a cura di Giuseppina Deligia
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San Pietro di Sorres: la facciata e, sotto, il frontone anteriore.
La maestosa chiesa di San Pietro Apostolo, edificata nella curadorìa
del Meilogu come sede della diocesi di Sorres abolita nel 1505 (ne
tratteremo più avanti), sorge solitaria su un dosso calcareo al di
fuori dell'abitato di Borutta. La facciata è divisa da modanature gradonate in tre ordini chiusi in
alto dal frontone. Il primo ordine comprende cinque arcate (che secondo lo Scano
ricordano quelle della basilica di San Miniato Firenze) sostenute alle
estremità dalla cornice gradonata delle paste angolari e, al centro,
da pilastri finemente sagomati con i capitelli gradonati (così come
le loro basi), eccetto i due posti ai lati del portale che hanno una
decorazione a foglie lievemente ritorte. Nell'arcata centrale si apre il portale con stipiti (aventi basi e
capitelli in calcare bianco) e architrave e monolitici in trachite
nera; l'arco di scarico a tutto sesto è composto da cunei di calcare
bianco che s'alternano a cunei di scura trachite; all'interno della
lunetta in piccoli conci di trachite nera campeggia una croce bianca
di calcare. Nelle lunette dei restanti quattro archi troviamo delle decorazioni
geometriche uguali a due a due; al centro degli archi esterni vediamo
due oculi (uno per ciascun campo) incorniciati da una doppia fila di
denti di sega. Nei due campi più interni ci sono due losanghe gradonate (sempre una
per campo) con il gradone interno in trachite nera e quello esterno in
bianco calcare e disposte all'interno di una serie di conci di scura
trachite che spiccano sul bianco calcare di cui è fatto l'intero
campo. Nelle ghiere delle due arcate laterali è presente un fregio fitomorfico,
delle due più interne si nota un fregio simile a quello della seconda
e terza modanatura; la ghiera centrale, invece, contiene un fregio a
foglie ritorte simile a quello dei due capitelli che la sostengono. Sopra le arcate laterali si può notare un fregio a intarsi composto da
minuti fiori a sei petali neri su fondo bianco; il vertice al centro
il fregio è composto da quadratini in scura trachite con al centro
una bianca stella quattro punte, il tutto sempre su sfondo bianco. Il secondo ordine è di sette arcate, più strette e corte, che poggiano
lateralmente sempre sulla cornice gradonata delle paraste angolari, e
poi su due colonnine, sui capitelli gradonati di due pilastri e su
altre due colonnine (tutte e quattro con base gradonata) i cui
capitelli (quello all'estrema sinistra molto eroso) hanno foglie
d'acqua e rosetta a quattro petali con bottone centrale e sono forniti
di un abaco a tavoletta. In quella centrale, proprio sopra il portale, si apre una bifora i cui
archi oltrepassati poggiano sul capitello a foglie ritorte della
colonnina centrale. Nei campi esterni sono contenuti oculi gradonati con al centro una cavità
per bacini ceramici e delimitati da (a partire dall'interno) una fila
di denti di sega bianchi sul fondo scuro; una trafila del tutto uguale
se non fosse per il fatto che i denti sono disposti orizzontalmente;
ed infine un'ultima fila di denti di sega che però questa volta sono
neri su fondo bianco. Nei quattro campi più interni sono contenute delle losanghe gradonate
che mostrano un'elaborazione più complessa rispetto alle precedenti. Partendo dall'esterno le loro ghiere presentato in alternanza un fregio
ad ovoli, simile a quelli sopradescritti, ed un fregio a foglie
ritorte; quella dell'arcata centrale presenta una composizione più
complessa poiché le foglie d’acanto spinoso sono contenute dentro
piccole edicole. Sopra questi archi si vede: all'estrema destra un fregio ad intarsio
composto da rombi neri su sfondo chiaro; al centro un fregio con
incisi dei piccoli cerchi contenenti la stella a quattro punte e a
sinistra l'intarsio è costituito da quadratini di scura trachite
contenenti la piccola stella in bianco calcare, il tutto sempre su
sfondo candido. Il terzo ordine è formato da tre archi poggianti su due pilastri
d'angolo e due mensole (la destra ha un cartiglio arrotolato mentre la
sinistra presenta un fregio di non chiara lettura), per cui l'arco
mediano è interamente pensile. Sotto l’archetto centrale si trova un oculo con una fila interna di
denti di sega bianchi su fondo nero disposti orizzontalmente ed una
fila esterna composta da 32 piccoli rombi di calcare bianco su fondo
scuro. Secondo lo Scano
(1907) il terzo ordine attualmente non si presenta come era stato
