a cura di Giuseppina Deligia
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Le immagini: pag. 1 la scheda testi da consultare
San Lussurgiu. In basso: la chiesa oggi, durante i lavori di ristrutturazione.
La nostra chiesa è posta alla periferia del centro abitato di
Fordongianus, occupante il sito del centro romano di Aquae Ypsitanae, fondato in età tardorepubblicana presso alcune
sorgenti termali in un ansa del fiume Tirso, lungo la strada Caralibus
Turrem. Sotto Traiano (98-117) il centro ricevette la denominazione di Forum
Traiani, che ne precisa il ruolo di emporio commerciale e, nel
contempo, quello del più importante presidio militare sulla linea
di confine con le civitates
Barbarie. Nel 534, quasi a voler sottolineare l’importanza strategica del sito,
si stabilì in città il dux,
ossia la massima autorità bizantina in Sardegna. A ragione si può ipotizzare che l’antico complesso episcopale
sorgesse in un’area cimiteriale, ma purtroppo non ci è dato sapere
se questa fosse la zona della necropoli urbana (presso l’odierna
parrocchia dei SS. Pietro e Archeolao) o in quella della necropoli
suburbana, per l’appunto presso il santuario martiriale di S.
Lussorio. La più antica menzione del titolo martiriale risale al 599 ed è
contenuta in una lettera di papa Gregorio Magno a Gianuario vescovo di
Cagliari, dove si fa riferimento ad un monasterium
ss. Garbinii atque Luxurii. Nel febbraio 1615 venne promossa, per volontà dell’arcivescovo
arborense Antonio Canopolo, la ricerca dei corpi
santi dei martiri Lussorio e Archeolao. L’edificio è caratterizzato dalla presenza, sotto il piano di
calpestio, della cripta paleocristiana che consta di un lungo
corridoio, in parte coperto da volta a botte e concluso ad occidente
da una piccola abside semicircolare (coperta da semicatino e costruita
in opera quadrata come le restanti parti della cripta) e,
lateralmente, di un ambulacro a forma di U. Poiché alcune parti di detta cripta mostrano notevoli analogie con le
strutture della soprastante chiesa si è portati a supporre che la
cripta paleocristiana sia stata restaurata, e forse anche modificata,
in occasione della costruzione della nuova chiesa sulle rovine di
un’altra più antica, probabilmente coeva alla stessa cripta. Stando a ciò che oggi possiamo analizzare si può affermare che
appartengono al nucleo originario della cripta: il corridoio,
l’abside, gli arcosolii posti lungo il suo perimetro e quei tratti
della pavimentazione in cui si vedono ancora lacerti di mosaici in cui
vengono accennati motivi geometrici diffusi fra il IV e il V secolo. Una seconda abside, aggiunta nel lato nord, differisce per tecnica
edilizia (opus africanum) e
per la presenza di un intonaco dipinto che finge una decorazione a crustae
in marmi policromi. Frammenti della copertura in embrici a coppi testimoniano che il martyrium
divenne ipogeico solo al momento della fabbrica protoromanica. Per l’orientamento dell’abside e per il fatto che la pianta della
cripta ricordi una cella
trichorae, il Delogu
(p. 15) propone, per le sue parti più antiche, una datazione compresa
fra il IV e la prima metà del V secolo; cosa che parrebbe confermata
dai motivi d’ornato dei mosaici pavimentali. Durante recenti indagini si sono individuati nella cripta sarcofaghi
cristiani con tabulae
epigraphicae (fra cui quella di un vescovo Stefano) e si è
proceduto al riesame dell’ “iscrizione
del vescovo Elia”, murata nel fianco esterno sud della chiesa e
ascritta alla prima metà del VI secolo per il titolo commemorante il
martirio di S. Lussorio e al VII-IX secolo per l’aggiunta
dell’ultima linea epigrafica che tratta del “rinnovo”, al tempo
di un non meglio conosciuto vescovo Elia, del luogo ove fu versato il
sangue del martire Lussorio, forse il martyrium
incorporato nella costruzione romanica. Per quanto riguarda la chiesa vera e propria, il Delogu
(p. 184) afferma che la ricostruzione, avvenuta dopo il crollo della
volta, del muro perimetrale meridionale dipenderebbe dalla prima
diffusione delle maniere arabe nell’isola. Stando a quanto dice l’autore, quest’affermazione trarrebbe conferma
dalle mensole strette ed alte dai profili a gradini, a tori, a gusci,
a becchi di civetta ed anche figurati (che si rivelano dipendenti dal
gusto pittorico già notato a Bonarcado e che successivamente si
ritroverà in altre chiese sarde) e dalle forme del portale
e della monofora, aperti nel medesimo muro. Il portale ha un originale larghissimo arco di scarico impostato su un
sottile architrave e la monofora sguanci molto aperti e arco
ribassato. La conservazione dello zoccolo, la cui scarpa viene interrotta solo
dalle basi degli elementi d’ornato verticali, lungo l’intero
perimetro dell’edificio dimostra che esso ebbe impianto mononavato
sin dall’origine. In facciata le basi delle lesene presentano alcuni rilievi figurati, fra
cui un personaggio maschile ed un combattimento fra cavalieri;
nell’abside una base di semicolonna ha raffigurato un corteo di
personaggi e nel fianco nord alcune basi sono incise con motivi
geometrici. Lungo i terminali dell’abside, divisa in due specchi da semicolonne,
corre una teoria di archetti tagliati a filo e poggianti su mensole a
sguscio o a sguanci di toro. Purtroppo attualmente non è possibile ammirare quest’edificio nella
sua interezza e ricchezza di particolari a causa degli interventi di
restauro che l’hanno interamente avvolto con ponteggi.
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©2007 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata. La prima immagine è tratta dal sito www.schibot.org. La foto con il particolare della base di lesena è tratta da Coroneo.