esse in modo completo con forme non
frequenti iconografia di Gesù...». Il Maltese
ha raffrontato questi affreschi con le scene raffigurate nel
Crocifisso n. 15 del Museo Nazionale di Pisa arrivando
all'identificazione di mano «…per
le concordi tipologie facciali, movenze, panneggi e persino motivi da
un atto degli scenari architettonici…». Importanti discussioni ha suscitato tra gli storici dell'arte l'origine
del toponimo Saccargia. Un'altra versione della leggenda racconta che la stessa mucca pezzata
veniva tutti i giorni alla collinetta, senza esservi accompagnata da
nessuno, quasi per farsi mungere dai poveri frati che già vi
abitavano. Ed è a questa leggenda (nelle sue due versioni) che viene riferita,
come abbiamo già detto, la cornice con le quattro mucche
accovacciate. Secondo il Condaghe di Saccargia
(scritto nel XVII secolo ma compilato sulla fonte riconosciuta
veritiera) l’abbazia fu costruita dal giudice turritano Costantino e da sua moglie Marcusa che, durante un
loro viaggio per Porto Torres, si fermarono per passare la notte
presso i frati camaldolesi della chiesetta campestre, e qui,
probabilmente, fecero un voto alla Madonna che si venerava per avere
un figlio. A quest'ultima data va riferito solo l'atto di consacrazione e non
quello di fondazione che evidentemente risana d'un periodo precedente
se al 16 dicembre 1112 si riferisce la conferma dell'arcivescovo Azzo,
che ratifica ed amplia la donazione del giudice Costantino. Si deve dunque pensare che in origine esistesse già un'altra chiesa che
dopo la donazione dei giudici fu ampliata e abbellita. Nel 1953 il Delogu
sposò la teoria delle due distinte fasi costruttive anche perché
come prova «....della
differenza fra le due parti e quindi del distacco sia cronologico come
strutturale, si vede anche differire il livello dei fori per i ponti
(…) La prova più evidente della bassa cronologia della parte
anteriore della navata, del prospetto, del portico e del campanile, e
cioè di tutte le strutture aggiunte in questa circostanza, e tuttavia
fornita delle stesse caratteristiche dell'ornato tanto, a residenza,
toscano quanto il linguaggio della nuova spazialità è sembrato
francese. (…) Queste parti vengono collegate dal comune denominatore
dell'alternanza dei filari bianco-neri, regolare nel prospetto e nel
portico e discontinua nei fianchi del campanile ma sempre presente ed
attiva nello smagliare l'unità delle superfici e nel trasferirne il
significato formale, d'accordo col colore delle tarsie e dei bacini,
sul piano di una rappresentazione cromatica.». La tesi delle due fasi costruttive è stata poi accettata dalla critica
dalla storiografia a partire dalla Zanetti
(1974). Il 20 (o 21) gennaio 1137 Innocenzo II, accogliendo la richiesta
dell'abate Benedetto di Saccargia, prese questo monastero sotto la sua
protezione e lo munì del privilegio della sede Apostolica. Durante i bui momenti, all'alba del XIII secolo, segnati dall'ostilità
fra Pisa e Genova, anche l'abate di Saccargia fu coinvolto in una
tragica vicenda. Prima del 1436 (quando l’abbazia fu data in commenda), i Camaldolesi
si allontanarono dal monastero; ha inizio così il periodo di
decadenza della chiesa che si riduce ad un semplice beneficio
accordato agli ecclesiastici più meritevoli del regno. Attualmente il titolo di priore di Saccargia spetta all'arcivescovo di
Sassari e la chiesa dal 1957 dipende dalla parrocchia di Codrongianus. L'abbazia di Saccargia è una tappa obbligatoria per chiunque voglia ammirare i bei monumenti sardi, testimonianza di un popolo assai vivace in stretto contatto con il continente italiano e, più in generale, europeo.
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©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.