concepito in origine poiché le due mensole su cui si impostano gli
archi non solo sono di calcare diverso da quello usato nelle altre
parti decorative, ma sono rozzamente scalpellate e palesano
nell'artefice incapacità di disegno e di lavorazione. Il frontone è caratterizzato dall'alternanza di filari di scura
trachite a filari in bianco calcare, alternanza che viene spezzata, al
centro, solo dal cerchio in scura trachite con inscritta una croce
greca di calcare bianco e delimitato da una cornice di 23 denti di
sega neri su fondo bianco disposti in orizzontale. Sempre secondo lo stesso autore il frontone anteriore doveva essere in
origine simile a quello posteriore e stanno successivamente la
facciata «…venne deturpata
togliendo i partiti architettonici e decorativi svolti nel frontone». Secondo quest'autore la facciata della nostra basilica ricorda nel suo
complesso, per forma e materiali usati, quella della Santa Maria del
Giudice a Lucca, anche se quest'ultima è di molto superiore per
grandiosità di linee, per accuratezza e delicatezza di esecuzione. La facciata odierna deve molto agli interventi di restauro condotto,
spesso arbitrariamente, dal
1859 al 1895. Lungo il fianco destro della navatella corre una teoria di archetti
pensili sostenuti da mensole variamente decorate. All’interno della maggior parte delle lunette è presente una
differente decorazione ad intarsio: ad esempio nella quinta si vede
una decorazione a piccole foglioline nere con la punta rivolta verso
il bianco, nella settima sono visibili dei fiori a sei petali neri su
fondo bianco, nell'ottava è contenuta una decorazione ad ondine nere
su sfondo chiaro, e così via. Nel lato alto, in cui ritorna la bicromia nero trachite/ bianco calcare,
notiamo sotto il terminale del tetto un fregio a denti di sega neri su
fondo bianco sorretti da una modanatura a sua volta sostenuta da
mensole. La particolarità di queste fiancate sopraelevate è data dalle due
monofore, una per parte, aventi la centina a ogiva, caratteristica che
ha portato molti autori, tra cui il Delogu
(1953), a considerare questo monumento come un precursore del gusto
gotico e si andava diffondendo nel continente. La lunetta, così come l'arco discarico tutto sesto, è caratterizzata
dall'alternanza di conci in scura trachite e conci in calcare bianco. Sul lato sud si appoggia alla chiesa un'altra costruzione che univa i
vari bracci a forma quadrangolare. Il lato settentrionale non è accessibile a tutti poiché in parte
chiuso da un cancello, ma si può comunque notare come il partito
decorativo sia simile a quello dell'altro lato. Nella zona absidale vediamo che lungo gli spioventi delle testate delle
navatelle corrono quattro archetti per parte sostenuti da mensole. La decorazione all'interno delle lunghezze è uguale in entrambe le
parti: quella di esterna è tutta in nera trachite, l'altra ha due
fiori a quattro petali neri su fondo bianco, poi si vede una croce
greca nera con al centro una pietra bianca, ed infine un cerchio nero
con al centro un sole bianco. La teoria di archetti continua nell’abside, dove se ne contano otto,
posti sotto una modanatura decorata ad ovoli classici e sorretti da
mensole. Il frontone è separato dal prospetto absidale da una modanatura
gradonata soprastante un fregio a denti di sega neri su sfondo bianco,
sorretta ai lati dalla cornice gradonata che risvolta nei fianchi e,
al centro, da diverse mensole. Nell'arcata centrale trova posto una croce greca di calcare bianco su
sfondo nero circondata da un fregio di denti di sega bianchi disposti
in orizzontale e su sfondo nero. Lo spazio interno della chiesa non è molto vasto, ma l'architetto
elevando i pilastri, ideati a filari alternati di trachite scura e
calcare bianco, ha saputo creare l'illusione di un interno molto più
ampio e grandioso di quello che è in realtà. Si accede alle tre navate, ognuna di cinque campate, mediante cinque
arcate sostenute da quattro pilastri bicromi a pianta cruciforme e con
capitelli diversamente decorati. La navata centrale termina con un'abside semicircolare, illuminata da
una monofora, in essa la parete è costituita da un paramento in
pietra da taglio di trachite nera e calcare bianco. Le pareti delle navatelle sono divise da lesene in cinque specchiature
in cui si aprono in modo alternato monofore centinate a doppio
strombo. Le volte, composte interamente da cantonetti rettangolari di scura
trachite, sono a crociera ma rialzate quasi a formare quattro spicchi
di vela. Nella navata sinistra, proprio accanto all'ingresso, troviamo il
