a cura di Giuseppina Deligia
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Le immagini: pag. 1 la scheda testi da consultare
San Saturno, la facciata e il fianco sinistro.
La chiesa di S. Saturno è «…
il complesso monumentale paleocristiano più antico della Sardegna ed è
unico nel suo genere in tutto il bacino del Mediterraneo.» (Maltese
1962, pag. 199), inoltre costituisce ancora un punto di
partenza obbligatorio perché è l’unico con cui si possa partire con
certezza da un periodo anteriore all’invasione dei Vandali. Il sito corrisponde al settore di necropoli orientale fra la chiesa di
S. Lucifero e il colle di Bonaria, finora la più antica area funeraria
cristiana individuata a Cagliari, con sepolture risalenti alla metà del
IV secolo. Fino all’800 questa basilica era situata nell’immediata periferia di
Cagliari. Le navate laterali hanno volte a crociera in cantonetti a spina di
pesce, con archi traversi fra le campatelle e archi formerets nei muri perimetrali, impostati su semicolonne. L’unica porta romanica ancora esistente è centrata nello specchio fra
larghe paraste raccordate da archetti monolitici, a doppia ghiera come
quelli lungo il terminale sud della navata centrale (in quello nord sono
disposti tagliati a filo), i cui muri sono divisi da lesene e aperti con
oculi. L’abside (orientata a sudest), assai ampia, ha perso il rivestimento
esterno che viene ipotizzato in cinque specchi divisi da semicolonne di
cui permangono le basi in marmo nella scarpa in opera bicroma. Del braccio occidentale, con analoga struttura, hanno resistito i muri
perimetrali che denunciano un affinamento della fabbrica
nell’accuratezza di taglio e messa in opera dei conci e nella
scansione regolare del paramento esterno attraverso robuste lesene. Il prospetto occidentale è in gran parte rifatto, ma si può
individuare un partito a tre portali architravati con lunetta ribattuta
dall’arco di rincasso gradonato
degli specchi laterali. Il corpo quadrato cupolato è costituito da quattro massicci piloni i
cui spigoli interni sono rotti da alveoli verticali in cui si innicchia
una colonna per ciascuno col risultato di alleggerire l’aspetto
d’insieme. La cupola emisferica ha una caratteristica insolita: il cerchio
d’imposta non s’iscrive nel quadrato di base, ma lo interseca dando
origine ad un gioco alterno di sporgenze e di rientranze rispetto alla
scatola quadrata sottostante. è molto interessante il concio, ora all’esterno, in cui è scolpito
il marchio dei lapicidi. Sull’originaria intitolazione e configurazione dell’edificio
esistono tesi divergenti. La prima menzione documentaria del titolo si trova in un passo del
diacono Ferrando, biografo di Fulgenzio vescovo di Ruspe ed esiliato in
Sardegna, con altri vescovi africani, dal re vandalo Trasamondo. Nel 1089 il monastero fu donato dal giudice cagliaritano Costantino
Salusio II de Lacon- Gunale ai Vittorini di Marsiglia che lo elessero
sede del priorato sardo e ne ristrutturarono la chiesa con modi
protoromantici, riconsacrandola nel 1119. Il monastero, però, subì molti danni nel corso dell’assedio al castello pisano di Cagliari da parte degli Aragonesi che erano accampati
nelle sue vicinanze. Incorporato nel 1444 fra i beni della Mensa arcivescovile di Cagliari,
il monastero fu lasciato andare in rovina, mentre la chiesa venne
riparata attorno al 1484 per interessamento dell’ecclesiastico Giacomo
Rovina e dell’arcivescovo Pietro Pilares. Agli inizi del ‘900 s’effettuarono alcuni interventi di restauro,
fra cui quelli successivi ai bombardamenti aerei del 1943. Il monumento è chiuso al pubblico dal 1978 per dei restauri «…
condotti con metodologia alquanto discutibile…» (Coroneo
1993, p. 29), e per un’indagine archeologica che ha
portato alla luce reperti fittili di una classe avvicinabile alla
cosiddetta “ceramica dipinta”, documentata in Italia meridionale fra
la fine dell’XI e la prima metà del XIII secolo e probabilmente da
connettere al momento della fabbrica protoromantica.
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©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.