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a cura di Vito Bianchi pagina a cura di Pierfrancesco Nestola



ALDO C. MARTURANO, Mescekh. Il paese degli ebrei dimenticati. Viaggio storico nel Medioevo russo, Galatina 2004, 190 pp.

      

Chi erano questi Cazari? Come mai questo nome ha avuto un’eco tale nel pulviscolo dei tantissimi popoli delle steppe, accomunati da tratti culturali, somatici, etnici ed anche politici (si pensi a ciò che è stato definito l’“impero” delle steppe); perché, soprattutto, questo gruppo umano abbandonò i tradizionali culti sciamanici (almeno ufficialmente) per abbracciare la religione d’Israele? E perché, con una peculiarità enorme quanto quella testé riportata, di questo popolo non si è mai sentito parlare, neanche per sbaglio, menzionando, che so io, i loro “cugini” famosi, quali gli Unni di Attila e via dicendo?

La ragione dei tanti perché me la sono spiegata subito, rendendomi conto, sin dalle prime pagine di questo libro, delle difficoltà enormi in cui l’autore si è imbattuto e, soprattutto, della penuria di letteratura storica (specie in italiano) sull’argomento. E a questo punto è “scattata la molla”, come direbbe qualcuno.

Sarebbe interessante, facendo un sondaggio, capire cosa, ancora oggi, la gente pensi quando le si dica la parola “Turchi” (non voglio arrivare a “Cazari”), confrontando poi i risultati con ben altre conclusioni, e mi riferisco qui a quelle, ben sintetizzate da Marturano, tratte da un turcologo del calibro di Jean-Paul Roux. Altro che “mamma li Turchi”!!!

Ma non allontaniamoci troppo dal punto della questione.

La prima cosa che salta agli occhi (e non a torto) è la passione vera e propria che l’autore mette non solo nella ricerca e nello scrivere, ma (cosa rara!) nel condividere “attivamente” con i lettori il frutto delle sue lunghe e faticose ore di lavoro.

Un popolo che perde le sue origini nella notte dei tempi, negli spazi immensi e brulli delle steppe; una gente che vive da secoli e secoli allo stesso modo, non diversamente da come facevano altre tribù nomadi turco-mongole, occupandosi dei cavalli e, chissà, di qualche cammello battriano d’alessandrina ed erodotea memoria.

Questo popolo nomade fonda uno Stato che, oltre ad essere stato un serio quanto temuto interlocutore politico e militare della stessa Bisanzio, ha dato grane soprattutto… alla storiografia sovietica! Ce ne vuole per insabbiare la storia un popolo, non è un’operazione da poco, specie se il popolo in questione è ritenuto, e a ragione, l’autentico e primo fondatore di un qualcosa anche solo lontanamente assimilabile a ciò che noi chiameremmo “Stato”! E, dulcis in fundo, di religione ebraica. Come la si conciliava questa particolarità coi pogrom?!

Perché la potenza che questo Stato raggiunse all’apice del suo splendore derivava, se mi è lecito esprimere un parere, dal mix di due elementi-chiave, provenienti da aspetti peculiari delle due correnti di civiltà che si fusero nello stato cazaro: la consapevolezza della natura aleatoria del denaro (e dei beni materiali), tipica della mentalità ebraica, e la concezione “nomade” della terra e delle risorse da sfruttare, aleatoria almeno quanto lo è quella israelitica per il denaro. Non per nulla la loro potenza derivò dalla brillante gestione che essi seppero fare dei traffici di un altro grande soggetto economico e politico del tempo: gli ebrei Radhaniti.

Certamente era una memoria scomoda per i fautori di Kiev, considerando specialmente che quei Rus, razza ibrida di guerrieri-mercanti venuti dal freddo, che fondarono lo “Stato” in questione, lavorarono come mercenari al servizio di questi Cazari. Peggio, e qui l’espressione usata dall’autore è originale quanto eloquente, questi Rus costituirono una sorta di “mafia armata” al servizio dei Cazari che, non potendo più contare, verso la fine della loro parabola storica, su un esercito proprio abbastanza forte, si servivano di truppe scelte quali questi border fighters d’Occidente, soprattutto per compiere scorrerie in terra slava al fine di procacciarsi la materia prima dei loro traffici commerciali: quella umana. E di lì, sfruttando abilmente le situazioni contingenti, seppero ricavarsi uno spazio politico ed economico tutto loro. Esperti maestri d’ascia e popolo da sempre navigatore, i Rus sapevano bene come e dove si piazza il cuneo nel blocco di legno; con quanta intensità e in quale momento il colpo deve essere vibrato; quale dovesse essere la funzione del pezzo così creato nell’insieme della nave.

Ma la storia delineata da Marturano nel suo libro è molto più complessa e ricca di avvenimenti a dir poco incredibili e purtroppo misconosciuti, data l’assurda ignoranza in materia che dilaga in occidente. Dalle pagine di Mescekh, infatti, trapelano soprattutto interrogativi (cosa d’estrema importanza!) ANCHE per quel che riguarda la storia occidentale.

Insomma, non ci siamo solo noi. E non è detto che, solo perché il colonialismo ce lo siamo inventato noi europei, non abbiamo mai ricevuto apporti, “copiato” (come fecero i nostri beneamati Rus) modelli di vario genere, assimilato tecniche e quant’altro. Non dimentichiamo che i traffici dei Radhaniti attraversavano il continente e quindi, come testimonia la Lettera di Hasdai, i contatti con i Cazari ci furono. E come non tener conto degli strettissimi contatti che questi ebbero con Bisanzio? Il ventaglio delle possibilità si apre all’infinito. Unico esempio: le fortezze e le città cazare, così pazientemente e appassionatamente ricercate dall’autore. L’analogia con quelle vichinghe studiate da Johannes Brøndstedt è affascinante, e lo è ancora di più notando che il grande archeologo danese attribuiva determinate caratteristiche, molto simili a quelle che Marturano attribuisce a Sarkel o Itil, a maestranze bizantine o comunque a tecniche importate dagli ingegneri di Costantinopoli.
Non è questa la sede per approfondire alcun argomento, ma, facendo un passo indietro, fino all’irresistibile definizione di “mafia” Rus, è sconcertante notare concordanze e analogie con quanto accadde nel Mezzogiorno, durante l’invasione dei cavalieri che vennero dal freddo
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©2005 Pierfrancesco Nestola

    

Volumi per recensioni a: Vito Bianchi, via del Calvario 1, 72015-Fasano (BR).

    


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