sarcofago di Goffredo Benedettino, vescovo di Sorres dal 1143 al 1153,
come ci informa l'iscrizione postagli accanto. Nella navata centrale, addossato ad un pilastro all'altezza dell’ingresso
al presbiterio, si erge un pulpito quadrangolare di cui ci dà una
descrizione lo Scano
(1907): «Esso è posteriore
alla costruzione della Chiesa, come può desumersi dai tagli eseguiti
nel pilastro per collocarlo a sito e dalle linee decorative, inspirate
a quel gotico sobrio e squisito e fiorì in Toscana nel XIV secolo…». Ciò che non si trova più nella chiesa è l'altare trecentesco, oggi
collocato nel chiostro. L’intera zona presbiteriale è sopraelevata rispetto al piano della
chiesa, infatti vi si accede attraverso cinque gradini di trachite
rosa. In fondo alla navatella destra, sempre nella zona presbiteriale, c'è
una porta che comunica con la sacrestia e da qui col convento. Giovanni Zichi
ci informa che sino alla fine del XIX secolo esisteva sull'altare
maggiore, davanti all'abside, un polittico ligneo, al centro del quale
troneggiava un baldacchino dorato e ornato d’intagli sotto il quale
era posto un simulacro, sempre ligneo, della Madonna. è lo stesso autore ad informarci che i quadri che componevano l'ancona
erano numerosi e dipinti a tempera su tavola preparata con imprimitura
di gesso. La
Madonna
, conservata tuttora nella
navata sinistra, è incoronata e nella mano destra stringe lo scettro,
mentre col braccio sinistro sorregge il bambino che è mano il
mappamondo con la croce. Secondo il Delogu
(1953) la datazione della nostra chiesa interessò due diversi momenti
costruttivi. Secondo l'autore la prova dell'avvenuta compenetrazione di due diversi
gusti è data dal fatto che mentre tutti i muri perimetrali, fino a
all'altezza dei archetti, sono, come a Bisarcio,
uniformemente candidi; in tutte le altre strutture, e cioè dalla
quota degli archetti in su, nella nuova abside, nella facciata e
soprattutto nell'interno, e cioè nelle strutture della ripresa, viene
adottata una vivace e più animata modulazione cromatica delle
superfici. Sempre secondo il Delogu
la maestranza attiva in questa fabbrica era probabilmente
appositamente immigrata per la costruzione della nostra basilica; anzi
egli afferma che tale maestranza quasi certamente era formata da
elementi appena staccatisi dall'ambiente artistico di Pistoia. Quasi tutta la critica artistica successiva concorda con questo parere;
le discrepanze sono sorte soprattutto per quanto riguarda gli
interventi di artisti sardi all'interno del cantiere. Per lo Zichi
(1987) questo nome è da riferire ad un sardo che diresse i lavori per
la costruzione del San Pietro come maestro d'arte. Tutti sono concordi nel ritenere questo nome come quello dell'architetto
della fabbrica, ma molti discordano sulla sua nazionalità. Lo Scano
(1907) concepisce invece alla chiesa sorta tutto di un getto e ci dà
il nome del primo vescovo sorrense accertato storicamente, un certo
Alberto, che compare nella donazione del San Nicola di Trullas. Ciò che sappiamo con certezza è che l'8 dicembre 1503 con bolla di
Giulio II la diocesi di Sorres venne soppressa. Dopo la soppressione, la cattedrale e il suo beneficio passò
all'arcivescovo di Sassari, ma già nel XVI secolo Chiesa e canonica
furono abbandonate a se stesse e iniziarono a decadere. Dal 1835 iniziarono una serie di piccoli e grandi interventi di
restauro, promossi dagli arcivescovi turritani è dai parroci di
Borutta. Nel 1894 arrivò la dichiarazione di monumento nazionale che si presentò
come l'unico mezzo per salvare la chiesa dalla rovina e per rendere
possibili i necessari restauri. Seguirono nel tempo altri interventi e dopo la prima guerra mondiale,
verso il 1925, il monumento, abbandonato a se stesso, andava
nuovamente in rovina. Nonostante tutto questo vent'anni dopo la chiesa era ridotta di nuovo in
condizioni pietose. Nel 1948 si riuscì ad ottenere dallo stesso Ministero la promessa della
ricostruzione di una parte della canonica e così, in seguito, fu
presentato un progetto di massima redatto da P. Agostino Lanzani. Il 2 ottobre 1950 si dette inizio, col restauro della sala capitolare,
ai lavori che continuarono senza interruzioni fino al 1955, anno del
rientro di una congregazione di benedettini. Una visita a questa bellissima basilica è obbligatoria per chi vuole
conoscere le testimonianze del romanico pisano nell'isola.
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©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.