a cura di Giuseppina Deligia
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Le immagini: pag. 1 la scheda testi da consultare
San Michele di Salvenero, la chiesa e le tre absidi.
La chiesa di San Michele si trova fuori dall'abitato di Ploaghe, sulla
Carlo Felice, a pochi Km dalla SS. Trinità di
Saccargia. L'impianto della fabbrica è a croce commissa
triabsidato a sud est. La facciata è divisa in tre specchiature da lesene che, affiancando il
semplice portale con architrave monolitico (molto eroso e sostenuto da
mensole a sguscio di rifacimento) e arco di scarico a tutto sesto con
ghiera poco aggettante, corrono fino alla modanatura sguscio (in parte
di restauro) che la divide in due sezioni. Il portale centrale è inoltre incorniciato da un arco a tutto sesto,
simili a quelli presenti (uno per parte) delle due specchiature
laterali e sostenuti da mensole
«... che dovevano servire
anche per la continuazione delle arcate del chiostro della attiguo
convento ...» (Botteri, 1978, pp. 101-102). Sotto la modanatura corrono nove archetti a tutto sesto e doppia ghiera
(tre per specchiatura) poggianti sui capitelli a toro delle lesene
sopra descritte e su mensole ugualmente a toro. Sopra questo portale si apre un oculo la cui ghiera è in parte di
rifacimento. Nel frontone, divise in tre sezioni da semicolonne (disposte in asse
alle lesene), si apre un altro oculo caratterizzato dall'alternanza di
conci in trachite scura a conci in calcare bianco e con inscritta una
croce greca. «È un insieme piuttosto meschino
ed inelegante, che certo non può star a confronto colla parte
posteriore e coll’abside d'architettura Toscana svolta con
padronanza d'arte e di tecnica di...»; e poiché non è
ammissibile che gli antichi costruttori abbiano dedicato attenzioni
diverse a queste due parti dell'edificio lo Scano
(1907, p. 224) ipotizza una datazione successiva per l'attuale
facciata che forse è stata ricostruita « ... quando il Monastero era
in decadenza e mancavano i mezzi per restituirlo all'antico splendore...». La facciata, come ricorda lo Spano (1858, pp. 114-115), era inoltre con conclusa da un portico che
collegava Sulla sinistra si addossa all'edificio un vano quadrangolare (più
basso) costruito in epoca recente con conci di trachite scura e
pietrame misto. Questo lato è ornato da una teoria di trentadue arcatelle a doppia
ghiera e a tutto sesto che poggiano su capitelli a toro. Sotto il settimo, quattordicesimo, ventunesimo e ventottesimo archetto
si aprono delle monofore centinate a doppio si trombo. Su questo lato si apre anche una porta con architrave a timpano molto
acuto, oggi chiusa, che, a detta di Renata
Serra (1984, p. 396), rimanda con precisione ad architetture civili pisane
come All'altezza del ventisettesimo archetto troviamo il braccio del
transetto, cui si addossa un altro vano rettangolare tutto in calcare
bianco e trachite scura che dovrebbe essere il campanile a canna
quadrata (o meglio il primo ordine, l'unico superstite). Il transetto è ornato nelle due facce rimaste visibili, ossia quella
frontale e quella posteriore, da una teoria di cinque archetti per
parte sorretti da mensole. Della facciata anteriore di questo braccio del transetto si apriva
quella che lo Spano (1858, pp. 119-120) c’informa essere stata La particolarità dell'edificio è quella di essere, come abbiamo visto,
triabsidato e di avere l’abside centrale più grande rispetto quelle
laterali che sono divise da lesene in tre sezioni; nella centrale
delle quali si apre una monofora centinate a doppio si trombo. Ogni sezione contiene due archetti a doppia ghiera (quelli centrali più
ampi) poggianti su mensole a toro e, direttamente, sulla lesene. L’abside centrale è divisa da lesene in cinque sezioni (dove
alternativamente si aprono delle monofore centinate a doppio si
trombo), ognuna contenente sempre due archetti sostenuti da mensole. Il frontone posteriore è in tutto simile a quello anteriore. L’abside del braccio sinistro del transetto è uguale a quella
dell'altro braccio; così come la decorazione di questo lato del
transetto in tutto è simile all'altro eccetto per il fatto che qui
tutte le mensole sono a sguscio. Il lato destro non è visibile a causa delle alte erbacce che lo
circondano; si può solo intravedere un partito decorativo analogo a
quello dell'altro lato e dei conci aggettanti che dovevano servire a
sostenere le travi di un porticato ligneo. è il Delogu
(1953, pp. 79-80, 162-163) il primo a parlare di due successivi
interventi costruttivi per quanto riguarda quest'edificio; del primo
impianto rimarrebbero la pianta a croce commissa
e le tre absidi prospettanti sul transetto. Sono le sue analogie con la basilica della Santissima Trinità di
Saccargia e il fatto che il San Michele seguì, e non precedette, le
tipologie della prima, come dimostra la più articolata e chiaroscura
modulazione delle superfici delle absidi, ha fatto propendere lo studioso per una datazione di queste strutture al
terzo decennio del XII secolo. Lo studioso aggiunge anche che probabilmente i danni provocati da un
incendio furono al motivo del nuovo intervento sulla parte alta
dell'unica navata; intervento che comportò la ricostruzione della
parte superiore di alcune parti d'angolo, il rifacimento di alcuni
tratti della teoria di archetti dei fianchi, la ricostruzione dei due
frontoni e, infine, l'esecuzione nel vivo del prospetto di un nuovo
portale d'un rosoncino. A tali lavori dovrebbe essere contemporaneo il campanile. Dalla critica successiva sappiamo che il Fara (1850, p. 172) attribuiva la costruzione della nostra chiesa alla volontà di Mariano I di
Lacon-Gunale (giudice di Torres tra il 1065 e il 1082); il che,
secondo lo Scano
(1907, pp. 222-223), sarebbe confortata dalla scheda 312 del Condaghe
il San Quirico (scritto sotto il giudice Mariano I) inserito entro
il Corpus del Condaghe
di S. Pietro di Silki in cui si fa menzione proprio di questa
chiesa. Davanti e tutt’intorno all'edificio si vedono ancora i ruderi
dell'antico monastero che vennero ulteriormente distrutti nel corso
del XIX secolo per reperire il materiale necessario alla costruzione
del ponte e del tronco dello stradone comunale di Ploaghe, iniziato
nel 1854. Al 1138 risale l'atto con cui Innocenzo II concerneva numerosi privilegi
a questa abbazia e a quella di San Michele di Plaiano; successivamente
papa Anastasio IV, con bolla del 22 novembre 1153, pose sotto la protezione della Santa Sede i monasteri Vallombrosani allora
presenti in Sardegna. Il titolo abbaziale del Salvenero esisteva ancora agli inizi del 500
poiché il capitolo di Alghero permetteva all’abate Simon di
predicare nella cattedrale con le insegne abbaziali. Successivamente, nel Egli era ancora abate nel 1606 al tempo del sinodo convocato
dall'arcivescovo Andrea Baccalar. Al 1909 (tra maggio e luglio) risalgono il primo intervento di restauro,
che comportò la demolizione di una volta di epoca posteriore cui si
attribuiva la causa degli ampi dissesti riscontrati nelle murature, e
l'esecuzione di vari restauri e rifacimenti degli archetti, del
paramento dei muri laterali e dell’abside. Attualmente
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©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.