a cura di Giuseppina Deligia
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San Nicolò, facciata e zona absidale.
La chiesa di S. Nicolò si trova fuori dall’abitato di Semestene, sulla strada che collega questo paese con quello di Pozzomaggiore. È proprio questo isolamento a metterne in risalto la stereometria generata dalla giustapposizione di due cubi. La facciata, delimitata da due pareste d’angolo, è divisa in due ordini da una doppia cornice marcapiano con un fregio ad ovoli e gusci molto schematici. Nell’ordine inferiore, al centro, si apre il portale architravato con arco di scarico a sesto rialzato e lunetta ribassata. Nell’ordine superiore, invece, dalle paraste parte una teoria di cinque arcate a doppia ghiera e a tutto sesto sostenute dai capitelli delle semicolonne, i cui rocchi sono sagomati nei conci del paramento, che poggiano su cantoni aggettanti che fungono da basi, peraltro molto erose eccetto la seconda da sinistra. Nella sezione dell’arcata centrale si apre entro un concio decorato con motivi fitomorfici e astratti un piccolo oculo. Simili decorazioni compaiono in alcuni conci delle sezioni adiacenti. La fiancata meridionale è divisa a metà da una lesena; su ogni metà, decorata da sei archetti a tutto sesto e doppia ghiera sostenuti da mensole gradonate, si apre una monofora a sguanci lisci molto allungata e con davanzale segnato da una cornice modanata. Nella mostra della monofora destra a sud, si svolge un complesso intreccio di cerchi che, intersecandosi, da luogo ad una fitta trama scolpita con rilievo bassissimo. Lo Scano (1907, p. 122) per primo notò la somiglianza di queste finestre con quelle del S. Alessandro e della S. Maria Corteorlandini a Lucca. La teoria di archetti continua nel prospetto posteriore dove sono visibili tre bacini ceramici che, assieme ai quattro presenti in facciata, decorano la chiesa. Questi bacini sono esemplari di “ceramiche policrome” di un’unica tipologia provenienti dalla Sicilia orientale e databili alla seconda metà-fine dell’XI secolo. Il 29 ottobre 1113 (ab incarnatione) la chiesa di S. Nicolò venne donata all’eremo toscano di Camaldoli da tredici membri della famiglia di majorales degli Athen, tra cui primeggia Pietro, il capo riconosciuto, colui che figurerà fino alla morte come pupillu (= padrone) del nostro monastero, che rimase sempre sotto una specie di patronato dei donanti. Poiché in quest’atto di donazione si fa preciso riferimento a dei donnos heremitas che già risiedevano in quei luoghi e che lì dovevano rimanere (ci vi sunt comodo in su eremu et hibi habent essere a vestara) lo Scano (1907, p. 122) ritenne che la chiesa ed il monastero fossero precedenti al 1113. Tale ipotesi è oggi concordemente accettata dalla critica che pensa all’esistenza di un precedente monastero di regola orientale. Con l’insediamento dei monaci nel monastero iniziò la compilazione di un importantissimo documento: il Condaghe di San Nicolò di Trullas, che ci fornisce numerose informazioni sul cinquantennio che va dagli ultimi anni del regno di Costantino I ai primi di Barisone II, comprendendo per intero il regno di Gonnario. Proprio quest’ultimo personaggio con la famiglia degli Athen fu tra i protagonisti di una drammatica vicenda che ebbe come sfondo la chiesa di S. Nicolò. Alla morte del padre il giovane Gonnario fu costretto a rifugiarsi a Pisa per paura di un tentativo di usurpazione da parte degli Athen; una volta rientrato in Sardegna ci fu un duro scontro con questa famiglia, i cui membri, sconfitti, furono costretti a ritirarsi proprio all’interno di quest’edificio dove furono trucidati. Dopo
un primo periodo che sembra relativamente tranquillo, a parte questo
drammatico avvenimento, la storia del monastero si fece più
problematica soprattutto a causa della cattiva amministrazione del suo
patrimonio da parte di vicari inesperti o poco affidabili.
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©2005 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.